Libertà, il bene che ci fa godere degli altri beni. Un bene che non ha definizione, avendone almeno mille. Che in Italia è, oramai, come la maggioranza dei lavoratori: precario. Non passa giorno che lo Stato non punti a limitare una libertà che era data per acquisita. La libertà di votare indicando una preferenza. La libertà di avviare un'impresa senza soggiacere al dispotismo degli studi di settore. La libertà di utilizzare Internet come editori. La libertà di esprimersi senza incorrere nei reati d'opinione. La libertà di movimento con riferimento alla fruizione di eventi sportivi. Perfino la libertà di guidare uno scooter senza patenti, tasse e gabelle. Altre libertà sono invece utopia: le libertà nate dall'abolizione degli ordini; la libertà da un fisco oppressivo e trinariciuto e dalla conseguente burocrazia. La libertà delle autonomie locali, ossia la potestà comunitaria di pianificare e operare con trasparenza e nell'interesse dei cittadini senza dipendere da trasferimenti e da deleteri apparati legislativi. La libertà di decidere la scuola per i propri figli e quella di una propria copertura previdenziale. La libertà dai monopoli tutt'ora vigenti. Potremmo continuare altre mille righe, ma ciò che importa è constatare come al declino della libertà corrisponda un continuo abbattimento del nostro livello di benessere. La domanda è: quale sarà il punto di rottura? Nessuno ha la sfera di cristallo, ma è pensabile che il barile non abbia fondo?