Articolo tratto da MZ, il giornale online di Movimento Zero (www.movimentozero.org/mz):
Movimento senza senso
7 dicembre 2007
Uno dei cardini di questa civiltà è che tutto deve continuamente cambiare. Cambiare è bello, sempre e comunque. Per esempio cambiare luogo, abitazione, patria. Il fatto stesso dello spostamento di persone o di cose, da qui a là, è considerato in ogni modo un fatto positivo.
Ci si muove per il lavoro e nel tempo libero. Ci si muove perchè si è obbligati e perchè si è allettati. Tutto il sistema pare misteriosamente programmato sulla opportunità di muoversi, sino a determinare le situazioni più paradossali ed aberranti. Siamo oramai ad un punto - come vediamo dalla serie di pubblicità che in varie forme ci incitano - per cui abbiamo la possibilità di raggiungere, con una spesa di poche decine d'euro, le più diverse località del pianeta; e se invece si vuole restare, semplicemente, a casa propria, bisognerà sborsare mille euro al mese d'affitto o di mutuo.
Devono muoversi le persone e devono muoversi le cose. Qualche tempo fa Beppe Grillo ha detto che migliaia di tonnellate di biscotti si esportano ogni anno dagli Stati Uniti all'Europa del Nord; ma lo stesso numero di tonnellate di biscotti si esportano ogni anno dall'Europa del nord agli Stati Uniti... Ai contestatori di queste esportazioni incrociate, un fautore della movimentazione di merci risponderebbe che "non si tratta degli stessi biscotti". Sì, concludeva allora Beppe, ma non farebbero prima a scambiarsi la ricetta?
E fino a qui si è anche un po' scherzato. Ma c'è almeno un aspetto di questo turbine del cambiamento su cui bisogna farsi seri. Si tratta dello spostamento compiuto dagli emigranti. Cioè dell'abbandono dei propri luoghi nativi - ed affettivi- per cercare sopravvivenza o miglior sorte altrove; si tratta, insomma, di quella transumanza umana che solo una mentalità economicistica subdola, profittatrice ed ignobile può definire "una risorsa".
Che questa spinta all'abbandono della propria terra venga da una distruzione operata sulle condizioni materiali, o - il che è forse peggio - da una distruzione operata sulle condizioni culturali (per cui si lascia la propria terra dove, materialmente, si potrebbe ancor vivere, per inseguire un illusorio "benessere moderno") ciò che potrà ritrovarsi nell'emigrazione sarà sempre - passato magari un primo momento di "euforia del nuovo" - il disagio dell'estraneità, la rapacità degli sfruttatori di manodopera, l'ostilità di gente comune che, magari di indole anche generosa, si sente però a sua volta come estraniata nella propria terra.
Dietro a queste sofferenze, imposte e celebrate sull'altare del dio "Sviluppo Economico", la nostra civiltà si mostra per quello che è: insensata e votata al fallimento.