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Risultati da 1 a 7 di 7
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    L'aggressivita' occidentale verso la Serbia.

    Brown: l’entrata della Serbia nell’Unione europea dipende dal Kosovo
    13 dicembre 2007 17:06

    Il premier britannico Gordon Brown ha dichiarato che l’intenzione di Belgrado di associarsi all’Unione europea potrebbe dipendere dall’accettazione del diritto del Kosovo di ricevere l’indipendenza. L’interesse a lungo termine della Serbia dipendere veramente dal fatto se accetterà il fatto che rischia i rapporti con l’Europa se non si raggiungerà la soluzione per il problema kosovaro, ha evidenziato Brown davanti ai parlamentari britannici. Lui ha lanciato un appello alla Serbia di raggiungere l’accordo sul futuro del Kosovo, ed ha ripetuto che Londra si sta adoperando per l’indipendenza supervisionata della regione meridionale serba, con la garanzia dei diritti ai serbi.

    Fonte: radio Serbia

  2. #2
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    KOSOVO: TADIC; NO INDIPENDENZA, MA NEMMENO A ROTTURA CON UE
    (ANSA) - BELGRADO, 14 DIC - La Serbia resta fermamente contraria alla secessione del Kosovo, ma non puo' isolarsi dall'Europa e deve continuare nell'avvicinamento all'Ue malgrado l'orientamento ormai favorevole ''della maggioranza dei 27'' al futuro riconoscimento dell'indipendenza della provincia a maggioranza albanese. Lo ha affermato il presidente serbo, il lberal-moderato Boris Tadic, intervistato dal giornale Politika nel giorno di un importante eurovertice incentrato sui Balcani. ''La Serbia e' decisa a continuare la sua strada verso l'Ue nonostante l'appoggio della maggioranza dei 27 Paesi membri all'indipendenza del Kosovo'', ha detto Tadic, esprimendosi con inusuale chiarezza su questo punto. ''Coloro i quali sostengono che la Serbia non debba aderire all'Ue in caso di soluzione non buona per noi della questione dello status del Kosovo si pongono di fatto in contrasto con gli interessi vitali di tutti i cittadini del nostro Paese: vogliono spingere la Serbia verso l'isolamento e la rovina economica''. Tadic ha chiarito che questo non significa cedimento sulla illegittimita' di un'eventuale secessione della provincia. ''Io non firmero' mai il riconoscimento di una qualsiasi forma di indipendenza del Kosovo perche' questo e' uno sbocco contrario agli interessi non solo dei serbi, ma pure degli albanesi, oltre a essere un pericolo per la stabilita' dell'intera regione balcanica'', ha sottolineato, aggiungendo tuttavia di non essere disposto neppure a permettere ''ad alcuno di compromettere il futuro (europeo) di questa e delle prossime generazioni con gesti di irresponsabilita'''. A suo giudizio, uno scenario di rottura si tradurrebbe in un unico risultato: un Kosovo piu' vicino all'Ue della Serbia e ''una Serbia isolata'' rispetto al resto d'Europa, ma anche meno in grado di tutelare le enclavi e gli antichi monasteri ortodossi della provincia, simbolo della propria ''identita'''. L'intervista di Tadic appare una risposta alle polemiche infuocate verso l'Occidente del primo ministro, il conservatore Vojislav Kostunica, alleato-rivale del presidente nell'attuale coalizione democratica al governo a Belgrado. Polemiche sfociate non solo nel rifiuto di una ipotesi di scambio tra la perdita del Kosovo e l'accelerazione del percorso europeo di Belgrado (ipotesi bollata oggi come impropria anche da un uomo vicino a Tadic, il ministro degli Esteri, Vuk Jeremic). Ma addirittura - stando alle parole di Kostunica - nella minaccia esplicita di conseguenze diplomatiche durature nei confronti dei Paesi intenzionati a riconoscere l'annunciata proclamazione unilaterale d'indipendenza da parte di Pristina.

  3. #3
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    14.12.2007 - Kosovo: Bruxelles e Washington non accettano compromessi
    La colonia-Europa, in linea con i voleri dell’impero a stelle e strisce, sostiene la secessione del Kosovo e boicotta il proseguimento dei negoziati. Il commissario Ue all’Allargamento, l’eurocrate Olli Rehn, ha dichiarato ieri che lo status finale del Kosovo verrà rinviato alla prossima estate, senza ulteriori precisazioni.


    “La soluzione finale del Kosovo sarà posticipata agli inizi dell’estate”, ha sottolineato Olli Rehn, Commissario per l'allargamento della UE, al quotidiano finnico Uutispaiva Demari, adducendo il pretesto che una soluzione deve essere assolutamente trovata poiché quella attuale è insostenibile. Il commento di Rehn è giunto il giorno dopo l’annuncio della data fissata per le elezioni presidenziali serbe del 20 gennaio. I diplomatici Ue hanno ricordato che i ministri degli Esteri di Eurolandia si sono accordati affinché se la data per le consultazioni presidenziali fosse confermata, l’Ue eviterebbe l’invio nella regione di 1800 militari e funzionari per non infiammare il nazionalismo serbo. Intanto, da Washington e da Bruxelles le strategie secessioniste vanno avanti senza sosta nonostante le aperture di Belgrado e Mosca. A riprova di ciò, infatti, Stati Uniti e Unione europea hanno respinto immediatamente la richiesta di Serbia e Russia che avevano invitato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a sostenere nuovi negoziati sul futuro status del Kosovo.

    Gli ambasciatori lo statunitense, Zalmay Khalilzad, e il britannico, John Sauers, hanno ribadito che il processo di negoziazione si è esaurito, dopo due anni di trattative che non hanno permesso di giungere a un accordo. “Le due parti restano esattamente sulle stesse posizioni sulla questione della sovranità e noi pensiamo ora che è venuto il momento di trovare una soluzione alla questione dello status del Kosovo affinché il territorio possa progredire”, ha dichiarato John Sauers. Come al solito gli anglostatunitensi evidenziano tutta la loro indifferenza nei confronti di altri Stati sovrani al solo scopo di perseguire i loro interessi e quelli dei loro accoliti. Dopo la proposta russa di un testo che sottolinei la necessità di nuovi negoziati, Khalilzad ha osservato che il Consiglio di sicurezza non permetterebbe di giungere a un accordo, e che tocca dunque a “l’Unione europea e alla Nato” di “assumere le loro responsabilità” sulla questione. Intanto, il ministro della Difesa sloveno Karl Erjavec ha dichiarato che la regione serba e la stabilità dei Balcani saranno le priorità dei prossimi sei mesi di presidenza che vedranno il suo Paese alla presidenza del semestre Ue. “In cima alle priorità della nostra agenda ci sarà sicuramente il Kosovo”, ha dichiarato alla Pop TV Erjavec. Il ministro di Lubiana, aveva incontrato poco prima di rilasciare queste dichiarazioni il suo omologo portoghese, Nuno Severiano Teixeira, al castello “Brdo pri Kranju” (a 30 chilometri da Lubiana). Sarà infatti il Portogallo a lasciare il testimone della presidenza alla Slovenia a fine anno. La stabilità nei Balcani dipenderà direttamente dalla situazione della provincia serba del Kosovo, ha affermato Erjavec, che al momento sembra essere “molto delicata”. Parole profetiche che mettono in evidenza i pericoli di un conflitto e di una crisi umanitaria che il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo potrebbe scatenare nei Balcani e non solo, come ha avvertito ancora una volta ieri Mosca, per bocca del suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov, mettendo in guardia la comunità internazionale dall’effetto domino in molte aree del mondo, Europa compresa.

    Andrea Perrone
    Fonte: rinascita balcanica

  4. #4
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    La Serbia di oggi non è diversa da quella di Milosevic
    di Anna Di Lellio
    Article content:
    La cautela con la quale i ministri dell’Unione trattano Belgrado alla vigilia del lancio di una missione Europea in Kosovo è giustificata e fa parte di una cultura diplomatica saggia. Ma non a costo di perdere di vista la realtà. Una qualche forma di indipendenza al Kosovo non la si può negare – così va il ragionamento – ma la Serbia non può essere umiliata, deve essere compensata per la perdita. La proposta è: se cedete il Kosovo noi vi accetteremo nel club europeo.


    In teoria tutto bene, ma con l’accelerarsi dell’iniziativa europea sulla questione dello status del Kosovo, è importante che non sfugga all’attenzione che cosa sta veramente accadendo in Serbia. Sulla Serbia reale, non immaginaria, si deve misurare la gestione della transizione in Kosovo da un protettorato internazionale in stato chiaramente fallimentare a stato funzionante sotto supervisione europea. I rischi per la sicurezza del Kosovo, della Bosnia e dell’intera regione saranno seri se non si otterrà questo risultato in tempi brevi, ridimensionando le aspirazioni nazionaliste della Serbia odierna.


    Non è idealismo, ma realismo politico, rendersi conto che la Serbia di oggi e quella di Milosevic sono ugualmente lontane dall’Europa; che la legge internazionale per la Serbia è come il menu di un ristorante, dal quale sceglie quello che le va bene, ignorando il resto; e che per questo la politica degli incentivi non funziona affatto. Ecco la risposta che è arrivata da Kostunica alla proposta europea. La si può leggere sul sito web del governo: “Il nostro messaggio all’Unione Europea è che bisogna rispettare la Serbia come ogni altro stato sovrano e libero, e ciò significa che l’UE deve rispettare i confini internazionalmente riconosciuti del nostro paese […] Noi ci aspettiamo che la UE rispetti la posizione della Serbia che permetterà una missione dell’UE sul suo territorio del Kosovo e Metohija solo dopo una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza, a conferma di una soluzione di compromesso sullo status della provincia. L’arrivo della missione UE significherebbe l’inizio dell’implementazione del Piano Ahtisaari che noi abbiamo già rifiutato e l’inizio dell’implementazione dell’indipendenza unilaterale. Perciò la Serbia rifiuta molto energicamente e in anticipo la decisione, che è illegale, di inviare la missione UE in Kosovo”.


    Dietro questa parole c’è la decisione di non firmare l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione, se l’indipendenza del Kosovo sarà riconosciuta. James Lyon, analista dell’International Crisis Group a Belgrado, interpreta questa posizione come particolarmente destabilizzante per l’UE, che ha usato generosamente l’Accordo come sostituto della politica estera che le manca. Leon Kojen, ex capo del team negoziatore sul Kosovo e uomo molto vicino a Kostunica, spiega molto chiaramente la posizione di Belgrado in una recente intervista al giornale Vecernje Novine: “La Serbia dovrebbe chiarire alla UE, attraverso una risoluzione del Parlamento, che non può firmare un Accordo di Stabilizzazione e Associazione fino a quando la UE non la smetterà di sostenere il Kosovo”. Kostunica ha i voti necessari in Parlamento per passare una tale risoluzione, contro il parere di Tadic.


    Sempre secondo Lyon, Kostunica e il Partito Democratico serbo non hanno mai preso sul serio la proposta di accedere all’UE, ma hanno usato l’offerta di accesso solo per strappare più concessioni sul Kosovo. Molto più vantaggiosa di quella europea pare invece l’offerta della Russia, che intende costruire il tratto meridionale del suo oleodotto attraverso la Serbia e modernizzarne la società petrolifera statale. E non chiede nulla in cambio. Gazprom, tra l’altro, ha già annunciato di voler privatizzare NIS, il monopolio petrolifero della Serbia e la stessa societa attraverso la quale Milosevic fece affari con Saddam nel racket del programma Oil for Food dell’ONU, scambiando fondi neri e armi.


    Non c’è da sorprendersi di questi sviluppi. Lunedì scorso, in occasione del giorno internazionale dei diritti umani, un gruppo di organizzazioni non governative (Humanitarian Law Center, Lawyers Committee for Human Rights, Youth Initiative for Human Rights, Women in Black, Helsinki Committee for Human Rights in Serbia, Centre for Cultural Decontamination, e l’Independent Journalists Association of Vojvodina) ha pubblicato la seguente dichiarazione: “In Serbia, la situazione dei diritti umani e della legge è peggiore nel 2007 che nel 2006. Un parte del governo è pericolosamente vicina a partiti politici e gruppi estremisti nella sua esplicita ostilità nei confronti di giornalisti, di attivisti nel campo dei diritti umani, e di quegli individui che chiedono al governo l’assunzione di responsabilità per le violazioni dei diritti umani nel passato, che si oppongono alla minaccia di guerra nel Kosovo e in Bosnia e chiedono alla Serbia di accettare i valori europei e abbandonare l’eredità di Milosevic. E’ ovvio che gli estremisti non sono solo nel Partito Radicale serbo. Sono nel governo, nella polizia, nell’esercito, nei media, nel sistema giudiziario, nell’amministrazione statale, e nella società stessa”.


    Di retorica sul rispetto della legge internazionale abbondano le dichiarazioni e i documenti del governo Kostunica che affermano l’integrità della Serbia come stato che include il Kosovo. Sul rispetto per il tribunale dell’Aja c’è invece il black out sul piano delle dichiarazioni, in concreto un atteggiamento di sfida arrogante: “Tutti sanno che Ratko Mladic non è stato arrestato perché quelli che dovrebbero ordinare il suo arresto lo proteggono - dicono le organizzazioni dei diritti umani -. Radovan Karadzic è sotto la protezione della Chiesa ortodossa e le élite politiche serbe considerano questo fatto una questione di enorme interesse nazionale. Il fatto che siano stati entrambi accusati di crimini orribili non dà fastidio a nessun politico serbo”. La questione che vorremmo porre noi è: “Ma ai politici europei, dà fastidio?”. Sembra di no. Altrimenti come fanno a corteggiare un paese dove il responsabile del massacro di Srebrenica e l’architetto della pulizia etnica in Bosnia sono considerati eroi nazionali?


    L’estate scorsa Carla del Ponte chiese alla comunità internazionale di rallentare il passo sul Kosovo perché la Serbia aveva promesso che le avrebbe consegnato almeno Mladic. Così fu fatto, ma Mladic è ancora libero e la del Ponte va in pensione avendo completamente fallito la sua missione di procuratore internazionale. Il calcolo del governo serbo è che tra due anni il tribunale chiuderà i battenti senza arrestare o punire i peggiori criminali della guerra in Yugoslavia. La Russia, altro grande campione della legge internazionale, ma solo quando concerne la sovranità degli stati autoritari, ha già chiarito che non sosterrà un prolungamento del suo mandato oltre il 2010.


    Il Consiglio di Sicurezza e le sue risoluzioni sono diventati la Bibbia della Serbia. Ma sia sotto Milosevic che dopo, questo paese non ha mai rispettato la Risoluzione 1244 che governa il Kosovo dal dopoguerra. Ha sempre fatto ostruzionismo alla missione ONU e alle istituzioni di autonomia locale da essa create, quelle stesse che ora professa di voler offrire al Kosovo. Ha mantenuto istituzioni parallele ostacolando in ogni modo l’integrazione della minoranza serba. Ha promosso il boicottaggio delle elezioni con promesse e minacce. E si comporta allo stesso modo, mutatis mutandis, nella Bosnia del dopo-Dayton, dimostrando due cose: di non rispettare i trattati internazionali sottoscritti e di non essere capace di prendere parte ad una confederazione con chicchessia.


    In questi ultimi giorni si è già avuto un anticipo di cosa accadrà in Kosovo non solo quando la leadership albanese dichiarerà l’indipendenza, ma anche prima, quando arriverà la missione UE. Belgrado ha aperto un ufficio di rappresentanza nella parte nord del Kosovo, dove l’ONU e le altre organizzazioni internazionali non sono mai riuscite a stabilire una vera presenza, per provocare tensioni e bloccare qualsiasi progresso. E residenti Serbi hanno dimostrato i propri sentimenti nei confronti delle forze di sicurezza internazionali questa settimana, aggredendo il comandante della missione NATO, come si vede nel filmato mandato in onda dalla televisione pubblica del Kosovo). Nel 1992 la Bosnia dichiarò l’indipendenza e si trovò davanti lo stesso ostruzionismo e le stesse provocazioni della Serbia. Se l’obiettivo dei ministri europei è la stabilità della regione – e dell’Europa – è ora di mettere fine a questo ciclo di violenze.

    Commento: questo e' l'occidente. Viva la Russia.

  5. #5
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    Angry Ue: indipendenza guidata in Kosovo.

    Sara' la Slovenia, che avra' la presidenza di turno dell'Ue, a dover gestire il piano per l'indipendenza del Kosovo, che e' stato in pratica approvato dall' intera Comunita' europea e che porta la firma di Carl Bildt, attuale ministro degli esteri svedese.
    La chiave di volta sta nel cercare di dare vita a un'indipendenza condizionata nella piena collaborazione tra Bruxelles e Pristina, dopo le presidenziali in Serbia (20 gennaio - 3 febbraio) e non oltre la fine di aprile 2008. Ma per la parte settentrionale dell'ex provincia autonoma , con schiacciante maggioranza serba, e' previsto una sorta di status speciale o transitorio, sul modello della Slavonia orientale degli anni 90. La regione passerebbe gradualmente sotto la sovranita' di Pristina, con le garanzie predisposte dall'Unione europea per la popolazione serba.
    Contemporaneamente sempre l'Ue, invierebbe un chiaro messaggio alla Serbia, in cui si prospetterebbe la possibilita' di ottenere lo status di paese candidato all'adesione nell'Ue, il cui progetto rispetterebbe il diritto internazionale e la risoluzione 1244. Il via libera alla missione, approvata nell'ultimo vertice di Lisbona verrebbe concesso del segretario dell'Onu Ban Ki Moon, il quale ratificherebbe anche il mandato delle forze civili in materia di polizia e di amministrazione della giustizia, sul modello del piano dell'inviato Onu per il Kosovo Martti Ahtisaari.
    Quindi, dopo le elezioni in Serbia, i paesi dell'Ue, dovrebbero dimostrare di essere pronti a riconoscere l'indipendenza del Kosovo. E tra questi in prima fila, ci sarebbero la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e l'Italia.
    Il "ventre molle" del progetto sta nel fatto che lo scenario previsto ipotizzerebbe che la parte settentrionale del Kosovo dovrebbe proclamare una sorta di secessione temporanea dal resto dell'ex provincia autonoma serba. Il che potrebbe innescare azioni albanesi di pressione anche violenta nei confronti dei serbi presenti in Kosovo nelle varie enclavi, per costringerli a concentrarsi a Mitrovica nord e dintorni.
    Questo scenario secondo Bruxelles verrebbe evitato grazie allo status particolare che verrebbe concesso dall'Onu alla parte settentrionale, che ricadrebbe sotto il controllo militare delle forze internazionali, cosi' come e' avvenuto per la Slavonia orientale. L'Ue garantirebbe altresi' l'ingresso di Pristina nelle organizzazioni finanziarie e del commercio internazionale, per poi allentare gradatamente il controllo militare sul Kosovo, per garantirgli la piena sovranita'.

    Fonte: il Piccolo di Trieste (scritto da Mauro Manzin) in data 18 dicembre 2007

  6. #6
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    Dic 07
    11Kosovo e Serbia: dividersi, per riunirsi nell'UE
    Pubblicato da Rosario Mastrosimone in Crisi e conflitti


    Il Kosovo è pronto a diventare uno Stato indipendente. La Serbia si oppone a qualsiasi secessione unilaterale, ma il suo governo, filo-occidentale, rischia l'isolamento. Dei grandi Paesi, solo la Russia ha preso le difese della Serbia, mentre Europa e Stati Uniti sono in generale a favore dell'indipendenza kosovara.

    Serbi e kosovari mirano entrambi all'adesione all'Unione Europea, si dividerebbero con la secessione del Kosovo, ma sembrano destinati prima o poi a riunirsi nell'Unione Europea.


    Dei Paesi nati dalla dissoluzione dell'ex Jugoslavia, la Slovenia già fa parte dell'Unione Europea.

    Macedonia e Montenegro hanno ratificato un accordo di stabilizzazione e associazione con l'UE, di fatto la tappa preliminare prima dell'avvio formale di negoziati per l'adesione.

    La Croazia ha già superato la fase preliminare e da due anni ha formalmente avviato in negoziati per l'adesione.

    Serbia e Bosnia hanno avviato i negoziati per la stipulazione dell'accordo di stabilizzazione e associazione da ormai due anni ed attendono di poterne definire il testo.

    I leader kosovari hanno a piu' riprese affermato di voler portare il Kosovo nell'Unione Europea. Per quanto riguarda i partiti kosovari favorevoli ad una annessione all'Albania, giova ricordare che la stessa Albania ha ratificato il suo accordo di stabilizzazione e associazione nel novembre 2006.

    Oggi il Ministro Massimo D'Alema è tornato a parlare di politica estera, proponendo che la Serbia accetti la secessione del Kosovo in cambio di un rapido ingresso nell'UE. Francia e Gran Bretagna si sono subito detti d'accordo, ma il finlandese Olli Rehn, Commissario europeo per l'allargamento, ha replicato che nessuna concessione potrà essere fatta sul prerequisito di una piena collaborazione nell'arresto dei criminali di guerra.


    Il maggior ostacolo ai negoziati con la Serbia è costituito proprio dalla scarsa collaborazione mostrata nei rapporti col Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia [a questo proposito, segnaliamo questa vecchia intervista, in cui la procuratrice capo del Tribunale dell'Aja, la svizzera Carla Del Ponte, peraltro grande amica di Giovanni Falcone, descriveva quanto difficile sia ottenere la collaborazione delle autorità serbe, e non solo serbe, nella caccia ai criminali di guerra.
    Pubblicato da Rosario Mastrosimone alle 11:04 in Crisi e conflitti


    Dopo le recenti elezioni parlamentari, e la netta affermazione dei partiti della maggioranza albanese, e dopo il prevedibile fallimento dei negoziati internazionali, il Kosovo sembra ormai destinato all'indipendenza dalla Serbia.

    L'indipendenza del Kosovo corrisponde in definitiva al diritto di autodeterminazione di un popolo lungamente sottomesso dalla dominazione serba, e vittima solo pochi anni fa delle brutalità di Milosevic. Ma il Kosovo, terra con una storia di invasioni e costanti migrazioni, è abitato anche dalle minoranze serba, ashkali e rom, minoranze in genere mal sopportate dalla maggioranza albanese che non ha dimenticato i massacri di Milosevic, ai tempi in cui era la minoranza serba a governare il Kosovo, spesso con la collaborazione, non sempre spontanea, proprio di gruppi askhali e rom.

    Oggi i ruoli si sono invertiti, i perseguitati sono diventati persecutori ed i persecutori perseguitati, e soprattutto migliaia di serbi, rom ed askhali che nessun ruolo attivo avevano svolto ai tempi di Milosevic sono anch'essi oggetto di discriminazioni e persecuzioni. Le profonde divisioni interetniche, il ricordo della guerra, una storia secolare di conflitti tra serbi ed albanesi, cristiani ortodossi e musulmani, rendono il Kosovo una terra in cui la convivenza interetnica è estremamente problematica.

    La sorte peggiore tocca a quegli individui che hanno sfidato le catene delle categorie etniche e religiose, cercando di vivere la propria vita senza alcun riguardo verso le mortificanti catalogazioni collettive, vivendo come individui e non come membri di comunità etniche o religiose. In Kosovo, molti serbi ed albanesi si fanno la guerra, mentre altri si sposano tra loro dando vita a quelle famiglie miste che finiscono con l'essere il bersaglio privilegiato delle componenti piu' intolleranti delle fazioni in lotta.

    Per loro l'unica strada è l'espatrio, ma per andare dove?

    Per i serbi del Kosovo, sembra non ci sia molto spazio neppure in Serbia. Le autorità, e soprattutto le popolazioni locali, guardano con sospetto a tutti quei serbi che hanno trascorso il periodo della guerra in Kosovo, accusandoli non di rado di essere dei collaborazionisti degli albanesi. Per costoro, soprattutto se non hanno parenti in Serbia, stabilirvisi ed essere accettati è estremamente problematico.

    Da parte sua, l'Europa occidentale, che a parole difende i diritti umani, nei fatti ha reso estremamente restrittive le sue politiche in materia di migrazione ed accoglienza dei rifugiati.

    Le famiglie miste, serbo-albanesi, non sono le benvenute né in Kosovo né in Serbia.

    Le Nazioni Unite, e le loro agenzie, dopo la fine della guerra, hanno promosso e favorito il rientro in Kosovo di molte famiglie serbe, molte delle quali dopo breve tempo hanno deciso di espatriare nuovamente, condannandosi ad una vita di clandestinità in un qualche Paese europeo.

    Sotto il profilo internazionale, Europa e Stati Uniti sostengono l'indipendenza del Kosovo, mentre la Russia, storicamente vicina alla Serbia, cerca di sostenerne la battaglia per l'integrità territoriale.

    L'impressione è che l'indipendenza del Kosovo sia inevitabile e che la maggioranza albanese abbia il diritto di rivendicarla e dichiararla. Dovrà essere soprattutto l'Europa a premere sugli albanesi affinché pongano fine a qualsiasi ritorsione verso le popolazioni serbe, ashkali e rom, garantendo loro di poter vivere liberamente in Kosovo, senza temere persecuzioni e senza essere trattati da cittadini di serie B.

    I destini del Kosovo rischiano di peggiorare le relazioni tra Russia e Stati Uniti. I russi, o meglio il Cremlino, hanno molte ragioni per sostenere gli interessi serbi. La Russia teme un'escalation di indipendentismo da parte di molte Repubbliche della Federazione russa. Vladimir Putin, che continua a sognare il ritorno di una sorta di grande Unione Sovietica, è evidentemente tutt'altro che disponibile ad accettare qualsivoglia pretesa indipendentista da parte di pezzi della sua grande Russia. Non puo' dimenticarsi che una delle prime mosse di Putin, quando subentro' a Eltsin, fu proprio il tradimento dell'accordo di pace stipulato dal suo predecessore coi leader ceceni, un accordo che concedeva ampia autonomia alla Cecenia ed apriva la strada alla possibilità di uno Stato ceceno sovrano ed indipendente.

    Agli Stati Uniti e, parzialmente, all'Europa, non dispiacerebbe uno sgretolamento dell'integrità territoriale della Russia, guardata ora con crescente sospetto, anche a causa delle aspirazioni internazionali del Cremlino, desideroso di tornare ad essere a pieno titolo una grande potenza mondiale.

    Il timore è che a guidare le scelte di Europa, Stati Uniti e Russia, non siano affatto gli interessi delle popolazioni del Kosovo, ma motivazioni di carattere geo-politico che potrebbero alla fine aggravare l'instabilità di tutti i balcani.

    E' interessante anche notare il modo in cui la stampa italiana sta seguendo l'evoluzione della situazione in Kosovo. C'è una sorta di latente inversione dei ruoli tra la stampa di milizia al servizio delle destre e quella al servizio delle sinistre, con la prima che si allontana dal suo tradizionale filo-americanismo per argomentare in favore delle ragioni dei serbi e la seconda che si improvvisa filo-americana, per caldeggiare le ragioni dell'indipendenza kosovara. La ragione è semplice: molti degli albanesi del Kosovo sono musulmani, mentre i serbi sono cristiano ortodossi, ed è per questo che la stampa di milizia di destra prende la loro difesa.

    Nessuna attenzione invece è dedicata alle minoranze rom ed askhali (questi ultimi sbrigativamente e scorrettamente assimilati ai rom), perennemente disprezzati dal populismo destraiolo nonostante in Kosovo siano considerati per lo piu' come alleati dei serbi.

    Dal primo gennaio 2008, sarà l'Italia a guidare il contingente internazionale in Kosovo, assumendosi una responsabilità importante per la credibilità dell'Europa e delle sue capacità di mediazione internazionale e di risoluzione dei conflitti.

    Fonte: blogosfere

  7. #7
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    21.12.2007 - Molte complicazioni per la missione in Kosovo
    La Slovenia mette in guardia l’Unione europea sulla missione in Kosovo, ma cercherà di garantire l’unità dei Ventisette durante il suo semestre di presidenza europea.


    Il ministro degli Esteri sloveno Dimitri Rupel, che a Bruxelles ha illustrato alla stampa il semestre guidato dal suo Paese (primo gennaio 2008), ha osservato che sulla missione Ue in Kosovo sono possibili “complicazioni”, dovute alle forti perplessità sulla base giuridica soprattutto di Stati membri come Cipro o la Romania, ma il capo della diplomazia ha aggiunto che la presidenza slovena dell’Ue lotterà per l’unità. Come a dire che gli eurocrati sloveni faranno di tutto per avallare la secessione degli occupanti albanesi con l’aiuto delle forze di polizia europee. E questo anche a costo di un incontro straordinario dei ministri degli Esteri se non si dovesse trovare un accordo in seno al Consiglio Affari generali e Relazioni esterne del prossimo 28 gennaio. Il riferimento è al fatto che proprio quel Consiglio è stato incaricato dai leader dei Ventisette, al summit di venerdì scorso, di decidere su modalità e tempi della missione di 1.800 tra poliziotti, magistrati e funzionari di amministratori.

    “Possiamo prevedere complicazioni - ha osservato Rupel - anche se esse sono più legate a problemi interni di questi Stati membri che al Kosovo”. La questione cruciale è se la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza che fu approvata dopo l’attacco Nato alla Serbia del 1999 in difesa del Kosovo, giustifichi la missione civile. Per buona parte degli Stati membri, a cominciare dell’Italia, la risposta è affermativa, ma altri, fra i quali Cipro e Romania, non la vedono così. “Recentemente - ha replicato secco Rupel - il Consiglio Atlantico della Nato ha deciso che la 1244 è utilizzabile per prolungare la missione militare Kfor. Se è buona per una missione militare, lo è a maggior ragione per una civile”. A questo punto, ha proseguito Rupel, “la Slovenia farà tutto il possibile per convincere gli Stati membri dubbiosi che la questione del Kosovo ha una storia tutta particolare ed è davvero un caso sui generis”. Il riferimento è alle motivazioni che spingono anzitutto Cipro, divisa tra la parte greca e quella turca, a rifiutare qualsiasi riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, ma anche della missione Ue senza nuova risoluzione. Anche la Romania e la Slovacchia, con grosse minoranze ungheresi nei propri confini, sono contrarie. Il timore è che l’indipendenza della regione serba divenga un pericoloso precedente e si trasformi in un effetto domino per altre realtà europee ed extraeuropee. Il presidente in pectore dell’Ue ha affermato che “la Slovenia farà di tutto per trovare l’unanimità”. Per questo, “se non si troverà una soluzione al Consiglio del 28 gennaio, continueremo, se necessario, anche con un incontro straordinario. Tutto è possibile”.

    E così le volontà degli Usa non verranno disattese. Naturalmente tutto nel più assoluto disprezzo degli interessi europei, un presupposto a cui gli eurocrati sono soliti attenersi. Per quanto riguarda la consegna dell’ex generale serbo-bosniaco Ratko Mladic al Tribunale internazionale dell’Aja da parte di Belgrado Rupel ha ribadito che non dovrà essere una precondizione per avviare negoziati riguardanti il Trattato di Associazione e stabilizzazione (Asa) con l’Ue. Bruxelles ha premesso il ministro “non ha intenzione di rinunciare agli standard minimi nei confronti della Serbia”. Tuttavia, ha proseguito, “la Slovenia ritiene che si debbano avviare al più presto i negoziati Asa, e poi arrivare alla concessione dello status di candidato”. Come primo passo, Rupel ha ricordato il caso della Croazia e dell’ex generale croato Ante Gotovina, ricercato dal Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia per crimini di guerra commessi durante un’operazione nel 1995. “Ricordo - ha sottolineato il presidente in pectore dell’Ue - che non si poterono aprire negoziati di adesione con Zagabria fino alla consegna di Gotovina. Ma che invece fu perfettamente possibile aprirne per il Trattato Asa prima della sua cattura. Secondo noi, se si vuole essere giusti bisogna applicare gli stessi criteri anche alla Serbia, non si possono usare due pesi e due misure”.

    Rinascita
    Commento: sfortunatamente e' quello che fa il putrefatto occidente (il doppio standard)

 

 

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