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    Predefinito CPN del 16 Dicembre 2007

    Sul sito www.valorizzareilsaperfare.it

    i documenti del Comitato politico nazionale di domenica 16 dicembre.

  2. #2
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    Predefinito CPN del 16 Dicembre 2007

    http://www.esserecomunisti.it
    Per l'unità della sinistra,
    per l'autonomia dei comunisti
    Giordano chiede di accelerare il processo unitario
    Essere comunisti contro ogni ipotesi di scioglimento del PRC


    Intervento Claudio Grassi coordinatore nazionale Essere Comunisti
    al comitato politico nazionale del 16 dicembre 2007


    La conclusione della discussione sul decreto che ha recepito il Protocollo sul welfare dimostra quanto fosse infondato ciò che venne teorizzato al congresso di Venezia: il Governo Prodi non si è dimostrato permeabile ai movimenti e in grado di praticare una politica di discontinuità rispetto agli anni Novanta. Abbiamo subìto una sconfitta pesantissima (noi che, con il segretario Giordano, avevamo dichiarato che «così com’era, non lo avremmo votato»); la stessa mediazione costruita dalla commissione Lavoro della Camera è stata cancellata e sostituita da un testo che ne ha rimosso tutti i miglioramenti. Ma si è trattato di una sconfitta anche per la manifestazione del 20 ottobre, all'indomani della quale avevamo assunto un impegno ben preciso: modificare il protocollo, combattere la precarietà.
    Mi pare di poter dire che sia caduto, in definitiva, l’assunto secondo il quale noi saremmo andati al Governo per portarvi la forza dei movimenti. Anziché metterci in circuito virtuoso con essi, le scelte di questo Governo – come dice la denuncia di Alex Zanotelli – ci mettono terribilmente in difficoltà nei loro confronti.
    Il compagno Bertinotti, in un’ampia intervista alla Repubblica, ha sancito la fine e il fallimento dell’Unione e del Governo. Avrebbe potuto aggiungere che questo a cui assistiamo è anche il fallimento della sua linea politica e che le gravi difficoltà in cui versa il nostro partito sono largamente figlie delle scelte che lui ha imposto a Rifondazione.


    Ora si tratta davvero di decidere cosa fare, visto che il segretario Giordano – nella sua dichiarazione di voto alla Camera – ha dichiarato che non vi è più un vincolo politico con il Governo e che, pertanto, il nostro partito esprimeva un voto favorevole sul Protocollo soltanto per un vincolo sociale con il nostro popolo, tale cioè da impedire l’entrata in vigore dello scalone Maroni. Se le parole hanno un senso, questo significa che se non si ristabilisce un’intesa programmatica, noi siamo fuori dalla maggioranza di Governo!
    Ecco perché non ci siamo pregiudizialmente opposti ad un breve rinvio del Congresso in modo tale da dare spazio, nelle prossime settimane, ad una consultazione vera, con un vero coinvolgimento degli iscritti; ad una verifica sul Governo basata su alcuni punti programmatici precisi e con un esito per nulla scontato. Se essi vengono condivisi e realizzati l’esperienza di governo continua, altrimenti si esce. Perché è chiaro che su potere d'acquisto dei salari, politica di pace e diritti ci devono essere degli impegni precisi.
    Sento, inoltre, l’esigenza di un chiarimento - nella nostra discussione - sulla “Cosa arcobaleno”. E vorrei essere chiaro: non c’è, tra noi, divergenza tra chi è per l'unità e chi non lo è; tra chi vuole il soggetto unitario e plurale e chi lo avversa. Entrambe queste cose noi le vogliamo da sempre, anche quando nel gruppo dirigente di Rifondazione si privilegiavano le interlocuzioni con Casarini e noi che proponevamo l'unità delle forze che avevano sostenuto il referendum per l'articolo 18 venivamo accusati di essere “alleantisti”!
    Il problema non è questo: noi siamo per l'unità. Il problema è che Sinistra Democratica non vuole un'unità tra soggetti diversi, vuole un partito unico – lo dice, lo scrive, lo propone – e noi dobbiamo dire chiaramente che siamo contrari. Dobbiamo dire al compagno Mussi che nel processo di unità a sinistra che è in corso va salvaguardata l’autonomia delle diverse forze politiche, altrimenti non se ne fa nulla. Chi spinge – anche dentro Rifondazione – per andare in questa direzione sta commettendo un grave errore politico.
    Sostengo ciò non solo per una questione di simboli che, in ogni caso, non sottovaluterei. Si rimuovono gravemente le differenze programmatiche su temi di fondo che persistono tra le quattro forze in campo: e la genericità della Carta degli intenti della Sinistra arcobaleno ne è – a nostro avviso – una evidente dimostrazione.


    Anche l’accelerazione sulle liste unitarie è una forzatura inaccettabile e politicista. Nel documento presentato in questo Cpn dalla Segreteria nazionale si propongono le liste unitarie. Ma io chiedo, e vorrei che mi si rispondesse: a proposito delle elezioni europee, abbiamo criticato il Pd i cui eletti al parlamento farebbero riferimento a due diversi gruppi parlamentari. E dopo aver detto ciò vi sembra credibile proporre una unica lista i cui eletti – che sarebbero ovviamente molti di meno di quelli del Pd – andrebbero addirittura in tre diversi gruppi al Parlamento europeo (quello verde, quello socialista e quello comunista)? Ve lo immaginate con quale credibilità potremmo fare una simile campagna elettorale?
    Inoltre leggo che Occhetto è entrato in Sinistra Democratica e Mussi ha salutato il fatto molto positivamente. Possiamo pensare che i nostri compagni ed elettori voterebbero liste in cui si candidasse anche Achille Occhetto?
    Oppure pensiamo che gli stessi compagni ed elettori voterebbero chi non canta Bella Ciao perché non si riconosce nella tradizione antifascista? Oppure ancora, nei territori dove emergono contrasti con il centro-sinistra (penso a Bologna, Pavia, alla Calabria) e dove noi ci prendiamo la nostra autonomia e le altre forze della sinistra non ci seguono cosa si fa? Come si concilia questa realtà con la proposta di avanzare liste unitarie?


    Tutto questo conferma una fatto che conosciamo da tempo e che non è mutato d’incanto perché Mussi non è entrato nel Pd: tra le forze che stanno a sinistra del Pd ci possono essere momenti unitari e di convergenza che vanno perseguiti e praticati ma, allo stesso tempo, ci sono anche differenze strategiche che non consentono di ipotizzare un unico partito! Nasconderle non serve a nulla: esse rispunteranno.
    Faccio un appello al gruppo dirigente: si rifletta bene, non vorrei che ci trovassimo, tra due anni, a leggere in una intervista che il progetto è fallito e che occorre rivedere tutto. Nell'ultimo anno, tra di noi, abbiamo costruito una importante base comune che si è concretizzata nella Conferenza d'organizzazione di Carrara: non disperdiamo quel patrimonio prezioso. Per quanto ci riguarda confermiamo il sostegno a quei deliberati e sulla base di quelli porteremo il nostro contributo nella consultazione e nel Congresso.



    Intervento di Alberto Burgio

    Non voglio drammatizzare, ma non vorrei nemmeno sottovalutare un
    problema che a me e ad altri compagni pare cruciale.
    C'è un passaggio centrale della relazione del segretario sul quale
    intendo concentrarmi perché mi trovo in dissenso. E vorrei spiegare
    perché. Mi riferisco al passaggio nel quale il compagno Giordano ci ha
    detto che considera necessario che ci si presenti alle elezioni con
    liste unitarie, e anche adoperarsi per convincere della bontà di
    questa scelta le forze della sinistra che non la condividono.
    Perché dissento nettamente da questa impostazione? Non perché l'idea
    delle liste unitarie sia di per sé un tabù. Anche se credo che il
    criterio dovrebbe essere sobrio e concreto, e non perdere di vista il
    rendimento elettorale. Mi chiedo come si possa pensare a liste
    unitarie quando si vota col proporzionale o dove tale scelta, già
    sperimentata, ha prodotto risultati molto negativi per il nostro
    Partito.
    Comunque nessun tabù. Ma se poi si lascia intendere che fare le liste
    unitarie è in sé, in generale un obiettivo da perseguire, e un
    corollario essenziale del percorso unitario; se si pone questa
    questione al Cpn, quando – per ciò che concerne le elezioni
    amministrative – il nostro Statuto la affida agli organismi dirigenti
    territoriali; se addirittura si antepone questa opzione alla stessa
    volontà delle altre forze della sinistra: allora si rischia di
    legittimare il dubbio che ci si muova oggettivamente verso l'obiettivo
    che si nega a parole, e cioè il superamento del Partito della
    rifondazione comunista e la costruzione di un altro partito.
    Naturalmente l'onestà intellettuale di ciascuno di noi è fuori
    discussione. Se si afferma che non si vuole lo scioglimento del
    Partito, nessuno – non io, perlomeno – intende avanzare sospetti di
    doppiezza. Per questo ho parlato del dubbio che ci si muova
    oggettivamente verso quell'esito. Detto questo – cioè onestà
    intellettuale a parte – la direzione del cammino e il suo approdo
    appaiono chiari.
    Peraltro rilevo alcuni paradossi nella relazione del segretario. Si
    dice che occorre costruire l'unità sui contenuti e sulle campagne.
    Giusto. Ma con ciò si ammette che questa unità ancora non c'è, il che
    vuol dire che l'opzione elettorale unitaria è un incomprensibile
    apriori. Si parla del tesseramento del soggetto unitario e plurale. Ma
    questa ipotesi non è condivisa da tutte le forze politiche della
    sinistra e non aiuta quindi quella unità nel nome della quale la si
    formula. E lo stesso a maggior ragione, come sappiamo tutti, si può
    dire a proposito della discussione in corso sulla riforma della legge
    elettorale, dove si registrano forzature che seminano a sinistra
    diffidenze e risentimenti distruttivi.
    Ma il punto di fondo mi pare questo: che cos'è un partito che non vive
    più in autonomia nelle competizioni elettorali? che rinuncia a priori,
    una volta per tutte, alla propria autonomia politico-programmatica?
    che non ha più visibilità nel momento-chiave in cui misura la propria
    capacità di ottenere consenso?
    E non ci si dica: «politicismo», non ci si dica: «istituzionalismo».
    Perché non sono certo io e non sono quanti dissentono da questo
    approccio a mettere al centro il tema elettorale, a fare di questo
    tema il centro del discorso, accelerando in modo improprio e
    pericoloso, del tutto aprioristico e forzato, con una proposta di cui
    – mi pare utile ricordarlo – non vi è traccia nemmeno nel documento
    congressuale elaborato dal compagno Giordano. Una proposta che
    peraltro rischia di svuotare di senso il prossimo Congresso nazionale,
    espropriandolo di una discussione e di una decisione così cruciale. E
    legittimando il sospetto che il rinvio del Congresso abbia motivi e
    finalità inconfessate e inconfessabili.
    Su questa base voglio rivolgere un appello accorato al gruppo
    dirigente, che so diviso su questi temi. E in particolare al
    segretario, che so consapevole dei rischi che si aprono.
    Riflettete bene! Evitate forzature che potrebbero causare grandi
    guasti e che, come dicevo, gettano cupe ombre sul rinvio del Congresso
    e ne mutano il significato. Evitate di imporre nuove lacerazioni a
    questo Partito, che in questi anni ha subito le conseguenze negative
    di una esasperazione del confronto interno che potremmo e dovremmo
    lasciarci alle spalle.
    Noi vogliamo credere ancora possibile un percorso unitario, e
    lavoriamo per questo in vista del VII Congresso. Ed è per questo che
    oggi ci appelliamo al senso di responsabilità e vorrei dire alla
    razionalità della maggioranza del Partito e dei compagni che non
    condividono la strategie di scioglimento di Rifondazione comunista. E,
    in particolare, alla lungimiranza del compagno segretario nazionale.

  3. #3
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    Predefinito

    Un report del CPN del compagno Oggionni.

    http://www.esserecomunisti.it/index....Articolo=20407
    REPORT sul CPN del 16 dicembre 2007

    Non è stato un Cpn ordinario. Avrebbe dovuto segnare – con la presentazione dei documenti – l’avvio del percorso congressuale; ha sancito invece il rinvio del VII Congresso nazionale e l’indizione di una consultazione delle iscritte e degli iscritti che avrà per oggetto i contenuti della verifica politico-programmatica con il Governo che il nostro Partito ha messo in calendario per il prossimo mese di gennaio.
    Sul rinvio (condiviso da circa l’85% dei segretari di federazione e regionali), la nostra componente ha posto alcune condizioni. Che la consultazione sul Governo sia una consultazione vera, con un vero coinvolgimento delle iscritte e degli iscritti e senza un esito predefinito: come ha riassunto Claudio Grassi nel suo intervento, «se ci sono ancora punti programmatici condivisi tra noi e la maggioranza dell’Unione – su salari, pace e diritti – l’esperienza di governo continua, altrimenti si esce». A questo proposito, facciamo notare che il Cpn – a dimostrazione di quanto sia diffuso il malumore nel Partito rispetto alla nostra partecipazione al Governo Prodi – ha respinto con solo il 56% di voti contrari un ordine del giorno, presentato Franco Russo e sottoscritto anche da Alberto Burgio, che chiedeva, in assenza di un dispositivo di fiducia, di impegnare il gruppo alla Camera al voto contrario sul decreto-sicurezza.
    La seconda condizione posta sul rinvio è che il Congresso sia ritardato soltanto per il tempo strettamente necessario a svolgere la consultazione e le elezioni amministrative, in modo tale quindi da concludere i lavori in autunno e comunque entro la fine del 2008. La terza, infine, è che del rinvio non ci si approfitti per avviare – sottraendo la discussione e la decisione al corpo del Partito – non tanto la costruzione del «soggetto unitario e plurale» (sulla quale siamo tutti d'accordo), quanto il partito unico della sinistra. A questo sbocco siamo strenuamente contrari. In ogni caso, potrebbe essere solamente un Congresso a deciderlo.
    Intorno a una modalità sbagliata di concepire il percorso di unità a sinistra si addensano le nostre preoccupazioni, confermate dalla relazione introduttiva del segretario nazionale e, soprattutto, dall’ordine del giorno finale presentato dalla segreteria e votato a maggioranza dal Cpn.

    Un testo che, pur accogliendo in diversi passaggi le integrazioni da noi proposte, contiene due elementi a dir poco problematici.
    Il primo riguarda precisamente il rischio di una impropria precipitazione del percorso di unificazione a sinistra. L’ordine del giorno chiede al Partito, infatti, «di imprimere un’accelerazione senza la quale gli impegni assunti rischierebbero di rimanere sulla carta». Pur affermando in un passaggio la permanenza della «autonomia politica, culturale e organizzativa del partito», il testo ci è parso su questo specifico punto elusivo e ambiguo. Abbiamo quindi proposto al voto un primo emendamento che chiarisse inequivocabilmente l’impegno del Prc a partecipare al processo di costruzione del soggetto unitario e plurale della sinistra escludendo «lo scioglimento dei partiti che concorrono alla sua realizzazione. Come abbiamo detto alla Conferenza di Carrara Rifondazione Comunista resta per l’oggi e per il domani». L’emendamento è stato bocciato con 108 voti contrari, ma ha raccolto 28 adesioni: oltre ai compagni di Essere Comunistipresenti al momento del voto, è stato votato anche da alcuni compagni della maggioranza.

    Il secondo elemento di preoccupazione nell’ordine del giorno della segreteria equivale a una vera e propria forzatura. Il dispositivo finale dell’odg avanza formalmente – parlando di un obiettivo da perseguire «con determinazione» – la proposta di «presentare liste unitarie nelle prossime elezioni regionali e amministrative».
    Anche su questo punto abbiamo presentato un emendamento, che definisce due condizioni per la presentazione delle liste unitarie. La prima è – come ha detto Burgio nella dichiarazione di voto sull’emendamento – che si determinino «convergenze programmatiche significative, tali da giustificare la decisione di andare a liste unitarie». Il che, considerata la vocazione governista di alcune delle forze della sinistra, non è per nulla scontato. La seconda condizione è che vi sia l’accordo delle quattro forze politiche che hanno dato vita agli stati generali, accordo in assenza del quale la proposta andrebbe, per evidenti ragioni, riconsiderata (si pensi, per fare soltanto un esempio, a cosa succederebbe qualora il nostro Partito confluisse in una lista unitaria e, contemporaneamente, il Pdci si presentasse agli elettori, autonomamente, con falce e martello).
    Infine, il nostro emendamento ha esplicitato la norma statutaria che sancisce la sovranità degli organismi territoriali del partito (non già del Comitato politico nazionale) in materia di elezioni amministrative. Pure questo secondo emendamento ha raccolto 28 adesioni e 108 voti contrari.

    Non essendo stati accolti i nostri emendamenti e dovendosi votare i vari documenti in contrapposizione, le compagne e i compagni dell'area Essere Comunisti non hanno partecipato al voto conclusivo, caratterizzandosi, quindi, sul contenuto dei due emendamenti presentati.
    Il comportamento che abbiamo tenuto in questa riunione del Cpn si spiega con un ragionamento molto semplice: siamo unitari ma non subalterni. Pensiamo che l’unità a sinistra sia essenziale, ma consideriamo l’autonomia politica e organizzativa di Rifondazione comunista un valore irrinunciabile. I compagni della maggioranza sapevano benissimo che forzare nel documento conclusivo sulle liste unitarie avrebbe prodotto un nostro dissenso. Nonostante ciò lo hanno fatto poiché hanno ritenuto più importante non fare emergere, nel seno della stessa maggioranza, un dissenso opposto al nostro: quello di coloro i quali vogliono accelerare sul soggetto unico.
    Riteniamo con ciò di avere compiuto una scelta giusta e, soprattutto, di avere rappresentato il sentimento diffuso di molti compagni del Partito e non solo di quanti si riconoscono organicamente nelle nostre posizioni. Questi compagni non condividono un percorso unitario che non dia garanzie sulla permanenza di Rifondazione Comunista e non ritengono affatto che presentarsi alle elezioni senza il nostro simbolo sia una scelta utile al Prc e all'intera sinistra. Noi siamo d'accordo con loro e su questo caratterizzeremo la nostra iniziativa nel Partito.

    Simone Oggionni

  4. #4
    Anticapitalista!
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    Predefinito CPN del 16 Dicembre 2007

    L'intervento collettivo letto da Nando Simeone al CPN di Rifondazione che ha ufficialmente rinviato di un anno il congresso e lanciato il percorso politico e elettorale della sinistra arcobaleno. Tesseramento in primavera e liste uniche ovunque alle amministrative di maggio.


    Alle compagne e ai compagni di Rifondazione
    Carissime/i,
    E’con rammarico che vi scriviamo questa lettera e compiamo questo passo. Il rammarico di chi ha costruito fin dagli inizi questo partito investendo le proprie energie e la propria passione militante in un progetto allora affascinante e ambizioso: la rifondazione comunista. Questo progetto non esiste più, il patto originario che ci aveva tenuto insieme è stato spezzato e il Prc non solo ha alle spalle un’esperienza di governo fallimentare, che ne ha snaturato il senso e il ruolo, ma si appresta a una capriola politica in direzione di una nuova soggettività, l’Arcobaleno che chiude un ciclo politico e manda a casa migliaia di militanti. Come se non bastasse, tutto questo viene realizzato con il sequestro del congresso agli iscritti e alle iscritte in modo tale che quando verrà restituita loro la parola le scelte principali saranno state già fatte.Noi non ci stiamo e pensiamo che sia venuto il momento di fare altro e di disporsi a una nuova progettualità.

    Gli avvenimenti dell'ultimo anno del resto hanno confermato i peggiori timori che molti di noi avevano colto nelle decisioni del Congresso di Venezia. Si doveva “cambiare l’Italia” e questo obiettivo non è più nemmeno lontanamente ipotizzato; si doveva costruire un’alleanza con la “borghesia buona” dei Marchionne, Draghi e Padoa-Schioppa e da questi è venuta una linea di liberismo tenace a cui il Prc si è semplicemente subordinato; la "permeabilità" del governo alle istanze sociali per mezzo delle nostre pressioni si è rivelata infine impossibile. La "relazione con i movimenti" si è rovesciata nel loro abbandono (si pensi al voto su guerra e Dal Molin dopo soli quattro giorni dalla grande manifestazione del 17 febbraio); non si è minimamente riusciti a incrinare la subordinazione di questo governo al Vaticano su temi come i diritti civili, la scuola e così via.


    Se la scelta del governo è stata proposta all’insegna del “vuoi vedere che cambia davvero” - con un errore di analisi che si è rivelato tragico - dopo qualche mese la stessa ipotesi di una "riduzione del danno" si è tradotta nel suo contrario, nell'accettazione di provvedimenti persino peggiorativi rispetto a quelli adottati dal precedente governo.
    Il caso del Pacchetto Welfare e del Decreto Sicurezza ne costituiscono la dimostrazione.


    Sul Welfare, Rifondazione si è spinta fino a promuovere una grande manifestazione il 20 ottobre che è stata vanificata dall’accettazione piena del provvedimento siglato da governo, Confindustria e sindacati. Una sconfitta che non sarà recuperabile a breve. Sulla sicurezza, invece, si è abdicato persino al ruolo di “presidio democratico” accettando un provvedimento dalla logica aberrante e, soprattutto, restando in silenzio nei giorni in cui il paese era lasciato in pasto a una isteria xenofoba alimentata dallo stesso Partito Democratico.


    La "maggiore visibilità" del partito si è tradotta nell'apparire ai nostri elettori come i maggiori responsabili (e i più elettoralmente puniti) del carattere antipopolare del governo Prodi e della sua ipocrisia di fronte al programma. Responsabilità che viene di fatto confermata dall’impegno ribadito a sostenere questa maggioranza fino "all'approvazione delle riforme", termine dal quale ormai si può solo temere. Anche questo passaggio rappresenta una torsione incredibile rispetto alla nostra storia e al nostro ruolo. Ci siamo vincolati a un programma di governo fortemente sbilanciato sul versante del liberismo – si pensi al nodo dei parametri di Maastricht – nell’ossessione del pericolo delle destre e ora lo stesso Berlusconi viene indicato come l’architrave di una riforma necessaria, proponendo un inedito asse con lui e Veltroni che ha Prodi come vittima sacrificale. E tutto per ottenere una riforma elettorale in grado di realizzare la “cosa Arcobaleno” e di reimpostare il patto con il Pd. Un esempio inedito di cinismo politico e di spregiudicatezza tattica.


    Di fronte al bilancio fallimentare dell’azione di governo il presidente della Camera ha preferito distogliere l’attenzione chiamando in causa il “fallimento di Prodi”.
    In realtà siamo di fronte al fallimento di Rifondazione che coincide con il suo snaturamento.
    Quel partito anticapitalista, di lotta, fuori dai poli, distante dal centrodestra e dal centrosinistra, oggi non esiste più. La logica governativa, ancora una volta, ha travolto convinzioni forti e rigidi paletti; la logica della mediazione ha preso la mano alla nitidezza del conflitto. In questo contesto l’esigenza di unire la sinistra ha reso impalpabile la chiarezza programmatica e la forza dei contenuti.


    Non è un caso, dunque, che per non parlare del fallimento in atto si sposti l’attenzione su un nuovo progetto, “la Sinistra, l’Arcobaleno”. Quella in corso è sostanzialmente l'ipotesi di gettare il partito in un calderone di "sinistra istituzionale" con forze che non intendono mettere in discussione nè l'alleanza con il Pd nè l'appoggio al governo Prodi, o che non hanno al centro delle loro preoccupazioni le condizioni di vita dei lavoratori. Ma soprattutto è un’ipotesi che chiude definitivamente con il progetto della “rifondazione” cioè con il tentativo di rinnovare e ridare senso all’opzione comunista. Non sappiamo se nella consapevolezza dei compagni e delle compagne c’è questa constatazione: la rifondazione è stata sempre annunciata come prossima a venire, anche se un dibattito serio non è mai stato realizzato; è sempre stata l’aspirazione futura che ha però dato linfa e speranza al nostro progetto collettivo. Oggi per la prima volta non esiste nelle prospettive di domani, essendo ormai la “rifondazione della sinistra”, genericamente intesa, la preoccupazione dominante. Non amiamo la discussione sui simboli nè li consideriamo dei feticci. Ma non è un caso che ancora una volta sia proprio il simbolo della falce e martello la vittima sacrificale di questo rimescolamento delle carte a sinistra. Ancora una volta si verifica uno slittamento moderato e ancora una volta a essere rimossi sono gli unici simboli viventi della storia del movimento operaio.


    La nuova cosa Arcobaleno, dunque, si appresta a nascere dentro un orizzonte timidamente riformista, di stampo governativo e con un azzeramento di quel patrimonio non negoziabile rappresentato dal conflitto sociale e dalla costruzione dei movimenti che ha caratterizzato il Prc. Si appresta a nascere, cioè, affossando la rifondazione comunista.

    E fatto ancora più grave, questa scelta non viene sottoposta ad una verifica seria da parte dei e delle militanti, dentro il dibattito congressuale. Si sceglie invece la strada di una “consultazione" (parola equivoca viste le precedenti esperienze) che avverrà solo sul tema delle "condizioni per la continuazione della partecipazione al Governo" e che espropria le compagne e i compagni che rappresentano l’ossatura del partito della possibilità vera di decidere: questa è la conseguenza del “colpo di mano” rappresentato dal rinvio del Congresso alla fine del prossimo anno, quando ormai scelte e decisioni saranno irrevocabili - e comporteranno la scomparsa del progetto di una rifondazione comunista e rivoluzionaria (qualunque significato si voglia dare a questo concetto).


    La situazione che si è venuta a determinare, quindi, ci fa dire che la nostra esperienza nel Prc è conclusa e che intendiamo avviare la costruzione di un nuovo progetto politico.
    Una separazione che nasce dalla presa d’atto che due progetti diversi prendono strade diverse: da un lato Rifondazione chiude di fatto la propria storia, sottraendo il congresso ai suoi militanti, per dare vita a un nuovo soggetto politico, con un nuova identità, timidamente riformista e a vocazione governativa; dall’altro, Sinistra Critica, con forze certamente più modeste ma senza per questo rinunciare “all’utopia concreta” e allo slancio politico delle sue compagne e dei suoi compagni, propone di continuare a costruire una sinistra di classe, anticapitalista, di opposizione, centrata sui movimenti e in grado di riappropriarsi dello spazio teorico e pratico di una moderna sinistra rivoluzionaria. Una sinistra all’opposizione, oggi, del governo Prodi.Una sinistra a sinistra dell’Arcobaleno.


    Una separazione, dunque, che nasce nel vivo di un passaggio di fase molto importante e in un processo di rimescolamento generale della e nella sinistra. E’ questo, dunque, a conferire valore politico e attualità alla scelta che noi oggi compiamo. Ma nel momento in cui la compiamo, naturalmente non possiamo e non vogliamo dimentica la rottura che si è operata con l’espulsione del nostro compagno Franco Turigliatto, colpevole di essersi rifiutato di votare ciò che per anni il partito aveva contrastato. Quella scelta l’abbiamo fatta nostra a sua tempo e oggi la rivendichiamo e se c’è una distanza tra quell’episodio e l’atto politico di oggi, questa testimonia della volontà di dare ancora una possibilità al dibattito interno. Possibilità che non è maturata e che le decisioni delle ultime settimane hanno ormai reso illusoria.


    A quei compagni e quelle compagne che vi hanno creduto e che pensano sia possibile cambiare il corso delle cose diciamo oggi di riflettere seriamente. Non vi diciamo, semplicemente, venite con noi e seguiteci in questa scelta ma riflettete seriamente. Davvero, si rischia di disperdere un patrimonio militante molto importante e si rischia di dover ricominciare con forze molto esigue. Anche per questo abbiamo parlato di “Costituente Anticapitalista”: rivolta a forze politiche e sociali di movimento ma rivolta anche a tutti coloro che hanno militato o militano ancora in Rifondazione, o in altri partiti della sinistra, e che vogliono darsi una nuova occasione.


    Vi comunichiamo dunque la fine della nostra presenza nel Prc. Lo facciamo serenamente e senza settarismi, nella nettezza della polemica politica, che non concede sconti, ma anche nella consapevolezza che non mancheranno momenti di collaborazione e di confronto.
    Ma è tempo di ricordare che in Italia sono sempre esistite due sinistre; una moderata e riformista e l’altra anticapitalista e rivoluzionaria. Nel momento in cui il Partito democratico sceglie il centro, le due sinistre sono destinate a venire alla luce.


    Fraternamente,


    Matteo Bartolini, Sergio Bellavita, Salvatore Cannavò, Luigino Ciotti, Lidia Cirillo, Danilo Corradi, Christian Dal Grande, Flavia D’Angeli, Gianluigi Deiana, Nadia De Mond, Roberto Firenze, Aurelio Macciò, Elena Majorana, Gigi Malabarba, Felice Mometti, Cinzia Nachira, Chiara Siani, Nando Simeone, Franco Turigliatto


    Roma 16 dicembre 2007


    fonte: www.sinistracritica.org(il link diretto non è possibile ma tanto è lì in prima pagina)

  5. #5
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    L'ordine del giorno presentato dai compagni di FalceMartello.
    www.marxismo.net


    Con il voto sul protocollo sul welfare è stata messa l’ultima parola al dibattito sulla possibilità di introdurre riforme favorevoli ai lavoratori e alle classi subalterne attraverso la nostra partecipazione al governo.

    La modalità con la quale si è arrivati al voto di fiducia non solo riconferma i contenuti negativi del protocollo (innalzamento dell’età pensionabile attraverso gli scalini, definitiva conferma della legge 30, ecc.), ma costituisce anche una sconfitta diretta del nostro partito e della strategia scelta della maggioranza del partito, che aveva teorizzato la possibilità di ottenere dei miglioramenti attraverso il dibattito parlamentare. Questa strategia si è dimostrata fallimentare.
    Si tratta solo dell’ultimo passaggio di una lunga serie, cominciata con l’Afghanistan e proseguita poi con le leggi finanziarie, l’aumento delle spese militari, i regali alle imprese, le campagne repressive e xenofobe trascritte nel pacchetto “sicurezza”, l’ossequi ai diktat vaticani sui Dico, la negazione della commissione sul G8.
    Oggi, con un quadro politico che si sposta ulteriormente a destra, con il Partito democratico che avanza come un rullo compressore, con un vertice sindacale completamente piegato alla logica della competitività e del “risanamento”, con un profondo distacco di massa fra i lavoratori, i giovani, i precari, gli immigrati, gli sfruttati, e le forze della sinistra, è inimmaginabile che da una “verifica” di governo possa emergere qualcosa di diverso da quanto abbiamo visto fino ad oggi.
    La rottura con questo governo e col Partito democratico è sempre più una necessità urgente, un passo indispensabile affinché il nostro partito possa disporsi al lavoro di ricostruzione del proprio radicamento nelle lotte e nei conflitti, con un percorso di opposizione di fondo non solo al governo Prodi, ormai moribondo, ma all’intero impianto del Partito democratico, che si pone come pietra angolare delle future formule di governo in nome e per conto degli interessi del capitale, pienamente dispiegati nella ideologia e nella pratica del Pd.
    Questa è la discriminante che dobbiamo assumere anche nei rapporti a sinistra e nel dialogo con quelle forze che non sono confluite nel Partito democratico. L’unità è utile e auspicabile se si produce nei conflitti, su piattaforme chiare, anche parziali, ma che abbiano l’obbiettivo della mobilitazione. Viceversa, l’esperienza di questi mesi, dal 9 giugno al 20 ottobre alla vicenda del welfare, ha mostrato una unità di vertice, completamente dominata da una logica istituzionalista ed elettoralista, ma una divisione profonda ogni volta che si sono poste in modo stringente questioni di classe e autentici percorsi di mobilitazione.
    La Dichiarazione d’intenti scaturita dall’assemblea dell’8-9 dicembre riflette pienamente questa realtà. Si tratta di un documento che rivendica apertamente l’internità al centrosinistra, un documento dal quale è espunto qualsiasi riferimento di classe, antagonista, ma anche solo antiliberista. La dichiarazione peraltro nasconde con una serie di formulazioni evasive le differenze tutt’ora esistenti tra le forze promotrici. A conferma della natura istituzionalista del progetto, queste divisioni si manifestano nel modo più aspro non appena si apre il dibattito sulla legge elettorale. Il Prc non può affrontare il dibattito sulla legge elettorale con logiche strumentali, mettendo in gioco la difesa dei diritti democratici nel tentativo di ottenere una legge elettorale che favorisca l’occultamento dei problemi politici determinati dal fallimento della linea di Venezia. Tantomeno possiamo renderci disponibili a sostenere o favorire l’avventura di possibili governi “istituzionali” in nome dell’obiettivo della legge elettorale.
    È necessario invece, a partire dalla rottura col Partito democratico, avviare una discussione di massa nel partito e oltre su come affrontare la prossima fase. Al centro delle nostre priorità devono esserci;
    1. Un dibattito di natura programmatica che sviluppi la necessaria piattaforma sulla quale ricostruire l’intervento del partito. La logica della trattativa interna al governo, che ha dettato le priorità di tutte le proposte avanzate dal partito in questi anni, deve essere rovesciata e sostituita dalla costruzione di un programma di rivendicazioni a vasto raggio, antagonistiche, sul terreno del salario, dei diritti, della precarietà, dell’immigrazione, dell’internazionalismo.
    2. Un intervento a tutto campo nei conflitti in corso, a partire dalla vertenza dei metalmeccanici, che riguarda non solo il rinnovo contrattuale più importante dell’industria, ma anche uno scontro decisivo dal quale può dipendere l’intero dibattito sul cosiddetto “nuovo modello contrattuale”, ossia il tentativo di smantellamento del contratto nazionale.
    3. Un serio lavoro di costruzione nei luoghi di lavoro, che si ponga l’obiettivo a partire dal milione di No espressi nella consultazione sul welfare, di costruire piattaforme, vertenze e forme di autorganizzazione dal basso in opposizione alla campagna normalizzatrice che avanza nella Cgil.
    4. Una mobilitazione di massa sulla guerra, per il ritiro di tutte le missioni militari a partire da quella in Afghanistan, dove la guerra si estende ulteriormente e dove l’Italia si appresta a prendere il comando della missione Isaf.
    5. Fare dispiegare appieno il dibattito congressuale, facendo del VII congresso del Prc un’occasione centrale di svolta e rilancio del Prc come partito di lotta e di opposizione.
    È in questo grande lavoro che va investita la forza e la voglia di partecipazione e di lotta espressa dalla manifestazione del 20 ottobre, dove si è espresso quanto di meglio questo partito e la sinistra rappresentano nel nostro paese e nelle classi subalterne.

    Claudio Bellotti, Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Mario Iavazzi, Jacopo Renda
    (respinto con 5 voti a favore)

  6. #6
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    Se non sbaglio, quando si è votato, la maggioranza ha avuto 108 voti, Essere Comunisti 28, l'Ernesto 7, Falce e Martello 5.
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    Intervento di Alessandro Leoni - CPN del 16 dicembre 2007

    di Alessandro Leoni *

    su redazione del 16/12/2007


    Tralascio ogni specifico riferimento alla comune preoccupazione per il grave stato di malessere che il PRC vive e di cui il presente dibattito sta fornendo ampia illustrazione. Voglio invece sottolineare solo alcuni elementi particolarmente problematici quali l’assenza, significativa, di adeguate risposte, da parte di questo gruppo dirigente, a varie dichiarazioni apparse, con grande rilievo, sulla stampa nazionale, di esponenti politici sia del nostro partito che della “Sinistra Democratica” e che sono, certamente, non ininfluenti nel determinare il presente stato di confusione e allarme presente, diffuso fra i nostri iscritti e militanti. Non credo che si possa far finta di niente quando l’attuale presidente della Camera, Fausto Bertinotti, dichiara un giorno il fallimento del governo Prodi e il giorno dopo si autosmentisce, oppure il leader della “S.D.”, Mussi, insiste nel dichiarare che l’iniziativa unitaria romana dell’8 e 9 è una prima tappa verso il “partito unico della sinistra”, per non riferirsi alle immagini e ai commenti rilasciati da personaggi quali l’on. A. Occhetto e A. Cossutta protagonisti, ognuno per se prima e oggi, addirittura, insieme, dei più grandi disastri che la sinistra abbia subito ! Dunque non è banale questione di fornire “tranquillanti” a, presunti, compagni emotivi, bensì di chiarezza politica e di consapevolezza della complessità, oggettiva, della presente fase politico-storica nella quale il pericolo dell’opportunismo, dell’inconsistenza teorico-culturale non è certo minore rispetto agli infausti giorni della “Bolognina”, contro la quale, è bene ricordare, questo partito è nato e, fino ad oggi, esistito!

    * Segreteria Prc Federazione di Firenze

    http://esserecomunisti.it/index.aspx...Articolo=20424

  8. #8
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    Marius: ti da mica fastidio se accorpo questo thread in quello del CPN del 16?

  9. #9
    Anticapitalista!
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    Citazione Originariamente Scritto da Lavrentij Visualizza Messaggio
    Marius: ti da mica fastidio se accorpo questo thread in quello del CPN del 16?
    njema problema

  10. #10
    Nessun vincitore crede al caso
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    Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam
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    Citazione Originariamente Scritto da Myrddin-Merlino Visualizza Messaggio
    Se non sbaglio, quando si è votato, la maggioranza ha avuto 108 voti, Essere Comunisti 28, l'Ernesto 7, Falce e Martello 5.
    Gli emendamenti di EC hanno preso 28 voti perchè anche alcuni della 1 li hanno appoggiati.

 

 
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