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  1. #1
    VINCIT OMNIA VERITAS!
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    "O voi che avete gli intelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde sotto'l velame de li versi strani."
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    Predefinito Sulla volgarizzazione e lo snaturamento delle dottrine tradizionali.

    Γυνὴ ἄφρων καὶ θρασεῖα ἐνδεὴς ψωμοῦ γίνεται, ἣ οὐκ ἐπίσταται αἰσχύνην. ἐκάθισεν ἐπὶ θύραις τοῦ ἑαυτῆς οἴκου, ἐπὶ δίφρου ἐμφανῶς ἐν πλατείαις, προσκαλουμένη τοὺς παριόντας καὶ κατευθύνοντας ἐν ταῖς ὁδοῖς αὐτῶν· ὅς ἐστιν ὑμῶν ἀφρονέστατος, ἐκκλινάτω πρός με καὶ τοῖς ἐνδεέσι φρονήσεως παρακελεύομαι λέγουσα· ἄρτων κρυφίων ἡδέως ἅψασθε καὶ ὕδατος κλοπῆς γλυκεροῦ. ὁ δὲ οὐκ οἶδεν ὅτι γηγενεῖς παρ᾿ αὐτῇ ὄλλυνται, καὶ ἐπὶ πέταυρον ᾅδου συναντᾷ. (Παροιμίαι Σολομώντος, 9, 13-18)


    In un articolo pubblicato su Etudes Traditionnelles e poi ripreso nella raccolta postuma "Iniziazione e Realizzazione Spirituale" (di cui costituisce il primo capitolo) Guénon affronta il tema della "volgarizzazione" delle dottrine tradizionali ed in special modo di quelle orientali. Alcuni passi di questo scritto mantengono a distanza di tempo, oltre che la loro verità (che è indipendente dal tempo) anche una certa attualità, sia in un riferimento generale al panorama culturale odierno, sia in riferimento ad ambiti a noi più prossimi, e che, volenti o nolenti, ci riguardano più da vicino. Riportiamo pertanto questi passi, dei quali abbiamo evidenziato le parti che ci paiono più significative, sperando che la loro lettura possa essere di giovamento a qualcheduno.


    Vi è un altro genere di volgarizzazione, il quale, anche se raggiunge un pubblico più ristretto, ci sembra presentare pericoli ben più gravi, se non altro per le confusioni che rischia di provocare volontariamente o involontariamente, e che mira a cose le quali, per la loro stessa natura, dovrebbero essere maggiormente al riparo da simili tentativi: vogliamo riferirci alle dottrine tradizionali e in special modo alle dottrine orientali. Per la verità, gli occultisti e i teosofisti avevano già intrapreso qualcosa del genere, col solo risultato di produrre grossolane contraffazioni; invece, ciò a cui ci riferiamo ora riveste apparenze più serie, diremmo volentieri più “rispettabili”, tali da imporsi a molta gente che non sarebbe stata sedotta da deformazioni troppo visibilmente caricaturali. Bisogna d’altronde fare una distinzione fra i volgarizzatori se ci si riferisce alle loro intenzioni piuttosto che ai risultati cui arrivano; tutti, naturalmente, vogliono in egual modo diffondere il più possibile le idee che espongono, ma a ciò possono essere spinti da motivi ben diversi. Da una parte vi sono propagandisti della cui sincerità non si può dubitare, ma il cui atteggiamento prova la scarsa penetrazione della loro comprensione dottrinale; inoltre, anche entro i limiti della loro comprensione, le necessità della propaganda li conducono forzatamente ad adattarsi sempre alla mentalità di coloro a cui si rivolgono, il che, soprattutto se si tratta di un pubblico occidentale “medio”, non può che andare a detrimento della verità; e la cosa più curiosa è che questo modo di fare è per essi così spontaneo che sarebbe veramente ingiusto accusarli di alterare volontariamente questa verità. Ce ne sono altri invece che, in fondo, si interessano solo superficialmente alle dottrine, ma che, constatato il successo di queste cose in un ambiente abbastanza esteso, credono opportuno approfittare di tale “moda” [...]; costoro sono d’altronde molto più “eclettici” dei primi, e diffondono indifferentemente tutto ciò che sembra loro tale da soddisfare i gusti di una certa “clientela”, che rappresenta evidentemente la loro principale preoccupazione anche quando ritengono di dover ostentare qualche pretesa alla “spiritualità”. Non è evidentemente nostra intenzione fare dei nomi, ma pensiamo che molti nostri lettori potranno trovare facilmente da soli esempi dell’uno e dell’altro tipo.
    [Tratto da René GUÉNON, Initiation et réalisation spirituelle (1952).
    Trad. di T. Masera: Iniziazione e realizzazione spirituale, Ed. Studi Tradizionali, Torino, 1967, p.7]

    Con questo post (nonchè con i numerosi altri presenti in questo forum) riteniamo di aver fornito, a chi vuole, gli strumenti necessari per comprendere certi pericolosi errori e per difendersene; quanto a coloro che non sono in grado di capire o non lo vogliono, e a coloro che tali errori si ostinano a diffondere, dubitiamo che possano trarre un qualche vantaggio. Li lasciamo pertanto alle loro divisioni interne, in quanto si dimostrano uniti solo quando c'è da opporsi (illudendosi) alla Verità. Per quanto ci riguarda continuiamo nella direzione che abbiamo scelto fin dall'inizio: di disinteressata esposizione dottrinale di quella Verità che, nonostante le imperfezioni di chi la espone e gli sforzi di coloro che la avversano, Sola avrà trionfo.


    Yurīdūna Liyuţfi'ū Nūra Allāhi Bi'afwāhihim
    Wa Allāhu Mutimmu Nūrihi Wa Law Kariha Al-Kāfirūna (LXI, 8)
    "In girum imus nocte et consumimur igni"

  2. #2
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    Pensiamo al riguardo possa risultare molto proficua la lettura di questo brano:

    «La Voce è a un tempo figlia, sposa messaggera e strumento dell’Intelletto. Posseduta da lui, dalla divinità immanente, essa genera la sua immagine (riflesso, imitazione, somiglianza, pratirūpa, figlio). Essa è la potenza e la gloria, senza cui neppure il Sacrificio potrebbe avere luogo. Ma se egli, l’Intelletto divino, Brahmā o Prajāpati, «non la precede e non la dirige, allora essa è soltanto un farfugliamento nel quale esprime se stessa» [nota 98: «ŚB, III, 2, 4, 11; cfr. «il farfugliamento degli Asura» (ibid., III, 2, 1, 23). È perché la Voce può essere adoperata per affermare sia il vero sia il falso che essa viene chiamata «bifronte» - cioè infida (ibid., III, 2, 4, 16). Queste sue due possibilità corrispondono alla distinzione platonica tra Afrodite Urania e Afrodite Pandemia (Πάνδημος) e sregolata (άτακτος), l’una madre dell’Eros Uranio o Cosmico, l’altra «Regina dei Molti Canti» (Πολύμνια) e madre di Eros Pandemio (Simposio, 180 d-e, 187 e; Leggi, 840 e)»].
    Il conflitto fra Apollo e il satiro Marsia, a cui allude Platone, è uguale a quello fra Prajāpati (il Progenitore) e la Morte, ed equivale alla competizione fra i Gandharva, dèi dell’Amore e della Scienza [cfr. Dante «I’ mi son un, che quando / Amor mi ispira, noto, e a quel modo / ch’è ditta dentro, vo significando» Purgatorio, XXIV, 52-54), e le divinità mondane, le potenze sensoriali, per aggiudicarsi la mano della Voce, Madre della Parola, moglie del Sacerdotium. […].
    Quel che nella sua competizione con la Morte il Progenitore cantò e rappresentò era «calcolato» (samkhyānam) e «immortale», mentre quello che fece la Morte era «non calcolato» e «mortale»; e la musica mortale suonata dalla Morte è ora la nostra arte secolare da «salotto» (patnīśālā): «tutto ciò che la gente canta accompagnandosi con l’arpa, o danza, o fa per proprio piacere (vrthā)» o secondo una traduzione più letterale, «fa ereticamente» dato che la parola vrthā ed «eresia» derivano da una radice comune che significa «scegliere da sé», «sapere e prendere ciò che piace a sé». La musica informe e irregolare della Morte è disgregante. Il Progenitore, al contrario, «si ricostituisce», si ricompone o si sintetizza «per mezzo dei metri»; il Sacrificatore «si rende perfetto sì da essere costituito metricamente», e adopera le misure come ali per la sua ascensione[…]. La competizione dei Ghandharva, déi dell’Amore e della Musica (nel senso lato in cui Platone usa questa parola), è con le potenze non rigenerate dell’anima. I Gandharva offrono alla Voce la loro scienza sacra, la tesi del loro incantesimo; le divinità mondane si offrono di «procurarle piacere». Quella dei Gandharva è una conversazione sacra (brahmodaya), quello delle divinità mondane un colloquio allettante (prakāmodaya). Fin troppo spesso la Voce, la potenza espressiva, si lascia sedurre dalle divinità mondane e si presta a rappresentare ciò che più piace a loro e che più la fa sentire adulata; ed è proprio quando essa preferisce le falsità piacevoli allo splendore della verità, talvolta amara, che gli dèi devono paventare ch’essa a sua volta seduca il loro legittimo portavoce, lo stesso Sacrificatore, paventare cioè quella secolarizzazione dei simboli sacri e del linguaggio ieratico, quello svuotamento di significato che noi ben conosciamo nella storia dell’arte, quand’essa dalla formalità s’abbassa alla figuratività, così come il linguaggio dall’originaria precisione s’evolve fino a non avere infine che valenze confuse ed emotive.» (A. K. Coomaraswamy “Figura di parola o figura di pensiero?” in Il grande Brivido pagg. 38-40, per le note e alcuni passaggi omessi qui, rimandiamo il lettore alla lettura completa dello studio sopraccitato)

  3. #3
    SARVA MANGALAM
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    Predefinito

    Vorrei far leggere (per colore che eventualmente non lo conoscessero) l'articolo citato da Eymerich per intero. Un testo che non basterebbe solo leggere, ma andrebbe imparato a memoria.

    KD

    ----------------------------------------------------------------


    INIZIAZIONE E REALIZZAZIONE SPIRITUALE


    Capitolo I - Contro la volgarizzazione


    La stupidità che si riscontra oggi in tanti uomini, e diremmo anzi nella maggior parte di essi, via via che si generalizza e si accentua la decadenza intellettuale propria dell'ultimo periodo del ciclo, è forse una delle cose che troviamo più difficilmente sopportabili. A questa bisogna aggiungere l'ignoranza, o meglio un certo tipo di ignoranza strettamente legata ad essa, quella che, nell'assoluta incoscienza di essere tale, si permette affermazioni tanto più audaci quanto meno sa e concepisce, e che, appunto per ciò, rappresenta un male irrimediabile per chi la manifesta (1). Potremmo unire stupidità e ignoranza sotto il nome di incomprensione; ma il sopportare quest'incomprensione non significa che si debba giungere a concessioni di qualsiasi genere o rinunciare a rettificare gli errori a cui essa dà luogo: faremo anzi il possibile per evitare che si diffondano, il che è spesso uno spiacevole compito, soprattutto quando, di fronte all'ostinazione di certuni, si devono ripetere cose che dovrebbe essere sufficiente dire una volta per tutte. Tale ostinazione non è d'altronde sempre esente da malafede; e la malafede implica una ristrettezza di vedute che è conseguenza diretta di un'incomprensione più o meno completa; talché, incomprensione e malafede, come stupidità e cattiveria, si mescolano in modo tale da rendere assai difficile la determinazione delle proprie proporzioni rispettive.

    Parlando di concessioni fatte all'incomprensione, pensiamo soprattutto alla volgarizzazione in tutte le sue forme; voler "mettere alla portata di tutti" verità di un certo ordine, o ciò che si considera verità, laddove la maggioranza di coloro che sono destinati a ricevere tutto ciò è composta necessariamente di stupidi e di ignoranti, è forse qualcosa di diverso? D'altra parte, la volgarizzazione deriva da una preoccupazione eminentemente profana, e, come ogni genere di propaganda, presuppone in chi la esercita un certo grado d'incomprensione, relativamente inferiore, certo, a quella del "grosso pubblico" cui si indirizza, ma tanto maggiore quanto più ciò che si vuole esporre supera il livello mentale di quest'ultimo. Ne deriva che gli inconvenienti della volgarizzazione sono più limitati quando ciò che viene diffuso è d'ordine profano, come nel caso delle concezioni filosofiche e scientifiche moderne, le quali, pur nella parte di verità che possono eventualmente contenere, non hanno certamente nulla di profondo o di trascendente. Questo è d'altronde il caso più frequente, vuoi perché riguarda gli argomenti che maggiormente interessano il "grosso pubblico", dato il genere di educazione ricevuta, vuoi perché più facilmente gli dà la gradevole illusione di un "sapere" acquistato a basso prezzo; il volgarizzatore deforma sempre le cose, sia cercando di semplificarle, sia affermando perentoriamente ciò che per gli stessi scienziati non è che una semplice ipotesi; ma assumendo un atteggiamento del genere, non ottiene altro risultato che di utilizzare i sistemi propri di quell'insegnamento rudimentale che si è venuto a imporre nel mondo moderno, il quale, in fondo, non è che pura volgarizzazione, e diremmo anche della peggiore specie, se si considera che è in grado di dare a chi lo riceve un'impronta "scientista" di cui ben pochi sono in seguito capaci di disfarsi, impronta vieppiù mantenuta e rinforzata dal lavoro dei volgarizzatori veri e propri, che vedono perciò attenuata in una certa misura la loro responsabilità.

    Vi è un altro genere di volgarizzazione il quale, anche se raggiunge un pubblico più ristretto, ci sembra presentare pericoli ben più gravi, se non altro per le confusioni che rischia di provocare volontariamente o involontariamente, e che mira a cose le quali, per la loro stessa natura, dovrebbero essere maggiormente al riparo da simili tentativi: vogliamo riferirci alle dottrine tradizionali e in special modo alle dottrine orientali. Per la verità, gli occultisti e i teosofisti avevano già intrapreso qualcosa del genere, col solo risultato di produrre grossolane contraffazioni; invece, ciò a cui ci riferiamo ora riveste apparenze più serie, diremmo volentieri più "rispettabili", tali da imporsi a molta gente che non sarebbe stata sedotta da deformazioni troppo visibilmente caricaturali.

    Bisogna d'altronde fare una distinzione fra i volgarizzatori se ci si riferisce alle loro intenzioni piuttosto che ai risultati cui arrivano; tutti, naturalmente, vogliono in egual modo diffondere il più possibile le idee che espongono, ma a ciò possono essere spinti da motivi ben diversi. Da una parte vi sono propagandisti della cui sincerità non si può dubitare, ma il cui atteggiamento prova la scarsa penetrazione della loro comprensione dottrinale; inoltre, anche entro i limiti della loro comprensione, le necessità della propaganda li conducono forzatamente ad adattarsi sempre alla mentalità di coloro a cui si rivolgono, il che, soprattutto se si tratta di un pubblico occidentale "medio", non può che andare a detrimento della verità; e la cosa più curiosa è che questo modo di fare è per essi così spontaneo che sarebbe veramente ingiusto accusarli di alterare volontariamente questa verità. Ce ne sono altri invece che, in fondo, si interessano solo superficialmente alle dottrine, ma che, constatato il successo di queste cose in un ambiente abbastanza esteso, credono opportuno approfittare di tale "moda" facendone una vera e propria impresa commerciale; costoro sono d'altronde molto più "eclettici" dei primi, e diffondono indifferentemente tutto ciò che sembra loro tale da soddisfare i gusti di una certa "clientela", che rappresenta evidentemente la loro principale preoccupazione anche quando ritengono di dover ostentare qualche pretesa alla "spiritualità". Non è evidentemente nostra intenzione fare dei nomi, ma pensiamo che molti nostri lettori potranno trovare facilmente da soli esempi dell'uno e dell'altro tipo; per non parlare poi dei semplici ciarlatani, come se ne incontrano soprattutto fra gli pseudo-esoteristi, i quali ingannano scientemente chi dà loro ascolto, presentando le proprie invenzioni sotto l'etichetta di dottrine di cui ignorano praticamente tutto, e contribuendo quindi ad aumentare la confusione nella mente di questo disgraziato pubblico.

    Ma in tutto ciò il fatto più increscioso, a parte le idee false o semplicistiche che in questo modo vengono diffuse sulle dottrine tradizionali, è che molta gente è del tutto incapace a distinguere fra l'opera dei volgarizzatori di bassa lega, e un lavoro fatto invece senza alcuna preoccupazione di piacere al pubblico e di mettersi alla sua portata; questa gente pone tutto sullo stesso piano, a tutto attribuendo le stesse intenzioni, ivi compreso ciò che in realtà ne è più distante. In questo caso si ha a che fare con la stupidità pura e semplice, ma talvolta anche con la malafede, o probabilmente con una mescolanza delle due; infatti, per fare un esempio che ci riguarda direttamente, dopo aver spiegato in modo chiaro, ogni volta che se ne presentava l'occasione, per quali e quante ragioni siamo risolutamente contrari a qualsiasi propaganda come a qualsiasi volgarizzazione, e dopo aver protestato a più riprese contro le asserzioni di coloro che nonostante ciò continuavano ad attribuirci propositi di propaganda, quando vediamo queste stesse persone o altre che gli somigliano ripetere indefinitamente la stessa calunnia, com'è possibile ammettere che esse siano realmente in buona fede? Se almeno, anche in mancanza di qualsiasi comprensione, essi avessero un benché minimo senso logico, chiederemmo loro di dirci quale interesse potremmo mai avere nel cercar di convincere chicchessia della verità di tale o tal altra idea, e siamo ben certi che essi non potrebbero assolutamente trovare, a questa domanda, una risposta sia pur appena plausibile. In effetti, fra i propagandisti e i volgarizzatori, gli uni sono tali a causa di una sentimentalità fuori luogo, e gli altri perché vi trovano un tornaconto materiale; ora è più che evidente, per il modo stesso con cui noi esponiamo le dottrine, che nessuno di questi due motivi può esserci attribuito anche in minima parte, ed anche a voler supporre che ci fosse mai balenato il proposito di fare una qualsivoglia propaganda, avremmo allora necessariamente adottato un atteggiamento del tutto opposto a quello di rigorosa intransigenza dottrinale che abbiamo costantemente tenuto. Non vogliamo insistere oltre, ma avendo constatato da qualche tempo e da diverse parti una strana recrudescenza di attacchi tra i più ingiusti ed ingiustificati, ci è parso necessario, a rischio di attirarci il rimprovero di ripeterci troppo spesso, dì rimettere una volta di più le cose al loro posto.

    Note

    1 Nella tradizione islamica, la sopportazione della stupidità e dell'ignoranza umana è il fondamento della haqîqatuz-zakâh, la "verità" dell'elemosina, cioè il suo aspetto interiore e più reale (haqîqah è opposto in questo senso a muzâherah, che è soltanto la manifestazione esteriore o il compimento del precetto preso in senso letterale); questo fa naturalmente parte della "pazienza" (es-sabr), come virtù cui si annette un'importanza del tutto particolare, tant'è vero ch'essa è menzionata settantadue volte nel Corano.

    Fonte: www.loggia-rene-guenon.it

  4. #4
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    C’è una cosa di cui sono assolutamente convinta: che in giro ci sia di tutto e di più e di tutti i generi meno di quello che sarebbe veramente importante.
    È il periodo che è e visto che ci si vive significa che non si merita di meglio, anche se questo non basta e si vorrebbe avere quello che, in altri luoghi, in altre epoche, non solo è diritto naturale trovare, ma anche dovere morale cercare.
    Così quella che in realtà sarebbe la migliore delle intenzioni, volontà di sapienza e ricerca di realizzazione spirituale diventa un gioco degli specchi che ogni tanto ti abbaglia e poi ti lascia lì a meditare su di un cumulo di porcherie.
    L’importante però è continuare a provarci, se l’intenzione è buona da qualche parte porta, anche se questo dovesse accadere in un altro stato dell’esistenza.
    Gli scritti di Guenon sono di grande interesse proprio per questo: raddrizzano la strada xchè raddrizzano il modo di guardare il mondo. Ho letto per la prima volta “Il Demiurgo” quando avevo 19 anni. L’amicizia occasionale che me lo fece conoscere non gli dava importanza, io invece buttai via non solo tutti i libri di astrologia ma, man mano che andavo avanti nel leggere Guenon, anche quelli di filosofia. Questo accadeva trent’anni fa ed oggi come oggi non mi stupisce più tanto che ci sia in giro una masnada di falsi profeti, maghi o sobillatori pronti a volgarizzare ciò che è sacro e non comprendono, o a vendere agli sprovveduti brandelli di verità ben accomodata. Personalmente mi sorprende di più scoprire che c’è in giro qualcuno che parla di Sanatana Dharma...o di altro e che prova a mantenere il discorso nei binari giusti, prendetelo pure come un complimento, a modo mio lo è.

 

 

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