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  2. #22
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    Citazione Originariamente Scritto da carlomartello Visualizza Messaggio
    Abbiamo letto le sue considerazioni su razzismo, nazionalsocialismo e fascismo in "Elogio del Comunitarismo".
    E' davvero incompatibile con noi.

    Il fatto che sia tanto anti-sionista quando ha ripreso molti temi di Amitai Etzioni poi fa francamente un pochino ridere...

    Meglio il Sionismo che il suo comunitarismo terzomondista, neo-marxista, filo-palestinese e anti-europeo/identitario.


    carlomartello

  3. #23
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    Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all'insegna del Veltro, pp. 142, € 15,00


    L'Autore di questo libro - che i lettori senz'altro conosceranno come assiduo collaboratore di "Eurasia" - è un filosofo d'orientamento marxista, il quale ha voluto abbandonare ogni preconcetto suggeritogli dal duplice carattere della sua formazione contro la geopolitica. Preve ha preso atto della svolta epocale determinata dal crollo dell'Unione Sovietica - che rappresentò, nel contempo, la fine del comunismo storico e l’inaugurazione dell'unipolarismo geopolitico -, e ha deciso d'affrontare le sfide del nuovo secolo e del nuovo millennio accettando anche strumenti estranei alla sua precedente esperienza teorica. Egli stesso ha confessato di «attribuire soggettivamente una certa importanza» a questo saggio, dal momento che - mi permetto d'interpretare il suo pensiero - esso simboleggia (e motiva a chiare lettere) il riconoscimento da parte dell'Autore della geopolitica come scienza funzionale alla comprensione della realtà, e dell'eurasiatismo come risposta geopolitica alle numerose questioni imposte dal nuovo ordine mondiale unipolare. La presenza di tale scelta aleggia in ogni pagina del saggio, per via del pesante significato ch'essa può assumere nello scenario politico europeo (e italiano in particolare) contemporaneo. La fine del bipolarismo mondiale e del comunismo storico (Preve rimarca più e più volte quelli che ne considera gli estremi anagrafici: 1917-1991) ha sconvolto il panorama della sinistra radicale (istituzionale e non) europea, costringendola a cercare una nuova strada; alcuni, come l'Autore, hanno scelto di rimanere fedeli all'ideale d'un mondo diverso e migliore, continuando a perseguirlo quale proprio obiettivo (non tutti col realismo di Preve, naturalmente), altri - che sono i più - dalla «utopia sociologica monoclassista proletaria» sono passati armi e bagagli alla sua antitesi, «l'individualismo postborghese ed ultracapitalistico».
    Ho potuto in questo caso avvalermi di citazioni tratte dall'opera, poiché tale «rovesciamento dialettico» (come eufemisticamente lo definisce l'Autore) è una delle due tipologie del «nichilismo» contemporaneo (l'altra è «l'accettazione dell'americanismo come compimento destinale inesorabile della storia millenaria dell'Occidente») analizzate nei primi due capitoli di Filosofia e geopolitica, capitoli che ne costituiscono la parte "filosofica". Secondo Preve la filosofia e la geopolitica - apparentemente così lontane tra loro - s'incontrano per necessità, costrette dal novello monismo ideologico che tenta d'imporsi come "pensiero unico": è quello che l'Autore chiama «americanismo». Lo scenario filosofico del XXI secolo è dominato dal «nichilismo» o, meglio, «da una variante specifica e irripetibile di nichilismo, in cui dell'Essere appunto non è più nulla, e questa distruzione non solo della "metafisica" (termine con cui impropriamente si indica il riferimento trascendente e religioso dei valori etici e politici) ma anche della "ontologia" (termine che indica invece in modo abbastanza corretto la fondazione razionalistica dei valori individuali e sociali in una visione dialogica condivisa della natura umana e del suo destino storico) è vista come un grande progresso civile, umano e scientifico» (pag. 15). In quest'ottica, Preve conduce una serrata critica dell'escatologismo nordamericano, e in generale d'ogni lettura teleologica della storia dell'Occidente. Ma particolarmente interessante è il secondo capitolo, quello nel quale, tentando di spiegare le ragioni del già citato «rovesciamento dialettico» dal marxismo all'americanismo, riprende e sviluppa un discorso iniziato nel capitolo precedente sui caratteri della società statunitense. Egli ne riconosce due aspetti fondamentali (che riescono a esercitare fascino sulle altre culture): «il suo segreto sociale massimo e principalissimo nell'essere un capitalismo senza classi sociali» (pag. 16), e l'essenza di «spazio geografico, storico e simbolico di "possibilità illimitate" di tipo individuale» (pag. 30). Il primo elemento, in particolare, costituisce una teoria originale e affascinante, cui Preve dedica molto spazio individuandola come spinta fondamentale al passaggio dal marxismo all'americanismo.
    La seconda parte dell'opera è quella dichiaratamente "geopolitica". Qui l'Autore sviluppa in via (suppongo) definitiva la sua indagine condotta con «metodo contrastivo» (fattore che ne determina l'originalità) sulle ipotesi "eurocentrica", "euroatlantica" ed "eurasiatica". Preve considera la prima teoria vanificata dal «doppio suicidio dell'Europa», cioè dalle due guerre mondiali; ad ogni modo, egli non nasconde una certa attrazione per l'europeismo, individuandone il principale e migliore sostenitore nel Generale de Gaulle, il quale «crede nella Francia [...] ma sa anche bene che la Francia non può e non deve pretendere di essere "superiore" alla Germania e alla Russia, perché sulla base di una pretesa di superiorità non si può costruire una vera e propria "Europa delle nazioni"» (pag. 81), nella quale lo stesso Preve afferma di credere, a patto che si sviluppi «in simbiosi con l'euroasiatismo» (pag. 82). L'analisi dell'ipotesi euroatlantica offre invece l'occasione d'osservare più nello specifico il fenomeno dell'americanismo. L'Autore distingue tra un "americanismo interno" ed un "americanismo esterno". L'americanismo interno, «o americanismo rivolto esclusivamente al popolo eletto degli Stati Uniti d'America, è una ideologia messianica di una missione speciale assegnata dal Dio biblico veterotestamentario protestantico-sionista ad un popolo specifico, e solo a quello» (pag. 86). L'altro è invece l'americanismo «di esportazione», che si manifesta diversamente nel mondo, dovendosi adattare alle culture locali per plasmarle secondo «un modello di esportazione di un capitalismo individuale dei consumi (ovviamente diversi per livello di reddito e di potere d'acquisto), e non di un capitalismo gerarchizzato delle classi e dei ceti». La sua forza - prosegue Preve - «è anche di porsi integralmente al di là dell'obsoleta dicotomia europea fra Destra e Sinistra, in quanto ha metabolizzato nella sua identità sia elementi di destra che di sinistra, e cioè la competizione agonale (destra) e l'egualitarismo culturale (sinistra)» (pag. 87). Essendo da oltre un decennio decaduti i presupposti dell'impari "alleanza atlantica", l'Autore si chiede da dove nasca «questo scandaloso "servilismo autonomo"», e per darsi una risposta - fermi restando i due elementi di cui sopra - compie un veloce excursus sulle principali culture politiche nazionali dell'Europa. Viene ultima, ma non perciò meno importante, la trattazione dell'ipotesi eurasiatica, il cui principale argomento è che «mentre l'americanismo, a causa del suo carattere messianico ed espansivo, mette in mortale pericolo l'identità culturale europea, questo non avviene per l'eurasiatismo, perché la Russia (che fa comunque parte integrante dell'Europa, sia pure con alcune modalità particolari), e ancor più la Cina, l'India, i paesi dell'Asia Centrale e il Giappone non sono dotati di una natura "cannibalica" espansiva, e possono diventare partners eguali e non diseguali dell'Europa» (pag. 107). Questo quinto ed ultimo capitolo si chiude con una vera e propria (benché sintetica) disamina delle possibilità geopolitiche d'un blocco continentale, condotta con grande oggettività e realismo, nonché con una competenza per certi versi inaspettata in un filosofo. Concludono l'opera un epilogo e una nota bibliografica generale sviluppata in forma discorsiva.
    Filosofia e geopolitica è un saggio prevalentemente orientato verso il primo di questi due ambiti - cosa che non è né sorprendente né spiacevole, essendo l'Autore un noto studioso di filosofia. Questo fatto, e alcuni brani citati nel corso della recensione, potrebbero far pensare all'opera come a un libro molto specialistico e complesso, adatto solo agli addetti ai lavori. Ciò sarebbe errato, poiché - per quanto una competenza almeno di base in materia filosofica aiuti nella comprensione - Costanzo Preve possiede la dote di esprimersi in un linguaggio piano, semplice e lineare, senza eccessi formali o d'erudizione, e di tale dote fa un ampio uso in questo saggio. Esso, inoltre, è condito di frequenti e stimolanti disgressioni - sempre funzionali al discorso centrale e mai dispersive - e d'una buona dose d'ironia, capace di rendere ancora più piacevole la lettura dell'opera.

    (Daniele Scalea, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 3/2005)

  4. #24
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  5. #25
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    "Il Ribelle è deciso ad opporre Resistenza. Il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata"
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    Citazione Originariamente Scritto da Eginardo Visualizza Messaggio
    Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all'insegna del Veltro, pp. 142, € 15,00


    L'Autore di questo libro - che i lettori senz'altro conosceranno come assiduo collaboratore di "Eurasia" - è un filosofo d'orientamento marxista, il quale ha voluto abbandonare ogni preconcetto suggeritogli dal duplice carattere della sua formazione contro la geopolitica. Preve ha preso atto della svolta epocale determinata dal crollo dell'Unione Sovietica - che rappresentò, nel contempo, la fine del comunismo storico e l’inaugurazione dell'unipolarismo geopolitico -, e ha deciso d'affrontare le sfide del nuovo secolo e del nuovo millennio accettando anche strumenti estranei alla sua precedente esperienza teorica. Egli stesso ha confessato di «attribuire soggettivamente una certa importanza» a questo saggio, dal momento che - mi permetto d'interpretare il suo pensiero - esso simboleggia (e motiva a chiare lettere) il riconoscimento da parte dell'Autore della geopolitica come scienza funzionale alla comprensione della realtà, e dell'eurasiatismo come risposta geopolitica alle numerose questioni imposte dal nuovo ordine mondiale unipolare. La presenza di tale scelta aleggia in ogni pagina del saggio, per via del pesante significato ch'essa può assumere nello scenario politico europeo (e italiano in particolare) contemporaneo. La fine del bipolarismo mondiale e del comunismo storico (Preve rimarca più e più volte quelli che ne considera gli estremi anagrafici: 1917-1991) ha sconvolto il panorama della sinistra radicale (istituzionale e non) europea, costringendola a cercare una nuova strada; alcuni, come l'Autore, hanno scelto di rimanere fedeli all'ideale d'un mondo diverso e migliore, continuando a perseguirlo quale proprio obiettivo (non tutti col realismo di Preve, naturalmente), altri - che sono i più - dalla «utopia sociologica monoclassista proletaria» sono passati armi e bagagli alla sua antitesi, «l'individualismo postborghese ed ultracapitalistico».
    Ho potuto in questo caso avvalermi di citazioni tratte dall'opera, poiché tale «rovesciamento dialettico» (come eufemisticamente lo definisce l'Autore) è una delle due tipologie del «nichilismo» contemporaneo (l'altra è «l'accettazione dell'americanismo come compimento destinale inesorabile della storia millenaria dell'Occidente») analizzate nei primi due capitoli di Filosofia e geopolitica, capitoli che ne costituiscono la parte "filosofica". Secondo Preve la filosofia e la geopolitica - apparentemente così lontane tra loro - s'incontrano per necessità, costrette dal novello monismo ideologico che tenta d'imporsi come "pensiero unico": è quello che l'Autore chiama «americanismo». Lo scenario filosofico del XXI secolo è dominato dal «nichilismo» o, meglio, «da una variante specifica e irripetibile di nichilismo, in cui dell'Essere appunto non è più nulla, e questa distruzione non solo della "metafisica" (termine con cui impropriamente si indica il riferimento trascendente e religioso dei valori etici e politici) ma anche della "ontologia" (termine che indica invece in modo abbastanza corretto la fondazione razionalistica dei valori individuali e sociali in una visione dialogica condivisa della natura umana e del suo destino storico) è vista come un grande progresso civile, umano e scientifico» (pag. 15). In quest'ottica, Preve conduce una serrata critica dell'escatologismo nordamericano, e in generale d'ogni lettura teleologica della storia dell'Occidente. Ma particolarmente interessante è il secondo capitolo, quello nel quale, tentando di spiegare le ragioni del già citato «rovesciamento dialettico» dal marxismo all'americanismo, riprende e sviluppa un discorso iniziato nel capitolo precedente sui caratteri della società statunitense. Egli ne riconosce due aspetti fondamentali (che riescono a esercitare fascino sulle altre culture): «il suo segreto sociale massimo e principalissimo nell'essere un capitalismo senza classi sociali» (pag. 16), e l'essenza di «spazio geografico, storico e simbolico di "possibilità illimitate" di tipo individuale» (pag. 30). Il primo elemento, in particolare, costituisce una teoria originale e affascinante, cui Preve dedica molto spazio individuandola come spinta fondamentale al passaggio dal marxismo all'americanismo.
    La seconda parte dell'opera è quella dichiaratamente "geopolitica". Qui l'Autore sviluppa in via (suppongo) definitiva la sua indagine condotta con «metodo contrastivo» (fattore che ne determina l'originalità) sulle ipotesi "eurocentrica", "euroatlantica" ed "eurasiatica". Preve considera la prima teoria vanificata dal «doppio suicidio dell'Europa», cioè dalle due guerre mondiali; ad ogni modo, egli non nasconde una certa attrazione per l'europeismo, individuandone il principale e migliore sostenitore nel Generale de Gaulle, il quale «crede nella Francia [...] ma sa anche bene che la Francia non può e non deve pretendere di essere "superiore" alla Germania e alla Russia, perché sulla base di una pretesa di superiorità non si può costruire una vera e propria "Europa delle nazioni"» (pag. 81), nella quale lo stesso Preve afferma di credere, a patto che si sviluppi «in simbiosi con l'euroasiatismo» (pag. 82). L'analisi dell'ipotesi euroatlantica offre invece l'occasione d'osservare più nello specifico il fenomeno dell'americanismo. L'Autore distingue tra un "americanismo interno" ed un "americanismo esterno". L'americanismo interno, «o americanismo rivolto esclusivamente al popolo eletto degli Stati Uniti d'America, è una ideologia messianica di una missione speciale assegnata dal Dio biblico veterotestamentario protestantico-sionista ad un popolo specifico, e solo a quello» (pag. 86). L'altro è invece l'americanismo «di esportazione», che si manifesta diversamente nel mondo, dovendosi adattare alle culture locali per plasmarle secondo «un modello di esportazione di un capitalismo individuale dei consumi (ovviamente diversi per livello di reddito e di potere d'acquisto), e non di un capitalismo gerarchizzato delle classi e dei ceti». La sua forza - prosegue Preve - «è anche di porsi integralmente al di là dell'obsoleta dicotomia europea fra Destra e Sinistra, in quanto ha metabolizzato nella sua identità sia elementi di destra che di sinistra, e cioè la competizione agonale (destra) e l'egualitarismo culturale (sinistra)» (pag. 87). Essendo da oltre un decennio decaduti i presupposti dell'impari "alleanza atlantica", l'Autore si chiede da dove nasca «questo scandaloso "servilismo autonomo"», e per darsi una risposta - fermi restando i due elementi di cui sopra - compie un veloce excursus sulle principali culture politiche nazionali dell'Europa. Viene ultima, ma non perciò meno importante, la trattazione dell'ipotesi eurasiatica, il cui principale argomento è che «mentre l'americanismo, a causa del suo carattere messianico ed espansivo, mette in mortale pericolo l'identità culturale europea, questo non avviene per l'eurasiatismo, perché la Russia (che fa comunque parte integrante dell'Europa, sia pure con alcune modalità particolari), e ancor più la Cina, l'India, i paesi dell'Asia Centrale e il Giappone non sono dotati di una natura "cannibalica" espansiva, e possono diventare partners eguali e non diseguali dell'Europa» (pag. 107). Questo quinto ed ultimo capitolo si chiude con una vera e propria (benché sintetica) disamina delle possibilità geopolitiche d'un blocco continentale, condotta con grande oggettività e realismo, nonché con una competenza per certi versi inaspettata in un filosofo. Concludono l'opera un epilogo e una nota bibliografica generale sviluppata in forma discorsiva.
    Filosofia e geopolitica è un saggio prevalentemente orientato verso il primo di questi due ambiti - cosa che non è né sorprendente né spiacevole, essendo l'Autore un noto studioso di filosofia. Questo fatto, e alcuni brani citati nel corso della recensione, potrebbero far pensare all'opera come a un libro molto specialistico e complesso, adatto solo agli addetti ai lavori. Ciò sarebbe errato, poiché - per quanto una competenza almeno di base in materia filosofica aiuti nella comprensione - Costanzo Preve possiede la dote di esprimersi in un linguaggio piano, semplice e lineare, senza eccessi formali o d'erudizione, e di tale dote fa un ampio uso in questo saggio. Esso, inoltre, è condito di frequenti e stimolanti disgressioni - sempre funzionali al discorso centrale e mai dispersive - e d'una buona dose d'ironia, capace di rendere ancora più piacevole la lettura dell'opera.

    (Daniele Scalea, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 3/2005)
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  6. #26
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    Citazione Originariamente Scritto da Eginardo Visualizza Messaggio
    Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all'insegna del Veltro, pp. 142, € 15,00


    L'Autore di questo libro - che i lettori senz'altro conosceranno come assiduo collaboratore di "Eurasia" - è un filosofo d'orientamento marxista, il quale ha voluto abbandonare ogni preconcetto suggeritogli dal duplice carattere della sua formazione contro la geopolitica. Preve ha preso atto della svolta epocale determinata dal crollo dell'Unione Sovietica - che rappresentò, nel contempo, la fine del comunismo storico e l’inaugurazione dell'unipolarismo geopolitico -, e ha deciso d'affrontare le sfide del nuovo secolo e del nuovo millennio accettando anche strumenti estranei alla sua precedente esperienza teorica. Egli stesso ha confessato di «attribuire soggettivamente una certa importanza» a questo saggio, dal momento che - mi permetto d'interpretare il suo pensiero - esso simboleggia (e motiva a chiare lettere) il riconoscimento da parte dell'Autore della geopolitica come scienza funzionale alla comprensione della realtà, e dell'eurasiatismo come risposta geopolitica alle numerose questioni imposte dal nuovo ordine mondiale unipolare. La presenza di tale scelta aleggia in ogni pagina del saggio, per via del pesante significato ch'essa può assumere nello scenario politico europeo (e italiano in particolare) contemporaneo. La fine del bipolarismo mondiale e del comunismo storico (Preve rimarca più e più volte quelli che ne considera gli estremi anagrafici: 1917-1991) ha sconvolto il panorama della sinistra radicale (istituzionale e non) europea, costringendola a cercare una nuova strada; alcuni, come l'Autore, hanno scelto di rimanere fedeli all'ideale d'un mondo diverso e migliore, continuando a perseguirlo quale proprio obiettivo (non tutti col realismo di Preve, naturalmente), altri - che sono i più - dalla «utopia sociologica monoclassista proletaria» sono passati armi e bagagli alla sua antitesi, «l'individualismo postborghese ed ultracapitalistico».
    Ho potuto in questo caso avvalermi di citazioni tratte dall'opera, poiché tale «rovesciamento dialettico» (come eufemisticamente lo definisce l'Autore) è una delle due tipologie del «nichilismo» contemporaneo (l'altra è «l'accettazione dell'americanismo come compimento destinale inesorabile della storia millenaria dell'Occidente») analizzate nei primi due capitoli di Filosofia e geopolitica, capitoli che ne costituiscono la parte "filosofica". Secondo Preve la filosofia e la geopolitica - apparentemente così lontane tra loro - s'incontrano per necessità, costrette dal novello monismo ideologico che tenta d'imporsi come "pensiero unico": è quello che l'Autore chiama «americanismo». Lo scenario filosofico del XXI secolo è dominato dal «nichilismo» o, meglio, «da una variante specifica e irripetibile di nichilismo, in cui dell'Essere appunto non è più nulla, e questa distruzione non solo della "metafisica" (termine con cui impropriamente si indica il riferimento trascendente e religioso dei valori etici e politici) ma anche della "ontologia" (termine che indica invece in modo abbastanza corretto la fondazione razionalistica dei valori individuali e sociali in una visione dialogica condivisa della natura umana e del suo destino storico) è vista come un grande progresso civile, umano e scientifico» (pag. 15). In quest'ottica, Preve conduce una serrata critica dell'escatologismo nordamericano, e in generale d'ogni lettura teleologica della storia dell'Occidente. Ma particolarmente interessante è il secondo capitolo, quello nel quale, tentando di spiegare le ragioni del già citato «rovesciamento dialettico» dal marxismo all'americanismo, riprende e sviluppa un discorso iniziato nel capitolo precedente sui caratteri della società statunitense. Egli ne riconosce due aspetti fondamentali (che riescono a esercitare fascino sulle altre culture): «il suo segreto sociale massimo e principalissimo nell'essere un capitalismo senza classi sociali» (pag. 16), e l'essenza di «spazio geografico, storico e simbolico di "possibilità illimitate" di tipo individuale» (pag. 30). Il primo elemento, in particolare, costituisce una teoria originale e affascinante, cui Preve dedica molto spazio individuandola come spinta fondamentale al passaggio dal marxismo all'americanismo.
    La seconda parte dell'opera è quella dichiaratamente "geopolitica". Qui l'Autore sviluppa in via (suppongo) definitiva la sua indagine condotta con «metodo contrastivo» (fattore che ne determina l'originalità) sulle ipotesi "eurocentrica", "euroatlantica" ed "eurasiatica". Preve considera la prima teoria vanificata dal «doppio suicidio dell'Europa», cioè dalle due guerre mondiali; ad ogni modo, egli non nasconde una certa attrazione per l'europeismo, individuandone il principale e migliore sostenitore nel Generale de Gaulle, il quale «crede nella Francia [...] ma sa anche bene che la Francia non può e non deve pretendere di essere "superiore" alla Germania e alla Russia, perché sulla base di una pretesa di superiorità non si può costruire una vera e propria "Europa delle nazioni"» (pag. 81), nella quale lo stesso Preve afferma di credere, a patto che si sviluppi «in simbiosi con l'euroasiatismo» (pag. 82). L'analisi dell'ipotesi euroatlantica offre invece l'occasione d'osservare più nello specifico il fenomeno dell'americanismo. L'Autore distingue tra un "americanismo interno" ed un "americanismo esterno". L'americanismo interno, «o americanismo rivolto esclusivamente al popolo eletto degli Stati Uniti d'America, è una ideologia messianica di una missione speciale assegnata dal Dio biblico veterotestamentario protestantico-sionista ad un popolo specifico, e solo a quello» (pag. 86). L'altro è invece l'americanismo «di esportazione», che si manifesta diversamente nel mondo, dovendosi adattare alle culture locali per plasmarle secondo «un modello di esportazione di un capitalismo individuale dei consumi (ovviamente diversi per livello di reddito e di potere d'acquisto), e non di un capitalismo gerarchizzato delle classi e dei ceti». La sua forza - prosegue Preve - «è anche di porsi integralmente al di là dell'obsoleta dicotomia europea fra Destra e Sinistra, in quanto ha metabolizzato nella sua identità sia elementi di destra che di sinistra, e cioè la competizione agonale (destra) e l'egualitarismo culturale (sinistra)» (pag. 87). Essendo da oltre un decennio decaduti i presupposti dell'impari "alleanza atlantica", l'Autore si chiede da dove nasca «questo scandaloso "servilismo autonomo"», e per darsi una risposta - fermi restando i due elementi di cui sopra - compie un veloce excursus sulle principali culture politiche nazionali dell'Europa. Viene ultima, ma non perciò meno importante, la trattazione dell'ipotesi eurasiatica, il cui principale argomento è che «mentre l'americanismo, a causa del suo carattere messianico ed espansivo, mette in mortale pericolo l'identità culturale europea, questo non avviene per l'eurasiatismo, perché la Russia (che fa comunque parte integrante dell'Europa, sia pure con alcune modalità particolari), e ancor più la Cina, l'India, i paesi dell'Asia Centrale e il Giappone non sono dotati di una natura "cannibalica" espansiva, e possono diventare partners eguali e non diseguali dell'Europa» (pag. 107). Questo quinto ed ultimo capitolo si chiude con una vera e propria (benché sintetica) disamina delle possibilità geopolitiche d'un blocco continentale, condotta con grande oggettività e realismo, nonché con una competenza per certi versi inaspettata in un filosofo. Concludono l'opera un epilogo e una nota bibliografica generale sviluppata in forma discorsiva.
    Filosofia e geopolitica è un saggio prevalentemente orientato verso il primo di questi due ambiti - cosa che non è né sorprendente né spiacevole, essendo l'Autore un noto studioso di filosofia. Questo fatto, e alcuni brani citati nel corso della recensione, potrebbero far pensare all'opera come a un libro molto specialistico e complesso, adatto solo agli addetti ai lavori. Ciò sarebbe errato, poiché - per quanto una competenza almeno di base in materia filosofica aiuti nella comprensione - Costanzo Preve possiede la dote di esprimersi in un linguaggio piano, semplice e lineare, senza eccessi formali o d'erudizione, e di tale dote fa un ampio uso in questo saggio. Esso, inoltre, è condito di frequenti e stimolanti disgressioni - sempre funzionali al discorso centrale e mai dispersive - e d'una buona dose d'ironia, capace di rendere ancora più piacevole la lettura dell'opera.

    (Daniele Scalea, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 3/2005)
    contro ogni americanismo....

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    Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all'insegna del Veltro, pp. 142, € 15,00


    L'Autore di questo libro - che i lettori senz'altro conosceranno come assiduo collaboratore di "Eurasia" - è un filosofo d'orientamento marxista, il quale ha voluto abbandonare ogni preconcetto suggeritogli dal duplice carattere della sua formazione contro la geopolitica. Preve ha preso atto della svolta epocale determinata dal crollo dell'Unione Sovietica - che rappresentò, nel contempo, la fine del comunismo storico e l’inaugurazione dell'unipolarismo geopolitico -, e ha deciso d'affrontare le sfide del nuovo secolo e del nuovo millennio accettando anche strumenti estranei alla sua precedente esperienza teorica. Egli stesso ha confessato di «attribuire soggettivamente una certa importanza» a questo saggio, dal momento che - mi permetto d'interpretare il suo pensiero - esso simboleggia (e motiva a chiare lettere) il riconoscimento da parte dell'Autore della geopolitica come scienza funzionale alla comprensione della realtà, e dell'eurasiatismo come risposta geopolitica alle numerose questioni imposte dal nuovo ordine mondiale unipolare. La presenza di tale scelta aleggia in ogni pagina del saggio, per via del pesante significato ch'essa può assumere nello scenario politico europeo (e italiano in particolare) contemporaneo. La fine del bipolarismo mondiale e del comunismo storico (Preve rimarca più e più volte quelli che ne considera gli estremi anagrafici: 1917-1991) ha sconvolto il panorama della sinistra radicale (istituzionale e non) europea, costringendola a cercare una nuova strada; alcuni, come l'Autore, hanno scelto di rimanere fedeli all'ideale d'un mondo diverso e migliore, continuando a perseguirlo quale proprio obiettivo (non tutti col realismo di Preve, naturalmente), altri - che sono i più - dalla «utopia sociologica monoclassista proletaria» sono passati armi e bagagli alla sua antitesi, «l'individualismo postborghese ed ultracapitalistico».
    Ho potuto in questo caso avvalermi di citazioni tratte dall'opera, poiché tale «rovesciamento dialettico» (come eufemisticamente lo definisce l'Autore) è una delle due tipologie del «nichilismo» contemporaneo (l'altra è «l'accettazione dell'americanismo come compimento destinale inesorabile della storia millenaria dell'Occidente») analizzate nei primi due capitoli di Filosofia e geopolitica, capitoli che ne costituiscono la parte "filosofica". Secondo Preve la filosofia e la geopolitica - apparentemente così lontane tra loro - s'incontrano per necessità, costrette dal novello monismo ideologico che tenta d'imporsi come "pensiero unico": è quello che l'Autore chiama «americanismo». Lo scenario filosofico del XXI secolo è dominato dal «nichilismo» o, meglio, «da una variante specifica e irripetibile di nichilismo, in cui dell'Essere appunto non è più nulla, e questa distruzione non solo della "metafisica" (termine con cui impropriamente si indica il riferimento trascendente e religioso dei valori etici e politici) ma anche della "ontologia" (termine che indica invece in modo abbastanza corretto la fondazione razionalistica dei valori individuali e sociali in una visione dialogica condivisa della natura umana e del suo destino storico) è vista come un grande progresso civile, umano e scientifico» (pag. 15). In quest'ottica, Preve conduce una serrata critica dell'escatologismo nordamericano, e in generale d'ogni lettura teleologica della storia dell'Occidente. Ma particolarmente interessante è il secondo capitolo, quello nel quale, tentando di spiegare le ragioni del già citato «rovesciamento dialettico» dal marxismo all'americanismo, riprende e sviluppa un discorso iniziato nel capitolo precedente sui caratteri della società statunitense. Egli ne riconosce due aspetti fondamentali (che riescono a esercitare fascino sulle altre culture): «il suo segreto sociale massimo e principalissimo nell'essere un capitalismo senza classi sociali» (pag. 16), e l'essenza di «spazio geografico, storico e simbolico di "possibilità illimitate" di tipo individuale» (pag. 30). Il primo elemento, in particolare, costituisce una teoria originale e affascinante, cui Preve dedica molto spazio individuandola come spinta fondamentale al passaggio dal marxismo all'americanismo.
    La seconda parte dell'opera è quella dichiaratamente "geopolitica". Qui l'Autore sviluppa in via (suppongo) definitiva la sua indagine condotta con «metodo contrastivo» (fattore che ne determina l'originalità) sulle ipotesi "eurocentrica", "euroatlantica" ed "eurasiatica". Preve considera la prima teoria vanificata dal «doppio suicidio dell'Europa», cioè dalle due guerre mondiali; ad ogni modo, egli non nasconde una certa attrazione per l'europeismo, individuandone il principale e migliore sostenitore nel Generale de Gaulle, il quale «crede nella Francia [...] ma sa anche bene che la Francia non può e non deve pretendere di essere "superiore" alla Germania e alla Russia, perché sulla base di una pretesa di superiorità non si può costruire una vera e propria "Europa delle nazioni"» (pag. 81), nella quale lo stesso Preve afferma di credere, a patto che si sviluppi «in simbiosi con l'euroasiatismo» (pag. 82). L'analisi dell'ipotesi euroatlantica offre invece l'occasione d'osservare più nello specifico il fenomeno dell'americanismo. L'Autore distingue tra un "americanismo interno" ed un "americanismo esterno". L'americanismo interno, «o americanismo rivolto esclusivamente al popolo eletto degli Stati Uniti d'America, è una ideologia messianica di una missione speciale assegnata dal Dio biblico veterotestamentario protestantico-sionista ad un popolo specifico, e solo a quello» (pag. 86). L'altro è invece l'americanismo «di esportazione», che si manifesta diversamente nel mondo, dovendosi adattare alle culture locali per plasmarle secondo «un modello di esportazione di un capitalismo individuale dei consumi (ovviamente diversi per livello di reddito e di potere d'acquisto), e non di un capitalismo gerarchizzato delle classi e dei ceti». La sua forza - prosegue Preve - «è anche di porsi integralmente al di là dell'obsoleta dicotomia europea fra Destra e Sinistra, in quanto ha metabolizzato nella sua identità sia elementi di destra che di sinistra, e cioè la competizione agonale (destra) e l'egualitarismo culturale (sinistra)» (pag. 87). Essendo da oltre un decennio decaduti i presupposti dell'impari "alleanza atlantica", l'Autore si chiede da dove nasca «questo scandaloso "servilismo autonomo"», e per darsi una risposta - fermi restando i due elementi di cui sopra - compie un veloce excursus sulle principali culture politiche nazionali dell'Europa. Viene ultima, ma non perciò meno importante, la trattazione dell'ipotesi eurasiatica, il cui principale argomento è che «mentre l'americanismo, a causa del suo carattere messianico ed espansivo, mette in mortale pericolo l'identità culturale europea, questo non avviene per l'eurasiatismo, perché la Russia (che fa comunque parte integrante dell'Europa, sia pure con alcune modalità particolari), e ancor più la Cina, l'India, i paesi dell'Asia Centrale e il Giappone non sono dotati di una natura "cannibalica" espansiva, e possono diventare partners eguali e non diseguali dell'Europa» (pag. 107). Questo quinto ed ultimo capitolo si chiude con una vera e propria (benché sintetica) disamina delle possibilità geopolitiche d'un blocco continentale, condotta con grande oggettività e realismo, nonché con una competenza per certi versi inaspettata in un filosofo. Concludono l'opera un epilogo e una nota bibliografica generale sviluppata in forma discorsiva.
    Filosofia e geopolitica è un saggio prevalentemente orientato verso il primo di questi due ambiti - cosa che non è né sorprendente né spiacevole, essendo l'Autore un noto studioso di filosofia. Questo fatto, e alcuni brani citati nel corso della recensione, potrebbero far pensare all'opera come a un libro molto specialistico e complesso, adatto solo agli addetti ai lavori. Ciò sarebbe errato, poiché - per quanto una competenza almeno di base in materia filosofica aiuti nella comprensione - Costanzo Preve possiede la dote di esprimersi in un linguaggio piano, semplice e lineare, senza eccessi formali o d'erudizione, e di tale dote fa un ampio uso in questo saggio. Esso, inoltre, è condito di frequenti e stimolanti disgressioni - sempre funzionali al discorso centrale e mai dispersive - e d'una buona dose d'ironia, capace di rendere ancora più piacevole la lettura dell'opera.

    (Daniele Scalea, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 3/2005)


    Dalla quarta di copertina:





    La filosofia, sapere universalistico del fondamento veritativo della conoscenza umana senza frontiere, e la geopolitica, sapere strategico dei rapporti di forza tra nazioni e continenti, sembrano non potersi incontrare mai a causa della differenza radicale del loro metodo e del loro oggetto. Se però in questo tormentato inizio di XXI secolo esse sembrano invece doversi incontrare, ciò avviene per una presenza inquietante fino ad ora inedita nella storia umana, la presenza di un impero militare americano che aspira al dominio mondiale in base ad una presunta “missione speciale” conferitagli da una inverificabile investitura biblica veterotestamentaria. Questo pericolo per l’esistenza autonoma delle nazioni e dei popoli pone allora anche un problema filosofico, reso ancora più acuto dalle recenti dissoluzioni degli universalismi “borghesi” e “proletari” di origine europea.
    In questo quadro fortemente filosofico questo saggio esamina separatamente le tre ipotesi geopolitiche di tipo eurocentrico, euroatlantico ed infine eurasiatico. L’ipotesi eurocentrica non è priva in sé di qualche fondamento, ma appare per molti aspetti insufficiente, narcisistica e ripiegata su se stessa. L’ipotesi euroatlantica, oggi egemone nelle classi politiche ed intellettuali europee, appare viziata dal rifiuto assoluto degli USA di accettare una parità di dignità politica, militare e culturale, e coincide di fatto con la sparizione progressiva dell’identità europea.
    L’ipotesi eurasiatica appare così la migliore, perché i principali soggetti coinvolti in questa ipotesi (mondo musulmano, Russia e Cina in particolare, ma non solo) sono disposti a collaborare sulla base dell’accettazione sincera della parità di dignità politica, militare e culturale fra i contraenti. In questo modo l’ipotesi eurasiatica non è solo affermata a priori, ma viene difesa con un metodo “contrastivo” razionale e dialogico.






    Costanzo Preve (1943) ha studiato scienze politiche, filosofia e neoellenistica nelle università di Torino, Parigi e Atene. Insegnante per trentacinque anni nella scuola secondaria superiore, è autore di numerosi volumi ed articoli di argomento filosofico, storico e politico, pubblicati in Italia ed altrove.

  8. #28
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    Costanzo Preve è uno dei migliori filosofi contemporanei. ed infatti è osteggiato sia dall'estrema destra che dall'estrema sinistra!

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    Tiberio Graziani, PREFAZIONE a:
    Costanzo Preve, FILOSOFIA E GEOPOLITICA



    Il saggio Filosofia e geopolitica che qui presentiamo è un primo risultato di un “ragionamento” filosofico, ancora in corso di svolgimento, che Costanzo Preve, filosofo di formazione marxista, riserva alla geopolitica quale disciplina tornata di attualità con la fine del duopolio USA-URSS e la parodistica autocandidatura dell’iperpotenza d’oltreoceano al rango di domina gentium.
    Come il lettore potrà constatare sin dal Prologo, Filosofia e geopolitica non tratta le influenze che le due materie potrebbero esercitare reciprocamente l’una sull’altra, né le possibili ed eventuali filosofie o modalità di pensiero che sarebbero alla base della geopolitica o ne costituirebbero l’impianto concettuale (1); tanto meno il saggio prende in considerazione la connessione tra la filosofia quale critica razionale dell’ideologia e la geopolitica quale disciplina e pratica a-ideologica.
    Ciò che origina la riflessione di Preve, e maggiormente lo preoccupa come filosofo, è la oggettiva e pertanto condivisibile constatazione del fatto che l’attuale espansione economica e militare degli USA, vale a dire l’esplicazione storica della sua dottrina geopolitica, comporta altresì l’espansione della forma di pensiero e di vita che contraddistingue l’imperialismo nordamericano, il cosiddetto americanismo, con il rischio concreto dell’uniformazione globale del pensiero unico di tipo americanista. Tale uniformazione, una volta compiutamente realizzatasi, secondo Preve attenterebbe alla ricerca dialogica, propria della filosofia, in quanto ne eliminerebbe le differenze particolari che la alimentano.
    Preve non prende in esame le eventuali differenze che potrebbero prodursi in un universo completamente adeguato all’americanismo e che, dunque, in via teorica potrebbero generare nuove tensioni dialettiche e tradursi in una nuova pratica dialogica razionale.
    Non le prende in esame perché il suo punto di partenza, e cioè il suo “scenario filosofico”, è quello del nichilismo - o meglio di una sua variante, che il nostro Autore reputa particolare e irripetibile, diversa da quella delineata da Nietzsche, ormai, a suo parere, tramontata come categoria filosofica - che si esprime ed afferma, quale nuova hybris postmoderna, mediante l’aspirazione della merce capitalistica alla omologazione globalizzata mondiale, e che è storicamente e socialmente espressa più o meno compiutamente dall’Occidente americanocentrico. Una risposta a tale situazione epocale è possibile e doverosa allora soltanto attraverso il contenimento del dilagamento della ambizione statunitense a governare l’intero pianeta e ad imporre su di esso un unico sistema di pensiero.
    Tale contenimento o resistenza, per potersi declinare in una efficace strategia, necessita nondimeno dell’analisi razionale (e filosofica) degli scenari geopolitici eurocentrico ed eurasiatico, per verificarne l’alterità e l’attuabilità rispetto a quello euroatlantico. Risulta evidente che l’ipotesi eurasiatica è certamente quella più promettente e risolutiva della questione filosofica posta dalla potenziale uniformazione globale all’americanismo.
    La particolare prospettiva filosofica assunta in questo saggio dall’Autore, cioè la salvaguardia della filosofia stessa, quindi del suo oggetto, del suo metodo e della sua pratica, riserva alla riflessione intorno alla geopolitica e dunque alla analisi geopolitica nel suo aspetto predittivo, un ruolo esclusivamente “strumentale”, pragmatico nonché accidentale (perché causato dal processo in corso d’opera di uniformazione all’americanismo dell’intero globo) e, dunque, storicisticamente necessario e giustificato, finalizzato alla legittima difesa.
    La geopolitica quale disciplina - o meglio, in questo caso - quale complesso sistema multidisciplinare, si presta a tale “strumentalizzazione”, poiché essa è certamente, nel suo aspetto “operativo”, “prassi prima di essere dottrina” (2); tuttavia occorre precisare (ed è proprio Preve a darcene l’opportunità allorché afferma, a ragione, che l’ideologia americana si autointerpreta come luogo della possibilità illimitata) che l’illimitatezza delle possibilità individuali, non solo esprime – filosoficamente - un aspetto dell’attuale nichilismo, la negazione dello spazio (lo spazio simbolico delle possibilità individuali illimitate non tollera l’alto e il basso, ma solo la libera fluttuazione infinita, scrive acutamente Preve), e dunque di orientamento e di gerarchia, rendendolo più compiuto, ma anche – secondo una prospettiva “speculativa” della geopolitica – esprime la continua erosione e ridefinizione del concetto di limite, confine, frontiera; continua erosione che, costituendo la cifra che connota e qualifica le dottrine geopolitiche nordamericane, ha votato la repubblica statunitense a un destino espansionista sin dalla sua nascita (rivoluzione del 1776). A tal riguardo si considerino criticamente la mitopoiesi del Far West, la Dottrina Monroe (1823), il Manifest Destiny (1845), la dottrina della Porta aperta (1899-1900), il corollario rooseveltiano del 1905 alla Dottrina Monroe, la Dottrina Wilson, la Dottrina Truman, fino ad arrivare ai nostri giorni con le pratiche geopolitiche attuate dalle amministrazioni Carter, Reagan, Bush senior, Clinton e Bush junior, finalizzate alla edificazione del New World Order.
    Tutte le dottrine sopra citate a mo’ di esempio sono contrassegnate da un’espansionismo vorace, fine a se stesso e non giustificabile da alcuna reale necessità “geopolitica” (rapporto popolazione / estensione territoriale; risorse naturali / popolazione; salvaguardia del proprio spazio vitale; eccetera), ma razionalmente comprensibili se decifrate attraverso la chiave di lettura che Preve ci offre e ci induce a sviluppare. Queste dottrine infatti traducono in atto, nel contesto geopolitico, proprio la illimitatezza individuata da Preve, e codificano il concetto pratico di “frontiera mobile” (3).
    Se sul piano speculativo la corruzione concettuale del limite in quanto misura, già intuita da Nietzsche nella sua descrizione della modernità (4), comporta contemporaneamente e logicamente la corruzione della forma (un suo annichilamento), su quello, più pratico, delle relazioni tra stato e stato, tra nazione e nazione, tra organizzazione umana e organizzazione umana, tra uomo e uomo tale corruzione rende impossibile la costruzione di un rapporto basato sulla appartenenza, sulla distribuzione e dunque sulla regola, in definitiva sul nomos schmittianamente inteso (5). Da qui la incapacità dell’imperialismo (6) statunitense a fondare un nuovo ordine internazionale, nonché la sua illegittimità a pretenderlo e la sua responsabilità quale elemento di perturbazione permanente a livello globale.
    Il disfacimento concettuale del limite, declinantesi geopoliticamente in frontiera mobile e negazione del confine e della forma politica e sociale, e la “liberalizzazione” dello spazio, posta quale principio delle dottrine geopolitiche nordamericane, non sono esclusive degli Stati Uniti, (benché in esse paiano sostanziarsi in forma più compiuta), ma si riscontrano nella prassi di tutte le potenze che hanno posto a fondamento della propria Weltanschauung e del proprio sviluppo l’aspetto commerciale ed economico dell’esistenza ed hanno, a tal fine, privilegiato quale “luogo” ideale il mare (lo spazio fluido), operando in tal modo una contrapposizione irriducibile all’interno del rapporto tra mare e terra.
    A tal proposito, è doveroso qui registrare, poiché trattiamo di un saggio “filosofico”, che la riduzione all’aspetto economico dell’intera esistenza, vale a dire all’aspetto materiale - misurabile e quantificabile -, è rintracciabile, nell’ambito della cultura antica, quale deviazione (7) dal corretto intendimento di ratio e di limes. Una deviazione che ha costituito, nel suo processo storico di “compimento” e di “uniformazione” dell’esistente, una progressiva e manifesta dissoluzione del suo stesso senso, fino ad arrivare alla negazione della filosofia e della razionalità stessa.
    È su questo tema della razionalità - che spesso, a nostro parere, viene evocata da Costanzo Preve quale criterio di confronto “egualitario” - che auspichiamo un suo corollario a Filosofia e Geopolitica.


    Tiberio Graziani



    1) Un impianto concettuale singolarmente assai ricco, se si pensa che, come scrive il geopolitico nonché segretario del Partito comunista russo, Gennadij Zjuganov, la “geopolitica in quanto scienza è nata a cavallo dei secoli XIX e XX e alla confluenza di tre approcci scientifici: la concezione morfologica del divenire storico, le diverse teorie basate sul determinismo geografico e gli studi strategici militari. Le caratteristiche peculiari di queste fonti della geopolitica definiscono la specificità dell’oggetto di quest’ultima e il suo apparato concettuale”. (G. Zjuganov, Il futuro geopolitico della Russia, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. II, n. 2, aprile-giugno 2005).
    2) “La geopolitica è prassi prima di essere dottrina; i popoli che la praticano non la studiano; però quelli che la studiano potrebbero essere indotti a praticarla: è perciò logico che i popoli che la praticano impediscano agli altri di studiarla”. (Ernesto Massi, Processo alla Geopolitica, “L’ora d’Italia”, 8 giugno 1947).
    3) “Nella tradizione americana, la frontiera non separa uno Stato dall’altro. Essa separa semplicemente le terre colonizzate dalle terre ignote, ma in cui ci si installerà nel futuro. E’ una frontiera di “popolamento”. Al di qua della frontiera, c’è il mondo americano, l’american way of life. Al di là non c’è un altro mondo, un altro popolo, un altro modo di vita, ma semplicemente il vuoto. Per gli americani, la frontiera delimita così del tutto naturalmente un mondo manicheo in cui i Buoni, (che leggono la Bibbia), castigano i cattivi, aprendo le vie del Signore e del progresso”. (Giorgio Locchi, Alain de Benoist, Il male americano, Lede, Roma 1979, p. 37).
    4) Massimo Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 1994, p.109.
    5) Carl Schmitt, Il Nomos della terra, Adelphi, Milano 1991, p.54 e ss.
    6) Sulla confusione, semantica e concettuale, tra imperialismo e impero e sulla qualificazione “imperiale” attribuita agli Stati Uniti d’America si veda la Postfazione dell’Editore.
    7) Sulle origini della “deviazione occidentale”, come direbbe Guénon, confronta di questo autore le seguenti opere: Oriente e Occidente, La crisi del mondo moderno, e Il Regno della quantità e i segni dei tempi. Il fatto che quest’ultimo libro di Guénon indichi fra i tratti caratteristici dell’epoca attuale “la falsificazione di tutte le cose”(Adelphi, Milano 1995, p. 205) ci offre il destro per rilevare come, tra le nozioni geopolitiche, sia in particolare quella di impero ad essere oggetto di una parodistica contraffazione, sicché è diventata quasi generale la confusione tra “imperiale” e “imperialistico”. L’impero, se vogliamo restituire alla parola il significato che ad essa compete, non è soltanto “il più grande corpo politico conosciuto dall’uomo” (Philippe Richardot, Les grandes empires. Histoire et géopolitique, Marketing, Paris 2003, p. 5): a caratterizzarlo in maniera essenziale è la funzione regolatrice e anagogica che esso svolge, funzione che corrisponde a una visione spirituale condivisa dai diversi popoli del grande spazio imperiale. Non a caso, infatti, Costanzo Preve applica ripetutamente agli imperi absburgico ed ottomano l’aggettivo “benemerito”, che non è un mero epiteto esornativo, ma un qualificativo intimamente legato al concetto di impero, in quanto ogni autentico impero si acquista merito operando per il bene comune dei suoi popoli. È ovvio dunque che il sistema egemonico statunitense, checché ne dicano Luttwak e Toni Negri, non deve essere definito “imperiale”, bensì “imperialista”, con l’indispensabile aggiunta che l’imperialismo non è solo la “fase suprema del capitalismo”, ma costituisce l’aspetto geopolitico della contraffazione di cui si parlava più sopra. Uno scolastico direbbe perciò che, come Satana è simia Dei, così l’imperialismo è simia imperii. Diciamo tutto ciò per avvertire il lettore che nel sintagma “impero americano”, adoperato talvolta da Preve, bisogna vedere semplicemente una concessione, più o meno involontaria, al linguaggio corrente. Ma non è questa, nel libro, l’unica concessione al linguaggio e al pensiero ufficialmente vigenti. Ad esempio, la posizione storicamente assunta dal nazionalsocialismo nei confronti degli ebrei viene liquidata dall’Autore nei termini di una “metafisica giudeofobica” che avrebbe dato luogo a un “programma sterministico”, anche se poi, in relazione a quest’ultimo punto, Preve dichiara di non voler affatto pregiudicare il lavoro degli storici revisionisti. Porteremmo vasi a Samo (o nottole ad Atene), se citassimo al prof. Preve quei brani del giovane Marx che configurano – quelli sì! – una vera e propria “metafisica” del giudaismo (Karl Marx, La questione ebraica e altri scritti giovanili, Editori Riuniti, Roma 1969 ; oppure: La questione ebraica, Newton Compton, Roma 1975). Il fatto è che Marx, prima ancora di Hitler, ha posto all’ordine del giorno l’esistenza di una Judenfrage, cioè di una “questione” che non può, in omaggio agli idola fori, essere ignorata o scambiata per fobia.

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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Costanzo Preve
    Filosofia e geopolitica
    Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2005
    146 pag., 15 euro

    Il saggio Filosofia e geopolitica di Preve è un volume agile e snello che ha il pregio di coniugare due aspetti fondamentali del sapere quali la geopolitica e la filosofia.
    Articolato in cinque capitoli, il volume si dipana lungo un percorso logico-veritativo che partendo da un’accurata analisi del fenomeno dell’americanismo e dalle sue fonti culturali e sociali, traccia anche una spiegazione del perché in Europa l’americanismo abbia potuto così agevolmente penetrare le coscienze anche grazie ad un rovesciamento dialettico delle idee marxiane.

    L’ideologia americanista si poggia quindi sulla possibilità illimitata di crescita materiale e di consumo dell’individuo che non riconosce la divisione borghesia/proletariato che si è affermata in Europa con la rivoluzione industriale, ma punta sulla possibilità di illimitata proiezione dell’individuo che si innesta su una tradizione biblica puritano-calvinista e che assegna al popolo americano una Missione Speciale nel mondo.
    Per tale motivo, le dicotomie che pallidamente sopravvivono nel Vecchio Continente quali Destra/Sinistra, borghesia/proletariato, peraltro ormai svuotate del tutto dei loro contenuti originari, non si attagliano minimamente ad una società senza classi come quella americana, dove si può solo parlare di una divisione tra dominati e dominanti.
    Queste particolarità rendono gli USA un unicum dal punto di vista della psicologia collettiva di un popolo che spiega anche bene l’impossibilità di conoscere il metron greco, cioè il senso del limite che nella filosofia greca è il fondamento della visione della vita e del mondo.
    L’Europa ha invece tutt’altra storia, ma a parte l’interessante parte dedicata da Preve ad un’attenta analisi del pensiero originario di Marx e alle sue numerose arbitrarie attribuzioni non ultima quella sul «materialismo storico» del suo progetto scientifico che lo stesso Gentile confutò nel lontano 1899, lo spunto molto originale di Preve consiste nel descrivere il suicidio politico che l’Europa ha compiuto con l’inizio della Prima Guerra Mondiale.
    Preve qui ha l’abilità di riportare l’analisi storiografica al nocciolo del problema e di sottrarsi alla strumentale e fuorviante diatriba sulla seconda guerra mondiale, che giustamente l’Autore reputa una diretta conseguenza della prima.
    Il vuoto geopolitico determinato dalla vittoria dell’Intesa con la disgregazione dell’Impero Austroungarico e dell’Impero Ottomano spiegano assai bene le disastrose conseguenze per l’Europa della guerra civile scatenatasi nel 1914 e che proseguirà nel 1939 e che ancora oggi pesa come un macigno sui destini europei.
    Non solo. La prima guerra mondiale – giustamente rileva Preve – è la pietra tombale dell’utopia internazionalista della classe operaia europea che è la prima ad accorrere sotto le insegne dei propri eserciti al momento dello scoppio delle ostilità.
    Questo vero e proprio dramma storico, dicevamo, pesa come un macigno sul presente e sui pallidi tentativi di chi in Europa cerca di affrancarsi dall’euroatlantismo, cioè dal patto di acciaio con gli USA, anche per il ruolo negativo svolto da alcune ideologie come quella nazionalsocialista che, in nome di una visione giudeofobica, ha in realtà causato una catastrofe antieuropea scatenando una guerra intereuropea imperniata su un revanchismo tedesco – diretta conseguenza dell’ingiusto Trattato di Versailles.
    Anche in questo caso Preve è attento a sfuggire alle facili categorie della demonizzazione del fenomeno storico dell’hitlerismo, ma ne esamina attentamente le qualità negative e distruttive per il continente europeo e che fanno sì che ancora nel XXI secolo la Germania sia ostaggio di una sorta di «ricatto morale» che ostacola fortemente il suo fondamentale apporto nello sviluppo di un progetto geopolitico su base eurasiatica.
    Preve invita ad ogni modo il lettore ad andare oltre i residuali steccati ideologici imposti dal Novecento, autentico terreno di macerie, e a non farsi irretire dalle interpretazioni che di esso danno i corifei del «pensiero unico» o «politicamente corretto».
    Ed è proprio su questo tema che andrebbe avviata una seria riflessione da chiunque si accinga a ri-pensare uno spazio eurasiatico che non può basarsi, secondo chi scrive, solo sulla realpolitik o su presunte «volontà di potenza» delle nazioni oggi più forti come la Russia, la Cina, o l’asse franco-tedesco, che mostrano di voler creare un contraltare allo strapotere americano nel mondo.
    Bisogna capire, anche sfuggendo alle regole della geopolitica in senso stretto, su quali basi e di che tipo di «eurasiatismo» stiamo parlando, perché a prima vista un progetto «neutro» viene poi riempito di contenuti i più diversi. Va da sé che le visioni eurasiatiche di una certa estrema destra europea, oltre ad essere storicamente improponibili, sono per Preve da rigettare in toto per gli errati presupposti ideologici e culturali, per la loro impostazione «mitica» e «tradizionalista» che troppe volte cela neonazismi di ritorno di cui non si sente affatto bisogno.
    In realtà l’eurasiatismo di Preve ci sembra essere il riconoscimento della necessità storica di un unione libera delle nazioni europee con la Russia, la Cina, l’India e altre, su base paritaria e cooperativa, allo scopo di fronteggiare l’imperialismo americano che oggi appare nella necessità di produrre il proprio dominio mondiale illimitato così come nella sua concezione culturale ed ideologica, ma anche economica. Una sorta di nuovo Reich millenario.
    Questa unione necessita di molte concause per determinarsi nella realtà: necessita che l’Unione Europea si rafforzi sull’asse franco-tedesco, che le nuove nazioni dell’est che sono entrate a far parte dell’Unione Europea si affranchino dalla tutela degli USA, che l’Inghilterra e l’Italia, ahimè, scelgano l’Europa e non il ruolo di «agenti provocatori» degli USA.
    Molti sono i tasselli che devono essere rimessi al loro posto, ma il panorama non è totalmente negativo. Proprio quest’estate sono avvenuti due fatti di portata storica: il primo è l’avvio di esercitazioni congiunte russo-cinesi che non erano mai avvenute in precedenza, neppure quando i due paesi erano entrambi socialisti, ed il secondo è l’esito della Shangai Cooperation Conference che riunisce Russia, Cina, Iran, India e le repubbliche centrali ex-sovietiche come il Tagikistan, l’Uzbekistan ed altre che hanno chiesto ufficialmente agli USA lo smantellamento delle basi militari nell’area dell’Asia Centrale.
    È un passo importante che pone un freno alle ambiziose mire del Pentagono di costruire una «cintura di sicurezza» intorno alla Cina e di disgregare ulteriormente lo spazio geopolitico russo, ma non è ancora abbastanza, perché l’Europa oggi appare più debole che mai. Ad ogni modo vedremo gli sviluppi.
    In ogni caso, concludo la recensione del volume di Preve, che come al solito unisce chiarezza espositiva e dirompenti riflessioni, con l’augurio che si avvii una seria e profonda analisi di quali contenuti debba possedere una concezione eurasiatica odierna in un ottica socialista e nazionalitaria che funga da anticorpo verso ogni deriva reazionaria che porti a nuovi disastrosi imperialismi suicidi in primo luogo per l’Europa.

    Maurizio Neri



    ARDITI NON GENDARMI

 

 
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