Roma. L’ora x non è scoccata neanche stavolta.
Lo scontro finale da cui avrebbe dovuto emergere un solo vincitore – Romano Prodi o Silvio Berlusconi – è stato rinviato ancora una volta.
Dopo una lunga schermaglia sul regolamento e qualche minaccia di ostruzionismo, l’opposizione ha ottenuto ieri dal presidente del Senato un allungamento dei tempi: la discussione sulla Finanziaria ricomincerà questa mattina e riprenderà nel pomeriggio.
E se necessario pure domani.
La decisione di Franco Marini suscita nell’Unione sospetti di doppio gioco ed evidenti segnali di nervosismo.
“E’ una scelta del presidente Marini e la rispettiamo”, dicono da Palazzo Chigi.
Per il centrodestra il rinvio è già una prima vittoria.
Per il centrosinistra è la prova che Berlusconi non è in grado di dare alcuna spallata.
“Hanno capito di non avere i numeri e ora puntano a farci mettere la fiducia, per salvare almeno la faccia”, dice il senatore democratico Enrico Morando.
Secondo il portavoce di Berlusconi, invece, non cambia nulla: la battaglia sarà lunga e non si risolverà in un giorno, anche perché Prodi si è dimostrato “un eccellente equilibrista”. Da parte sua, con un lapsus rivelatore, il premier si dichiara “inclinato” a pensare che ci sarà un voto senza fiducia.
In Aula, rivolgendosi al presidente dell’assemblea, Francesco Storace scandisce:
“I fatti si producono con gli atteggiamenti”.
Il capo della neonata formazione La Destra polemizzava con Marini sulla gestione del dibattito, ma la sua dichiarazione sembra la spiegazione migliore di questa interminabile guerra di spettri.
Da mesi ormai il voto del Senato è considerato il momento della verità per Prodi e Berlusconi: la caduta del governo sarebbe il trionfo del Cav. e della sua leadership su un centrodestra lanciato verso il voto, senza che alcuno dei suoi pur riottosi alleati possa sottrarsi.
Alla tenuta del governo, viceversa, seguirebbe la crisi della leadership berlusconiana nella Cdl.
Una crisi che si materializzerebbe già domani pomeriggio, nel convegno organizzato dalla fondazione dalemiana Italianieuropei sulla riforma elettorale.
Sfumata la spallata, ragionano nel centrosinistra, Udc e Lega riprenderebbero piena libertà di manovra. Al convegno parleranno infatti, tra gli altri, Pier Ferdinando Casini e Roberto Maroni.
Entrambi lo hanno fatto capire chiaramente: fino al voto sulla Finanziaria, nessuno di loro può estraniarsi dalla lotta contro il governo.
Ma dopo il voto, se Prodi resiste, si torna a discutere.
Indiscrezioni che alimentano le speranze di quanti, a sinistra, sperano così di riuscire a smontare la coalizione berlusconiana, isolare il suo leader e avviare in Parlamento un solido dialogo sulle riforme, assicurando al governo un lungo periodo di pace e serenità.
Di qui la recente conversione di tanti al sistema tedesco, caro all’Udc e forse non troppo spiacente alla Lega, ma apprezzato anche da Rifondazione.
E per niente apprezzato da Walter Veltroni, forse per le stesse ragioni.
Il sistema “un po’ tedesco, un po’ spagnolo, un po’ italiano” (come recita il titolo del documento preparato per lui da Salvatore Vassallo), serve infatti, innanzi tutto, a cambiare le carte sul tavolo delle trattative, senza mettersi apertamente di traverso.
“Il sistema tedesco di Veltroni è un rottweiler”, ha detto ieri Clemente Mastella. “Fino al voto sulla Finanziaria è tutto congelato – conferma un autorevole consigliere veltroniano – ma se il governo tiene, figuriamoci se Berlusconi si lascia mettere nell’angolo da Casini”.
Se il governo regge, dunque, non tutti sono convinti che a cadere sarà il Cav. Anzi.
Veltroni punta proprio su di lui. Non per nulla il modello Vassallo sembra tagliato su misura per i partiti maggiori dei due poli.
In sostanza è una mano tesa a Berlusconi, secondo l’antico schema dell’accordo “tra i grandi”.
Il primo a tentarlo fu Massimo D’Alema.
Finì con la vittoria di Berlusconi e con D’Alema in esilio.
Tra i veltroniani c’è chi è pronto a scommettere che stavolta finirà esattamente allo stesso modo, per D’Alema.
Su www.ilfoglio.it del 15 nov 07
saluti