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    Arrow Conosciamo un po' meglio Lipera, l'avvocato di Contrada e Santapaola

    Conosciamo un po' meglio
    il legale del "dottor morte", Giuseppe Lipera
    di C.Abbondanza e S.Castiglion


    Giuseppe Lipera - nella foto del suo sito al cimitero, davanti alla tomba di Enzo Tortora -, un legale con una missione: difendere i mafiosi (ops le “vittime della Giustizia”) e screditare lo Stato.
    Se lo Stato istruisce i maxiprocessi contro la mafia, lui è per smantellare i maxiprocessi. Se lo Stato si avvale delle informazioni (riscontrate per attendibili, attraverso riscontri probatori) dei collaboratori di giustizia (per lui “pentiti”), lui è scardinare lo strumento della collaborazione di giustizia. No, non è una nostra opinione, lo dice lui nel suo
    curruculum: “il giovane avvocato Lipera si imbatte duramente con la drammatica ed ingiusta realtà giudiziaria (...) costituita dal fenomeno spregiudicato di acquisizione e valutazione della prova chiamato pentitismo e dai maxi processi.”

    Oltre al suo studio a Catania ha anche sede la sua associazione “Avvocatura e Progresso”, che ha organizzato diversi incontri, anche con “l'allora giovane pm” Anna Finocchiaro – la dirigente dell'Ulivo esperta di “giustizia”. Il Lipera è naturalmente folgorato da Enzo Tortora, e con lui gira il Paese, perchè questi rappresenta la “prova vivente delle storture del “pentitismo”.” Nel 1997 Leonardo Sciascia lanciava quell'infamante attacco al Pool Antimafia di Palermo, etichettando Falcone e Borsellino come “i professionisti dell'antimafia”... musica divina per le orecchie di Lipera che accorre ad incontrarlo ed acclamare contro i “professionisti dell'antimafia”. Anche questo lo dice lui, sempre nel suo curriculum.

    Nel 1991 fonda il “Movimento Popolare Catanese” (MPC), che naturalmente si colloca con i movimenti indipendisti/autonomisti siciliani e che combatte una sua battaglia fondamentale per quella grande opera del Ponte sullo Stretto... si quell'opera insensata che tanto è amata dalle cosche calabresi e siciliane che già si spartivano gli appalti. Il movimento chiude i battenti nel 1993, recita sempre il suo curriculum. Manca, invece, il passaggio che lo vede tra i fondatore del partito voluto da Cosa Nostra: “Sicilia Libera”, che viene sciolto per volontà dei capi mafiosi, trasformandosi in un club di Forza Italia, che direttamente Provenzano aveva ordinato di appoggiare visto che Totò Riina, dalle risultanze investigative e dibattimentali di diversi processi, “aveva in mano Berlusconi e Dell'Utri”.[per approfondire su "Sicilia Libera" ed i rapporti mafia-politica-massoneria e la stagione stragista - clicca qui]

    Nel 1995 segnala il suo curriculum che partecipa ad un convegno, “Le libertà del cittadino tra giustizia e politica”, a Varese, dove è “relatore appassionato” insieme a
    Tiziana Maiolo, Agostino Viviani, Gaetano Pecorella, Guido Podestà e Domenico Contestabile... (ma guarda il caso di quanti “azzurri” di Berlusconi e Dell'Utri ci sono tra i convenuti).
    Nello stesso anno organizza un convegno sulle “vittime della Giustizia” (non della mafia, della Giustizia!). Naturalmente chiama al suo fianco quel Vittorio Sgarbi sempre in prima linea nelle azioni diffamatorie e calunniose contro Giancarlo Caselli ed il Pool di Palermo.

    Nel suo curruculum trova naturalmente menzione il fatto di essere riuscito a far assolvere un medico accusato di aver curato – e protetto - la latitanza di un boss mafioso.

    Nel curriculum on-line non vi è, però, menzione per la “vittoria”, nel 2004, ottenuta per la scarcerazione (in quanto era passato troppo tempo dall'acquisizione della prova, il 2000) di Francesco Mirabile - secondo la Procura, il Gip ed i Tribunale del Riesame – affiliato alla cosca La Rocca del Calatino, di Cosa Nostra. L'uomo è il fratello di Alfio, ferito gravemente da alcuni killer a S.G. Galermo, e di Pietro, in carcere per mafia, estorsione e altro. Francesco Mirabile era in carcere dal 16 luglio 2003, quando fu arrestato dalla Polizia di Catania durante un'operazione antiestorsione. Il provvedimento restrittivo venne emesso, su richiesta della DDA di Catania, dal gip Angelo Costanzo, per associazione mafiosa. Contro di lui un intercettazione ambientale di un colloquio dell'indagato con suo fratello nel carcere di Palermo dove questi si trovava detenuto. L'avvocato Lipera le ha tentate tutte e con la Cassazione riesce a ottenere che l'imputato (per associazione mafiosa con prova a carico non di un pentito bensì di sue dichiarazioni in un intercettazione con il fratello detenuto per mafia) debba essere liberato e partecipare da persona libera al dibattimento. Il Francesco Mirabile, detto “Cicciu muccattu”, è “cognato di Nino SANTAPAOLA (fratello di Benedetto) e del figlio di quest’ultimo, Giuseppe (...) “che si stava attivando per la “famiglia” grazie anche alla “copertura” fornitagli dal potente capo famiglia di Caltagirone, Francesco LA ROCCA”[leggi l'Ordinanza di custodia cautelare del Gip del Tribunale di Catania per Alma Salvatore + 87 - in formato PDF clicca qui]
    Questa non è l'unica "non menzione" nella lista delle “referenze” dell'avvocato Lipera. Infatti lui è anche il legale della famiglia Santapaola, la potentissima cosca catanese di Cosa Nostra con diramazioni in molte regioni del Paese (ricordiamo che il delfino del boss della cosca è stato arrestato pochi mesi fa a Genova).
    In particolare lui ha fatto dichiarare Antonino Santapaola, detto Nino, incapace di intendere e volere, guadagnandogli l'Ospedale Psichiatrico anziché il carcere. Ma questo e la difesa del cognato di Nino, Francesco Mirabile, di cui abbiamo appena parlato, non è tutto. Nell'aula bunker dove si celebrava il maxiprocesso contro Santapola e la sua cosca, all'inizio di un'udienza, senza esserne il legale, l'avvocato Giuseppe Lipera, si avvicinò alle gabbie e non salutò il suo cliente, bensì andò dritto a salutare e stringere la mano a Benedetto “Nitto” Santapaola, il boss condannato per le stragi di Capaci e Via D'Amelio, di Via Carini (dove furono ammazzati il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carro e l'agente Domenico Russo), ma anche, tra le altre, dell'omicidio di Giuseppe Fava. Quel Nitto Santapaola che da responsabile provinciale di Cosa Nostra a Catania, aveva forti legami con i servizi sergreti deviati, con la massoneria, vicinissimo a Totò Riina; anche lui ebbe rapporti con Dell'Utri, a seguito dei quali cessarono gli attentati alla “Standa” - per cui la Fininvest non fece mai denuncia – e, sempre l'accordo raggiunto – di cui hanno riferito i collaboratori di giustizia – il Santapaola investì molti soldi nelle attività della Fininvest.

    Attualmente Giuseppe Lipera è impegnato nella difesa dell'unico imputato agli arresti per l'omicidio del ispettore della Polizia di Stato, Filippo Raciti, ucciso a seguito degli scontri allo Stadio di Catania il 2 febbraio 2007. Le innumerevoli richieste di scarcerazione del suo assistito Antonino Speziale, sono state tutte respinte.

    Detto questo occorre ricordare che il legale di Contrada - che proprio l'ultimo giorno del 2007 ha chiamato nella sua battaglia per la “grazia-supplica-revisione” al “dottor morte” i consulenti di parte del matricidio di Cogne (seguito dal suo collega Taormina) e dell'omicidio del commissario Raciti – si è guadagnato anche la citazione nel libro del pubblico ministero Luca Tescaroli, “Perchè fu ucciso Giovanni Falcone”, per la sua partecipazione al movimento Sicilia Libera. Per esattezza lo riportiamo ampio stralcio del capitolo:

    “Non vi è dubbio che l'agire criminale di Cosa Nostra potrebbe apparire “prima facie” dissennato, se valutato “sic et sempliciter” nel suo divenire fenomenico, alla stregia della prevedibile controffensiva dello Stato. In realtà, lo stesso appare, di contro, sulla scorte delle acquisizioni probatorie, consono al disegno criminale e sincrono ai tempi di evoluzione di attività relazionali esterne intraprese dai vertici dell'organizzazione.
    La linea dell'attacco ordito, a far data dal 1991, non mirava a produrre una rottura fine a se stessa, ma ad una cesura protesa alla creazione di nuovi equilibri ed alleanze con nuovi referenti politico-istituzionali-finanziari: una frattura costruttiva oggettivamente agevolata dal fiorire, per l'appunto dagli inizi degli anni '90 e fino al 1993, di una serie di iniziative politiche, riconducibili in gran parte alla massoneria deviata o all'estremismo politico di destra, e caratterizzante, tra l'altro, dal sorgere di piccoli movimenti con vocazione separatista in più punti del territorio nazionale: le Leghe Italiane Pugliesi, Medidionale-Centro-Sud-Isole, Molisana, Marchigiana, degli Italiani, Sarda, La Lega delle leghe, quella Nazional Popolare, Sud della Calabria, Toscana, Laziale, Sicilia Libera (che veniva fondata il 28 ottobre 1993, a Catania, da Antonino Strano, poi divenuto Assessore regionale di A.N. per il Turismo e lo Sport, nonché dall'avv. Giuseppe Lipera e da Gaspare Di Paola, dirigente del gruppo imprenditoriale riconducibile ai fratelli Costanzo), Sicilia Libera nell'Italia Libera ed Europer (che veniva fondata, com'è noto, in data 8 ottobre 1993, a Palermo, presso lo studio del notaio Salvatore Li Puma, residente in Corleone, da Tullio Cannella, da Vincenzo Edoardo La Bua, e da altri, e che avrebbe dovuto avere come referente, nella provincia di Trapani, Gioacchino Sciacca), ecc.
    Al riguardo, deve rilevarsi che Leonardo Messina ha riferito che i vari rappresentanti provinciali di Cosa Nostra si erano riuniti, nell'ennese, nel settembre-ottobre 1991, per “gettare le basi per un nuovo progetto politico” di stampo separatista: creare una nuova formazione, la Lega del Sud, appoggiata da un'ala della Massoneria e da Cosa Nostra, nel cui ambito dovevano entrare uomini dell'organizzazione, in contrapposizione alla Lega Nord, costituente, a suo dire, espressione della P2 di Licio Gelli e di Giulio Andreotti (...)
    E' evidente come le indicazioni del collaboratore (attinte da Borino Miccichè) rappresentano un segmento conoscitivo di un progetto eversivo, ordito d'intesa con un “potere criminale integrato” con interessi convergenti a quelli di Cosa Nostra, che si stava accingendo, come affermano Filippo Malvagna, Antonino Cosentino e Giuseppe Grazioso, per averlo appreso da Giuseppe Pulvirenti, e come conferma, nella sostanza, anche quest'ultimo, a portare ad esecuzione la campagna di aggressione allo Stato.
    Ma, a riprova del fatto di come i vertici dell'organizzazione fossero impegnati, correlativamente e nel mentre dell'esecuzione di un vero e proprio disegno cospirativo, alla ricerca ed al consolidamento di più legami per giungere ad individuare nuovi referenti politico-istituzionali, sorreggono le indicazioni di Angelo Siino, Salvatore Cancemi, Giovanni Brusca e Maurizio Avola, sulle quali appare opportuno soffermarsi brevemente.
    Il primo, evidenziava, a seguito di contestazione sollecitatoria, di aver appreso, da Nino Gargano e da Giuseppe Madonia, che Bernardo Provenzano stava adoperandosi per “agganciare Craxi tramite Berlusconi” (...).
    Ha aggiunto di aver, successivamente saputo da Antonino Gioè che Bagarella, tramite un ex Ufficiale della Guardia di Finanza, amico di Salvatore Di Ganci, la cui consorte era di Benevento o aveva parenti in quella città, stava cercando di contattare una persona influente vicina all'On. Craxi e che, a tal fine, era necessario fare “più rumore possibile” (alludendo con ciò ad attentati da porre in essere), onde costringerli, poi, di intervenire per far sistemare la “situazione in Italia”, a favore di “Cosa Nostra” (...).
    Cancemi riferiva che Riina, in epoca antecedente alla c.d. “strage di Capaci”, si era incontrato con “persone importanti” (...) e che appartenenti al gruppo Fininvest versavano periodicamente una somma di 200 milioni di lire a titolo di contributo; sottolineava che il Riina si era attivato, a far data dagli anni '90-'91, per coltivare direttamente i rapporti con i vertici di detta struttura imprenditoriale (mettendo in disparte Vittorio Mangano, che fino a quel momento li aveva gestiti) e che, tramite “Craxi”, stava cercando di mettersi la Fininvest nelle mani o viceversa (...).
    Peraltro, non sapeva precisare se e come, Riina avesse preso il controllo diretto di questo rapporto, ma ricollegava la strategia stragista proprio a tale avvicendamento.
    Ha aggiunto che Riina, nel corso del 1991, gli aveva riferito che detti soggetti erano “interessati ad acquistare la zona vecchia di Palermo” e che lui stesso si sarebbe occupato dell'affare avendoli “nelle mani”. Riina e Vittorio Mangano gli avevano fatto presente che era stata incaricata una persona, chiamata “ragioniere”, per seguire “materialmente l'operazione” (...). Ed ancora, ha dichiarato di aver appreso da Raffaele Ganci, intorno agli anni 1990 1991, mentre transitavano con l'autovettura in prossimità di via Notarbartolo, che in quella zona vi erano dei ripetitori che interessavano “a Berlusconi”.
    Sottolineava di aver ricevuto conferma di quest'ultima circostanza dal Riina.
    Va rilevato, solo incidentalmente, che le indicazione del Cancemi, con specifico riferimento agli esporsi di denaro, hanno trovato puntuali conferme nelle dichiarazioni di altri collaboratori (Francesco Paolo Anzelmo, Calogero Ganci, Aurelio Neri, Antonio Galliano e Giovan Battista Ferrante), acquisite nel corso del processo a carico di Pierino Di Napoli, e riscontri obiettivi (...).
    Lo stesso Brusca, sia pur con riferimento ad epoca antecedente alla campagna stragista, ha riferito di essere a conoscenza del fatto che alcuni imprenditori milanesi pagavano, a titolo di estorsione o di contributo, una somma di denaro ad appartenenti all'organizzazione e che, in particolare l'On.le Berlusconi “mandava qualche cosa giù come regalo, come contributo, come estorsione” al di lui cugino Ignazio Pullarà. Quest'ultimo inviava Peppuccio Contorno (omonimo del collaboratore) e tale Zanga, a ritirare il denaro negli anni 1981-'82'83 (...).
    Non è ultoneo, poi, rimarcare, per inquadrare appieno la valenza della campagna di aggressione ed il contesto ideativo in cui si inserisce, che il Cancemi, nel corso del giudizio d'appello, ha raccontato di una riunione, tenutasi circa venti giorni prima della c.d. “Strage di Capaci”, nel corso della quale Riina aveva fatto presente che esistevano accordi con autorevoli personaggi del mondo politico nazionale (che ha indicato nominativamente) aventi ad oggetto provvedimenti legislativi (...).”

    Se qualcuno ha parlato del “partito degli avvocati” che non ha la minima intenzione di difendere gli imputati nell'ambito del processo, bensì di difenderli dal processo,... bisogna certo dire che Giuseppe Lipera è “un buon partito”, o no?

    http://www.genovaweb.org/comunicati_...eppelipera.htm

  2. #2
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    Milano, 1 Gennaio 2008

    Non si puo' che restare allibiti nel leggere l'ultima esternazione dell'avvocato Lipera che asserisce di riferire frasi raccolte dal suo assistito, il Sig. Contrada, in un colloquio avuto presso l'ospedale Cardarelli di Napoli.

    Il suddetto Contrada avrebbe testualmente detto:"Di Paolo Borsellino ho un grandissimo ricordo. Con lui c'era un'ottima collaborazione professionale, ma anche un'amicizia che ci portava a frequentarci fuori del lavoro".

    Di fronte a una dichiarazione così aberrante e al di fuori della realta' accertata in piu' gradi processuali fino alla sentenza definitiva della Cassazione sono possibili due ipotesi.

    La prima e' che l'avvocato Giuseppe Lipera continui autonomamente nella sua opera di disinformazione tesa a mistificare la realta' presentando all'opinione pubblica un traditore dello Stato come una vittima di chissa' quali macchinazioni ed attribuendo alla durezza del regime carcerario le condizioni fisiche dello stesso Contrada, dovute invece per la maggior parte ad un digiuno volontario attuato allo scopo.

    La seconda e' che il quadro clinico denunciato sia effettivamente così grave, perlomeno a livello cerebrale, da avere completamente ottenebrato la mente dello stesso Contrada tanto da far nascere nella sua mente ricordi non assolutamente corrispondenti ed anzi in assoluto contrasto con la realta'.

    Non e' assolutamente spiegabile altrimenti quanto risulta da atti processuali e quanto mi sono ancora oggi fatto ribadire dalla figlia maggiore di Paolo, cioe' che almeno in due occasioni Paolo avesse reagito al solo sentire il nome di Contrada, peraltro neanche noto al resto dei suoi familiari, dicendo esplicitamente che sarebbe stato meglio che nemmeno pronuziassero nemmeno il nome dato che si trattava di un individuo estremamente pericoloso.

    Non bisogna poi dimenticare come il pentito Gasare Mutolo avesse fatto a Paolo, in un colloquio non verbalizzato, il nome di Contrada insieme a quello del Giudice Signorino.

    Paolo fu ucciso la settimana prima dell'incontro che avrebbe dovuto avere con Mutolo per verbalizzare queste dichiarazioni.

    Il giudice Signorino si uccise quando comunicarono a trapelare le voci sulle dichiarazioni di Gaspare Mutolo.

    Contrada e' oggi in carcere per scontare una condanna definitiva e tenta di far parlare i morti e sfruttare la sparizione dell'agenda rossa di Paolo Borsellino per non pagare il suo debito con la societa'.

    Salvatore Borsellino

    http://www.genovaweb.org/comunicati_...borsellino.htm

  3. #3
    trilex
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    evvai con lo sciacallaggio.

  4. #4
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    beh, non si capisce dove sia lo "sciacallaggio" se non in chi, come il dott. Contrada, millanta amicizie da parte di un magistrato che e' stato ucciso da quella stessa mafia che Contrada ha aiutato e che Lipera ha difeso.

  5. #5
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    [..]L’esperienza di “Sicilia Libera” cominciò a traballare pochi mesi dopo la sua nascita. Nel febbraio 1994 la situazione era cosi fluida che il club del San Paolo Palace, creato dall’imprenditore Gianni Ienna, prestanome dei boss di Brancaccio, era stato ribattezzato “Forza Italia Sicilia Libera”. Per i leader che si erano impegnati, da Cintola e Platania, si provò a trovare spazio direttamente in Forza Italia. A giugno, la scelta autonomista era già tramontata.
    Se però Cagarella e Cannella si muovevano da neofiti della politica, c’era chi aveva già previsto tutto. Anche la fine di “Sicilia Libera” e l’adesione a una formazione ben più stabile.
    A spiegarlo a Cannella fu don Vito Ciancimino, durante un periodo di comune detenzione nel carcere romano di Rebibbia, nell’estate del ’95: << Mi disse- ha raccontato l’imprenditore- che il progetto di Sicilia Libera costituiva l’attuazione di una strategia politica che lui, tramite l’appoggio e l’apporto ideativi di Bernardo Provenzano, aveva portato avanti negli anni precedenti, tramite la Lega Meridionale o qualcosa di simile[..]
    http://www.rifondazione-cinecitta.or...rzaitalia.html

 

 

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