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  1. #11
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    Predefinito Scrive Ferretti

    Al direttore - Vivo giorni solitari, sereni, dedito alla cura di una vecchia madre, alle incombenze quotidiane; la lettura del Foglio è il mio contatto con il contemporaneo e ne sono grato, ma queste cose lei le sa perché mi onora della sua stima.
    Non ho mai sottoscritto un appello. Non che non creda alla lotta delle idee, alla sua necessità, ma per me fa fede la parola e l’operare di ogni giorno e poi sono troppo montanaro cavallante per apporre la firma in apposito spazio. La signatura con croce sarebbe più adeguata.
    Il suo appello per una “nuova (doppia) moratoria” mi interroga e mi restituisce a un travaglio di pensieri a lungo pensati in situazioni diverse.
    Anni fa venni pubblicamente attaccato su Radio Popolare per un’intervista in cui esprimevo un’opinione sulla pena di morte non consona al moralismo vigente, tanto alternativo che conformista. Venni tacciato di fascismo, venne richiesta abiura in pubblico dibattito pena l’esclusione di CCCP/CSI dalla programmazione musicale.
    Scrissi una breve lettera al direttore in cui ribadivo che ognuno risponde per le proprie opinioni ed è responsabile delle proprie azioni; io ero libero di non accettare il dibattito loro di radiarmi.
    Mi rispose con gentilezza e tutto finì senza conseguenze.
    Semplifico un po’ per dare l’idea. Io non ho mai pensato che l’abolizione della pena di morte sia cosa giusta. Non lo è perché è una resa simbolica al male e confonde bontà con l’accettazione dell’inaccettabile.
    Ci sono crimini che sgomentano per ferocia e crudeltà, per l’innocenza e l’impotenza delle vittime, e la pena di morte può essere una forma molto imperfetta di tensione alla giustizia.
    Giustizia non è il perdono che la sublima e vanifica.
    Il perdono è solo della vittima, non si può perdonare per interposta persona.
    Nel codice penale deve esistere la grazia ma deve essere concessa da una funzione altra, non da chi amministra la giustizia. La grazia, nella complessità della convivenza civile, è indispensabile perché la giustizia deve equilibrarsi con la misericordia ma non può confondersi con l’ignavia.
    La giustizia non è degli uomini ma la tensione alla giustizia è doverosa. La confessione come sacramento del perdono non ha valenza civile, non salva dalla legge ma la richiede.
    Comunque credo che amore e giustizia siano per l’uomo fonte di insolvibile contraddizione, solo in Dio coincidono.
    Tutto questo non significa che mi metterò a raccogliere firme per la reintroduzione della pena di morte, è che non concordo con le motivazioni e soprattutto con l’aura di superiorità morale e perfezione democratica che sottende la moratoria.
    Mi pare il sussulto in mondo visione di una cattiva coscienza laica e religiosa che abiura ai propri doveri e se ne fa vanto.
    Non è la stessa cosa prevedere la pena di morte per un massacro efferato, un reato di opinione, un comportamento ritenuto non consono. Il farne tutt’uno è un atto malvagio, un supplemento di pena imposto alle vittime e scontato ai carnefici. La soddisfazione che traspare nei protagonisti per tanto traguardo mi ricorda la giunta di Napoli che assicura ai propri cittadini il livello più infimo, nel mondo occidentale, di gestione dei rifiuti unito al più alto tasso di criminalità ma impone il divieto di fumo nei giardini pubblici perché nocivo alla salute.
    Di procurata morte, splatter, gratuita, si nutre la letteratura, il cinema, l’arte.
    La morte spettacolare copre la cronaca del mondo occidentale.
    La morte inflitta per motivi politici, religiosi, sessuali, racconta ogni giorno la deriva del mondo musulmano ed è merce d’esportazione.
    La criminalità ne fa il suo punto di forza. L’organizzazione economica l’accetta come inevitabile. Che colpo di teatro decretarne la moratoria in quanto pena.
    Applausi.
    A proposito dell’aborto sottoscrivo ogni sua parola, ogni considerazione, ne percepisco la tensione. E’ una questione privata, anche. Quando mio padre morì, d’improvviso, e mia madre si trovò gravida di nuova vita, qualcuno, per buoni sentimenti tra cui la sua salute psicofisica, il rischio per la salute del nascituro, la situazione economica più che precaria, le consigliò di abortire. Qualcuno per meno nobili sentimenti di cui uno coercitivo: – non si deve è peccato mortale – si raccomandò che non lo facesse.
    Molti le mostrarono compassione. Mia nonna condivise la sua pena e sono nato io.

    Abortire è uccidere.
    Un’uccisione di cui non saprei commisurare la pena.
    Voglio pensare che avrei perdonato mia madre, nel caso.
    Non vorrei mai, per questo motivo, vedere una donna, che coadiuva il Creatore nel generare la vita, in tribunale tra avvocati e codicilli, ma considerare l’aborto un diritto sanitario mutuabile, questa è la realtà, comporta organizzazione e ottimizzazione scientifica burocratica economica di un crimine consumato quotidianamente nella rispettabilità del sistema sanitario pubblico e la cui colpa ricade sull’intera società.
    Ne nutre la disgregazione, lo sfacelo. Quanti se ne lamentano dovrebbero chiedersi di che si lamentano.
    Il mondo in cui sono nato pone a suo fondamento la nascita di un bimbo, un bimbo che è Dio fatto uomo, Incarnato, e con lui tutti i bimbi.
    E’ il mio mondo è ciò che amo e difendo.
    Mi incanta il suo fioretto per il tempo di Natale ma non la seguirò. Le chiedo venia.
    Non dispongo di tanta libertà nel comportamento, ne uscirebbe una quotidianità demenziale e non è il caso, non in casa, non durante il Santo Natale.
    La abbraccio calorosamente, suo devoto

    Ferretti Lindo Giovanni su www.ilfoglio.it del 29 dic 07

    saluti

  2. #12
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    Predefinito Al direttore-

    Aderiamo pienamente alla sua lotta e stimiamo molto la sua iniziativa. Accolga questo contributo di vita sperimentata e vissuta personalmente.
    Martedì 18 dicembre siamo state contattate da due infermiere della sala operatoria del nostro ospedale perché una donna aveva deciso all’ultimo momento di non voler più abortire. Entrate nella sala operatoria dal suo lettino ci ha sorriso e ci ha detto “portatemi a casa, voglio tenere il mio bambino”.
    Sarebbe stato il primo di cinque aborti programmati per quella mattina.
    Cinque bambini sono stati quindi abortiti (perché una mamma era in attesa di due gemellini).
    La vita di quel bimbo è stata per noi il più bel dono di Natale.
    Questa mamma ha detto sì alla vita, alla sua e a quella di suo figlio, come tante altre mamme che incontriamo, che pur vivono situazioni difficili e spesso drammatiche.
    Mamme che non si sono mai pentite di aver proseguito la gravidanza e di aver fatto nascere il proprio figlio.
    Grande è la commozione e la gioia che proviamo quando queste mamme ci portano a vedere i loro bimbi appena nati.
    A noi sembra che questa lotta valga almeno tanto quanto la moratoria sulla pena di morte e ci meravigliamo e ancor più ci indignamo che poche voci prendano la difesa di questi innocenti.
    Buon Lavoro e Buon Anno!!!

    Teresa Ceni Longoni e tutte le volontarie
    del Cav Magenta-Abbiategrasso

    da www.ilfoglio.it del 29 dic 07

    saluti

  3. #13
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    Predefinito Alcune lettere al direttore

    Al direttore - Seguo sempre la trasmissione “Otto e mezzo” e condivido tutte le sue idee. Aderisco alla grande moratoria sull’aborto. Sono credente e praticante. Eugenio Scalfari le chiedeva quasi ironicamente a quando la conversione? Io spero per lei presto, ma anche se attualmente non crede, Dio sicuramente crede in lei.
    Alberto Rossetti, Parma

    Al direttore - Ma che dire dei contribuenti che sono stati fino ad ora obbligati a finanziare questo sterminio, rendendoli in qualche modo complici?
    Giorgio Rossetto, via Web

    Al direttore - Vox clamans in desertu. Ma non si preoccupi, ha buoni precedenti: da noi, i deserti di ieri producono, oggi, grano e fiori.
    Alberto Eliahu, Milano

    Al direttore - Ben volentieri sottoscriviamo l’appello alla moratoria per l’aborto.
    Claudio e Giovanna Desirello, via Web

    Al direttore - Le scrivo per ringraziarla del suo diario e per augurarle un buon Natale, già fatto, ed un buon anno, da fare. Ho pensato a lei durante la messa del giorno di Natale. Il prete durante l’omelia si chiedeva timibondo cosa stessimo festeggiando, non riuscendo a dare alcuna risposta convincente ai fedeli. E’ mai possibile per tali domande dobbiamo attendere le risposte degli atei, per quanto devoti? Il termine “meritorio” mi procura una notevole orticaria, quindi mai definirò tale la sua dieta liquida. Utilissima sì. Per lei e per noi che la seguiamo di qua dallo schermo. Sono tempi bizzarri quelli in cui coloro i quali combattono perché nessuno tocchi Caino, campagna questa sì meritoria perché votata al merito di chi la fa, siano anche quelli che più direttamente minacciano Abele. I nuovi sacerdoti del liberismo mortifero trattano la vita e la morte come chi ha perso la cognizione anche istintiva e secolare di cosa esse siano. Una salutare dieta liquida ci può aiutare a stare più concentrati e a riflettere più costantemente su queste quisquilie e pinzillacchere. Di nuovo auguri, direttore. Se volesse concedersi qualche altra noce la mastichi molto, in modo da renderla liquida e zittire chi “meritoriamente” la bacchetta.
    Gianluca Brenna, via Web

    Al direttore - La ringrazio per ciò che sta portando avanti con tanta determinazione: è un’iniziativa coraggiosa, che condivido in pieno. Allo stesso tempo mi rendo conto di quanto sia anche faticosa… in questo tempo di feste, dove sulle nostre tavole abbondano le più svariate specialità della tradizione natalizia. Proprio per questo il suo impegno ha doppiamente valore.
    Prego la Regina della Pace che la sostenga fisicamente e la benedica.
    Un abbraccio fraterno
    Maria Teresa, famiglia e amici

    Al direttore - La legalizzazione dell’aborto è tout court la legalizzazione dell’omicidio. L’aborto legalizzato, come asseriva nel 1975 l’indimenticato Pasolini, equivale a un patto criminale che, frutto di due egoismi paralleli, viene siglato nel rapporto di coppia. O peggio, deciso da una sola delle due parti, retaggio ancor oggi della degenerazione avvelenata del femminismo militante. L’aborto assolve, di fatto, il coito, privandolo dunque, nella società veterosessuale di oggi, del suo ontologico carico di responsabilità nell’originare o meno una nuova esistenza. Considero l’aborto una colpa ma non in senso morale – non spetta a noi, credo, processare le coscienze – ma sul piano giuridico. Sul piano del buon senso, della ragione, non sussiste alcuna giustificazione nel decidere la soppressione di un essere umano, sia pure nei primi stadi della sua evoluzione. Sempre Pasolini, affermava:
    “Io so che in nessun altro fenomeno dell’esistenza c’è un’altrettanta furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto”.
    Penso in sostanza che la lotta debba concentrarsi sulla prevenzione dell’aborto e non sulla sua repressione. La lotta, legittima e che condivido, per la non-procreazione deve avvenire nello stadio del coito, non nello stadio del parto. Perché a quel punto una vita c’è già e risolversi a disfarsene equivale, appunto, a un omicidio.
    Ferrara sono davvero persuaso che su questa sua battaglia per la moratoria sull’aborto si giochi e si possa misurare il grado di civiltà della società occidentale, ormai sprofondata nelle sabbie mobili di una secolarizzazione che sempre più va configurandosi come il “sensato” alibi per l’indecente conformismo del diritto individuale elevato a metro eticamente ineluttabile della modernità. E a farsi portavoce di siffatto convincimento non è un cattolico integralista.
    Chi le scrive è orgoglioso della sua granitica laicità.
    Crocifisso Dentello, Varedo (MI)

    Da www.ilfoglio.it del 29 dic 07

    saluti

  4. #14
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    Citazione Originariamente Scritto da mustang Visualizza Messaggio
    ps: questo, sopratutto, è essere di destra.

    saluti
    certo...di destra clericale...ma è sempre destra

  5. #15
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    Predefinito Diario di una dieta speciale

    Quinto giorno, la dieta è cosa fatta, letture conciliari, Christian
    28 dicembre 2007
    Ieri pomeriggio, giovedì, ho lavorato al Foglio per la chiusura delle pagine, ho letto ovviamente tutte le lettere sulla moratoria, che sono semplici e belle, il fondino di Sergio Soave su Scalfari che mette limiti alla provvidenza (gustoso), il Pieraccioni di Langone, consacrazione del nostro reverse snobism, della nostra avversione al contegnoso senso di sé che hanno le opere e gli operatori di serie A (naturalmente quello di Pieraccioni, che ho visto per venti minuti in un cinema affollatissimo di Orbetello, è un film – make no mistake, altro che giuggiole – imbarazzante per quanto è brutto).
    Quanto all’attacco velenoso al nome Christian, per evidenti ragioni Langone sarà punito con una forte ammenda. E spero che Christian Rocca gli risponda a tono, ovviamente in inglese. Ok? Bellasio è riuscito a coprire alla grande, senza risorse umane (come dicono i capi del personale), l’assassinio di Benazir Bhutto.
    Auspico ricordino con insistenza, i commentatori (non li ho ancora letti), che Benazir era una donna di potere, dura, forse corrotta come sono corrotti gli uomini di potere duri che giocano in situazioni dure, una un po’ diversa dalle Ségolène andanti di oggigiorno, che non diceva ai pakistani “j’ai besoin de vous”, piuttosto gli diceva: “Avete bisogno di me”, e della mia coalizione tribale per la democrazia possibile, quella del pugno di ferro.
    Auspico ricordino, i commentatori, che questo spicinìo di morti ammazzati, a grandi mazzi come certi invii di fiori, è il prodotto del cancro islamista, non degli errori dell’impero americano, senza del quale saremmo già governati da qualche emiro, qui in Europa.
    Ieri sera, dopo il brodino di dado, ho letto brani da un libro di Gilles Routhier, storico québecois, sull’ermeneutica e la ricezione del Concilio Vaticano II: è il libro di un Alberto Melloni che scrive in francese, appena più moderato del maestro di Bologna erede di Pino Alberigo, e la sua tesi è che del Concilio conta la storia evenemenziale, lo spirito e l’attesa dei fedeli, il fatto pentecostale, più che i documenti, tesi esposta con molta dignità accademica, passione militante per una chiesa cattolica nuova e diversa da quella passata, e soprattutto con il conforto della teologia della recezione conciliare del cardinale teologo progressista moderato Walter Kasper e il bollo prestigioso dell’editrice Vita e pensiero della Cattolica di Milano.
    Poi ho pensato che bisognava rileggersi la Humanae vitae, l’enciclica scandalosa con cui Paolo VI, di venerata memoria, festeggiò il 1967 + 1, nel luglio di quell’anno, mettendo un segno di contraddizione nella recezione entusiastica del Concilio e dicendo agli uomini e alle donne del suo tempo che è meglio amarsi e fare figli, anche regolando con mezzi naturali e continenza la natalità, piuttosto che scopazzare in giro.
    Ieri fu tutto un “apriti cielo!”, ora quel testo inattuale, anche per merito di Kakà e del suo casto “I belong to Jesus”, torna buono per riflettere su questi primi quarant’anni della modernità, sebbene alla riflessione manchino un miliardo e più di cittadini del mondo esclusi dall’aborto di massa e dall’eugenetica dispiegata. Alle sette e mezzo, puntuale, stamane venerdì è arrivata suor Augusta, mi ha pizzicato il sangue alla perfezione. Nel pomeriggio i risultati, che saranno festosi. Nel quinto giorno di brodini, mi sento un leon che rugge. La dieta speciale pro moratoria continua fino all’ottavo giorno, ma è cosa fatta, mi pare.
    Sconsiglio fiaccolate, per l’anno prossimo.
    Secondo me bisognerà organizzare in primavera una riunione europea di cinque milioni di persone a Roma, in cui si manchi di rispetto all’aborto di massa e si denunci la vergogna dell’eugenetica.
    Un miliardo di aborti nel quarantennale della Humanae vitae? Cinque milioni di persone saranno appena sufficienti. Sogno? No, sono sveglio e sto per andare al Foglio, spero ancora lucido.

    Arrivo al Foglio, solito happening, poi calze di lana
    28 dicembre 2007
    Alla redazione romana del Foglio, mattina di venerdì, è stato il solito happening. Fra un tè e l’altro, in una newsroom quasi deserta per ferie e malattia, abbiamo perfezionato il progetto di quattro pagine speciali sulla moratoria nell’ultimo Foglio dell’anno, quello di lunedì prossimo (Nicoletta Tiliacos e Meotti, squadra embrionale, sono sempre pieni di idee); discusso con Marco Ferrante di come svegliare Confindustria dal suo torpore commendatizio, senza che sembri una campagna personale contro la simpatica ma esile Marcegaglia e senza rompere i rapporti con quello che quella carogna del mio amico Festa chiama il “piccolo establishment” dei Montezemolo e compagnia, e che poi sono bravi ragazzi con molti quattrini ma le idee un po’ confuse; mia furia belluina contro Travaglio che sbeffeggia il detenuto vecchio e ammalato sul giornale di Antonio Gramsci, liberato dal fascismo perché potesse morire nella clinica Quisisana; meticolosa attenzione alla politica estera dopo l’assassinio di Benazir Bhutto; poi una discussione su don Gelmini e Pasolini (moralismo fogliante a contrario, ira anticonformista allo stato puro); scherzato con Marianna Rizzini che è diventata la testa di turco di molti lettori per la sua posizione “lassista” in materia di aborto, con una sua legittima preoccupazione contro la dannazione delle donne che abortiscono i loro figli; altre cose varie, un balletto sul pezzo dedicato al nuovo vecchio capo mafioso Messina Denaro con Peppino Sottile, che apparecchia il sontuoso menu del supplemento del sabato; convenevoli con il giovane Vietti per come si è tirato fuori pallido pallido dall’infuenza, e solito arrivo in grazioso e lieve ritardo del gigantesco Stefano Di Michele, un letterato coi fiocchi e un uomo stupendo, mentre Buracchio, il Signor Direttore Generale che non sa scegliere sempre la cravatta giusta, ci guarda tutti come pazzi e costi da abbattere, ma alla fine con benevolenza.
    La serie di punto e virgola esibita sopra è una testimonianza personale del signor direttore contro la astiosa e brillante campagna di Mariarosa Mancuso a favore della moratoria del punto e virgola: sarò conservatore, ma a me piace.
    Prima della riunione lettura degli altri giornali, quelli che l’edicolante non mi porta a casa, dopo la scrittura dell’editorialino su don Gelmini, spacchettamento di nuovi gentili omaggi delle varie ditte, e via a comprare delle calze di lana al ghetto (le calze di lana non te le regala nessuna ditta). Perché quello sì, a non assumere calorie viene un po’ di freddo anche a chi in genere si fa bastare il cotone.

    Il gerosolimitano cardinal Martini e noi laici romani
    28 dicembre 2007
    Bella intervista a Carlo Maria Martini, con la mano di velluto del generoso Aldo Maria Valli, su Europa. Il cardinale che non ama quella che sente come un’aria di restaurazione nella sua chiesa, sentimento più che legittimo in una comunità che da duemila anni è plurale come poche altre (sebbene vincolata nell’intero suo corpo mistico a Cristo, che è la sua testa, e al suo vicario in terra), vive a Gerusalemme e fa del suo approdo lì una testimonianza mite della sua lontananza dalla chiesa latina, europea, occidentale, e perciò universale, nel suo stato presente.
    E va bene, perfino tra i Vangeli c’è tensione tra ellenisti e paolini da una parte, siriaci o sensibili alle istanze giudeocristiane dall’altra.
    Non c’è problema, ovvio. Martini parla con discrezione della sua malattia, della sua preghiera di intercessione, del suo sforzo di studiare e meditare. Approva l’attenzione di Benedetto al tema della famiglia, che è il cardine della pace secondo la sua lettera di capodanno, già resa nota, e addirittura propone due concilii nuovi, uno sulla parola di Dio, che sarà oggetto di un grande sinodo dei vescovi ad ottobre, e uno sulla famiglia, appunto.
    Altro che Family day, in un Concilio sulla famiglia se ne vedrebbero delle belle!
    E’ duro solo su due punti.
    Sulla liturgia, che per lui vale solo in italiano o inglese, insomma nelle lingue parlate sul luogo.
    E sui laici devoti, noi poveri laici romani e papisti, che proprio non sopporta.
    Dice questo, infatti, in risposta alla domanda pertinente di Valli a proposito del nuovo spazio pubblico che si è conquistata la religione nel nostro tempo.
    Valli: “Come giudica questo fenomeno?”.
    Martini: “Non solo positivamente. Certamente è positivo che si parli di religione, però bisogna che questo interesse sia portato da una vera fede, da un vero amore al Vangelo e non soltanto dal desiderio di contarsi e di contare”.
    Traduzione: “Sono incazzato nero. Ho il sospetto che chi non crede e si fa banditore di una cultura amica della religione e della chiesa lo faccia per scopi politici strumentali. La vera fede ci divide dai falsi apologeti del cristianesimo”.
    Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio: non so se sia un precetto cristiano, ma certo è umano anche per il vecchio e venerando cardinale. E comprendo il dubbio del principe della chiesa ed esegeta e gesuita progressista.
    Però lui comprenderà la mia sorpresa, che non arriva a pareggiare la sua astiosa diffidenza verso chi non crede, ma rispetta e ama la fede degli altri e la considera la risorsa preziosa per un mondo disperato.
    Insomma. E’ lui che mise in piedi a Milano, nel periodo del suo umile fulgore teologico e pastorale, la cattedra dei non credenti. O mi sbaglio?
    (Lo conobbi allora, lo intervistai con il mio taccuino, ci intendemmo su un testo da pubblicare a cui non cambiò una sola parola).
    Ratzinger e Ruini, Biffi o Caffarra o Scola, non si sono spinti fin lì durante il pontificato di Giovanni Paolo II Magno. Questi signori cardinali hanno proposto, sollecitando chi volesse ascoltarli, il nesso di fede e ragione come risorsa oggettiva per gli uomini e le donne della postmodernità imbizzarrita, e semplicemente sono stati ascoltati da persone che erano predisposte a questo ascolto.
    Misteriosamente predisposte, e per vie che, se Scalfari non avesse da eccepire, definirei addirittura provvidenziali (anche Vico trattava la provvidenza, caro Eugenio).
    Non parlo di papa Benedetto, che ha cambiato veste pastorale con la dignità di quel fragile e mite colosso che è, e mantiene le sue idee decisive per il nostro mondo con splendente misura di carità e di speranza.
    Insomma. Martini sbaglia a porre la fede come un discrimine invalicabile.
    E’ una logica difensiva, non di conversione o, come si dice con espressione un po’ ammaccata, di dialogo. E’ vero che ai cristiani non interessa l’egemonia politica o culturale, ma ben altro.
    Che non devono contarsi e contare, ma incendiare il mondo a modo loro.
    Tuttavia festeggiare il quarantennale della Humanae vitae, e comunque la vita e la famiglia, con cinque milioni di pellegrini a Roma, nella prossima estate, sarebbe un eccellente segno di contraddizione e di modernità della chiesa cattolica.
    Questo è detto da uno che se ne sta fuori le mura, e che ha sfrenate ambizioni, ma non precisamente quelle che gli attribuisce il cardinal Martini.

    L’Elefantino su

    www.ilfoglio.it del 29 dic 07

    saluti

  6. #16
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    Citazione Originariamente Scritto da eq... Visualizza Messaggio
    Se è un diritto sacro della donna perchè dovete giustificarvi affermando che il feto non è una persona?

    Dovreste semplicemente affermare che siete convinti che non lo sia ma che per voi non fa alcuna differenza.
    Il feto è un persona in potenza, non in atto.. Quindi, a livello logico-lessicale, non è una persona... Persona intesa come persona indipendente da un'altra..

  7. #17
    SENATORE di POL
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    E' senza dubbio vero che la madre degli imbecilli è sempre incinta, ma nonostante questo non credo che l'aborto permanente obbligatorio (terapeutico) sia una soluzione eticamente sostenibile, accettabile, umana, anche se da un punto di vista puramente scientifico e pragmatico potrebbe sortire un qualche effetto positivo, liberandoci per secoli da personaggi come quelli che attualmente sgovernano l'Italia. L'eugenetica, in tutte le sue forme e varianti (palesi o mascherate) è sempre moralmente condannabile al massimo grado e quaindi assolutamente non giustificabile.


    Shalom

  8. #18
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    Citazione Originariamente Scritto da lucaBI Visualizza Messaggio
    certo...di destra clericale...ma è sempre destra
    -------------------------------------
    Cita un solo passaggio con riferimenti a quanto dice la Chiesa sull'argomento e ti darò ragione.
    C'è anche la destra cogliona...ma è semptre destra.

  9. #19
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    Al direttore - Aderisco alla campagna lanciata dal Foglio. Si riuscisse almeno a ottenere l’applicazione della legge per le parti che riguardano l’aiuto alle partorienti in difficoltà economiche sarebbe una bella cosa.
    Luciano Badesso, Grosseto

    Al direttore - Voglio dare la mia TOTALE adesione alla “Moratoria contro l’aborto”.
    Andrea Bianchi, Milano

    Al direttore - Non ho avuto conferma circa l’apertura ufficiale dell’iniziativa a favore di una moratoria sull’aborto. Nel caso fosse confermata, vogliate accettare la mia piena adesione e gli auguri vivissimi perché giunga a buon fine.
    Luigi Farinelli, prov. Hunan (Cina)

    Al direttore - Nulla più dell’unicità preziosa di ogni vita ci rende consapevoli e responsabili di chi siamo, creature chiamate per nome da un appello: “E tu, chi dici che io sia?”.
    Nella risposta a questa radicale domanda si gioca ogni esistenza. Ogni nostro “sì” o “no”, nel costruire l’amore. La ringrazio per sempre
    Grazia Lombardi e Mariella Tenani

    Al direttore - Sono accanto a lei per la moratoria contro l’aborto. A tal proposito, mi permetto di richiamare la sua cortese attenzione sulla data di domani, 28 dicembre, giorno in cui la chiesa cattolica fa memoria (il calendario liturgico dice: festa) della strage degli Innocenti.
    Come non ricordare tutti gli innocenti che non sono mai nati perché glielo si è, eufemisticamente parlando, impedito?
    Vito Chiariello, Roma

    Al direttore - Aderisco all’appello per la moratoria per l’aborto.
    Guido Venturini, Milano

    su www.ilfoglio.it del 22 dic 07

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    Lo teniamo o no?

    Al direttore - Seguo gli sviluppi della sua dieta liquida e ho molto apprezzato il suo parlare d’aborto partendo da sé. Cioè non dalla morale, non dalla legge, ma da un “suo” aborto. Per un uomo parlare di queste cose è molto. La cosa che le è capitata è successa in un tempo in cui, di fronte a un concepimento, cominciava ad affermarsi come un’etichetta il fatto di chiedersi: “Lo teniamo o no?”. Capitava anche prima, beninteso. Ma da quel momento in poi ha cominciato a essere un protocollo da seguire, un fatto di massa, tanto che ci sono oggi ragazze che sentono il bisogno di contro-affermare: “Se rimanessi incinta lo terrei”.
    Sulle cose che lei dice e che io mi accingo a dire pesa il fatto che né lei né io siamo più in un’età per avere dei figli con ragionevolezza, anche se volendo si potrebbe. Di queste cose dovrebbero parlare gli uomini e le donne in età feconda, soprattutto le donne. Ma non ne parlano.
    Il giorno di Natale ho avuto a che fare con una “giovane” coppia, lei 34, lui 38, sposati da un po’ ma bambini niente. E lì a cercare le ragioni: forse lei non è molto materna, ma che strano, non è neanche una in carriera. Sembra che oggi per fare un bambino le condizioni debbano essere piuccheperfette, niente di meno che una cameretta perfettamente attrezzata e con bagno, un cospicuo double income, una schiera di nonni e zii e tutti i possibili sostegni a disposizione.
    Ma a me pare che anche questo sia un alibi.
    Mi pare che ci sia qualcosa di ben più forte che si oppone a quel “sì” da parte di una donna.
    Una specie di contro-istinto, come capita ai molto vecchi che arrivati a un certo punto della loro vecchiezza smettono di mangiare con la stessa caparbia avidità con cui all’altro capo della loro vita si erano attaccati al seno della madre, un cucchiaio di minestra che rimane in bocca e non ne fanno scendere nemmeno una goccia.
    Che cosa sia questo contro-istinto io non lo so. So solo che a un certo punto, e per mia fortuna, in me l’altro istinto è stato più forte, ed ecco il mio ragazzo che chatta nella sua camera e fa disordine nella mia vita.
    Fatto sta che tanti muoiono e pochissimi nascono, verità statistica che alla nostra età comincia a voler dire andare in visita in ospedale solo per le agonie e andare a un mucchio di funerali, e non ricordo nemmeno più quando è stata l’ultima volta che ho tenuto in braccio un neonato, stupendomi di quanto è piccolo e résilient allo stesso tempo, vero lottatore per la vita, e inebriandomi del suo odore acidino. Tanto che mi sono ridotta a rompere le scatole a mio figlio che non si è nemmeno ancora maturato, dicendogli che tutto sommato 20 anni, 22, 25 mi sembrano l’età perfetta per diventare padri.
    Qui l’odore dominante è un certo costante lezzo di morte che ci svuota, rallenta le nostre vite, accelera il re-uptake della serotonina, ci costringe a introdurre quantità eccessive di carboidrati e si manifesta come depressione. Nasce ben poco, tutto è spostato nell’altra direzione, e i nostri Natali sono ben striminziti, tolto quel paio di vecchietti per cui non smettere di lessare il cappone.
    Tutto questo l’abbiamo fatto capitare anche noi, lei e io, dicevo, ci siamo fatti strumenti zelanti di un disegno che a me oggi appare imperscrutabile, e non posso dire di avere grandi speranze che le cose cambino il loro senso di marcia. Quelle tre o quattro ragazze altoborghesi che si sono messe a fare figli come gattine e di cui si parla negli articoli di costume non mi sembrano un gran segnale di controtendenza. La tendenza resta quella che dicevo sopra: “lo tengo?”, e prima ancora: “quando sarà il momento (ovvero a 35, 38, 42 anni) semmai mi farò dare una mano”.
    Se scrivo e parlo è più che altro perché l’ignavia continua a sembrarmi un peccato tra i più gravi, e perché ho paura che i ragazzi si costruiscano vite troppo amare. Devo comunque dire che quello che scrivo lo misuro con il bilancino, perché io a differenza di lei continuo a votare a sinistra, e a sinistra, per ragioni a me ignote, questa logica, quella del farsi dare una mano, delle provette, del “diritto” ad avere figli che fa il paio e segue a ruota il diritto a non averne, il diritto ad abortire eccetera, continua a essere prevalente.
    Tant’è che come lei sa due nostre comuni amiche hanno pagato assai caro il fatto di chiamarsi fuori da tutto questo, in nome di una maternità selvaggia, nel sangue e nel latte.
    Detto questo posso tornare all’aborto, argomento che mi provoca, come a tutte, una torsione interiore. Resa più disponibile a parlarne dal fatto che lei ci ha parlato del “suo” aborto, e ci ha parlato non di legge, non di punizione, ma di compassione per la creatura che vuole nascere, compassione che trascina con sé quella per la madre. E anche dal fatto che la Chiesa recentemente ha parlato di perdono per le donne che abortiscono, fatto che potrebbe avere conseguenze enormi se distogliamo per un attimo lo sguardo dalla cerchia striminzita delle nostre quattro amiche.
    Mi è sembrato in sostanza che lei faccia appello a ogni singola donna, giocandosi personalmente e pregandola di non abortire, e questo mi sembra un ottimo inizio.
    Mi sembra di capire che lei riconosca come imprescindibile l’accettazione, il sì da parte di una donna che si renda disponibile ad accogliere il figlio nel suo grembo, passaggio che è stato necessario perfino a Dio per far venire al mondo il Figlio.
    E se la sua preghiera fosse accolta anche solo una volta o due, tutta questa mobilitazione a cui lei ha dato vita, la dieta liquida e via dicendo, avrebbe avuto il suo senso.
    Ma immagino che lei speri di ottenere di più, molto di più. E allora le dico secondo me in che direzione ci si dovrebbe muovere.
    Non si tratta banalmente di una cultura più mummy friendly, di un mondo in cui puoi detrarti la baby sitter dall’F24, pieno di stanze delle palline come all’Ikea (anche se tutto aiuta, beninteso). Si tratta del fatto che voi uomini di buona volontà dovreste dire, sempre a partire da voi, il bisogno che avete di un mondo che sia anche femminile, e non solo maschile assunto in cielo a universale neutro.
    Badate bene che un mondo che sia anche femminile, dove la femminilità non sia solo un eccesso, uno scarto dal maschile, un’eccezione alla norma, qualcosa di minaccioso da tenere a bada, può essere molto fastidioso per gli uomini.
    Si tratta che alle donne sia data la possibilità di sistemare le cose a modo loro, ovvero che possano pensare il mondo a modo loro, lavorare come sanno fare loro, fare politica a modo loro.
    Questo può dare molto fastidio agli uomini nelle aziende, nei posti della politica, in tutti i luoghi pubblici. Si tratta per gli uomini di buona volontà di non limitarsi a rapportarsi e cooptare nella polis e premiare solo le emancipate e le omologate, quelle che disturbano meno perché fanno tutto quello che fanno gli uomini, nel modo degli uomini, e perfino con maggiore zelo e a minor prezzo.
    Si tratta di accettare che il mondo è bisessuato, e non solo di tollerare la differenza e fargli pariopportunisticamente spazio, ma di amarla e onorarla.
    Ci sono stati uomini che l’hanno saputo fare, e da loro si può imparare.
    Se una donna potrà sentirsi libera non nonostante, ma proprio per il fatto che è donna, non avrà più ragione di negare fino allo stremo di se stessa e del mondo la sua verità essenziale: e cioè che una donna è una che può diventare madre.
    Non che lo deve, ma che lo può, e nell’esercitare questo suo potere trova un guadagno di verità e felicità.
    Prima dicevo che non spero un granché e invece sono molto speranzosa.
    Marina Terragni

    Su www.ilfoglio.it del 29 dic 07

    Ecco una con le palle ma tutta donna.
    Tanto che non si offenderà se mi sono permesso di “regalargliele” con il massimo rispetto.

    saluti

 

 
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