"L'Italia segue l'Argentina sulla stessa china rovinosa"
di Desmond Lachman
Un aspetto involontariamente comico del progressivo dramma economico e politico dell'Italia è che molti degli attuali detentori dell'eccessivo e sempre crescente debito pubblico del paese erano una volta fieri possessori di obbligazioni statali argentine, ora ridotte a carta straccia. Quando il nuovo governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, avverte che l'economia "si è arenata" e quando il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dice che "l'euro è stato un disastro per l'Italia" a poco meno di un mese dalle elezioni, ci si deve domandare quando i detentori dei titoli di Stato italiani si renderanno conto di assistere a un triste film già visto.
A parte l'inquietudine che destano le debolezze della politica e delle istituzioni italiane - come esemplificate dall'attuale campagna elettorale, litigiosa e polemica, e da un altro grande scandalo bancario che rovina ulteriormente la reputazione del sistema finanziario italiano - la pericolosa situazione economica del paese è notevolmente simile a quella dell'Argentina verso la fine degli anni '90. Lo stesso Draghi riconosce implicitamente questa somiglianza quando afferma che l'Italia deve migliorare il proprio rendimento produttivo, se vuole avere qualche speranza di invertire la tendenza di relativo declino del paese.
La somiglianza più impressionante tra i due paesi è rappresentata dalle rigide disposizioni valutarie nelle quali si sono rinchiusi da soli. Per reazione all'esperienza di iperinflazione della metà degli anni '80, nel 1991 l'Argentina inchiodò la propria moneta alla croce del piano di convertibilità. Fece così nella speranza di spingere nel paese la bassa inflazione e la disciplina della politica fiscale di cui non aveva mai goduto prima.
In un simile sforzo di rigore macroeconomico, l'Italia abbandonò la lira per l'euro nel 1999. La speranza era che l'alta inflazione e le periodiche svalutazioni della lira lasciassero il passo alla disciplina fiscale e alle riforme strutturali. Con l'abbandono della propria moneta, l'Italia, come l'Argentina prima di essa, rinunciò alla flessibilità della politica macroeconomica per stabilizzare la propria economia. L'Italia non può più affidarsi a periodiche svalutazioni del tasso di cambio per compensare le perdite di competitività internazionale. E non avendo più una propria politica monetaria, deve accettare i tassi di interesse che sono decisi dalla Banca Centrale Europea (BCE) anche se questi non vengono necessariamente incontro alle condizioni finanziarie italiane. Quando Jean-Claude Trichet, il presidente della Banca Centrale Europea, recentemente ha stretto la politica monetaria europea a causa del rincaro del petrolio, ha dato molto peso alla ciclica debolezza dell'Italia?
Se ciò non fosse abbastanza negativo, con il patto europeo di stabilità fiscale, l'Italia si è impegnata al rinforzamento delle finanze pubbliche nella circostanza di un indebolimento ciclico. Come l'Argentina negli anni '90, le finanze pubbliche italiane sono veramente in un grande disordine. Con un rapporto tra il debito pubblico e il Prodotto Interno Lordo (PIL) di più del 105%, l'Italia è il più indebitato dei paesi europei. Con un deficit di bilancio pari a circa il 4% del PIL, è in una condizione di chiara violazione dei criteri di Maastricht.
Ancora più inquietante è la perdita di competitività internazionale dell'Italia. Negli ultimi cinque anni, l'Italia ha perso circa 15 punti percentuali di competitività nei confronti della Germania perché agli aumenti salariali non sono corrisposti guadagni di produttività. Il fallimento dell'Italia nella modernizzazione delle proprie industrie e nell'innovazione tecnologica l'ha pure lasciata esposta al forte vento della concorrenza cinese in una economia sempre più globalizzata.
Per l'Italia la perdita degli strumenti di politica macroeconomica non sarebbe di grande importanza se la sua economia fosse in grande espansione. Ma negli ultimi tre trimestri l'economia italiana è stata a tutti gli effetti in recessione. Sotto il peso degli alti prezzi internazionali del petrolio, questa recessione è probabilmente destinata soltanto ad aggravarsi.
Come fu nel caso dell'Argentina, l'unica via di uscita per l'Italia è recuperare competitività attraverso riforme strutturali di vasta portata, specialmente nel mercato del lavoro. Tuttavia, se l'attuale campagna elettorale è di qualche indicazione, uno si deve chiedere se tali riforme dolorose siano oggi tanto più probabili in Italia di quanto non lo siano state in Argentina sotto Carlos Menem. E' necessario anche ricordare quanto sarà difficile per l'Italia riguadagnare competività in un contesto di inflazione molto bassa.
Nell'assenza di riforme reali, lo scenario più probabile per l'Italia sarà un prolungato periodo di stagnazione economica, se non di recessione, e un debito pubblico sempre crescente. Ciò probabilmente porterà le agenzie di rating a rivedere al ribasso l'outlook per l'Italia e costringerà la BCE a garantire periodicamente il debito dell'Italia, nonostante l'obbligo di "non salvataggio finanziario" [
1] che la banca dovrebbe rispettare. In ogni caso, nello stesso modo in cui l'Argentina sbagliò a far continuo assegnamento sulla benevolenza del Fondo Monetario Internazionale per aggiustare alla meglio i punti deboli della sua economia, l'Italia farebbe un grave errore se rinviasse le dolorose riforme del mercato del lavoro e si affidasse invece all'illimitata indulgenza della BCE.