Vorrei analizzare nuovamente la questione "polizia" con i pochi mezzi di analisi e conoscenza a mia disposizione.
Partiamo dal presupposto che attualmente l'antagonismo (e mi fermo ad una sua definizione molto lasca, che comprende un po' tutte le realtà che, per volontà o velleità, si definiscono ai margini o fuori del sistema) italiano viva un momento di forte sbandamento.
Il potere, altra definizione che utilizzo solo per semplicità anche se mi rendo conto che non è ipotizzabile un blocco monolitico definibile come potere, conosce l'attuale rapporto di forza e, come è normale, sposta l'asse di equilibrio per reprimere più e meglio oltre a preparare le gabbie di domani nel caso il conflitto dovesse tornare forte e partecipato.
Il potere, a differenza dell'antagonismo, non discrimina assolutamente tra forme di antagonismo, bensì se riesce sfrutta le differenze (destra-sinistra, sinistra buona-sinistra cattiva, comunisti-anarchici...) per rendere più agevole il suo compito.
Cosa ha intenzione di fare? Sinteticamente i processi in corso sono parecchi e viaggiano in parallelo incrociandosi in più punti. C'è la segmentazione della cittadinanza per colpire l'immigrazione e renderla il mansueto esercito di riserva per abbassare il costo del lavoro in Italia (tutto a favore dei panciuti industriali e finanzieri); c'è il passaggio a forme alternative di sintesi giuridica che bypassino di fatto lo stato di diritto (vedasi l'utilizzo della Daspo e il suo allargamento alla "società civile"); c'è l'aumento del controllo preventivo che stimola la creazione della prassi dell' "uomo di vetro" (ovvero di "colui che non ha nulla da nascondere") e amplifica il complesso di insicurezza congenita; infine c'è il tentativo di cotruire una gabbia processuale che punisca gli insubordinati di qualunque estrazione politica, etnica e sociale siano.
Vorrei soffermarmi sull'ultimo punto, che ha subito un'ulteriore accelerazione dopo i fatti di domenica.
I passi processuali su cui costruire la gabbia processuale sono parecchi e rimandano a casi avvenuti in questi ultimi anni.
1) Si parte dal G7 di Napoli che è stato un po' la preview del G8 di Genova.
Lo scontro (a Genova guarda caso) tra Toro e Sampdoria poco prima del G8 è stato la prova generale del controllo di piazza a seguire, fatto di gas CS, arresti a tappeto, Daspo data a centinaia di persone. Primo step lo definirei.
2) Poi viene il G8. Nel G8 hanno definitivamente testato una gestione di piazza criminale che non è comparabile assolutamente agli stati europei tipo Germania o Francia. Tra le tante cose è risultato chiaro che:
a) la polizia può avere una gestione autonoma perfino rispetto agli ordini. Se ciò avviene, dopo ci si ricompatta senza sbavature. E così è successo. La oramai famosa colonna che doveva raggiungere al più presto Marassi decide autonomamente di fermarsi e ingaggiare lo scontro con la testa del corteo disobbediente, contravvenendo agli ordini e, infine, rifiutando proprio la comunicazione radio. Nonostante ciò, la catena di comando difende sé stessa nella sua integrità.
b) la polizia ha alzato il livello di impunità testando sul campo un assalto pianificato alla Diaz, uccidendo un manifestante, abusando di persone ferite e arrestate, inserendo e poi facendo sparire bottiglie molotov (il tutto, ovviamente, senza conseguenze giuridiche). Questi atti hanno almeno un duplice effetto nell'immaginario collettivo: da una parte ha alimentato l'immagine di un paese dalla giustizia mai giusta, dall'altro ha alimentato, nell'immaginario collettivo degli organi di polizia, la sensazione di completa impunità sia quando si compiono con più forza del necessario atti comandati (si veda la gestione poliziesca al presidio noTAV a Venaus), sia quando si fa completamente di testa propria (direi che l'omicidio di Gabbo (corretto errore nda) è abbastanza esemplare).
3) Altro punto fondamentale è quello di attribuire a manifestanti facinorosi, il reato di "devastazione". Questo capo di imputazione (che oramai è passato come logica di fondo) permette di aggiungere anni a reati come resistenza e danneggiamenti, che non producono (a detta loro) condanne abbastanza pesanti.
Ovviamente la devastazione (reato ascrivibile tendenzialmente a tragedia come quella del Vajont) non ha nessuna attinenza con la distruzione dell'arredo urbano, ma garantisce pene esemplari.
4) Un altro elemento che colpisce i reati di opinione è la legge Mancino, legge di difficile applicazione proprio per la sua particolare struttura giuridica che la rende utilizzabile in parecchie applicazioni più o meno arbitrarie. Ultimamente, insieme ad essa, si sta cercando di costruire tutto un insieme di particolarità giuridiche che tutelino lo stato di Israele giocando volutamente sull'ambiguità tra antisemitismo e antisionismo. Il passaggio è oramai abbastanza chiaro: costruire una sorta di "religione laica" dell'Olocausto che venga utilizzata come leva per screditare ogni critica alla politica criminale di Israele. Diventa così campo di applicazione della legge Mancino anche una scritta contro il muro di Israele fatta dai compagni.
5) Il carcere duro, la 270bis, sono state testate su un soggetto per l'opinione pubblica indifendibile: il mafioso. Come era prevedibile, una volta utilizzato un provvedimento speciale per un soggetto di test che comporti poche resistenze del resto del corpo sociale, il provvedimento si "espande" andando a coprire anche differenti soggetti fino a diventare prassi comune.
6) 11 marzo 2006, altro step. Qui è passato un altro precedente giuridico molto pericoloso: il concorso morale. Questo vero e proprio aborto del diritto sancisce la fine della responsabilità individuale in quanto si considera in maniera eguale sia chi compie determinati atti, sia chi ne era solo vicino.
Insomma le manifestazioni pubbliche diventano un corpo unico e indivisibile in cui chiunque vi sia presente diventa responsabile di fronte alla legge per tutti gli altri nel caso venga arrestato. Provate solo ad immaginare le conseguenze di un uso spregiudicato di questo capo di imputazione.
7) E siamo arrivati al reato di "terrorismo" degli scorsi giorni. Anche qua si va a colpire prima di tutto la definizione stessa del termine adottato: terrorismo. Il terrorismo è un atto che va a colpire la popolazione civile allo scopo di intimidirla e terrorizzarla. Già questa definizione comune sarebbe incompatibile con un assalto ad un organo del potere. Si può, di fatto, terrorizzare il potere? E, di conseguenza, si può terrorizzare la popolazione colpendo una sua istituzione? Secondo me le risposte sono no ad entrambe, ma lascio aperta la questione alle singole sensibilità.
Andando avanti nel ragionamento, come è possibile attribuire il reato di "terrorismo" se i due arrestati erano presenti nelle vicinanze del luogo del delitto ma non sono stati colti in flagrante?
Ma passiamo alla ricostruzione fantasiosa del governo.
Diciamo che certe dinamiche sono più facili da comprendere se le si vivono (o perlomeno vedono) piuttosto che con fiumi di inchiostro. Ipotizzare una regia occulta degli scontri è quanto di più lontano dalla verità ci sia, ma, allo stesso tempo, molto vicino alle logiche di dominio.
Vediamo il perché.
E lo faccio analizzando soggetti e punti di vista differenti.
a) Prima di tutto le considerazioni generali sulla struttura odierna di dominio ci permettono di capire che per essa, un nemico de-strutturato è un avversario immensamente più ostico che un soggetto organizzato. Come tutto in natura, un soggetto dinamico ha più semplicità a trattare un oggetto esterno se quest'ultimo è conosciuto. Una delle forme principali di conoscenza avviene attraverso la specularizzazione del sé. Per questo i meccanismi di potere spingono sempre per avere davanti a sé soggetti ostili che ne siano complementari in modo da comprendere meglio i processi interni ad essi effettuando una semplice riflessione dei propri. Non a caso quando le BR aprirono allo scontro militare diretto contro lo stato furono annientate completamente. Non a caso gli scontri nelle banlieue non sono stati domati con il semplice dispiegamento militare. Non a caso, nonostante la repressione continua del mondo ultras, se esplode la rabbia, essa non è contenibile.
Da questo ragionamento ne consegue che, quando il potere (utilizzo in maniera impropria questo temine per semplicità) si trova di fronte ad una minaccia esterna che esuli dai canoni standard, necessiti sempre e comunque di provare a ridefinirla secondo i propri parametri. Ovviamente il tutto è lontano dalla realtà reale, ma è il primo passo necessario per isolare i rivoltosi che rischiano di trovare la simpatia collettiva. I noTAV vengono così declassati da rivolta popolare a manipolo di insurrezionalisti o di contadinotti egoisti fautori del NIMB, gli ultras diventano un corpo sociale esterno alla civiltà (sì perché in settimana non sono negli uffici, fabbriche e scuole italiane) che si sfoga contro il mondo per motivi incomprensibili, i banlieuesard si trasformano da lotta popolare della periferia parigina, a piccoli manipoli di baby gang di immigrati criminali.
b) Per chi ama l'ordine e la legalità spenderei poche parole in quanto questi due termini non sono degli assoluti imprescindibili ma sono determinati dalla condizione sociale generale. Soprattutto il concetto di legalità è alquanto aleatorio visto che cambia continuamente nel tempo. Ciò che è legale oggi non lo era ieri, e magari ciò che è illegale oggi non lo sarà domani. L'uso codificato simbolicamente della forza e della violenza, ad esempio, non è un assoluto negativo nella storia della civiltà. Anzi, forse pure più intelligentemente, nel passato, esso era canalizzato attraverso il rituale, cosa che comunque non dispensava da rischi personali. Invece la nostra società attuale, nella sua ipocrisia, nega che dentro di essa si possano sviluppare delle frustrazioni, che poi sfocino in atti violenti. No, qui il diktat comune è che tutto vada benissimo, in fondo siamo o non siamo nel migliore dei mondi possibili? E allora chi invece non è "fitted" con questo paradiso (per qualsiasi motivo: sociale, economico, psicologico...) è un estraneo, è espulso dalla comunità. Ma poi si scopre violentemente che non sono gli estranei alla comunità quelli che compiono gli atti più efferati: sono gentili vicini di casa, bancari, preti, poliziotti...
Ovviamente dopo l'indignazione (doppia, perché oltre al fatto criminoso colpisce l'italiano nelle sue certezze) si deve innescare la rielaborazione collettiva che non metta in discussione i meccanismi di base, ma si limiti ad un'alzata di spalle interrogativa.
Nel passato, invece, parte della violenza collettiva era incanalata attraverso uno scontro simulato e ritualizzato che permetteva di sciogliere un po' di nodi senza arrivare agli eccessi odierni. La ritualizzazione serviva implicitamente per evitare che la violenza superasse i limiti collettivamente prestabiliti, imponendo un codice di comportamento.
Le oggi poco famose "battagliole comunali" erano un evento codificato delle ordinanze cittadine, evento spettacolare e assolutamente interno al corpo sociale. Combinazione, uno dei pochi luoghi che conserva un'etica, un codice comportamentale, oggigiorno è il mondo ultras, nonostante la spinta collettiva della cosiddetta società civile ad espellere gli ultras dalla comunità.
c) Per chi cerca sempre e necessariamente etichette per definire azioni in funzione della "confezione" e non del contenuto ho poco da consigliare se non quello di analizzare la storia del passato. Chi pensa che le rivoluzioni siano dei pranzi di gala o un elenco della spesa da spuntare cronologicamente, consiglio di prestare attenzione alla storiella popolare russa che cito qui di seguito:
"quando Lenin raggiunse finalmente la Russia, a rivoluzione iniziata, si trovò in mezzo ai tumulti popolari in città. In mezzo al caos Lenin domandò ad una signora che urlava agitando un mattarello chi comandasse. La donna rispose stupita della domanda: "ma è ovvio, Lenin comanda!".
Insomma, pensare a rivoluzioni ordinate come la dispensa della nonna, con il "soggetto rivoluzionario puro" che si applica con svizzera precisione è veramente un paradosso antistorico.
Come dice il sempre lucido e straordinario Quadrelli: "l'autunno caldo non lo fecero gli operai con l'unità sotto braccio che ascoltavano i Led Zeppelin. No, lo fecero gli operai con i pantaloni alla Celentano con sotto braccio la Gazzetta dello Sport".
A chi preferisce un compagno infame ad un camerata che generosamente aiuta il prossimo (e viceversa) non ho molto altro da consigliare se non di
leggere quanto ho scritto (sapendo che poco servirà però).
Loki