Sulla scrivania di mio nonno, soldato della Grande Guerra e Legionario Fiumano, campeggia tra carte antiche e libri ponderosi un piccolo busto di Dante fuso con il proiettile di un cannone austriaco recuperato dalle trincee di quella stagione che Junger definì splendidamente delle “tempeste d’acciaio”.
Il mio amore per il Padre Dante nasce forse da lì.
Ho sempre considerato Il Divino Poeta e la Sua opera più famosa come il più profondo testamento religioso, politico e spirituale della nostra Razza.
La Divina Commedia è il sacro testo che più di ogni altro inestricabilmente lega e intreccia -con una sapienza più che umana- azione politica, dovere etico e alta spiritualità italica.
La cosa era diffusamente condivisa negli anni ruggenti della Rivoluzione Nazionale.
Durante le ultime fasi della resistenza italico-germanica contro l’invasore slavo-americano l’idea pavoliniana di un’ultima ridotta alpina in Valtellina che avrebbe dovuto riunire -sotto la mistica protezione dell’Urna contenente le ceneri di Dante- per l’ultima volta, per l’ultima battaglia, le Camice Nere del Fascismo assoluto contro la bestiale violenza straniera multirazziale, accese molti cuori.
Dai “Sepolcri” di Foscolo -l’ultimo vero poeta anti napoleonico e il primo anti-mondialista- al Mazzini rivoluzionario,ultranazionalista e “socialista”si traeva l’ultima carica morale di forza ed onore per vendere cara la pelle e creare le premesse per quella “Stalingrad d’Italia” -sempre preconizzata dall’immaginifico Pavolini- che avrebbe dovuto assicurare alla RSI una fine da Crepuscolo degli Dèi.
Molti di coloro che provengono dalle esperienze del neofascismo italiano e si riconnettono in vario modo ai valori e alle gesta della RSI e a quella parte di essa che predicò nei fatti la continuità dell’alleanza con il Reich Germanico in nome di un’ultima difesa dell’Europa Ariana -coscientemente o meno- si rifanno alla più viva tradizione dantesca.
Dante fu l’Araldo implacabile e ultraradicale di un Impero Romano di Nazione Germanica che Egli avrebbe voluto veder sorgere dall’azione del Re tedesco Arrigo VII penetrato in Italia per rivendicare-cingendola nella Città Santa degli Ariani Occidentali- la Sacra Corona che aureola perennemente l’Imperatore del Mondo.
Così non fu e Dante conobbe la sconfitta materiale e dovette sopravvivere in un mondo che non era il suo e che si avviava a divenire la “serva Italia, non più Signora di Provincie, ma bordello”.
Ci avrete fatto caso ma Dante è il meno amato della “cultura” italiana nata dalla “resistenza”.
E'una tappa obbligata a scuola -certo- ma non lascia traccia e i suoi versi più impresentabili vengono completamente ignorati.
C’è della coerenza in questo.
Dante è un razzista dichiarato, un antigiudeo cosciente, un nemico del “fiorino”, un soldato intransigente e un attivista politico che arriva a compiere atti di estrema gravità contro le fazioni nemiche che lo avversano durante il suo breve priorato fiorentino.
Tuttavia ignorare Dante è impossibile e lo dimostra in un modo o nell’altro il fatto che persino attori comici che vanno per la maggiore sono costretti a cercare di nobilitare il proprio vuoto artistico e mentale cercando di attingere -sia pure per scopi inqualificabili- al suo Magistero profetico e poetico.
Naturalmente non potendo descriverlo-nemmeno coi più bassi trucchi storiografici abitualmente utilizzati dalla mafia mondialista che alligna nel mondo dell’arte e della letteratura- come un umanitario poetuccolo piagnucoloso e inoffensivo si tende a valorizzarne l’aspetto -peraltro effettivamente assai potente- mistico e teologico.
Sino a far passare l’idea di un Dante che nella visione estatica di Dio vede l’equivalenza di tutte le religioni come un buddista californiano di basso conio.
Questa è l’ultima trovata esegetica di Benigni molto applaudita dal gregge di pecore matte accorse ad orecchiarlo nelle sue letture della Comoedia.
Tanto per ristabilire le giuste distanze che la plebaglia televisiva non ama mai rispettare, mi piace rileggere i Canti XV e XVI del Paradiso, quei famosissimi versi in cui Dante incontra il Suo Avo Cacciaguida Martire delle Crociate.
Lo farò brevissimamente, senza pretese intellettualistiche e letterarie che non mi vanto di possedere ma, e di questo mi picco, con la semplicità del devoto.
1.Di come Dante abbia inteso la minaccia araba attraverso le parole del Suo Avo Cacciaguida:
CANTO XV
“Poi seguitai lo 'mperador Currado;
ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado. 141
Dietro li andai incontro a la nequizia
di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa d'i pastor, vostra giustizia. 144
Quivi fu' io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt' anime deturpa; 147
e venni dal martiro a questa pace”.
parafrasi:
Poi seguii l’imperatore Corrado; ed egli mi fece suo cavaliere, tanto ero entrato nelle sue grazie per il mio valore. Lo seguii andando a combattere contro l’iniquità di quella religione il cui popolo, per colpa dei papi (che si disinteressano di questo problema ), usurpa i diritti della cristianità (sulla Terrasanta). Qui ad opera di quella gente turpe fui sciolto dai legami del mondo fallace, l’amore del quale abbrutisce molte anime; e dal martirio ( della morte per la fede) venni alla pace del paradiso
2.Di come Dante disprezzasse il “mondo moderno”(che già metteva ampie radici in quell’epoca)
CANTO XV
“Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond' ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica. 99
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona. 102
Non avea case di famiglia vòte;
non v'era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che 'n camera si puote.” 108
parafrasi:
Firenze chiusa dentro la cerchia delle antiche mura, donde la città sente ancora il suono delle ore di terza e di nona, se ne stava in pace, sobria e onesta. Le donne non usavano braccialetti, nè corone preziose, né gonne ricamate, né cinture tanto ricche da essere più vistose della persona che le portava). La figlia, nascendo, non faceva ancora paura al padre, perché l’età e la dote non uscivano da una parte e dall’ altra dalla giusta misura. Non vi erano case vuote di prole; non era ancora giunto Sardanapalo a insegnare quali vizi e lussi si possono avere nel segreto della camera.
3.Di come Dante considerasse con orrore la mescolanza razziale (già solo riferita a non fiorentini di pura razza):
CANTO XVI
“Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade” 68
parafrasi:
La mescolanza di stirpi diverse fu sempre causa di rovina per lo stato.
Sono questi solo brevi spunti che già da soli costituiscono un profondo monito alla meditazione per coloro che non furono fatti per vivere come bruti ma per seguir virtute e conoscenza.
Non sono solo parole di ieri ma visioni di un Profeta della Nazione che aveva sempre lottato perchè l’aurea età della Tradizione ove saldezza e virtù erano talmente forti e vivi ritornasse a Vita Nova
tanto che 'l Giglio
non era ad asta mai posto a ritroso, 153
né per divisïon fatto vermiglio».
La bandiera della patria -allora- non si sarebbe divenuta Rossa per colpa delle fazioni e dei partiti.
Dvalin
Alessandria, nel giorno dell’Immacolata 2008