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  1. #71
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    Citazione Originariamente Scritto da testadiprazzo Visualizza Messaggio
    Se l'acqua delle dighe fosse al plutonio..e non solo distruggesse campi e case..ma spargesse radioattività per millenni..è chiaro che anche le centrali idroelettriche andrebbero chiuse..
    Non si vuol capire che la natura di un incidente nucleare è comulativa..si somma ..mentre una diga ..una volta che l'acqua è defluita..non lascia veleni sul terreno..
    Un ambiente radioattivo è mortale per l'uomo..e solo qualche mostro potrebbe viverci...
    Quanti incidenti nucleari sarebbero necessari per avvelenare definitivamente il pianeta..assieme alle scorie..?
    E chi smantella queste centrali in caso di guerra o crisi economica grave..?
    Perchè crearsi problemi inutili quando il nucleare è solo un optional essendo fondamentale per ora solo il petrolio il gas e il carbone..e..se finiscono queste fonti..rimaniamo al buio..sul serio..?
    un incidente grave ci è già stato e pur nella sua gravità oggi l'area interessata è vivibilissima, a Hiroshima ci è stata una esplosione nucleare e la città è stata ricostruita e ci vivono oggi 1.159.391 di abitanti

  2. #72
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    Citazione Originariamente Scritto da Alexandri Magni Visualizza Messaggio
    un incidente grave ci è già stato e pur nella sua gravità oggi l'area interessata è vivibilissima, a Hiroshima ci è stata una esplosione nucleare e la città è stata ricostruita e ci vivono oggi 1.159.391 di abitanti
    Tu ci andresti a vivere? Facile fare l' eroe sulla pelle degli altri.

  3. #73
    .... .....
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    Citazione Originariamente Scritto da Alexandri Magni Visualizza Messaggio
    un incidente grave ci è già stato e pur nella sua gravità oggi l'area interessata è vivibilissima, a Hiroshima ci è stata una esplosione nucleare e la città è stata ricostruita e ci vivono oggi 1.159.391 di abitanti


    I DATI SU CHERNOBYL ED IL VOLONTARIATO: 20 ANNI DICONFRONTO/SCONTRO
    di Massimo Bonfatti

    PREFAZIONE
    Poiché Chernobyl in ucraino significa assenzio, in molti individuarono un nesso sconcertante fra questo terribile incidente e il celebre passo dell’Apocalisse di Giovanni in cui si parla della caduta dal cielo di una stella che "si chiama Assenzio" (Ap 8,10-11). "...cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque. La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono per quelle acque, perché erano divenute amare."Chernobyl ha contaminato ogni cosa. Ma sono state soprattutto le acque a presentare una radioattività che lo scienziato russo Zhores Medvedev ha definito a suo tempo "disastrosa". Se consideriamo poi che ogni isotopo di cesio 137 ha "una vita" di circa trent’anni, dobbiamo dire che la stella chiamata Assenzio continuerà a rimanere sopra le nostre teste fino al 2016. Ed aggiunge Zhores Medvedev: "...Va considerato circa un terzo delle acque ad alta concentrazione di cesio 134 e 137, nonché, di iodio 131". Un terzo, come annuncia Giovanni nell’Apocalisse

    INTRODUZIONE
    Le ragioni del cuore possono saldarsi con quelle della ragione?
    Da venti anni, dopo Chernobyl, questo quesito si è insinuato nei dibattiti dei fautori del nucleare e dei suoi oppositori, ma non solo.
    Lo stesso volontariato che su Chernobyl ha riversato un impegno non indifferente, ha dibattuto al suo interno, anche con asprezza, le modalità per far fronte alle conseguenze dell’incidente nucleare del 26 aprile 1986, ma poche volte si è interrogato sulla scelta del nucleare, sugli aspetti scientifici e tecnici ad essi collegati, preferendo incanalare nel filone della solidarietà risposte più rassicuranti e sicuramente più comprensibili.
    È trascorso oltre un decennio dalle prime esperienze di accoglienza dei bambini di Chernobyl in Italia. Ad esse si sono affiancati anche importanti interventi di cooperazione in loco.
    Tutto sicuramente entusiasmante e coinvolgente. Anche giusto.
    Ma è bastato il rapporto ONU, gestito dalla lobby della AIEA, del settembre scorso, per gettare nello sconforto molti volontari.
    Se l’impatto delle conseguenze di Chernobyl è così drasticamente ridimensionato, quale è il senso di quello che stiamo facendo, quali sono le motivazioni reali che possono giustificare il nostro intervento a favore delle vittime di Chernobyl? E poi quali vittime?
    Quindi quello che facciamo ha solo valore di mera solidarietà fine a se stessa? Su quali basi regge?
    Calma!
    Noi non siamo tecnici, né tanto meno scienziati.
    Ma abbiamo una qualità: siamo competenti nel nostro impegno in campo solidaristico ed abbiamo dei validi alleati.
    Sono i nostri occhi, le nostre orecchie, le nostre conoscenze, le nostre relazioni e i nostri contatti, i nostri viaggi in Bielorussia, Russia ed Ucraina, la nostra permanenza nei territori contaminati, le nostre letture e le informazioni che si sono accumulate in noi senza che riuscissimo ad organizzarle, il materiale raccolto, gli appunti, le nostre fotografie dei bambini e delle loro famiglie scattate nei vari villaggi, le registrazioni ed i filmati nei kholcoz, nei reparti oncologici, le nostre lacrime ed i nostri sorrisi.
    Questo è tutto il nostro capitale. Un capitale che potremmo chiaramente gestire meglio, distribuirlo organicamente in un rapporto che ridicolizzerebbe quello dell’AIEA.

    Ma non riusciamo a farlo, sempre a rincorrere il tempo che ci manca, noi volontari puri contro i professionisti dei rapporti, lautamente pagati.
    Non abbiamo interessi da difendere e non abbiamo nulla da perdere.
    Non dobbiamo piegare dei dati a ragioni economiche e politiche.
    Per questo, ogni tanto, siamo nudi e spaesati.
    Questo è il panorama in cui ci dibattiamo: 20 anni di confronto/scontro che ci hanno logorato, arricchito ed anche dato consapevolezze.
    Mi offende pensare che il prossimo anno, sulla scia di una ricorrenza che sarebbe giusto che non ci fosse, si sveglieranno i soloni di turno con tutto il corteo di speculazioni approntate per salire al volo sul palco mediatico.
    Quel palco, signori miei, è nostro!

    Mi offende dover prestare il fianco al dubbio che Chernobyl, o meglio le sue conseguenze, possano essere l’espressione di una menzogna.
    Noi tutti sappiamo che non è così e, purtroppo, dobbiamo, con molta umiltà dare profondità, spessore, consapevolezza alle nostre ragioni e su queste basi costruire i presupposti per un ventennale che non sia semplice retorica e celebrazione, ma una tappa di solo maggior impatto nel nostro costante lavoro a favore delle popolazioni colpite dalle conseguenze dell’incidente nucleare.
    Vediamo di mettere assieme le ragioni di tutti questi anni di impegno.

    LA REALTÁ DI CHERNOBYL
    Cercare di analizzare la realtà di Chernobyl come si è sviluppata fino ad ora, vuol dire analizzare i seguenti argomenti:
    Ø LA LOBBY DEL NUCLEARE. Dobbiamo essere consapevoli che tutti i rapporti dell’AIEA non possono che, istituzionalmente, difendere gli interessi del nucleare. Nei primi giorni dopo Chernobyl il direttore dell’AIEA Blix affermava:"L'industria atomica può sopportare catastrofi come Chernobyl ogni anno". Ecco l'ideologia con la quale l'AIEA affronta Chernobyl. E' una conclusione politica. E' la conclusione di persone che rappresentano dei governi, che non vogliono vedere le conseguenze evidenti di Chernobyl. Questo è abbastanza normale e comprensibile, dal punto di vista dell’AIEA. Comprensibile, e non accettabile, è che gli scienziati svolgano ricerche i cui risultati siano già determinati in precedenza dal committente. Chernobyl è stato un duro colpo per l’industria del nucleare. Ovvio puntare su cavalli di battaglia quali l’obsolescenza della centrale di Chernobyl e la minimizzazione dei danni, soprattutto delle vittime. Ma ciò che non è comprensibile e né accettabile, anzi scandaloso è che il 28 maggio 1959 l’AIEA riesce a far siglare all’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) un accordo (legge WHA 12-40). Si tratta di un accordo truffa. Nel documento, oltre al testo della legge vengono riportate importanti note introduttive. Di seguito ne riportiamo alcune: ”Negli anni 1950/60, quando fu varato il progetto “Atomi per la pace” i gravi rischi per la salute e l’ambiente dell’energia nucleare erano in genere sconosciuti al pubblico, ma non all’OMS… Nell’accordo, all’art. 3, si evince la possibilità di poter assumere, sia da parte dell’AIEA sia da parte dell’OMS, misure restrittive per salvaguardare il carattere confidenziale di certe informazioni e dell’obbligatorietà delle due agenzie di rapportarsi direttamente per tutti i progetti che possano coinvolgere una delle due parti….Nel 1995 l’AIEA blocca gli atti della conferenza dell’OMS a Ginevra sull’incidente di Chernobyl convocata dall’allora direttore generale… Nella conferenza il dr. Martin Griffiths del dipartimento degli Affari Umanitari dell’ONU, segnalò come non fosse stata detta la verità alle popolazioni e che le persone complessivamente colpite erano 9 milioni… A supporto di ciò l’AIEA riconosce solo i rapporti “convalidati”, cioè confermati dai laboratori di Los Alamos e del Commissariato per l’Energia Atomica Francese (ovverosia i fabbricanti della bomba atomica)…A fronte delle necessità di liquidare il più in fretta possibile le conseguenze dell’incidente di Chernobyl e di diminuire il budget destinato allo scopo, i rapporti dell’AIEA servono come base scientifica ai governi per determinare le azioni di tutela e radioprotezione.
    Ø L’INFORMAZIONE INDIPENDENTE. A fronte della pressione mediatica che cerca di sminuire le conseguenze dell’esplosione del 26 aprile 1986 è necessario sostenere un’informazione indipendente e libera che ci permetta di acquisire strumenti di paragone e motivare, non solo emotivamente, le ragioni del nostro operare. Il fisico Bella Belbéoch, il primo maggio 1986, 5 giorni dopo l’esplosione del reattore N° 4 di Chernobyl, disse: “Bisogna aspettarsi nei giorni che verranno un complotto internazionale di esperti ufficiali per minimizzare la valutazione delle vittime che causerà questa catastrofe. Il perseguimento dei programmi civili e militari impone all’Assemblea degli Stati una tacita complicità che va oltre i conflitti ideologici o economici”. Dobbiamo, pertanto, essere consapevoli che le controdeduzioni non hanno solo valore accademico, ma richiedono impegno, sacrificio, mezzi, risorse ed anche esposizione personale. Tre esempi per tutti a) In nove anni di ricerche nei territori contaminati dalla catastrofe di Chernobyl il professor Yuri Bandazhevskij, anatomo-patologo, ha scoperto che il Cesio137, incorporato attraverso l'alimentazione in dosi deboli, distrugge progressivamente gli organi vitali, che lo accumulano in concentrazioni disuguali e assai più elevate della media corporea. In collaborazione con la moglie Galina, pediatra e cardiologa, Bandazhevskij ha descritto la "cardiomiopatia da Cesio" : una nuova patologia che, secondo alcuni scienziati, porterà il suo nome. L'insufficienza cardiaca, diventa irreversibile a partire da una certa soglia e durata di intossicazione da Cesio. La morte subitanea può sopraggiungere a tutte le età, anche nel bambino. Dopo aver pubblicato le sue scoperte e denunciato la politica di non intervento del governo, Bandazhevskij è stato arrestato per presunta corruzione e condannato.
    b) La CRIIRAD (Commission de Recherche et d’Information Indépendantes sur la Radioactivité) ha pubblicato coraggiosamente un Atlante della contaminazione radioattiva in Europa in seguito al fallout di Chernobyl, sottotitolandolo “Le prove della menzogna”. Nell’Atlante è evidente che l’Italia del nord, e soprattutto l’arco alpino con le sue vallate “olimpiche”, è la parte dell’Europa Occidentale più contaminata dal fallout radioattivo di Chernobyl. Quest’anno la CRIIRAD ha dato vita al laboratorio “CRIIRAD-Bandazhevskij” direttamente in Bielorussia, a Minsk. È un laboratorio biomedico gestito dalla CRIIRAD con le stesse garanzie etiche di competenza, d’indipendenza e di trasparenza del suo laboratorio di analisi di Valence in Francia e diretto dal prof. Bandazhevskij e da sua moglie Galina. Nel laboratorio verranno proseguite le ricerche sugli effetti patologici delle incorporazioni croniche dei prodotti radioattivi. È un progetto internazionale al servizio delle vittime di Chernobyl e di tutte le persone esposte alla contaminazione radioattiva.
    c) Il sito del Progetto Humus. Nato 32 mesi fa a sostegno dell’omonimo progetto internazionale, si è affermato come punto di riferimento sulle tematiche del nucleare e di Chernobyl per molte associazioni, istituzioni, enti e persone. È un portale libero, indipendente, gestito da volontari che da 12 anni sono impegnati in prima linea nell’accoglienza dei bambini di Chernobyl e nei progetti di cooperazione Non solo Chernobyl, ma anche Caucaso e Beslan). É aperto alla collaborazione di tutti. Il sito rischia ora seriamente di chiudere per debiti pregressi accumulati (il 31 dicembre è la data ultima per assicurarne la sopravvivenza). Il sito rappresenta il paradigma della difficoltà, dell’impegno e dei costi che servono per fare informazione indipendente, ma soprattutto delle difficoltà dell’associazionismo di capire e sostenere non solo tale servizio, ma il bene e la forza di tutti noi. La ricerca comune degli strumenti utili ad affrancare il nostro impegno dalle accuse delle lobbies del nucleare, ha, a volte, facile gioco perché contrapposta alla frammentazione ed al particolarismo di ogni singola associazione. Non ho mai smesso di parlare della sterile politica del “proprio orticello”, ma essa si insinua sempre, nonostante i positivi tentativi in senso opposto. Il sito del progetto Humus cerca di collocarsi in questa scia e vorrebbe continuare questo nuovo percorso. Sta a tutti noi capire che è un patrimonio comune, sostenerlo. Come sta a tutti noi capire e provare ad unire le maggiori forze possibili per il ventennale dell’incidente di Chernobyl: non con la paura di perdere le proprie caratteristiche, autonomie, credibilità e riconoscimenti, ma nell’intenzione di arricchimento reciproco e di maggiore impatto in termini di visibilità e di risultati. Il fatto di essere qui oggi, come l’anno scorso, è incoraggiante, ma dobbiamo fare di più nella ricerca non di ciò che ci divide, ma di ciò che ci unisce, ovvero partendo dalla base comune a tutti noi: cercare le migliori possibilità per aiutare le popolazioni colpite dalla conseguenze dell’incidente nucleare di Chernobyl. Possibilità che nascono dalla conoscenza umana e scientifica, dalla condivisione, dall’impegno sia in campo solidaristico che metodologico, dalla ricerca e costante confronto delle vere motivazioni e delle ragioni che giustificano e valorizzano il nostro operare. Anche questi sono modi ed occasioni per ristabilire la verità su Chernobyl.
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    Questi tre esempi riportati potrebbero, però, essere considerati troppo di parte, frutto, secondo alcuni, non di una informazione indipendente, bensì di una controinformazione a senso unico.
    Cambiamo allora registro. Ed allora che dire delle raccomandazioni della Commissione europea del 20 febbraio 2003?
    La nota 120/2003 si intitola così: “Sulla protezione e l’informazione del pubblico per quanto riguarda l’esposizione risultante dalla continua contaminazione radioattiva da cesio di taluni prodotti di raccolta spontanei a seguito dell’incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl”. La raccomandazione recita che, al fine di proteggere la salute del consumatore, gli Stati membri dovrebbero adottare disposizioni idonee per garantire che i massimi livelli consentiti in termini di cesio 134 e 137, di cui all’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 737/90, siano rispettati nella comunità per l’immissione sul mercato di selvaggina, bacche selvatiche, funghi selvatici e pesci carnivori di lago.
    Interessanti sono le premesse che riporta per sostenere tale raccomandazione (e ne riporto solo alcune): 1. A seguito dell’incidente verificatosi il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Chernobyl, si sono disperse nell’atmosfera considerevoli quantità di elementi radioattivi. 2.La ricaduta di cesio radioattivo derivante dall’incidente della centrale nucleare di Chernobyl ha colpito un gran numero di paesi terzi
    3. Una ricaduta significativa ha colpito talune parti di territorio di un certo numero di Stati membri e di paesi candidati all’adesione all’Unione europea.
    4. Gli ecosistemi naturali e semi-naturali quali le foreste e le superfici boschive sono in genere l’habitat naturale di animali selvatici, di bacche e di funghi e tali ecosistemi tendono a trattenere il cesio radioattivo in uno scambio ciclico tra gli stati superiori del suolo (strame), batteri, microfauna, microflora e vegetazione. Inoltre, il suolo di tali ecosistemi, che consiste per la maggior parte di materiale organico, tende ad aumentare la disponibilità biologica del cesio radioattivo.
    5. Le piante forestali consumabili da parte dell’uomo sono le specie di frutta commestibili, in particolare le bacche selvatiche quali mirtilli neri, bacche di rovo, mirtilli rossi, lamponi, more di rovo, e fragole selvatiche. Le tendenze della contaminazione radioattiva da cesio nelle bacche selvatiche mostrano che la contaminazione è diminuita lentamente oppure è rimasta stabile, in particolare nelle specie perenni, dal verificarsi dell’incidente di Chernobyl.
    6. Varie specie di funghi selvatici commestibili (galletti, boleto baio, perinaceidi e altri funghi commestibili noti), a causa dell’impatto della natura del suolo delle foreste sulla disponibilità del cesio radioattivo, continuano a sviluppare livelli di cesio radioattivo che superano i 600 Bq/kg. I funghi della specie micorrizae che vivono in simbiosi con gli alberi e che hanno un micelio che cresce in profondità (Boletus edulis, ad esempio) sono stati colpiti molto più tardi dalla ricaduta e presentano oggi livelli molto elevati di contaminazione da cesio radioattivo.
    7. La contaminazione da cesio radioattivo colpisce inoltre specie animali quali la selvaggina e i pesci carnivori d’acqua dolce provenienti dai laghi situati in aree colpite da deposizione più elevata. In particolare, la presenza di specie altamente contaminate nella dieta (lichene, muschio e in particolare talune specie di funghi) contribuisce chiaramente all’aumento della contaminazione della selvaggina che la consuma
    8. Si presume che la durata della contaminazione da cesio radioattivo in seguito all’incidente di Chernobyl di un certo numero di prodotti derivanti dalle specie che vivono e crescono nelle foreste e in altri ecosistemi naturali e seminaturali si riferisca essenzialmente al tempo di dimezzamento fisico di detto radionuclide, che è di circa 30 anni, e che tuttavia nessun cambiamento degno di nota per quanto riguarda la contaminazione di cesio radioattivo di questi prodotti verrà osservato nei prossimi decenni. 9. Negli ultimi anni, i dati forniti da alcuni Stati membri alla commissione hanno dimostrato che si sono riscontrati elevati livelli di cesio radioattivo nella selvaggina, nelle bacche, nei funghi e nei pesci carnivori di lago.
    10. L’incidenza della carne di selvaggina contenente dosi di cesio radioattivo superiori ai 600 Bq/kg sta lentamente decrescendo ad eccezione del cinghiale, quantità non trascurabili di carni di selvaggina originarie di alcune parti dei territori di un certo numero di Stati membri e di paesi candidati all’adesione continuano a superare i limiti succitati 11. In talune regioni delle Repubblica federale di Germania i livelli di cesio radioattivo nelle carni di cinghiale possono essere di dieci o più volte elevati dei livelli riscontrati nelle carni di capriolo e di cervo. Ad esempio, l’incidenza di casi di cinghiale contenente livelli di cesio radioattivo superiori ai 600 Bq/kg è andata costantemente aumentando a partire dal 1996, ed era pari al 51% circa nel 1999, con valori di picco superiori ai 10 000 Bq/kg. 12. Si può ipotizzare che alcune parti dei territori di un certo numero di altri Stati membri e di paesi candidati che presentano analoghi livelli di deposizione di cesio radioattivo abbiano livelli di contaminazione nelle carni di selvaggina e in particolare di cinghiale comparabili a quelli della Repubblica federale di Germania.
    13. Dati recenti indicano che le concentrazioni di cesio radioattivo rimangono elevate nei pesci carnivori d’acqua dolce provenienti dai laghi situati nelle zone con le deposizioni più elevate, con valori di picco superiori a 10 000 Bq/kg nel luccio e di 5 000 Bq/kg nel pesce persico 14. L’immissione sul mercato di prodotti selvatici commestibili non procede necessariamente attraverso la catena alimentare agro-industriale, e pertanto il monitoraggio e i controlli nazionali obbligatori possono essere aggirati 15. Sebbene l’implicazione della contaminazione dei prodotti di selvaggina per la salute del pubblico in genere sia molto bassa, il rischio per la salute delle persone che consumano grosse quantità di tali prodotti provenienti dalle regioni colpite non può essere trascurato, ed è pertanto necessario rafforzare la consapevolezza del pubblico a questi pericoli.
    Ø IL PUNTO DI PARTENZA PER LA VALUTAZIONE DEI
    DATI.
    a) Il rapporto dell’AIEA basa la ricerca scientifica su dati impostati "a priori" e rispondenti al mandato di elevare i limiti per diminuire le spese. Dopo l'incidente, vi fu un forte dibattito per determinare i livelli di dose, e quindi di rischio, accettabili. Gli esperti sovietici si rifacevano al vecchio limite di 5 mSv/anno (350 mSv in una vita media); i medici e scienziati bielorussi chiedevano l'applicazione del limite di 1 mSv/anno (70 mSv/vita), raccomandato dopo il 1985 dal CIPR (Commissione Internazionale di Protezione Radiologica), tenendo conto del fatto che le radiazioni ionizzanti sono più nocive di quanto si pensasse negli anni 70. La lobby nucleare ha, pertanto, mobilizzato tutti i suoi esperti sulla posta in gioco...ed ha finito per stabilire: ormai si possono raccomandare per le istanze internazionali limiti da 15 a 20 mSv/anno (1.000 mSv/vita). Questo livello di dose giudicato "accettabile" dagli esperti, corrisponde, per anno di esposizione e per 2 milioni di persone esposte, ad un decremento da 1.500 a 2.000 cancri mortali, ai quali si aggiungono i cancri definiti guaribili e la malattie genetiche (senza contare le patologie che non sono state ancora ufficialmente riconosciute). Anche sui bambini sono state fatte delle "economie". Dal 1987, gli esperti hanno modificato i coefficienti per il cesio radioattivo: essi stimano che i bambini (esclusi i lattanti) ricevano, ad uguale incorporazione, una dose comparabile a quella degli adulti: il loro organismo ha una massa inferiore, ma essi eliminano più rapidamente il cesio che incorporano. Compensandosi le due cose, alla fine essi ricevono una dose equivalente. Invece le ricerche e le analisi del professore Bandazhevskij, hanno dimostrato che i più colpiti sono i bambini perchè essi accumulano, molto più che gli adulti, il cesio presente nella loro alimentazione. É il caso di tutti gli organi presi in esame e la differenza è particolarmente marcata per il cuore e la tiroide. Il feto è ugualmente irradiato, di fatto, dall'accumulo di cesio nella placenta.
    Per tali ragioni, ora e sotto la spinta di altri scienziati, si comincia a valutare l'ipotesi di stabilire, per i bambini, un limite di dose inferiore a quello degli adulti: 0,3 mSv/anno, invece di 1 mSv/anno (i limiti della lobby nucleare sono pertanto di 50/70 volte superiori). b) A cosa corrisponde la stima di 4.000 decessi per cancro descritti dall’AIEA e che hanno fatto tanto rumore? Per comprendere il problema bisogna avere in testa la nozione che le radiazioni uccidono “in differita”. A Chernobyl 28 pompieri intervenuti subito dopo l’incidente sono stati vittime di una sindrome di irradiazione acuta e sono morti nel giro di tre mesi. Ma la stragrande maggioranza delle persone che hanno ricevuto una dose tossica non sono morte sul colpo; esse hanno potuto contrarre un cancro un anno, cinque anni, dieci anni dopo l’incidente oppure non lo contrarranno mai in futuro. Per stimare il bilancio di Chernobyl gli esperti hanno dunque fatto una proiezione basata su un modello che predice il numero di cancri mortali che si manifesteranno sulla popolazione di riferimento, su un periodo corrispondente alla durata massima della vita umana. Il totale di 4.000 è costituito dalla somma di 50 lavoratori che sono morti di sindrome da irradiazione acuta nel 1986 o per altra cause negli anni successivi, 9 bambino morti di cancro alla tiroide, e da una stima di 3940 persone che potrebbero morire di cancro contratto in seguito all’esposizione alle radiazioni, scrivono gli esperti. Quest’ultima cifra tiene conto dei 200.000 lavoratori e membri delle brigate d’intervento del 1986/87, delle 116.000 persone evacuate e dei 270.000 che abitano le zone più
    contaminate.

    Lo studio dell’AIEA sostiene che già a una distanza di circa 30 km dal reattore i livelli di radioattività sarebbero scesi a livelli accettabili e pertanto non vengono considerate queste zone. Il rapporto CRIIRAD ha, invece, dimostrato, con l’indagine svolta dal 1999 al 2001 ed effettuando oltre tremila misurazioni in Francia, nell’Italia del Nord, in Svizzera, nella Germania del Sud, in Austria per arrivare fino all’Ucraina, che la situazione non à affatto così. L’AIEA, con un colpo di spugna ha quindi cassato circa 7 milioni di persone colpite dall’incidente: ciò che ha condotto a dividere per due le stime! Per di più l’AIEA ignora i paesi dell’Europa occidentale colpiti anch’essi dalla nube radioattiva, sebbene in proporzioni molto più deboli che i paesi dell’ex URSS. Secondo il premio Nobel Georges Charpak le ricadute di Chernobyl potranno provocare in Francia 300 cancri letali in trenta anni. Altrettanti, se non di più, in Italia. Un documento dell’IRSN (l’Istituto francese di Radioprotezione e Sicurezza Nucleare) intitolato “Chernobyl, 17 anni dopo” e datato 2003, cita una pubblicazione del suo equivalente britannico, il National Radio Protection Board (NRPB), secondo il quale il bilancio dell’incidente sarà da “1000 a 3000 decessi nei paesi dell’Europa occidentale”. La stessa pubblicazione stima tra 2.500 e 75.000 i cancri mortali tra gli abitanti delle regioni occidentali dell’ex URSS. Per l’epidemiologo Lynn Anspaugh la forchetta sarà da 2.000 a 17.000. Riassumendo, se si crede alle fonti scientifiche, la stima di 4.000 decessi avanzata dall’AIEA, posa su un giochetto: tiene solo conto dei “liquidatori” (i lavoratori che si sono fatti carico di “liquidare” le conseguenze dell’incidente) e di una piccola parte di abitanti delle zone fortemente contaminate.
    Ø RAPPORTO CHERNOBYL/HIROSHIMA I modelli utilizzati dagli epidemiologi, basati sui dati di Hiroshima, sottovalutano le conseguenze di Chernobyl per le popolazioni che vivono nelle zone contaminate: “Ad Hiroshima, l’essenza delle dosi è portata dall’irraggiamento esterno di tutto il corpo, spiega Jacques Repussard, direttore dell’IRSN. Ora le persone che vivono in prossimità di Chernobyl e che consumano acqua, legumi o funghi contaminati al cesio, sono sottoposte ad un irraggiamento interno. Gli effetti non sono necessariamente gli stessi”. Bisogna, quindi, tener presente che il sistema di radioprotezione mondiale, basato sulle conoscenze acquisite dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, misconosce gli effetti delle incorporazioni croniche di radionuclidi, effetti molto diversi da quelli generati da irradiazioni esterne intense e brevi. E se si vuole proprio fare i paragoni con Hiroshima, il conto delle vittime, costantemente aggiornato, è arrivato a 254.000 (e l’incidente di Chernobyl è stato almeno 200 volte superiore a Hiroshima). Ø LE CONSEGUENZE INDIRETTE. Il rapporto non tiene conto, in maniera cinica, delle conseguenze indirette dell'incidente nucleare. Non vi è richiamo ai sintomi e alle sindromi derivanti dagli stati di immunodeficienza delle popolazioni. Pare, addirittura, che sia colpa delle popolazioni stesse se, in seguito all'incidente, esse abbiano sviluppato sindromi neuropsichiche e se malamente si adattino allo sradicamento ed a vivere in zone solo semplicemente contaminate, cioè con presenza di debole radioattività (quelle che il rapporto considera obbligatoriamente da ripopolare e per cui Balanov, specialista AIEA, ha dichiarato:"Non dovremo più sprecare le nostre risorse e i nostri sforzi su zone debolmente contaminate e che non sono prioritarie").
    L'AIEA, infatti, ha solo e sempre considerato conseguenza diretta e causa di malattia la sindrome da irraggiamento acuto. Ma ormai è accertato, e sostenuto da più scienziati, che il vero pericolo deriva dalla esposizione costante e cronica nel tempo a basse dosi di radiazioni: ciò che il rapporto non prende in considerazione. Solo la morte è considerata essere un danno e ciò evita di prendere in considerazione la severa e debilitante morbilità. Inoltre questi scienziati, orientati dal documento emesso dall’IRCP (Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica) e che riguarda gli ultimi cinque anni, hanno accettato senza obiezione che gli unici effetti concernenti la salute ed attribuibili alla radiazione siano le morti da cancro. I cancri non mortali non sono, di base, presi in considerazione. Sono decisioni amministrative e non scientifiche. La radiazione causa un danno random al DNA cellulare, eppure solo il danno che si manifesta come morte da cancro è considerato tale. Non c’è alcuna menzione al DNA mitocondriale (mDNA) che è sedici volte più vulnerabile alla radiazione che non il DNA cellulare, ed il danno con il quale si esprime pur essendo differente, produce malattie ugualmente devastanti come il cancro. “Si sono avuti, come conseguenza della contaminazione dall’incidente, circa 4.000 casi di cancri tiroidei, principalmente bambini ed adolescenti al tempo dell’incidente, ed in conclusione nove bambini sono morti per cancro tiroideo, tuttavia il tasso di sopravvivenza fra queste vittime del cancro, a giudicare dall’esperienza in Bielorussia, è stato pressochè del 99%".
    Di nuovo troviamo una forte ed irragionevole fiducia nelle decisioni dell’ICRP di ignorare tutti gli effetti delle radiazioni sulla salute che non siano cancri fatali. Chiaramente chi ha avuto una operazione o è sottoposto per tutta la vita a terapia con ormoni tiroidei avrebbe seri argomenti nei confronti di questa insensibilità.
    Ø GLI IMPATTI SOCIALI. Lo studio dell’AIEA parla di “fatalismo paralizzante” ed ipotizza che si sia creata negli anni una sorta di “suggestione collettiva” che ha fatto aumentare i fenomeni di ansia e i disturbi psicosomatici, portando la popolazione dell’area a credere che ogni nuova patologia fosse da ricollegarsi all’incidente del 1986. Questa teoria è sicuramente figlia di una particolare corrente di pensiero che trovava le sua giustificazione nell’ex Unione Sovietica. Lo studio sposa la tesi degli scienziati sovietici dell'Istituto di ricerche nucleari Kurciatov di Mosca che subito dopo l’incidente, d'accordo con l'AIEA, minimizzavano l'incidenza radiologica, psichiatrizzando i problemi della salute con la diagnosi di "radiofobia" e di stress. Nessuno esclude che ci possano essere degli elementi di alterazione della percezione della realtà da parte della popolazione, ma come poter escludere lo stress da conseguenza dell’incidente di Chernobyl? “La povertà, le malattie dovute allo “stile di vita” ora dilaganti nell’ex Unione Sovietica ed i problemi di salute mentale sono per il futuro una più grave minaccia che non l’esposizione radioattiva”, sostiene il rapporto. Il citare le malattie come stile di vita è un’opinione e non una connessione con la radiazione: il mangiare i funghi non è una cattiva abitudine di vita, ma secondo gli scienziati nelle zone contaminate di Chernobyl lo è. Il problema non è l’abitudine alimentare, ma la contaminazione dei funghi, del latte, del miele, delle bacche, delle radici vegetali. Non si risolve il problema criminalizzando le persone e le loro abitudini di vita.
    Anche le stesse malattie mentali possono essere correlate alla radiazione, specialmente se le particelle radioattive sono sufficientemente piccole da penetrare la barriera ematica cerebrale. Sono stati fatti studi di suicidi e di comportamento violento dopo esposizione a radiazione che rendono questa ipotesi plausibile e degna di ulteriori accertamenti. Dice sempre il rapporto dell’AIEA: “Il trasferimento ha provocato una “esperienza profondamente traumatica” per 350.000 persone spostate fuori dalle aree colpite. Quantunque 116.000 siano state rimosse dall’area di maggior impatto subito dopo l’incidente, i successivi trasferimenti hanno contribuito poco a ridurre l’esposizione radioattiva”. Anche in questo caso non è chiaro come si decida che il trauma è dovuto all’evacuazione (che può essere una buona scappatoia) piuttosto che alla radiazione.
    --------------------------------------------------------- Il Presidente della Bielorussia, Lukashenko, ha dichiarato, nell’ultimo anno, che è arrivato il tempo di far rivivere le regioni contaminate, delineando un quadro di nuove case e villaggi, di nuove industrie, di ringiovanite fattorie. “Le terre dovrebbero lavorare per il paese” ha detto.
    I suoi decreti autoritari, su questo ed altri argomenti, hanno causato shock, timore e persino ilarità, ma ha potuto affermare ciò proprio confortato dal rapporto AIEA e dai soldi promessi dalla Banca Mondiale. È il premio per la compiacenza nell’affermare che gli effetti permanenti di Chernobyl sulla salute e sull’ambiente non sono stati disastrosi come previsto in un primo momento e per la sua concorde politica a voler riconvertire il trauma psicologico causato da Chernobyl, nell’incoraggiamento verso gli investimenti e la ricostruzione. Ma c’è anche un’altra verità nel sostenere, come dice il rapporto dell’AIEA, che “i miti persistenti e la cattiva percezione della minaccia della radiazione hanno causato un “fatalismo paralizzante” fra i residenti delle aree colpite".
    La verità può giustamente stare fra le predizioni fatalistiche e le straottimistiche idee degli scienziati, che hanno poca simpatia per le malattie croniche! Molte individui non conoscevano niente sulle radiazioni se non le relazioni pubbliche promozionali che reclamizzavano le centrali nucleari prima dell’incidente. Di fatto molte persone non erano state informate che erano rimaste e avevano osservato l’incendio di Chernobyl senza protezioni personali. Questa gente sente giustamente di essere stata ingannata. I comunicati stampa, come anche il rapporto dell’AIEA, sono contrari ad una giudiziosa ammissione e risposta ai problemi sentiti dalla popolazione. Una delle raccomandazioni riportate nel rapporto è la seguente:
    “Nel regno ambientale, il Rapporto esige un monitoraggio a lungo termine dei radionuclidi del cesio e dello stronzio per valutare l’esposizione umana e la contaminazione del cibo e per analizzare gli impatti delle azioni riparative e delle contromisure per la riduzione delle radiazioni. Bisogna dare la migliore informazione al pubblico sulla persistenza della contaminazione radioattiva in certi prodotti alimentari e sui metodi di preparazione dei cibi atti a ridurre la quantità di radionuclidi. In alcune aree sono ancora necessarie le restrizioni sulla raccolta di alcuni prodotti alimentari selvatici”.
    L’insuccesso nell’evitare prodotti selvatici, nell’utilizzare metodi appropriati di preparazione e nel seguire consigli, potrebbero, naturalmente, anche queste, essere definite “scelte di stile di vita” e quindi alcune malattie sarebbero colpa della vittima e non del disastro! Ma il trucco è un altro. A fronte di copiosi finanziamenti della Banca Mondiale, l’accettazione del rapporto dell’AIEA, oltre a stimolare e rafforzare le politiche di ripopolamento delle zone contaminate, riducono le politiche interne sociali di indennizzo alle vittime di Chernobyl. Dopo il 1991 la Bielorussia ha investito sulla tragedia il 22% del proprio reddito; negli ultimi anni, il tasso si è abbassato di circa sei punti. L'Ucraina investe solo il 5-7% del proprio prodotto. L’assurdo è che l’AIEA, fra i costi economici dovuti alle conseguenze dell'incidente di Chernobyl, include, sigh!, quelli addizionali dovuti all'annullamento del programma elettronucleare bielorusso.
    Ø IL SARCOFAGO E LE SCORIE.
    È noto a tutti lo stato del sarcofago e quello del problema delle scorie. Sul sarcofago, che ricopre il reattore esploso, vi è la presenza di oltre 1.000 mq di crepe. Da esse fuoriescono costantemente polveri e materiale radioattivi.
    Il sarcofago di contenimento è stato costruito utilizzando, oltre le parti rimanenti del reattore esploso, 300.000 tonnellate di cemento e 1.000 tonnellate di strutture metalliche.
    Il peso sulle fondamenta del reattore esploso è aumentato di 10 volte (dalle 20 alle 200 ton/mq): il reattore è sprofondato di 4 metri.
    Lo sprofondamento del reattore ha messo in contatto il materiale radioattivo con le falde acquifere tributarie dei fiumi Pripiat e Dniepr che convogliano le loro acque nel Mar Nero e che fungono da bacino idrico per 30 milioni di persone (ad aggravare la situazione vi è la presenza degli 800 siti di smaltimento delle scorie radioattive, allestite in emergenza subito dopo l’esplosione).
    All’interno del sarcofago sono presenti: 180 tonnellate di combustibile e pulviscolo radioattivi, 400 kg. di plutonio, 11.000 metri cubi e 740.000 metri cubi di macerie altamente contaminati e che rimarranno radioattive per 10.000 anni. La radioattività totale supera i 20 milioni di curie. Il sarcofago era stato progettato per resistere 30 anni ed è già pericolosamente deteriorato e a rischio di crollo; la nuova struttura progettata, che dovrebbe inglobare il vecchio sarcofago, a parte i costi (1,09 miliardi di euro), dovrebbe durare 100 anni. E poi? Altro che realtà o menzogna: Chernobyl è una bomba ad orologeria per l’intero pianeta.

    CONCLUSIONI
    Si sarebbero potuti riportare molti altri dati (per esempio, in maniera puntuale, quelli sanitari) per contrastare, in particolar modo, quelli riportati dal rapporto AIEA del settembre 2005. Penso, però, che esistano elementi sufficienti a supporto della validità del nostro operare.
    Sicuramente Chernobyl è realtà: purtroppo una tragica realtà.
    Ma la nostra capacità di incidere maggiormente sarà anche determinata dalla nostra consapevolezza nel capire che non è solo la Bielorussia, l’Ucraina, la Russia ad unirci, ma il ragionamento sulle scelte energetiche per il futuro.
    Offenderemo le nostre campagne di accoglienza, i nostri beneficiari, i nostri progetti sul rischio alimentare, sulla costruzione di colonie in loco, sul potenziamento delle strutture sanitarie, in campo veterinario, offenderemo la memoria del ventennale, se non ragionassimo anche sul nucleare. Senza pregiudizi, ma solamente con lo sguardo e l’attenzione rivolti al fine etico delle nostre azioni.
    Non c’è bisogno di scomodare scienziati, di perderci in affannose rincorse giustificative. La consapevolezza del futuro, un mondo migliore per i nostri figli non hanno bisogno di formule magiche scritte sulle lavagne. Troviamo più ragioni noi negli occhi di un bimbo sofferente di leucemia nel reparto emato-oncologico dell’ospedale di Gomel che le intelligenze asservite alla logica di un immediato profitto.
    E che vi devo dire? Puntare sull’enfasi e dirvi che il nucleare è nato bellico e morirà bellico? Che l’attuale crisi nucleare che ci troviamo a fronteggiare è il risultato diretto dell’esportazione di tecnologia nucleare pacifica verso paesi come l’Iran e la Corea del Nord? Che la comunità internazionale ha già riconosciuto che la tecnologia nucleare pacifica è la via d’ingresso alla proliferazione di armi nucleari? Che, a seconda dei propri tornaconti, il nucleare è una scusa per fare le guerre? Sarebbe molto semplice.
    È sufficiente dire che la disgrazia non si quantifica? Che un solo pompiere morto a Chernobyl, un solo bambino morto di cancro alla tiroide indotto dalle radiazioni rappresentano una perdita irreparabile?
    Sicuramente sì.
    Ma dobbiamo andare oltre. Nella tragedia di Chernobyl, e soprattutto in quello che poi ne è seguito, vi è infatti tutta la contraddizione delle moderne società industrializzate: abbiamo bisogno di sempre più energia (nell’accezione più ampia del termine) per mantenere il livello attuale del soddisfacimento dei nostri bisogni/consumi (veri o "drogati" che siano), ma allo stesso tempo sembriamo incapaci di ottenere ciò che desideriamo senza violentare l’ambiente che ci circonda. L’energia e la sua produzione sono diventate sempre più la partita su cui si gioca prepotentemente il nostro futuro; uno sviluppo eco-etologicamente sostenibile è ormai imprescindibile; una maggiore coscienza e cosciente informazione sono urgenti, per non cadere nelle facili trappole delle piccole e grandi disinformazioni di cui siamo oggetto; una memoria di quello che è stato ci connette con i problemi del presente e ci allerta sul futuro. Da un lato il mondo della scienza, con le proposte/risposte alle emergenze ed ai problemi, dall’altra noi, con le nostre scarse conoscenze scientifiche, e i nostri bisogni. Siamo anche portatori del "senso del limite", e del "principio di precauzione". L'etica non è, solo, un fatto individuale, ma è base indispensabile di convivenza collettiva. Mi sento, credo con altri, convinto sostenitore dell'etica della responsabilità, per la quale il senso di ciò "che è giusto per me" si intreccia fortemente con ciò "che è giusto per gli altri", come le culture diverse dalla nostra, le generazioni future, le altre specie che stanno al mondo. Credo sia possibile scegliere una società che escluda i pericoli prevedibili, che escluda l'idea di rischi accettabili. Credo nella scienza come mezzo per avere maggiore consapevolezza dei nostri limiti, non come presunzione di onnipotenza.
    Se vogliamo possiamo avere tutti gli strumenti e i dati da contrapporre alle speculazioni, e questo mio intervento ne vuole essere un piccolo contributo. Ma non è necessario cadere nelle trappole delle dotte disquisizioni. Non ho preclusioni teoriche e concettuali verso il nucleare, anche se l’evidenza ed i dati riportati potrebbero già indirizzare l’orientamento.
    Ho solo due domande da porre e alla cui riflessione mi hanno portati i tragici avvenimenti di Chernobyl:
    - se gli incidenti nucleari risarcissero tutti i danni causati, diretti e indiretti, si costruirebbero nuove centrali?

    - posso fidarmi di una tecnologia che non permette (a me, povero umano) di schiacciare un pulsante per arrestare un processo dannoso instauratosi (come essere in auto, accorgersi di un incidente e non avere i freni che funzionano) o che può essere preda della stupidità, della follia e dell’arroganza umana?
    Come stimare, infatti, il danno di un incidente nucleare come quello di Chernobyl? Le conseguenze di un disastro nucleare si presentano dopo molti anni e impattano una vasta area geografica. I paesi hanno l'abitudine storica di non risarcire gli altri paesi confinanti per i danni da loro causati tramite l'inquinamento. Pertanto questi danni non sono mai visti come costi e non influenzano le scelte politiche.
    Ma non solo, bisognerebbe discutere non di probabilità di rischio, ma della sua accettabilità ed anche della distribuzione del rischio.
    Dal bellissimo articolo di Silvia Treves (“L’Italia provincia di Chernobyl”) riporto:
    “Il modo in cui noi analizziamo comunemente il comportamento delle persone di fronte ai rischi è scorretto, proprio perché separa una particolare questione del rischio dalle questioni morali e politiche in cui la persona normalmente la vede incorporata […] invece di isolare il rischio come problema tecnico, dovremmo formularlo in modo da includere, per quanto rozzamente, le sue conseguenze morali e politiche.
    Gli analisti del rischio e gli psicologi della percezione del rischio cercano di diffondere un’idea di rischio accettabile indipendente dalle fedi politiche, ma i problemi della percezione del rischio sono essenzialmente politici. Congressi e parlamenti rinunciano all’esercizio delle loro specifiche funzioni quando delegano questi problemi agli esperti del rischio. I dibattiti pubblici sul rischio sono dibattiti sulla politica […] trattare l’accettabilità del rischio come un fatto tecnico indebolisce la sovranità. Congressi e parlamenti dovrebbero riappropriarsi delle proprie competenze.
    Quindi anche noi cittadini quando deleghiamo le decisioni agli esperti rinunciamo a un diritto/dovere che è nostro. Perché scegliere, soprattutto nel caso di eventi improbabili di grande impatto catastrofico, non può essere lasciato agli esperti: è un atto politico, ha a che fare con la visione del mondo, con le aspettative per il futuro, il nostro e quello dei nostri discendenti. Come possiamo pretendere di caricarlo sulle spalle di pochi «eletti»? Eletti democraticamente – forse – ma pochi e, in nessun caso, neutrali e «apolitici». Ma allora si pone il problema, enorme specialmente nel nostro paese, degli strumenti indispensabili per scegliere: dimestichezza con i quotidiani e con le fonti di informazione, accesso a una buona divulgazione scientifica… Informazioni attendibili. Informazioni visibili. Perché le notizie ci sono, compaiono, ma chi di noi riesce a leggerle, mentre sfoglia un po’ stordito e un po’ trafelato le pagine dei quotidiani e dei settimanali?”

    Ed è per questo che oggi, in questa sede, mi sento a maggior ragione di affermare che ricordare Chernobyl è un dovere morale.

    Ricordare non è mai una scelta scontata o facile: tutti noi vorremmo allontanare i ricordi dolorosi. La memoria di ciò che è accaduto a Chernobyl (come a Hiroshima e Nagasaki) è una memoria scomoda che interroga il nostro presente: se noi qui riflettiamo sulla distruzione provocata dall’incidente, dobbiamo anche chiederci quale uso oggi il mondo fa, vuole fare o può fare dell’energia atomica. Se non lo facessimo tradiremmo la memoria delle vittime di Chernobyl: la loro eredità coincide infatti con l’impegno ad impedire che quanto è accaduto a loro si ripeta per gli altri e per noi.
    Riflettere su questi temi, dare e fare informazione, interrogarci e cercare risposte, condividere le nostre idee, unire insieme gli sforzi in Bielorussia, Russia, Ucraina e qui, in Italia, deve essere il nostro comune impegno.
    Dimenticarsi di questa tragedia significa, veramente, ridurre e confinare Chernobyl alla percezione di avvenimento menzognero. E noi sappiamo che non è così.
    Lo ripeto: uniamo le nostre forze e non facciamoci scippare il ventennale. A partire fin da ora
    Riorto questo scritto di un volontario..che è lungo..ma non è tempo perso leggerlo..
    Bisogna dare all'uomo non ciò che desidera..ma ciò di cui ha bisogno...
    (la via diretta non è la più breve)

  4. #74
    Fiamma dell'Occidente
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  5. #75
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    Suvvia, signor coso Ronnie,
    risponda a quei post sull'altro thread e qui ci dica che fine faranno i reattori di Chernobyl o quello di Three Miles Island.
    Oppure ci racconti di quel che accade nei siti di estrazione delluranio.

    Prima che ai suoi costi esterni decida di aggiungere una luce migliore.

  6. #76
    Fiamma dell'Occidente
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    che fine faranno i reattori di Chernobyl o quello di Three Miles Island.
    Sono spenti, la fine che faranno è nota per l'uno (sarcofago) e anche per l'altro. Occorrono circa duecento anni perchè la grande parte della radioattività "dentro l'impianto" di chernobyl decada, fatto questo sarà smantellabile la parte superiore dell'impianto e l'unità numero 3 (quindi parliamo del 75% della struttura), solo avendo fatto questa cosa a costi più o meno simili a quelli di un decommissioning qualsiasi si dovrà vedere di occuparsi della parte inferiore dell'impianto 4, la quale secondo me va valutata separatamente, e solo dopo aver smantellato tutto il resto. Ad ora è molto presto per parlarne.

    Per quanto riguarda l'altro Zdenek vedi di informarti eh... No perchè le domande stupide sono anche noiose: http://www.nrc.gov/info-finder/decom...nd-unit-2.html

    2.0 Site Status Summary

    The Three Mile Island, Unit 2 (TMI-2) operating license was issued on February 8, 1978, and commercial operation was declared on December 30, 1978. On March 28, 1979, the unit experienced an accident which resulted in severe damage to the reactor core. TMI-2 has been in a non-operating status since that time. The licensee conducted a substantial program to defuel the reactor vessel and decontaminate the facility. All spent fuel has been removed except for some debris in the nuclear steam supply system. The plant defueling was completed in April 1990. The removed fuel is currently in storage at Idaho National Engineering and Environmental Laboratory, and the U.S. Department of Energy has taken title and possession of the fuel. TMI-2 has been defueled and decontaminated to the extent the plant is in a safe, inherently stable condition suitable for long-term management. This long-term management condition is termed post-defueling monitored storage, which was approved in 1993. There is no significant dismantlement underway. The plant shares equipment with the operating TMI - Unit 1. TMI-1 was sold to Amergen in 1999. GPU Nuclear retains the license for TMI-2 and is owned by FirstEnergy Nuclear Operating Company. GPU contracts with Amergen for maintenance and surveillance activities. The licensee plans to actively decommission TMI-2 in parallel with the decommissioning of TMI-1.
    The current radiological decommissioning cost estimate is $779 million and $26 million for non-radiological funds. The current amount in the decommissioning trust fund is $559 million, as of December 31, 2006.

    Quanto al racconto di ciò che accade nei siti, apri il sito della WNA e informati, francamente mi sono stufato di domande ridicole, dì la tua se vuoi o non chiedere "l'elenco dei tipi di insetto che esistono"
    _
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  7. #77
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    Non ci crederà, quell'ultimo link fa parte dei miei bookmark da tempo.

    Non mi sembra di avervi letto che sia stato decommissionato, dal 1979.
    I costi stimati li può leggere da solo, quelli reali li può intuire da quanto realizzato lì ed altrove, Francia inclusa - PWR incluso - ad OGGI.

    Per Chernobyl, non commento per non annoiarla con i soliti complimenti.

  8. #78
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    Citazione Originariamente Scritto da Zdenek Visualizza Messaggio
    Ed è solo qui che entra in gioco Massimo Fini, con Cardini e pochi altri della Nuova Destra, e persino qualche giovane Leghista.
    Scimmmiottando, più che altro, idee e pensieri di intellettuali francesi.
    Scimmottando?? Massimo Fini ha avuto il merito di riunire in un unico pensiero coerente contributi provenienti da diverse aree politiche e culturali.
    Noi siamo convintamente e coerentemente decrescitisti (a differenza di qualche anima bella e progressista della sinistra).

  9. #79
    Mai l'altra guancia
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    Citazione Originariamente Scritto da Antimodernità! Visualizza Messaggio
    Scimmottando?? Massimo Fini ha avuto il merito di riunire in un unico pensiero coerente contributi provenienti da diverse aree politiche e culturali.
    Noi siamo convintamente e coerentemente decrescitisti (a differenza di qualche anima bella e progressista della sinistra).
    Se permetti, tra il pensiero di Serge Latouche e l'adattamento che ne fa in Italia M. Fini, preferisco l'originale.

    Allo stesso modo, tra "antimodernità", "no al progresso" e "decrescita" preferisco l'ultima.

 

 
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