di SAURO MATTARELLI
In un’ottica di costruzione
della pace non possiamo esimerci
dall’esprimere rammarico per l’occasione
mancata dalla quasi totalità della nostra
classe politica che, aggrappandosi a risibili
cavilli burocratici, ha ritenuto di non dovere
incontrarsi in forma ufficiale con il
Dalai Lama, in visita, nei giorni scorsi, nel
nostro paese.
Purtroppo non si tratta di semplice, e pur
riprovevole, indifferenza; ma di un gesto
di sudditanza (economica), eccessivo e
vergognoso, verso una richiesta (peraltro
“di routine”) del governo di Pechino. Tenzin
Gyatso, questo il nome del quattordicesimo
Dalai Lama, come noto nel 1989
fu insignito del premio Nobel per la pace
perché contrario all’uso della violenza da
parte del suo popolo, impegnato in una
difficile lotta per una maggiore autonomia
dalla Cina della regione tibetana.
Un motivo di disonore dunque per uno
stato libero e indipendente come ci auguravamo
fosse l’Italia. Questi esercizi di
viltà rischiano, peraltro, di far perdere
significato alle numerose missioni di pace
nel mondo che vedono rischiosamente
impegnati molti nostri soldati. Il messaggio
diffuso, è, ancora una volta, quello
degli egoismi prevalenti su tutto, comprese
le vite umane: di chi lavora in modo
sempre più precario e insicuro, di chi vede
spalancarsi baratri di miseria, di coloro
che, nel mondo, devono subire le ingiustizie
e i soprusi di poteri dispotici o soffrire
per guerre inutili, malattie, fame.
fonte: mensile "Il senso della Repubblica nel XXI secolo" n. 12 Dicembre 2007 - Heos Editrice