TOLKIEN E IL VENTUNESIMO SECOLO
Ancora oggi i testi dell’epopea tolkeniana, a più di settant’anni dal loro concepimento, mantengono una stringente attualità ed un successo editoriale con pochi precedenti; questo è oramai un dato di fatto ma non sarà la prospettiva dalla quale ritengo più utile analizzare le opere del professore di Oxford. Quello mi che preme veramente è evidenziare i valori e i messaggi che questa saga trasmette e contestualizzarli nel mondo odierno, cercando di capire come possiamo rifarci ad essi nel tentativo di ricostruire l’ossatura valoriale della nostra società, che oggi è in via di disfacimento.
Sull’interpretazione “politica” del Signore degli Anelli si sono sentite e registrate molte versioni: da quelle deliranti in voga fra i neo-hippies, che vedono la perigliosa impresa di Frodo come la metafora di un viaggio psichedelico che porta al distacco completo dalla realtà terrena, a quella che vuole che Tolkien, austero conservatore britannico, abbia trasfigurato nella Terra di Mezzo la situazione geopolitica europea degli anni trenta del ventesimo secolo, con l’ombra di Mordor a simboleggiare la Germania di Hitler e la Contea, la terra degli Hobbit, che sarebbe l’Inghilterra, da cui partono le speranze di liberazione dall’incipiente conquista.
Al di là di queste teorie più o meno fantasiose, un esempio concreto di contestualizzazione del fenomeno ci viene dall’ambiente della destra giovanile di fine anni settanta: sotto la guida di una rinnovata classe dirigente, frange del Fronte della Gioventù tentarono di emanciparsi dalla “casa madre” (il Movimento Sociale) creando una nuova cultura che, scrollatasi di dosso l’eredità rituale ed iconografica del fascismo del ventennio, trovò in Tolkien un nuovo mentore; è del 1977 il primo dei tre “campi Hobbit”, ritrovi giovanili svoltisi nell’entroterra dell’Italia centrale (prima in Campania poi in Abruzzo) volti a scoprire attività sino ad allora considerate frivole e “da compagni”, come la musica, l’arte figurativa, le discussioni di gruppo ecc.; inoltre, sempre in quel periodo, nasce uno dei gruppi che fanno da apripista alla musica alternativa, che guarda caso si chiama proprio Compagnia dell’Anello (seguiranno poi gli Hobbit, i Contea ed altri).
Dobbiamo però stare attenti a non cadere in un tranello comune e molto insidioso: politicizzare ed etichettare le opere di Tolkien, come fecero alcuni eminenti critici di sinistra (Umberto Eco in primis) che, in reazione alla situazione sopra descritta, disprezzarono quasi per ripicca il “fascistissimo” Signore degli Anelli, dimostrando così tutta la loro limitatezza intellettuale (personalmente poi, ritengo che tale liberazione da etichette politiche sia salutare nella trattazione di qualsiasi argomento e non solo di questo…). Con un po’ di malizia viene da pensare che questi intellettuali abbiano agito così anche perché lontanissimi da quello che è il vero contenuto dell’opera, il messaggio che essa vuole comunicare ed i sentimenti che intende risvegliare nel lettore, rifacendosi ad una gamma di valori da tempo obliati nella società moderna (ed occidentale, oserei puntualizzare) che invece hanno caratterizzato per molti secoli le società tradizionali.
Un primo esempio può essere palesato dall’osservazione delle gerarchie delle varie comunità che si incontrano nella storia: è evidente come vi sia un sistema meritocratico nella loro formazione e mai troviamo uomini non all’altezza dei loro compiti; anche nel caso di sire Denethor, sovrintendente del regno di Gondor che nel momento in cui il suo popolo ha più bisogno di lui decide vigliaccamente di suicidarsi, possiamo cogliere nelle parole di Gandalf la sua levatura spirituale, ormai affievolita e negletta a causa della vicinanza e del continuo confronto con il Nemico, ma che un tempo ne faceva un signore all’altezza del regno che governava. I sovrani e i capitani che conosciamo nel corso del racconto sono sempre pervasi da un senso di responsabilità ed amore nei confronti del loro popolo e della storia della loro stirpe e non esitano mai a mettersi in gioco ed in pericolo di vita in prima persona pur di difenderli.
Un altro carattere ricorrente che colpisce molto è il legame fra sangue e suolo, fra la terra ed il popolo che la abita; un profondo rispetto per la natura caratterizza tutte le figure positive, come ad esempio gli elfi, per i quali la simbiosi con l’ambiente è particolarmente forte; per contro i personaggi negativi (come Saruman e gli orchetti al suo servizio) si accaniscono con rabbia irrazionale contro fiumi e foreste, perpetrando una versione di progresso che, compatibilmente con l’ambientazione medievaleggiante della storia, ricalca quella della prima rivoluzione industriale, che per la prima volta nella storia dell’uomo recise nettamente il rapporto che lega quest’ultimo con il suo ambiente di nascita e di vita. La moderna ecologia, costellata da posizioni di principio che nulla hanno a che vedere con la riscoperta e la valorizzazione del legame uomo-natura, avrebbe certo molto da imparare dai personaggi tolkeniani!
Molto significative a tal proposito sono le figure degli Ent, i pastori degli alberi, custodi di una saggezza millenaria che si devono confrontare a un certo punto con i piccoli e frenetici hobbit; a questi ultimi il loro atteggiamento e la loro favella sembrano in un primo tempo lenti, affannati ed estremamente fastidiosi, ma capiscono dopo che tale “lentezza” è sintomo della loro saggezza, dovuta all’accumulazione di innumerevoli esperienze che li hanno fatti crescere, e al valore che danno al loro tempo, commisurato non sulla base di scadenze ed appuntamenti ma sull’inesorabile scorrere del ciclo vitale che nasce, progredisce e muore in un circolo di eterno rinnovamento.
E’ poi, a mio avviso, importante e significativo il rifiuto della concezione individualistica dell’eroe di Tolkien, che si pone in forte contrapposizione con l’iconografia odierna che tende nella quasi totalità dei casi a deificare l’eroe (individuando peraltro una schiera infinita di degradanti e degradati falsi dei, spesso usati come specchietti per le allodole). Non solo i personaggi principali del Signore degli Anelli, quelli che alla fine dei conti compiono l’impresa e possono quindi essere considerati eroi di diritto (Gandalf, Aragorn, Frodo), sono un equilibrato compendio di saggezza, umanità, coraggio, dedizione, fedeltà che però non li fanno mai apparire stucchevoli o superiori (nel senso negativo del termine), ma anche semplici comprimari sono portatori di valori altrettanto profondi; una figura che merita una citazione è quella di Sam Gamgee, amico ed aiutante di Frodo, sulla carta relegato a un ruolo di secondo piano ma che in realtà può essere considerato un personaggio di rango ben più elevato; egli incarna meravigliosamente l’idea di fedeltà e amore nei confronti del proprio padrone, dimostrando una generosità infinita e, più volte, la serena disponibilità al sacrificio estremo (mi ha colpito molto la scena in cui Sam, che sta scalando con Frodo il Monte Fato, si accorge che il suo padrone non si regge neanche più in piedi ed esclama risoluto: “coraggio signor Frodo, non posso portare io l’Anello ma posso trasportare voi ed esso insieme” e, detto ciò, pur stremato dalla fatica come e più del suo amico, se lo carica in spalla e prosegue il cammino).
Simili esempi di fedeltà e amicizia, dettati non dall’interesse materiale ma dall’amore per una persona, una terra o un’idea, sono oggi solo uno sbiadito ricordo.
Vi sono inoltre allusioni a temi più generali, come l’immagine secondo me estremamente calzante che Tolkien dà dell’animo umano, condannato a compiere le azioni più riprovevoli ma anche capace di elevare il proprio spirito al di sopra di ogni altro (la fotografia migliore di ciò è data dalla contrapposizione fra i due fratelli Boromir e Faramir: il primo cede al richiamo dell’Anello e aggredisce Frodo per strapparglielo, riscattandosi però subito dopo donando la propria vita per salvare quella dei suoi amici; il secondo invece ha sempre vissuto all’ombra del fratello ma mostra una saldezza di cuore superiore rifiutando di prendere l’Anello a Frodo nonostante ne avesse la possibilità). Particolare ed emblematica è anche la figura di Tom Bombadil, abitante della Vecchia Foresta ed unico essere vivente completamente immune al potere dell’Anello.
Infine l’Anello. A ben vedere esso potrebbe rappresentare (metaforicamente, beninteso) molti dei mali che infestano la nostra società: la brama di possedere che irretisce i deboli che sono ingannati dal materialismo il quale offre fugaci ed effimere soddisfazioni (che, così come l’Anello, si rivoltano poi contro il loro possessore), chi abbraccia l’estetica senza l’etica, chi non ha un’ancora di salvataggio costituita da ciò in cui crede, da un patrimonio di valori, da una tenuta interiore su cui basare la propria vita quotidiana ed è quindi più sensibile al richiamo dei falsi miti. L’Anello del ventunesimo secolo potrebbe essere la droga che intorpidisce le coscienze, il potere politico di chi ha rinnegato il proprio passato e i propri ideali, lo stile di vita frivolo e vuoto dello shopping e della cultura mediatica che nascondono i veri valori.
In conclusione spero con questo poche righe di aver contribuito a rendere le opere di Tolkien non solo una piacevole lettura per passare il tempo ma anche un’insieme di piccoli suggerimenti per affrontare la vita di ogni giorno con maggiore consapevolezza.
articolo tratto da www.associazioneedera.org