Un articolo,su come i cattolici stanno trasformando Gesù in stile New-Age,quindi
neopaganesimo.
























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I GIARDINI DELL’EDEN
regia di Alessandro D’Alatri
Italia, 1998; col., dur. 90'
sceneggiatura di A. D’Alatri e Miro Silvera
con Kim Rossi Stuart, Massimo Ghini, Lorenzo Cherubini, Saturnino
di Marco Vanelli
Inserito in concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia dopo la defezione del regista americano Mike Figgis, I giardini dell’Eden era assai atteso per la curiosità dell’argomento affrontato: gli anni giovanili di Gesù.
Alessandro D’Alatri, coadiuvato dallo sceneggiatore ebreo Miro Silvera, ha scelto di raccontare il periodo che i vangeli trascurano, cioè gli anni che vanno dai dodici (quando troviamo Gesù a Gerusalemme con i dottori del tempio, dopo di che si sa che crebbe "in sapienza, e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52) ai trenta, quando inizia la predicazione (Lc 3,23).
L’idea in sŽ era ottima, dal momento che si poteva cercare di mostrare il quotidiano di Gesù a Nazaret, il suo vivere «laicamente» nella realtà del tempo, la sua partecipazione alla vita della città e il suo impegno professionale come carpentiere (Mc 6,3), il suo essere messia anche senza gesti messianici, il suo essere il salvatore passando inosservato. E’ un Gesù che ci manca quello, di cui abbiamo bisogno a volte come punto di riferimento nella vita familiare e lavorativa di tutti i giorni. E’ il Gesù preso a modello da Charles De Foucauld per la sua congregazione, il Gesù segreto, il Gesù silenzioso, il Gesù operaio, il Gesù laico.
D’Alatri — tanto vale dirlo subito — opta per un Gesù-New Age, tormentato giramondo, che scopre la sua vocazione dopo aver fatto esperienze fuori di Nazaret, dopo aver lasciato la bottega paterna dove lui è l’unico tra i figli di Giuseppe ad avere gli occhi azzurri. Questo del colore degli occhi è il principale motivo di alterità rispetto alla sua famiglia. Di Giuseppe, falegname e rabbino, viene sottolineato che ha già avuto figli da matrimoni precedenti e poiché in cuor suo soffre a dover applicare la legge mosaica che prevede la lapidazione nei confronti delle donne che hanno commesso adulterio con i soldati romani, si capisce che ha accolto Maria presso di sŽ per salvarla da analoga fine. Da dove vengano, quindi, i cromosomi degli occhi azzurri il film non lo dice: forse da un Padre celeste, forse da un soldato romano di origini nordiche [sia detto assolutamente per inciso: questa era la teoria di un certo Adolf Hitler].
Perché Gesù-New Age? Perché il giovane Jeoshua, così« si chiama, a un dato punto della sua vita familiare decide di seguire le orme del cugino Giovanni, contestatore desideroso di lasciare la natia Nazaret [sic] per conoscere i fermenti della capitale. Anche Jeoshua parte, e a Gerusalemme entra in contatto con i fondamentalisti zeloti, i mercanti che fanno viaggi in oriente e, da l«, con gli esseni della comunità di Qumran, sul Mar Morto. In questo itinerario rientra anche un accenno di idillio con una ragazza durante la sosta in un’oasi, momento garbato descritto con delicatezza. Un Gesù giovane, quindi, pensato come i giovani di oggi, neoromantici che vanno dove li porta il cuore.
Il cuore di Jeoshua lo porta in oriente, di fronte a una statua del Buddha, dove si pone in meditazione. Quella di far incontrare Gesù con il buddismo attraverso le vie dei mercanti rientra appieno nelle fantasticherie della letteratura New Age, sempre più pseudo-archeologica e pseudo-storica. Fatto sta che al ritorno dall’oriente Jeoshua dichiara testualmente che: "ogni uomo ha la sua verità" e che "se rispetterai il tuo cuore non avrai niente da temere". Non è chiaro se poi dopo i trenta anni Gesù metta la testa a partito e riveda le sue affermazioni giovanili correggendole con "io sono la verità" (Gv 14,6) e "dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive" (Mc 7,21).
Inoltre ad accompagnare il viaggio di Jeoshua ci sono un paio di eloquenti inquadrature al cielo azzurro con le nuvole in viaggio, praticamente la cifra stilistica e estetica della Nuova Era: basta guardare le copertine dei CD o delle riviste annesse. E se non bastasse, una volta entrato nella comunità degli esseni ed aver imparato varie discipline, Jeoshua se ne va dopo un lungo discorso di accusa alla rigidità della loro regola, il loro formalismo, il loro vivere lontani dalla gente. Rifiuta cioè la dimensione organizzata e istituzionale della vita religiosa, evidente allusione alla chiesa d’oggi, al punto che D’Alatri lo fa guardare per due volte in macchina (verso gli spettatori) durante il suo discorso, per rafforzarne l’attualità.
Fosse solo per questo, il film si aggiungerebbe alle altre versioni personalizzate della figura del Cristo che in letteratura e al cinema sono sempre esistite, spesso anche stimolanti per la fede di un cristiano (si pensi al tanto frainteso film di Scorsese). Ma D’Alatri va oltre e pretende di dare veridicità storica alle sue fantasie. Così« incastra il racconto filmico tra un prologo di carattere storico e un epilogo fedelmente evangelico, così« da suffragare ciò che ha inventato in mezzo.
L’inizio mostra il ritrovamento casuale avvenuto nel 1947 in Palestina dei rotoli della comunità di Qumran, abbandonati dentro strette giare di terracotta. Si trattava di testi biblici e regole della comunità logorati dall’uso dei monaci, ma che per rispetto non potevano essere distrutti. Così li seppellivano nelle grotte intorno alla comunità, in una delle quali un pastorello li scoprì accidentalmente cinquant’anni fa inseguendo una capra. L’episodio, ricostruito con grande precisione, apre il film e fa scattare un flash back all’anno 30 quando Jeoshua, accolto dai monaci, racconta loro la sua storia.
Al termine di questa parte centrale Jeoshua segue l’esempio di un altro monaco insofferente alla regola [si tratta di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti] e se ne va da Qumran. I pochi episodi che seguono coincidono con la vita pubblica di Gesù: il battesimo, il deserto, la chiamata dei primi discepoli, la guarigione della suocera di Pietro.
Quindi D’Alatri pone il suo Gesù adolescente e giovane [ma a trenta anni si era già adulti da un pezzo nel mondo antico] tra la cronaca storica (il prologo) e il vangelo (l’epilogo), creando un’apparente continuità logica che invece puro racconto filmico.
Con questo non vogliamo mettere in dubbio l’onestà della ricerca personale di D’Alatri nei confronti di Gesù. Egli afferma di aver letto più di cinquecento testi, di essersi consultato con biblisti e teologi [anche con Enzo Bianchi della comunità di Bose, ci risulta], di aver riscoperto il vangelo dopo anni di un cattolicesimo distratto e formale. Di questo non possiamo che gioirne. Ma il suo film crea solo confusione e si dirige pericolosamente verso il sincretismo delle Nuove Tendenze che già su queste pagine abbiamo cercato più volte di smascherare.
Il discorso di D’Alatri si fa debole, inoltre, sul piano artistico, dato che il film ha un andamento prettamente televisivo, con scenari da Bibbia-tv, luci false e attori dallo scarso mordente. Kim Rossi Stuart fa bella mostra di sŽ, ma non basta a creare un personaggio credibile. Purtroppo per D’Alatri non serve nemmeno per richiamare quei fantomatici giovani spettatori, cui il film sembra diretto, nelle sale, visto che sta andando malissimo al botteghino. E a poco servono anche le apparizioni-specchietto di Jovanotti e Saturnino.
In Toscana si è visto solo in due cinema d’essai, a Firenze e Pisa. Qualora uscisse anche nella provincia di Lucca i catechisti e gli operatori pastorali farebbero bene a precipitarsi a vederlo, proprio per valutare di persona come anche Gesù possa essere oggetto di una rilettura in chiave con i Tempi Nuovi. Una lettura in apparenza innocua, buonista e spiritualista. Tanto che buona parte della critica cattolica ha approvato e difeso il film durante e dopo la Mostra veneziana. D’Alatri sta attualmente girando l’Italia per presentarlo nelle diocesi e ha ricevuto il placet da parte di don Dario Viganò [responsabile per il cinema della Cei], mons. John Foley [presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali] e mons. Enrique Planas [direttore della cineteca vaticana]. Il «Messaggero di Sant’Antonio» ha pubblicato una lettera del regista a tutti i parroci italiani e «Famiglia Cristiana» n. 37 ha messo in copertina Kim Rossi Stuart in versione Jeoshua, titolando: Il vangelo fa ancora notizia. Dall’ultimo Gesù cinematografico alla nostra Bibbia a fascicoli [ogni commento ci sembra superfluo].
E’ bene non solo che i catechisti lo vedano, ma che ci accompagnino i gruppi giovani e ne discutano, ne facciano una lettura attenta e dettagliata, spieghino in cosa e perché Jeoshua non è Gesù, dove stanno i trabocchetti e se tutti siamo d’accordo nel considerarli trabocchetti.
Non dimentichiamo che D’Alatri ha al suo attivo anche la campagna pubblicitaria Lavazza, di cui ci siamo già occupati in passato (cfr. «Educare alla fede» n. 10, dicembre 1996). Afferma in proposito D’Alatri:
]] Delle promesse più grandi che nel vecchio testamento veniva fatta agli ebrei era il Giardino dell’Eden. [...].E la promessa di un premio finale, così straordinaria come quella dei Giardini dell’Eden, era in qualche modo a me vicina come la promessa cattolica del Paradiso. In quel periodo lavoravo già da un po’ di tempo a una fortunata campagna pubblicitaria per un noto caffè, ambientata proprio in Paradiso, che anziché risultare blasfema e irriverente, era piaciuta moltissimo agli italiani. Era un paradiso che aveva colpito l’immaginario di tutti. Fatto di nuvole di cotone e fondali cielo, e tutto nello stereotipo dell’immaginario collettivo sembrava corretto" (da: Alessandro D’Alatri-Miro Silvera, Attraversando i Giardini dell’Eden, Frassinelli, 1998, p. 8).
Tutto nello stereotipo dell’immaginario collettivo sembrava corretto: può essere vero per il paradiso consumista del caffè Lavazza, può essere vero per il Gesù pre-evangelico dei Giardini dell’Eden. Ma «sembrare» non è «essere» e la nostra fede si basa su qualcosa di più concreto che le nuvole di cotone e i fondali color cielo.