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  1. #21
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    Mi dispiace ma gli Albanesi in Kossovo non possono avanzare DIRITTI, nessuno può entrare in una terra e dire che è SUA! Ma siamo matti un'altra terra promessa stiamo facendo? Tra 60 anni succederà la stessa cosa, che succede oggi in Palestina, un popolo depredato delle proprie terre, è un popolo che non ha pace!

  2. #22
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    Appena possibile interverrò sul tema. Nel frattempo, dico subito che sono contrario alla nuova divisione territoriale ed a questo genere di indipendentismo.

  3. #23
    Zuanne Frantziscu Pintore
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    Qualche questione sparsa, tanto per capirci in uno scenario molto complicato:
    1. L'Uck è nato per la malvagità dei suoi aderenti o come risposta a una pratica del governo serbo di riduzione al nulla dell'autonomia del Kosovo?
    2. Siamo sicuri che senza l'indipendenza del Kosovo, la minoranza serba avrebbe migliore tutela? E da chi?
    3. Non sarebbe meglio che prima del riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, gli stati pretendessero la firma di un protocollo di tutela della minoranza serba?
    4. Il diritto internazionale (vedi l'art. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici) non condiziona il principio secondo cui "Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale."
    5. Le questioni sulla possibilità di contagio dell'indipendenza kosovara a popoli vicini o lontani sono fondate. Ma i kosovari non possono farsi carico del modo in cui sono stati fabbricati i cosiddetti stati-nazione. La capacità di attrazione del processo di unificazione europea fa sì che poco importa se un popolo vuole essere rappresentato in Europa in quanto tale, invece che, spesso, ruota di scorta di stati solo fintamente unitari.

  4. #24
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    Citazione Originariamente Scritto da Zfrantziscu Visualizza Messaggio
    Qualche questione sparsa, tanto per capirci in uno scenario molto complicato:
    1. L'Uck è nato per la malvagità dei suoi aderenti o come risposta a una pratica del governo serbo di riduzione al nulla dell'autonomia del Kosovo?
    2. Siamo sicuri che senza l'indipendenza del Kosovo, la minoranza serba avrebbe migliore tutela? E da chi?
    3. Non sarebbe meglio che prima del riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, gli stati pretendessero la firma di un protocollo di tutela della minoranza serba?
    4. Il diritto internazionale (vedi l'art. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici) non condiziona il principio secondo cui "Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale."
    5. Le questioni sulla possibilità di contagio dell'indipendenza kosovara a popoli vicini o lontani sono fondate. Ma i kosovari non possono farsi carico del modo in cui sono stati fabbricati i cosiddetti stati-nazione. La capacità di attrazione del processo di unificazione europea fa sì che poco importa se un popolo vuole essere rappresentato in Europa in quanto tale, invece che, spesso, ruota di scorta di stati solo fintamente unitari.

    sulla questione dell'autonomia del Kosovo e dei fatti del 1989 mi sono espresso in un messaggio in questa stessa discussione, dunque non aggiungo altro, dicendo solo che non ritengo di poter parlare con certezze della questione suddetta, poichè sono solito parlare con convinzione sol delle realtà che conosco piuttosto bene. Resta il fatto che Milosevic non attuò in Kosovo una politica etnica basata sulla discriminazione degli albanesi, e che la modifica dello statuto di autonomia ( ripeto che possiamo criticare quanto vogliamo) aveva come finalità evitare l'imminente disgregazione di ciò che sarebbe rimasto dello stato jugoslavo plurietnico e multinazionale ( vedere le parole di Milosevic che ho riportato nel vecchio messaggio).
    Io ritengo che l'indipendentismo alla Kosovo rappresenti il tipico caso di normalizzazione europea dei confini per ledere piano piano i residui di sovranità nazionale, creare il grande meracro unico a-politico, e dare al contempo l'impressione di attuare la politica per il diritto di autodeterminazione dei popoli ( strategia peraltro che è stata fatta propria dagli statunitensi come forma di colonialismo economico dalla prima guerra mondiale in poi).
    L'indipendentismo può solo essere verace istanza popolare: se esso viene trascinato dalle classi dominanti per ragioni economiche o per dare rilievo economico ad un regione garantendole un posto al sole in europa, esso non ha alcun valore e diviene pura spartizione borghese dei confini, in ordine alla forza di potere esercitata dalle borghesie locali.

    Peraltro, ho già detto milioni di volte ( repetita iuvant) che ritengo importante, per ragioni diverse che si sommano tra di loro, che, laddove le condizioni lo permattano, si preservino le unità nazionali, lottando per l'intercomunitarismo e la pari dignità della nazionalitù entro contesti politici ormai formati e saldi nelle coscienze stesse dei popoli.
    Questo lo affermo come principio generale applicabile laddove non vi sia oppressione e laddove la volontà popolare è eslusivamente quella, sacrosanta, di mantenere specificità culturali e autonomie politiche legate all'essere popolo nel senso più vivo e dinamico del termine.
    In ogni caso la volontà deve restare nelle mani dei popoli: dunque difendo la piena libertà di indire referendum separatisi. Ma se fossi un basco, tanto per fare un esempio di cui mi sento di poter parlare con cognizione di causa, mi guarderei bene dal votare a favore dell'indipendenza dalla Spagna, ben consapevole del fatto che il processo indipendentistifco sarebbe inevitabilmente monopolizzato dalle elites borghesi per avere un proprio stato da far valere nel contesto dell'unione europea. Preferirei lottare a fianco dei popoli iberici e di Spagna per una federazione socialista e difendere l'uguaglianza economica delle nazionaità, difendendo al contempo il diritto ( oggi ben presente) all'autonomia politica e culturale del mio popolo.

    Insomma, a mio avviso, i separatismi devono essere giudicati su vari piani distinti, cercando di non fare confusione, di non far di tutta l'erba un fascio e di capire le implicazioni concrete ed ideologiche che vi stanno dietro.

  5. #25
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    per me non vi sono diritti da rivendicare per gli Albanesi del Kossovo, la terra è dei Serbi e dei Serbi deve rimanere, dietro l'indipendenza del Kossovo ci sono come sempre loro i padroni Atlantici che non hanno esistato a usare I MERCENARI DELLA UCK IN CECENIA CONTRO I RUSSI, questa è la verità....

  6. #26
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    ci sono cittadini jugoslavi di etnia albanese che hanno combattuto contro i separatisti americanisti-mafiosi dell'uck e compagnia brutta.i mass media occidentali,come al solito,con laloro propaganda Goebbelsiana,hanno girato la frittata,sbavanti di menzogne e odio contro chi non è allineato al grande padrone del mondo.

  7. #27
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    Emergenza Kosovo a 9 anni dalla "guerra umanitaria"

    Giovedì 31 gennaio

    (ore 17.00, aula 8 della Facoltà di Lingue, Via Garruba 6 - Bari, II piano)

    Nove anni fa, il 24 marzo 1999 gli aerei della NATO, utilizzando ampiamente le basi italiane, cominciarono a bombardare in modo sempre più intenso città e villaggi della "piccola Jugoslavia" (Serbia e Montenegro). Furono colpiti soprattutto ospedali e asili, centrali elettriche, le infrastrutture civili, ponti, strade, ferrovie. A migliaia morirono sotto i bombardamenti, a migliaia rimasero feriti e mutilati, migliaia e migliaia muoiono ancora oggi e moriranno anche in futuro per le irrimediabili malattie tumorali provocate dall´uso di proiettili e bombe al DU238 (uranio impoverito). Il paese bombardato sente ancora pesantemente sulla propria pelle gli effetti disastrosi della "guerra umanitaria": l´economia è in difficoltà, sono quasi inesistenti le speranze di una vita degna di essere vissuta per le giovani generazioni che hanno subito i bombardamenti del 1999 (alle quali la nostra associazione Most za Beograd, insieme ad alcune altre in Italia, ha portato solidarietà attraverso le adozioni a distanza).
    Quei bombardamenti della NATO - si disse- erano necessari per "prevenire una catastrofe umanitaria", per evitare la "pulizia etnica" degli albanesi del Kosovo.
    Non era propriamente così. Nella provincia autonoma del Kosovo era in atto non la "pulizia etnica" (che implica azioni sistematiche e organizzate di eliminazione di un popolo), ma un conflitto - le cui radici affondano in un secolare passato - tra la popolazione serba e quella albanese. Esso si era manifestato a più riprese anche nella "seconda Jugoslavia" (la repubblica federativa socialista fondata nel 1945 in seguito alla vittoriosa lotta di liberazione antinazista) con esplosioni violente (in particolare nella primavera del 1981) e si era acuito durante il decennio (anni ´90) di guerre e dissoluzione della Jugoslavia, cui contribuirono non poco le ingerenze esterne dei paesi della NATO, in primis Stati Uniti e Germania. Nel 1998 lo scontro militare tra milizie armate albanesi organizzate nell´UCK (organizzazione che la stampa USA più accreditata definiva qualche anno prima "terrorista") ed esercito e polizia serbi si era esteso.
    Fu il pretesto per la guerra della NATO, cui dette un apporto determinante anche il governo italiano.Dopo 78 giorni di bombardamenti il governo jugoslavo accettò l´armistizio di Kumanovo, e ritirò tutti i suoi militari dal Kosovo. La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell´ONU (che non aveva mai avallato la guerra contro la Jugoslavia) prese atto della nuova situazione e stabilì una sorta di protettorato delle Nazioni Unite (sotto l´acronimo UNMIK) sulla provincia serba del Kosovo, riaffermando però l´appartenenza della provincia alla repubblica serba. Non appena entrati in Kosovo, gli USA costruirono a tempi da record nei pressi di Urosevac la più grande base militare in Europa, Camp Bondsteel. Le truppe dei paesi della NATO - quasi 50.000 militari - occuparono, sotto le insegne della KFOR, le zone in cui la provincia fu suddivisa tra francesi, inglesi, tedeschi, italiani (oltre agli USA).
    Con la fine dei bombardamenti e l´occupazione militare del Kosovo, si spengono i riflettori dei media, che nei mesi precedenti avevano svolto un ruolo essenziale nell´orientare le popolazioni europee ad accettare e giustificare l´aggressione della NATO come dolorosa, ma necessaria e inevitabile, "guerra umanitaria". Quanto accade nella provincia occupata militarmente dalla NATO e amministrata dall´UNMIK sotto la guida del "medico senza frontiere" Kouchner (oggi ministro degli esteri francese) non deve più interessare le popolazioni europee; il Kosovo diventa un buco nero. Quasi nessuno parla delle migliaia di uccisi tra la popolazione non albanese dopo il giugno 1999, delle migliaia di sequestri di persona, i cui corpi amputati si ritrovano dopo anni, dell´espulsione coatta di oltre duecentocinquantamila persone, nella stragrande maggioranza serbi e rom, che cercano rifugio in un paese già profondamente immiserito dai bombardamenti e dall´embargo, decretato dalla "comunità internazionale" per continuare la guerra con altri mezzi. Né si parla della distruzione dei più importanti luoghi della memoria della cultura serba, che ha proprio in Kosovo le sue più importanti radici: monasteri medievali, chiese ortodosse, monumenti, messi a ferro e fuoco dalla furia di un nazionalismo esasperato, che pretende non solo di espellere o eliminare i vivi, ma di cancellare anche ogni traccia di un´antica presenza su un territorio su cui si arroga esclusiva e assoluta giurisdizione. Dell´inferno che serbi, rom e minoranze non albanesi stanno patendo in Kosovo i media sembrano accorgersi soltanto quando esplodono i pogrom del marzo 2004, in cui vengono assaliti quartieri e villaggi serbi, con decine di uccisi, migliaia di feriti, migliaia di nuovi profughi, mentre gli antichi monasteri medievali sono devastati e dati alle fiamme.
    Dopo i pogrom di marzo 2004 la condizione delle minoranze braccate e costrette a vivere in enclave guardate a vista da militari della KFOR in una prigione a cielo aperto non è sostanzialmente migliorata, come scrivono anche i rapporti del segretario delle N.U.: la sopravvivenza è una sfida quotidiana, gli spostamenti da una zona all´altra continuano ad essere molto rischiosi, continua lo stillicidio di violenze e assassinii, che induce i pochi serbi rimasti a fuggire e scoraggia i profughi dal rientrare.
    Le strutture politiche, giuridiche, economiche costruite dall´amministrazione di ONU e UE in Kosovo hanno teso a separare definitivamente la provincia dalla Serbia, in violazione della risoluzione 1244. Le minoranze di serbi, rom e non albanesi non hanno effettiva possibilità di rappresentanza politica e di gestione della provincia. Vige un apartheid di fatto.
    Frattanto, distrutte le radici della precedente economia agricola e industriale della provincia - quasi tutto ormai, dalle patate ai pomodori, viene importato - il Kosovo è diventato, come denunciano anche l´ex capo della KFOR, gen. Fabio Mini e la rivista liMes (cfr. Kosovo, lo stato delle mafie, suppl. al n. 6/ 2006) l´epicentro delle mafie balcaniche, il maggior centro di smistamento dei traffici di armi, droga, schiave del sesso, mentre affluiscono in Kosovo dalla UE fiumi di denaro per assistere la provincia, quasi nella medesima quantità di quelli destinati all´intero continente africano.
    Dopo il 2004 si sono avviati colloqui per decidere lo status definitivo della provincia, per il quale il governo di Belgrado si è dichiarato disponibile a varare la più ampia autonomia amministrativa, ma non la secessione di una regione che, cuore della cultura della nazione serba, rappresenta molto di più dei 10.000 kmq del suo territorio. La recente nuova costituzione della repubblica serba, approvata dal referendum del 2006, iscrive il Kosovo quale parte integrante del territorio dello stato. Gli albanesi del Kosovo, forti del sostegno esplicito degli USA e dei più influenti circoli e think-tank della penetrazione americana nei Balcani e nell´Europa orientale, esigono nulla di meno dell´indipendenza, manifestando la volontà di dichiararla unilateralmente, anche contro il Consiglio di sicurezza dell´ONU, in cui la Russia si oppone con forza ad ogni modificazione dello status della provincia senza il consenso di tutte le parti interessate, e quindi anche di Belgrado.
    Tra i paesi della UE non c´è unanimità. Il riconoscimento di uno stato autoproclamatosi indipendente contro il Consiglio di sicurezza dell´ONU e in violazione della risoluzione 1244 del 1999 aprirebbe un pericoloso precedente e sarebbe la martellata definitiva sul diritto internazionale già gravemente compromesso dalla dottrina strategica degli USA che negli ultimi anni hanno voluto imporre, dall´Afghanistan all´Iraq, il diritto del più forte.
    Il governo italiano, nonostante appelli e dichiarazioni di diversi parlamentari, si è sino ad ora, salvo qualche distinguo, allineato con la prepotenza USA, disponendosi al riconoscimento del nuovo stato, che il leader dell´UCK Thaci, attuale premier del Kosovo sotto amministrazione ONU, dichiara di voler proclamare a breve.
    L´indipendenza del Kosovo può significare in queste condizioni solo un´ulteriore esclusione ed espulsione delle minoranze serbe, rom e non albanesi, ed un altro pesante schiaffo alla popolazione serba, la più bombardata e decimata nel XX secolo, la più punita per essersi opposta alle mire delle grandi potenze nei Balcani: nel 1914 agli imperi centrali, nel 1941 ad Hitler, nel 1999 alla NATO.

    Affronteremo queste questioni saranno affrontate sotto il profilo politico, giuridico, storico, culturale nel convegno di giovedì 31 gennaio (ore 17.00, aula 8 della Facoltà di Lingue, Via Garruba 6 - Bari II piano) con

    Andrea Catone, associazione Most za Beograd - un ponte per Belgrado in terra di Bari;
    Ugo Villani, docente di Istituzioni di Diritto dell'Unione Europea, Università "La Sapienza", e di Diritti Umani presso la Luiss;
    Nico Perrone, docente di Storia dell'America, Università di Bari;
    Dragan Mraovic, giàconsole jugoslavo a Bari, opinionista collaboratore di Geopolitika, Dan e altre riviste;
    Augusto Ponzio, docente di Filosofia del linguaggio e Linguistica generale, Università di Bari;
    Silvia Godelli,assessore al Mediterraneo della Regione Puglia;
    Laura Marchetti, sottosegretaria al Ministero dell´ambiente.


    Info: 0805562663 - 3889226560

    Most za Beograd - Un ponte per Belgrado in terra di Bari - Associazione culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava
    via Abbrescia 97, 70121 BARI - mostzabeograd@alice.it - mostzabeogradbari@alice.it - CF 93242490725 - conto corrente postale 13087754

  8. #28
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    Noooo alle 17 nooo!!!

  9. #29
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    ... è a Bari.

  10. #30
    Omia Patria si bella e perduta
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    Citazione Originariamente Scritto da uomo libero Visualizza Messaggio
    per me non vi sono diritti da rivendicare per gli Albanesi del Kossovo, la terra è dei Serbi e dei Serbi deve rimanere, dietro l'indipendenza del Kossovo ci sono come sempre loro i padroni Atlantici che non hanno esistato a usare I MERCENARI DELLA UCK IN CECENIA CONTRO I RUSSI, questa è la verità....


    Il Kosovo non è né terra né dei serbi, né degli albanesi, ma è la terra di tutti i kosovari di qualunque religione (musulmana, ortodossa, cattolica, od etnia (serba, albanese, rom, macedone, bulgara) siano.

    Per piacere evitiamo certe sparate.

 

 
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