Alcune considerazioni sullo sciopero dei camionisti
Da lunedì 10 dicembre sino al 12 l’Italia è stata messa in ginocchio dalla protesta degli autisti dei TIR, i giganteschi camion che solcano le strade. I camionisti hanno per quei giorni cessato il loro servizio e compiuto blocchi in autostrade, porti, e persino aeroporti. La protesta che sarebbe dovuta durare nelle intenzioni originarie sino al 14, avendo avuto per protagonista una categoria nevralgica per il funzionamento del paese in quanto se si ferma cessano la stragrande maggioranza degli approvvigionamenti commerciali, industriali e del pubblico servizio, ha messo in subbuglio tutta l’economia nazionale e creato problemi ai cittadini, tipo l’esaurimento del carburante in molti rifornitori. Ingenti i danni: 210 milioni di euro persi ogni giorno di protesta nel solo settore agro-alimentare. Motivi della protesta le grosse difficoltà che affliggono il settore degli autotrasportatori: costi del gasolio, dei pedaggi autostradali, delle assicurazioni, tariffe basse, ritmi che oltre ad imporre guida continua per 8-9 ore consecutive senza sosta, impongono di correre superando i limiti di velocità con grande frequenza di multe grazie ai sempre più invasivi “grandi fratelli” autovelox, concorrenza spietata dei camionisti stranieri; come in parecchi lavori, ritmi insopportabili e rischio di incidenti (per se e per gli altri automobilisti) a prezzo di guadagni magri!
Giorni che hanno visto saltare dai gangheri ministri e Confindustria, visibilmente nervosi. Quando martedì il ministro dei trasporti Bianchi ha ordinato per chi non cessasse entro 24 ore la protesta, la precettazione, che significa espulsione dall’albo e reclusione in carcere per mesi, gli autotrasportatori hanno deciso di fare muro disobbedendo all’ordinanza finché non venissero soddisfatte le richieste. A quel punto gli scaldasedie, vista la determinazione dei camionisti, temendo una gravissima degenerazione della situazione, hanno deciso di trattare mostrandosi apparentemente disponibili a molte delle problematiche sollevate; così hanno promesso tagli ai costi del gasolio, rimborso delle spese per i pedaggi, aumento del potere contrattuale dei camionisti, tagli dei costi assicurativi. Di conseguenza la protesta è cessata entro il termine massimo imposto dal ministero dei trasporti.
Di certo le promesse in futuro troveranno una parziale o nulla applicazione; il punto è che il governo ha dovuto far credere momentaneamente di scendere a patti per “spegnere l’ incendio” e che non vuole nel contempo allargarsi nella soddisfazione delle richieste per non creare un pericoloso (per il governo!) precedente che darebbe ad altre innumerevoli categorie angariate dal sistema il messaggio che per ottenere ciò che spetta di diritto bisogna attuare proteste dure e spietate come quella di quei giorni.
Certamente i disagi di quei giorni su altri lavoratori e sui cittadini in generale (pensiamo ai blocchi stradali e portuali) umanamente non fanno piacere, tuttavia in questa Italia dove ogni giorno va sempre peggio in tutti gli aspetti della vita, ogni protesta “educata e tranquilla” per difendere i propri diritti si risolve spessissimo in una perdita di tempo e di denaro, quasi invogliando la controparte a procedere peggio convinta di una sorta di impunità. Inoltre se la protesta si mantiene tranquilla e educata, nessuno ti sente, ne la massa imbelle ne i giornalisti di regime. La logica di sopravvivenza impone dunque di ricorrere a proteste dure fonti anche di disagio sia per la massa che per la controparte (capitale o istituzioni), in modo da porre l’ attenzione sulla gravità del problema, per costringere a risposte concrete. I camionisti dei TIR sapendo di essere un settore da cui dipende il funzionamento del sistema-paese hanno sfruttato questa caratteristica per porre l’ attenzione sui loro problemi e per provare ad ottenere un miglioramento delle loro condizioni di lavoro.
Svariate associazioni rappresentative delle categorie colpite, in primis consumatori e agricoltori, sono decise a chiedere un risarcimento dei danni causati dalla protesta alle associazioni rappresentative dei camionisti. Pur comprendendo i problemi arrecati a categorie già disagiate, non si deve cadere nella trappola di lotte di “categoria” tanto agognate dalla massoneria secondo la logica “dividi e comanda”, va invece cercata la lotta di popolo, che travalica gli interessi di categoria in vista dei problemi comuni che affliggono il popolo italiano, contro questo sistema che è tutto un imbroglio. Bisogna domandarsi cosa può aver spinto una categoria verso una dura protesta. E riguardo ai disagi che durante una protesta i cittadini possono vivere, va detto che nella lotta per avere giustizia bisogna saper accettare qualche giorno di sacrificio per sperare di non dover sacrificare per anni e anni; altrimenti inutile lagnarsi perché la sanità è uno schifo, perché gli stipendi sono bassi etc. Certamente una protesta per quanto forte deve sempre garantire il funzionamento di alcuni servizi essenziali come la sanità, la salvaguardia dell’ambiente etc.: anche i più seri problemi non giustificheranno mai ad esempio la privazione delle medicine per curare i pazienti negli ospedali.
Altre categorie come gli studenti universitari colpiti dall’aumento delle tasse, i manovali decimati nei cantieri edili, i contadini sardi distrutti dall’usura bancaria e dal mercato globale, gli anziani sfrattati perché la loro pensione non basta per pagare l’affitto, dovranno per ottenere qualcosa dar vita a proteste dure, che creino difficoltà, proteste alle quali il resto del popolo oppresso dovrà dare appoggio e sostegno. Uniti si vince.
Alfredo Ibba
15 dicembre 2007
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