Bologna continua ad essere un laboratorio
del cambiamento sociale e culturale nel
senso che, dal ’dolce declino’ degli anni
’90, è transitata ad una profonda crisi, quella
odierna, che ha un carattere strutturale e di
lungo periodo. Essa prelude ad eventi sempre
più drammatici, in ragione del degrado del
tessuto sociale autoctono, prima ancora che dei
problemi portati dagli immigrati. Il fattore
demografico è alla base delle trasformazioni:
con il più basso indice di fecondità in Europa, il
tasso di invecchiamento più rapido, e il
connesso spappolamento delle famiglie,
Bologna sta entrando in una fase molto difficile
della sua storia. Viene meno la solidità e la
capacità di azione delle reti primarie, viene
meno il sostegno quotidiano alle persone, dai
bambini agli anziani. Nessuno Stato sociale e
nessun sviluppo economico del mercato, posto
che possano essere realizzati, il che è dubbio, potrà sopperire ai problemi che sono legati al venir meno di solide reti familiari e di un tessuto comunitario fatto di legami sociali e di reciprocità nella vita quotidiana. Il panorama odierno dell’impoverimento di Bologna ci fa comprendere anche l’emergenza educativa: chi trasmetterà la cultura se le nuove generazioni sono flebili, fragili, isolate, lontane fra loro e dagli adulti e anziani, prive di quei contatti interpersonali attraverso cui passano i valori di quella cultura «bolognese» che, fino a pochi anni fa, vantava di essere accogliente, calda e generosa? Il vuoto demografico e il crescente invecchiamento spiegano anche perché sarà necessaria una crescente
immigrazione, dato che la città avrà bisogno di risorse umane per far fronte ai suoi problemi di vita quotidiana.
Bisognerebbe allora prendere atto di questi fatti, basati su dati statistici e
sociologici, non ideologici, e iniziare a riprogrammare la città sulla base di una riconsiderazione di ciò che fa un tessuto sociale coeso, di ciò che produce capitale umano e sociale, di ciò che può ritessere di vitalità un contesto in via di crescente degrado umano e sociale. Questo «qualcosa» non sta nelle burocrazie pubbliche o in nuovi investimenti economici, commerciali, finanziari, che pure sono necessari, ma primariamente sta sull’asse famiglia-scuola. Occorre con urgenza un piano di sostegno alle
famiglie perché possano serenamente avere i figli che desiderano e possano
allevarli in un contesto che li valorizzi. Non si tratta di fare dell’assistenza, ma di rendere le famiglie capaci di maggiore solidità, partecipazione sociale, iniziativa sul piano educativo e relazionale. Idee e progetti in questa direzione non mancano. In passato, Bologna aveva avviato alcune «buone pratiche» in questa direzione. Ma sono poi state lasciate andare, e quelle che ancora sussistono, sopravvivono nell’incertezza e nella precarietà.
In breve, è giusto pensare al traffico, alla sicurezza nelle
strade, al passante autostradale e così via, ma la prima
cosa a cui pensare sono le famiglie e la loro capacità di
essere e fare famiglia, educando le nuove generazioni
con un patto solido tra famiglia e scuole che siano
all’altezza di generare nuove generazioni, non semplici
aggregati di individui spaesati e privi di qualunque
riferimento valoriale. So che, nella Giunta e nel
Consiglio comunale, non mancano coloro che sono
ben consapevoli di tutto questo. C’è chi sta premendo
per una nuova politica di sostegno alle famiglie e di
centralità dei processi formativi e di socializzazione. Il
problema, mi pare, è che i cosiddetti «poteri forti» di
Bologna sono interessati alle cose materiali, ai vantaggi
economici e di voto elettorale, e ad un po’ di estetica,
ossia agli eventi mediatici e di immagine, mentre la crisi
si supera solo se si è capaci di trovare nell’asse famigliascuola
il perno da cui ripartire per rigenerare il senso di
una civiltà, che altrimenti rischia di scomparire. E non
sarà un dolce declino.