Ho avuto modo di interpellare il Protocollo sul Welfare approvato in via definitiva dal Senato il 21-12-07 quale futura Legge n 1903/07 (di cui è ancora attesa pubblicazione ufficiale).
In sostanza, si evidenziano molte buone intenzioni, che il più delle volte condensa il tutto in una pletora di “principi” e di “criteri direttivi” dai quali può scaturire tutto o la negazione di tutto, nel mentre “ Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge…”. Sulla scorta di tale premessa avrebbe dovuto, per franchezza, aggiungere “a condizione che questo Governo possa durare ancora” .
Ad ogni modo, per quanto sia pertinente ai principi, crediamo che in tal senso abbia anzitempo provveduto il dettato costituzionale, in virtù del quale, ad esempio, il lavoro costituirebbe un diritto-dovere da garantire nelle sue diverse forme a tutti i cittadini . Ma per decenni permane lettera morta. Questo protocollo quindi dovrebbe interporsi come una sorta di efficace cerniera legislativa-giuridica tra la Costituzione e l’economia reale. Ma non è affatto così. In primo luogo, non si registrano grandi novità rispetto ai pacchetti legislativi antecedenti (annessi i paccotti berlusconiani!). Piccoli aumenti, modifiche, correzioni, aggiunzioni ma null’altro di realmente consistente.
Sono ,ad esempio, previsti dei fondi per estendere l’approccio alla cd formazione professionale…ma se la gestione del tutto verrà – come sempre- demandata alle Regioni, conosciamo bene ,ahinoi, il destino di questi fondi e della loro fattiva utilità (paradigmatica, nel merito, fu la dilettantesca organizzazione dei corsi di formazione finanziati dal FSE ad opera dell’accoppiata Bassolino-Rastrelli in Campania, che non ha prodotto nulla di buono).
Il limite erogativo dell’indennità ordinaria di disoccupazione (negata anche stavolta ai soggetti lavorativi atipici e agli inoccupati) verrà prolungata di appena un mese. Che grande rivoluzione.
Ma giungiamo al nocciolo, vale a dire la parte più dibattuta della legge: le pensioni e i contratti a termine.
Riguardo alle pensioni è prevista l’abolizione dello “scalone” maroniano. Va detto che è un provvedimento sacrosanto, in quanto rimuove un punto di enorme iniquità . Tuttavia, mutando i fattori…il prodotto non cambia. Nel 2013 si andrà comunque in pensione più tardi (61 anni) confermando il trend al rialzo di età pensionabile in piena uniformità coi predecessori Dini e Maroni stesso. Non ravvisiamo alcuna inversione di tendenza antiliberista, se non altro nelle misure in cui cicaleggiava il tanto osannato Prodi durante la campagna elettorale al fine di carpire ulteriori consensi a Berlusconi.
Suscitano ilarità, per non dire altro, i crismi di determinazione dei cosiddetti lavori usuranti: un quadro didascalico non dissimile da quello dell’operaio Chaplin dei “Tempi moderni”. Il che è tutto dire.
I contratti a tempo determinato, per converso, segnano un importante elemento di rottura in raffronto al passato. Termine massimo di 36 mesi (un pò troppo) al di là del quale il contratto si tramuta automaticamente in contratto a tempo indeterminato. Viene, ad ogni buon conto, data facoltà al datore di lavoro (alias padrone) di prorogarlo un ulteriore volta. Così prevede: In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.
Nell’ipotesi augurata che i suddetti “sindacati più rappresentativi” non accusino ulteriori cedimenti al cospetto delle pretese padronali (come del resto è già avvenuto frequentemente negli ultimi anni), questa modifica (che la destra, metterei le mani sul fuoco, non avrebbe mai fatto per buona pace dei “sociali” Alemanno, Storace, Romagnoli, Mussolini, Rauti e compagnia) rappresenterebbe un grosso punto a favore di chi l’ha promossa, dacché metterebbe finalmente un pò di mordacchia ai martellanti ricatti neoliberisti aziendali e la si finirebbe con questa storia di gente costretta a ingozzare per dieci-venti anni bocconi amari all’insegna di scadenze e di rinnovi perpetui. Come vedete, qui si adopera il condizionale. Ma fatta la legge, trovato l’inganno, si direbbe.
Dagli ultimi dati si palesa che l’incremento occupazionale (si fa per dire) in Italia sia da ascrivere all’introduzione della cd Legge Biagi (o Legge Maroni). Ebbene in tale legislazione è previsto in un certo senso, il riconoscimento solenne dei nuovi contratti atipici. In primis, il “contratto a progetto” (i vecchi CO.CO.CO. tanto per intenderci) quello più adottato negli ultimi tempi dalle medie aziende con l’ausilio di fantomatiche cooperative esterne, delinea una via di mezzo tra il lavoro nero e il contratto regolare (anche quello a termine). In pratica non è "a nero" perché una contribuzione sarebbe prevista (seppur miserabilissima nel rendimento), incanalata in un“fondo a gestione separata”, esterno all’INPS. Per il resto, niente malattie, niente indennità di disoccupazione, niente maternità, niente ferie, niente buonuscita, niente tredicesima mensilità. Ditemi voi come è possibile congegnare una mostruosità del genere. Totalmente incostituzionale. Eppure il governo Berlusconi, a suo tempo, si affrettò subito a farla approvare. Grazie ancora Cavaliere per la tua magnanimità! I poteri forti del capitalismo globale completarono l’opera influenzando il responso di una Corte Costituzionale che mai avrebbe potuto (e dovuto) lasciar passare una legge cui finanche un Pinochet non si sarebbe sognato di promulgare.
Il centro-sinistra, con Diliberto e Bertinotti nel ruolo di garanzia, promise in sede elettorale di farne carta straccia della Legge Biagi, o perlomeno di modificarla nei suoi aspetti cruciali. Ed invece la legge rimane quella di prima, a parte un risibile aumento di aliquote contributive per le gestioni separate e qualche fondo di credito (da restituire!), per ripianare i mancati redditi derivanti dalle attività intermittenti (lavori a progetto). Ogni commento appare superfluo.
E ovvio che la Legge Biagi col suo corollario di contratti e contrattini giocherà solo a favore delle imprese. Rimosso il dato di permanenza contigua dei contratti a termine (che per quanto precari detengono sempre concreti diritti sindacali) il padronato si getterà a capofitto sui contratti atipici accrescendo a dismisura il numeri dei precari, nonché le loro condizioni sub-salariali. Praticamente dalla padella alla brace. Tutto ciò, grazie alla ottusità intemperante di questo governo, all’ipocrisia menefreghista dei sindacati confederati e soprattutto alla insulsaggine politica e umana della cosiddetta “sinistra antagonista”, che pur di non tirare le cuoia a Prodi e compagnia, crede sia di gran lunga preferibile gettare alle ortiche lustri e lustri di ardimentose conquiste sociali dei lavoratori d’Italia.
Proprio così. I bei cocciuti rifondaroli di un tempo, ora tradotti a stupidi scudieri curtensi, avallando questo bolso ed infecondo Protocollo, se non altro, dopo aver già consentito di mandare i nostri soldati a servire le turpitudini imperialiste in terra afgana, ora possono serenamente fregiarsi del titolo di inguaribili felloni davanti al giudizio sovrano del proletariato. Di contro, un immane lode vien da tributare a quelle migliaia di lavoratori, minoranza eroica risoluta, al loro sentimento di repulsione a margine delle lusinghe sindacali che li invitavano a votare favorevolmente (eccezion fatta per FIOM e Cobas), al loro ineccepibile coraggio di opporre un diniego davanti all’ennesimo colpo inferto al cuore della civiltà del lavoro.

Praedur