Roma. La laicità non è “indifferenza o rifiuto di ogni riferimento alla religione e alla religiosità in nome di una illusoria neutralità” ma “riconoscimento della rilevanza nella sfera pubblica, e non solo privata, delle religioni e delle varie forme di spiritualità”. Della laicità fa parte la consapevolezza, di fronte “agli inediti interrogativi di natura etica posti dai progressi della ricerca biomedica”, che “solo il dialogo tra diverse concezioni religiose, etiche e culturali può condurre a soluzioni normative ragionevoli e condivise”, che siano “in grado di conciliare il valore della libertà di ricerca e di scelta con il principio per cui non tutto ciò che tecnicamente è possibile è moralmente lecito, e nemmeno conveniente dal punto di vista sociale ed economico”. In un Partito democratico molto agitato dal tema della libertà di coscienza e dal rapporto tra etica e politica, la bozza del Manifesto dei valori, attualmente in discussione nella commissione dei cento incaricata di elaborarla, dice cose molto forti e molto habermasiane. Mauro Ceruti, filosofo della scienza e relatore del documento, dice al Foglio di essere partito “dal testo del Manifesto del Partito democratico scritto un anno fa dai dodici saggi. Le frasi che possono essere identificate come oggetto di eventuali contese, sono riprese pari pari da lì”.
Le contese non sono solo eventuali. Gianni Cuperlo, che della commissione per il Manifesto dei valori fa parte, intervenendo nella discussione sulla bozza ha criticato l’uso al singolare del termine “famiglia” (definita nel testo come “luogo relazionale, formativo e affettivo primario”). Secondo lui è necessario parlare di “famiglie”, e ha anche invitato a evitare formule come “non tutto ciò che tecnicamente è possibile è moralmente lecito”, che pongono “un limite grave all’autonomia e responsabilità della comunità scientifica”. Ceruti replica che così come “realismo politico significa riconoscere la positività nello spazio pubblico della voce di quelle culture religiose che riconoscono il principio di laicità e di libertà”, realismo politico è pure “riconoscere il nuovo potere della tecnoscienza. Interpretare ogni limite come divieto moralistico ci porta a non comprendere il fenomeno di cui parliamo, individuato dal filosofo Hans Jonas quando parlava dell’evoluzione di una tecnologia che, per la sua potenza, ha mutato la natura dell’agire umano”.
Della commissione per il Manifesto dei valori fa parte anche Paola Binetti, la senatrice del Pd che ha negato la fiducia al decreto del governo sulla sicurezza a causa della norma anti-omofobia (considerata, per inciso, malscritta anche dal laicista Scalfari, che sull’Espresso dice che “così come è configura un reato d’opinione”). Al Foglio, Paola Binetti dice di essere “molto soddisfatta di come il partito nascente si stia impegnando su temi fondamentali. La ritengo una conquista, un restituire alla politica una dimensione attenta alle cose importanti. La bozza ha avuto il coraggio di definire un concetto di laicità in cui il senso della religiosità viene accolto e legato all’essenza stessa della laicità, e così facendo delinea un modo di essere pluralisti senza essere relativisti. E’ una bozza, se ne discuterà ancora molto, ma mi sembra che siamo sulla buona strada”.
La definizione di laicità formulata nella bozza del Manifesto convince anche Claudia Mancina, docente di Etica dei diritti, “anche perché oggi non è più possibile pensare che la religione non abbia un ruolo pubblico. Non condivido invece il punto sui limiti della scienza. La trovo una parola d’ordine così rituale da significare ormai solo chiusura, la bandiera di qualcosa che ritengo sbagliato. Così come non ritengo che l’attività scientifica abbia bisogno di un’autorizzazione che le arrivi, come dice la bozza, dal ‘dialogo tra diverse concezioni religiose, etiche e culturali’. Non si può concepire la scienza come bassa cucina, bisognosa di un’etica esterna, e oltretutto non è realistico. Sul tema della discriminazione, invece, vorrei più chiarezza. Nel manifesto di un partito che si fonda oggi deve essere espressa con nettezza la contrarietà a qualunque tipo di discriminazione comunque motivata. E quindi anche per ragioni di genere e di orientamento sessuale”.
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