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    Dio e Po***o
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    Arrow Articolo di Blondet su pressioni anti-democratiche, finalizzate al Bavaglio !

    Ecco Michael Levi: http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?
    id=2425&parametro=politica

    Mi è venuto un dubbio: che Michael Levi altri non sia che figlio di
    Ricardo Franco Levi,
    il sottosegretario alla presidenza di Prodi, con delega all'editoria,
    l'autore del progettino di museruola su internet alle notizie
    sgradite alla nota lobby, un mezzo burocratico-fiscale per punire le
    opinioni.
    Il che spiegherebbe le ingiunzioni di Michelino a far tacere, a far
    licenziare giornalisti, a invocare contro di loro «provvedimenti
    urgenti», a «informare» certe ditte, che alcuni periodici sui quali
    fanno apparire la loro pubblicità ospitano articoli di «antisemiti»,
    per cui è meglio che li mettano alla fame negando loro ulteriori
    inserzioni.
    Questo atteggiamento verso la libertà di stampa e d'opinione sarebbe
    una tendenza di famiglia.
    Sarà?
    Non sarà?
    Contemplo la foto che il giovine psico-poliziotto ha postato nel suo
    sito - dal Council on Foreign Relations, nientemeno - e mi par di
    notare una somiglianza.
    Inquietante.
    Se il mio dubbio è fondato, sono davvero nei guai, cari lettori.
    Perché se Michael è il germoglio di Ricardo, allora è anche il nipote
    di Arrigo Levi.
    Una dinastia potente.
    E che, nonostante una certa apparenza di declino intellettuale
    scendendo per li rami, potente resta.

    Arrigo Levi, nato nel 1926, ha costantemente accompagnato l'avvocato
    Agnelli alle riunioni del Bilderberg e della Commissione Trilaterale,
    insieme al sindacalista preferito dall'Avvocato, Giorgio Benvenuto,
    per una vita segretario della UIL.
    E' raro che la Trilateral accolga sindacalisti nei suoi consessi
    segreti: ma l'Avvocato garantiva per il suo sindacalista di casa.
    Tanto più che secondo i maligni, oltre che segretario della UIL,
    Benvenuto ne era anche l'unico membro.
    Cosa credibile, visto che la UIL era emanazione del Partito
    Repubblicano.
    Il quale - secondo i suddetti maligni - teneva i suoi congressi
    plenari in una cabina telefonica.
    E tuttavia De Gasperi non poté fare a meno, nel suo primo governo, di
    imbarcare quel partito repubblicano e il suo segretario Ugo La Malfa.
    E a chi gli chiedeva il perché, spiegava che senza La Malfa
    imbarcato, non sarebbero arrivati i soldi del Piano Marshall.
    Questo per dire che tipo di potere è quello.
    Difatti, m'è parso di vedere Benvenuto nel direttivo del nuovissimo
    partito americano di Uòlter Veltroni.
    Si vede che serve ancora.

    Arrigo Levi era riparato, durante il fascismo, in Sudamerica: ecco
    perché il rampollo Ricardo Franco è nato a Montevideo.
    Vista la discendenza, c'è da rimpiangere il vecchio Arrigo, e da
    capire la sua luminosa carriera, corrispondente de Il Corriere da
    Londra poi suo commentatore internazionale, poi direttore della
    Stampa, poi al vertice Rai. fino a diventare un Venerato Maestro.
    Ricordo che discettava, con voce nasale e didattica, spiegando a noi
    italiani dappoco le norme e regole della democrazia unica e vera,
    quella USA.
    Non ricordo se fosse davvero intelligente.
    Ma non ne aveva bisogno.
    Era di casa al Council on Foreign Relations, dava del tu a Kissinger:
    da lì venivano le idee e le direttive, che Arrigo si limitava a
    riportare per noi dappoco.
    Del resto, ai tempi, la dottrina economica unica non era ancora il
    liberismo assoluto e devastatore della scuola di Chicago, era un
    keynesismo rooseveltiano, il che andava benissimo per la Fiat, in
    quanto legittimava la socializzazione delle perdite della Casa e il
    denaro pubblico che riceveva per «mantenere l'occupazione».
    L'Avvocato teorizzava una pace sociale in cui l'inflazione era il
    «lubrificante» della dialettica capitale-lavoro: gli aumenti
    salariali venivano dalla stampa di lire, e il potere d'acquisto era
    sùbito divorato dal rincaro dei prezzi, ma la macchina sociale,
    pistone e cilindro, funzionava come l'olio.
    Altri tempi.

    Arrigo Levi era uno dei tre personaggi notevoli tornati sugli
    automezzi dei liberatori americani a insegnarci la democrazia.
    Il secondo era Renato Mieli, il papà di Paolo, direttore de Il
    Corriere: venuto tra noi in uniforme USA, con i gradi di ufficiale,
    nei primi mesi di occupazione era un «capitano Smith» (o qualcosa del
    genere) a cui i giornalisti italiani dovevano rivolgersi per ottenere
    l'autorizzazione a lavorare e ad aprire giornali, insomma il
    responsabile della epurazione morbida del giornalismo per conto degli
    Alleati.
    Allora, parlava esclusivamente inglese.
    Subito dopo, fondò l'ANSA.
    Ancora qualche mese, e molti di quei giornalisti che avevano chiesto
    l'autorizzazione a scrivere al capitano Smith si stupirono poi di
    ritrovarlo, sotto il nome di Renato Mieli, come direttore de L'Unità.
    L'organo del PCI diretto da un ufficiale americano?
    Evidentemente l'OSS (futura CIA) aveva deciso che occorreva loro un
    controllore dentro quel partito.
    Renato Mieli, che probabilmente era tanto comunista quanto era un
    dromedario, resistette disciplinato dieci anni: nel '56, la rivolta
    d'Ungheria gli diede il destro di andarsene sbattendo la porta, e
    scrivendo peste e corna sugli orrori staliniani del Partito comunista.
    Scrisse anche una sua biografia, «Deserto Rosso, dieci anni da
    comunista»: titolo rivelatore. Effettivamente, dieci anni di
    recitazione da comunista sono tanti.
    Si finisce per non poterne più.
    Trovò ospitalità da Montanelli.

    Ma anche un altro lavoro: la direzione del CESES, un «osservatorio
    sui Paesi dell'Est» pagato dagli USA, affollato di agenti slavofoni
    che andavano e venivano da là (ma mi pare ci fosse anche Giuliano
    Amato) e diretto nelle cose concrete da tale Warren Nutter, un
    economista (chiamiamolo così) che era stato allievo di Milton
    Friedman a Chicago.
    Il terzo personaggio notevole di quella generazione fu Ugo Stille.
    Anche questo sbarcò nel '43 con le truppe USA, in veste di «sergente
    Micha Kamenetzky» (il suo vero nome) e subito divenne direttore di
    Radio Palermo.
    Era l'emittente allestita dagli Alleati subito dopo la conquista
    della Sicilia.
    Ma per poco: Stille seguì la truppa yankee su per l'Italia, fino a
    Milano.
    A Il Corriere, naturalmente.
    Pronti: che mansione preferiva?
    Dica, Kamenetzsky, oggi la stampa è libera in Italia.
    Stille preferì tornare a Washington, commentatore per il Corriere.
    Se Arrigo Levi da Londra echeggiava le visioni di Kissinger e del
    Council on Foreign Relations di Rockefeller, Kamenetszky spezzava,
    per noi italiani, il pane della sapienza della Brookings Institution,
    un think tank un tantino più liberal ma non meno potente, visto che
    questa fondazione privata stilò da capo a fondo il Piano Marshall,
    che poi il Congresso approvò senza variazioni nel 1948.

    Insomma fra Levi e Stille correva la stessa differenza che corre tra
    i «repubblicani» e i «democratici» in USA, due sfumature di tinta dei
    poteri forti che in Italia erano rappresentati dal partito liberale
    (di «destra») e dal repubblicano («sinistra», diciamo).
    Due partiti artificiali, creati in laboratorio - nell'ufficio studi
    della Banca Commerciale dove Raffaele Mattioli, il laicissimo, aveva
    allevato La Malfa e Malagodi, Merzagora e Cuccia, distribuendo le
    parti fra loro quando l'Italia sarebbe stata liberata: tu Malagodi
    farai il liberale, tu La Malfa farai da mazzinianno, repubblicano
    intransigente.
    Tu Merzagora alle Assicurazini Generali, tu Cuccia, Enrichetto mio, a
    Mediobanca - insomma avete capito.
    Era la libertà, finalmente.
    PLI e PRI poi gli italiani non li votarono, e non si riuscì a fare il
    bipartitismo perfetto della perfetta democrazia americana.
    Stavolta si spera che andrà meglio a Uòlter e al Belursca.
    Perché il potere di quella prima generazione sussiste.
    Emana ancora un raggione da teletrasporto da far impallidire il
    dottor Spock.
    Basta pensare a dove sta Paolo, il figlio di Renato Mieli.
    Basta dire che Gianni Riotta, per il solo fatto di aver scodinzolato
    per anni attorno ad Ugo Stille chiamandolo Venerato Maestro e
    professato per lui la sua infinita ammirazione (slurp slurp) è
    diventato direttore del TG1: e mica nel 1943, oggi.

    Ricardo Franco Levi, seconda generazione, è stato elevato anche lui
    sul raggio di quel potere.
    Allevato in Inghilterra dove abitava papà, si considera «very
    british» e si veste di conseguenza, ossia come gli immigrati italiani
    quando credono di vestirsi da veri inglesi.
    Pare sia stato giornalista a 24 Ore, ma non restano memorie incisive
    del suo passaggio.
    Di fatto, la sua carriera comincia da direttore, subito.
    Egli ci spiegò che stava per introdurre in Italia il giornalismo
    anglosassone, compassato, «i fatti separati dalle opinioni» e tutto
    il resto, insomma il vero giornalismo.
    Fondò l'Indipendente e lo diresse.
    Chi glielo pagava non è chiaro, probabilmente Mediobanca e la Fiat.
    Nel gergo dei cronisti, che tende ad essere escatologico, fu una loffa.
    Fondato e diretto da Ricardo Franco nel '91, fu s-fondato nel '92,
    ossia chiuso senza suscitare proteste nelle masse dei lettori,
    contenibili nella solita cabina telefonica.
    Ricardo Franco capì che la sua vocazione era un'altra, vicina a
    quella del Renato Mieli prima maniera, a quella di Ugo Stille
    direttore della radio alleata: non giornalista, ma controllore dei
    giornalisti e delle idee autorizzabili nella libertà di stampa.
    Per conto dei soliti noti.

    Viene aggregato a Prodi quando questi diventa presidente della
    Commissione Europea, e riceve - come rivelò una telecamera rimasta
    aperta - quell'Israel Singer, capo del Congresso Ebraico Mondiale,
    che la stessa comunità persegue per storno di fondi ebraici in un
    conto svizzero che ha intitolato «per la mia vecchiaia».
    La telecamera mostra il figuro mentre agita il nodoso ditone sotto il
    naso di un Prodi intimidito, come se gli desse ordini. un fatto che
    l'Indipendente non avrebbe certo pubblicato, nemmeno separato dalle
    opinioni.
    Siamo inglesi, my God.
    Il resto è noto.
    Ricardo Franco viene eletto nella circoscrizione Lombardia III
    nell'Ulivo: uno dei più inspiegati miracoli della democrazia
    all'americana (ci piacerebbe conoscere gli elettori).
    Viene elevato dal raggio di teletrasporto a sottosegretario alla
    presidenza del consiglio, ossia Prodi; e da Prodi riceve la delega
    per la stampa.
    Di cui fa l'uso che sappiamo: i siti internet devono registrarsi in
    apposito registro, preludio a misure e provvedimenti restrittivi,
    magari di natura fiscale.
    Insomma il lavoro che per i superiori comandi svolse il primo grande
    Mieli in uniforme yankee, prima di sorbirsi «dieci anni da
    comunista»: l'autorizzazione, il controllo, la epurazione soft.

    E' questo particolare, più che la somiglianza fisica, a far ritenere
    che Ricardo Franco sia il felice padre di quel Michael Levi del
    Council on Foreign Relations.
    La voglia di controllo sull'informazione deve essere nel DNA.
    Gli infaticabili studi sul terrorismo islamico non consumano tutto
    il tempo del giovane Levi né esauriscono la sua energica
    intelligenza; Michael trova il tempo di chiedere la mia espulsione
    dall'ordine dei giornalisti.

    Ecco la sua lettera:
    «Lettera al presidente dell'ordine dei giornalisti, ancora su Blondet
    29/03/2007
    Egregio Signor Abruzzo,
    non ho ricevuto, fino ad oggi, nessuna sua risposta al riguardo delle
    segnalazioni che le ho fatto nei giorni scorsi sul giornalista
    Maurizio Blondet.
    Purtroppo mi ritrovo con un nuovo articolo vile, diffamatorio,
    antisemitica, colmo di odio religioso ed intolleranza che è stato
    pubblicato su EFFEDIEFFE e scritto da Maurizio Blondet.
    E' una grandissima vergogna ed è intollerabile che nessuna azione
    venga presa.
    Blondet è una vergogna per l'Italia e per la professione dei
    giornalisti. La prego di prendere azione con urgenza».

    Un'altra mail spedisce, il Michael dal CFR, contro Antonio
    Caracciolo, che ha un blog che si chiama Civium Libertas.
    Poiché Caracciolo ha criticato la comunità romana per aver
    sequestrato un tribunale italiano militare colpevole di aver assolto
    Priebke, e per di più si dichiara simpatizzante di Forza Italia, è a
    questo partito che scrive il controllore di terza generazione:
    «L'attacco di Antonio Caracciolo alla comunità Ebraica Romana è
    inaccettabile ed una vergogna.
    Vi prego di verificare e prendere provvedimenti.
    Michael Levi».
    Quali provvedimenti esige, lo specifica.

    Imperioso come sempre, scrive a Forza Italia:
    «Quello di Caracciolo potrebbe sembrare uno dei tanti blog di
    odiatori di Israele e degli ebrei, di cui la rete pullula - Se non
    fosse per il fatto che Caracciolo si presenta come militante di Forza
    Italia. Partito che, se non condivide le aberrazioni di questo
    personaggio, dovrebbe sancire pubblicamente la propria estraneità. E
    diffidare Caracciolo dal continuare a ostentare la sua 'militanza'.
    Michael Levi».

    Micael Levi tempesta anche Informazione Corretta, caso mai a questa
    benemerita istituzione fosse sfuggita una delazione per le sue
    schedature.
    «Intolleranza su un sito cattolico 23/08/2007. Vi segnalo il sito
    Crismon, e in particolare alcuni articoli che sono stai pubblicati in
    questo sito. In alcune fazioni cattoliche c'è una nascente e
    crescente intolleranza religiosa e dovrebbe essere corretta dalle più
    alte istituzioni della Chiesa. [..] Mi auguro che questa volta
    qualcuno abbia il coraggio di intervenire con decisione ed in tempo
    debito. Il sito è il seguente: http://www.crismon.it/
    Michael Levi».

    Contro il sottoscritto, Levi III ha scritto, come sappiamo, a Nexus
    (minacciando la campagna di delazione contro le inserzioni
    pubblicitarie) e anche al professor Moffa del Master Mattei.

    Il tono è sempre lo stesso: egli intima radiazioni dall'ordine, egli
    ordina a un partito di espellere un suo membro, egli vuole che gli
    insubordinati vengano diffidati, egli pretende che il Vaticano
    intervenga contro un sito «con decisione e in tempo debito», egli
    esige «azione» onde sia vietata la «professione giornalistica» a
    questo e a quello.
    Non so che idea si sia fatto della libertà di espressione Michael
    Levi vivendo in America.
    La sua sembra meno anglosassone che sovietica, da lì veniva l'invito
    all'azione, alla radiazione, all'espulsione e al licenziamento dei
    deviazionisti.
    Oppure, a piacere, da qualche regime fascista.
    «Vi prego verificare e prendere provvedimenti» è una frase di quelle
    che scriveva Farinacci.

    Forse qualcuno dovrebbe spiegare al signorino che in Italia, l'ordine
    dei giornalisti può anche radiare, ma non per questo impedire di
    scrivere (vedi il caso Betulla).
    E che un giornalista in pensione che scrive sul suo sito non può
    essere silenziato direttamente, sicché occorrerà segnalarlo alla
    «squadretta» dei bastonatori romani che picchiano impunemente chi non
    la pensa come loro.
    Ma questo è, appunto, fascismo.
    Non si vorrebbe che il Michael Levi esprimesse un ideale di controllo
    che ancora non esiste, ma che già - stando al Council on Foreign
    Relations dove Arrigo Levi ha ancora tanti amici, e orecchiando
    quanto vi si dice - ha qualche motivo di ritenere di prossima,
    imminente instaurazione.
    Difatti, in quella sede troppo prestigiosa per lui, il «Fellow»
    Michael Levi si occupa ossessivamente di terrorismo nucleare.

    Ha scritto un libro fresco fresco, «On nuclear terrorism», dove (dice
    lui) «in base alla nostra [di chi?] lunga esperienza di terrorismo
    propone nuovi principi per difenderci da minacce nucleari».
    Dall'aprile scorso, egli tiene un dibattito online sul tema: «How
    Likely is a Nuclear Terrorist Attack on the United States?», ossia,
    «Quanto è probabile un attentato terroristico nucleare sugli Stati
    Uniti?».
    Un altro tema, ottobre 2007: «In the Search for Loose Nukes, a Little
    Propaganda Goes a Long Way», Micahel Levi spiega: «Beccare i
    malfattori armati di ordigni atomici è più difficile di quanto
    sembri.», e propone: «Invece di cercare un sistema di
    intercettazione perfetto al 100%, politici astuti stanno sviluppando
    una strategia: né troppa né troppo poca sorveglianza. Questo piano
    che si ammette imperfetto è inteso a convincere i terroristi che
    anche solo tentare un attentato nucleare è futile. basta dispiegare
    una strategia di pubbliche relazioni o propaganda che faccia loro
    credere che 'gli stiamo addosso' ».
    Testuale.
    Avete seguito bene il ragionamento?

    Per Levi è più urgente la sorveglianza totale sui giornalisti
    italiani pensionati critici di Sion, contro i quali occorre
    «intervenire con decisione e a tempo debito», che la sorveglianza su
    terroristi eventualmente dotati di armi nucleari, mentre le stanno
    trasportando (come? Sul camion della premiata ditta di traslochi
    Urban Moving Systems?) nel territorio americano.
    Per questi eventuali portatori di testate nucleari in valigia, è
    inutile mettere a punto «un sistema perfetto al 100% di
    intercettazione»; basta fargli credere che «gli stiamo addosso», con
    «un po' di propaganda».
    Magari qualcuno sarebbe indotto a consigliare il papà, se Ricardo
    Franco non sconfessa questo rapporto parentale, di sottoporre il
    figlio a trattamento con psicofarmaci, di cui Michael sembra
    urgentemente bisognoso.
    Ma questo qualcuno sarebbe in errore.
    Se questa è psicopatia, non è uscita dal cervello di Levi Michael.

    E' uscita da quello di Dick Cheney: «Il più grande rischio oggi è un
    11 settembre perpetrato non da un gruppo di terroristi armati di
    biglietto aereo e di taglierini, ma di un'arma nucleare nel mezzo di
    una delle nostre città», ha detto il noto vice-presidente alla CBS
    («Face the Nation», 15 aprile 2007).
    Poche settimane prima, nel febbraio, Zbig Brzezinsky (guarda caso,
    uno dei capi del Council on Foreign Relations) aveva confidato al
    Congresso in audizione un suo timore: un attentato «false flag» sul
    territorio USA che avrebbe dato il destro all'Amministrazione di
    attaccare l'Iran.
    E più recentemente, c'è stato il misterioso volo del B-52 armato con
    sei missili a testata atomica che stava andando chissà dove, in base
    a quali ordini, con le testate innescate, attraverso tutti gli Stati
    Uniti.
    In aperta violazione delle procedure e della catena di comando, il
    che ha fatto pensare agli ordini di qualcuno che sta sopra alla
    catena di comando militare, ossia a Dick Cheney.
    Se non fosse stato per la decisa azione di alcuni militari, forse
    l'attentato nucleare paventato (ma non tanto) da Michael sarebbe già
    realtà.
    Tuttavia, a quanto pare, uno dei sei missili è scomparso.
    Insomma la follia di Levi, questo junior fellow del Council, è
    condivisa al più alto livello decisionale.
    E sicuramente dopo il nuovo e più atroce 11 settembre il primo
    provvedimento sarebbe instaurare quel tipo di libertà di stampa cui
    Michael anela, anzi dà per già in vigore: chiudere la bocca al web.
    Ecco l'urgenza, contro il terrorismo atomico.
    Ma no, speriamo di no.

    Speriamo che Michael Levi non sia figlio di Ricardo Franco il
    segretario, né nipote del nonno Arrigo.
    Speriamo che sia un Levi qualunque.
    Certo è strano: sembra abituato da sempre a trattare i giornalisti
    italiani come suoi camerieri, a dare ordini come alla servitù di
    casa, aspettandosi d'essere obbedito come quando i nonni, nel '43,
    tornarono in Italia con la divisa dei liberatori.
    Dove avrà potuto impararlo, questo atteggiamento?

    Maurizio Blondet

    -----------

    (http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?
    id=2425&parametro=politica)

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da alpaguer Visualizza Messaggio
    Ottimo. Uppete!
    la cosa piu' importante e' tenere alta la guardia, contro chi vuole reprimere la libera circolazione delle notizie e delle idee su Internet!

  3. #3
    NEOFASCISMO........
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    Forza Blondet...........un'intera Generazione Cresciuta Con I Tuoi Libri Ed I Tuoi Articoli Sara' Sempre Al Tuo Fianco.
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