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Discussione: Cattolicesimo Fascista

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    Cattolicesimo Fascista

    I RELIGIOSI NELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA I RELIGIOSI NELLA RSI Bruno De Padova VESSILLO DI FEDE E DI CIVILTA IL SAIO DEI CAPPELLANI FRA'GINEPRO, DON SCARPELLINI E PADRE EUSEBIO, CON ALTRI NOVECENTO SACERDOTI-SOLDATO, PORTARONO NELLA RSI LA POTENZA COSTRUTTIVA DELLA COSCIENZA CRISTIANA L'albeggiare nelle molteplici, drammatiche giornate sofferte da Genova dopo quella della cosiddetta liberazione di cinquant'anni or sono, si distingueva più che per il levare del sole, da un ben diverso spettacolo, cioè da quel «mattutino di Stalin» caratterizzante in ogni quartiere del capoluogo ligure, sulle piazze, per i viali e nei «carrugi» una crescente, spietata caccia al fascista o presunto tale che, per settimane, sparse sempre più sangue e lasciò abbandonati un grande numero di cadaveri in ogni area urbana, da Voltri a Nervi. Fu in una di quelle mattine che il cappellano militare Fra' Ginepro di Pompeiana respinse il ritiro in luogo sicuro: «Il mio posto non è in noviziato; se quando i miei fratelli andarono alla guerra li seguii come cappellano militare, se quando caddero prigionieri li seguii nei campi di concentramento, ora che sono trattenuti in carcere li devo seguire nella galera.», rispose il «confessore del Duce» a chi voleva salvarlo dal pericolo sempre più incombente di una sua cattura, essendo molto ricercato dai partigiani. E più tardi - dopo essersi presentato da solo ai capi del CLN nella cella più grande del carcere di Marassi salì sul pancaccio e così supplicò per tutti i reclusi a viva voce: «O Cristo Signore, che per salvare l'umanità sei stato incatenato e crocifisso, ascolta il grido lamentoso che ogni giorno Ti eleviamo dal fondo della nostra galera. Non tardare a mettere in luce la nostra innocenza ed a restituirci alla nostra casa, fatti migliori dalle sofferenze patite. Volgi uno sguardo pietoso alla famiglia che è rimasta senza sostegno, alla Patria che attraversa momenti dolorosi, al Mondo coperto di ossami e di macerie. E fa che per tutti sia pace, prosperità e benedizione. Così sia!» Questa orazione, come ci conferma il Pio Cappuccino (Fra' Ginepro) nel suo tomo Convento e galera, fece subito il giro di tutte le celle di Marassi, col tempo lo farà anche nelle altre carceri d'Italia, lo sequestreranno in diversi penitenziari - quando scritto - come messaggio fascista, ma superando ogni barriera verrà recitata anche dai tubercolotici di Pianosa e dai pazzi di Aversa. Avvenne così che sull'altare del più severo sacrificio eretto per la Storia dai più intrepidi credenti nei valori civili della Nazione, di socialità e di libertà, illuminato durante l'intera epopea della Repubblica Sociale Italiana dallo splendore del sacrificio di ognuno che volle contribuire al migliore sviluppo dei popoli, si localizzarono anche quelli dei numerosi Cappellani-Soldato che dopo la vergogna per l'Italia dei tradimenti del 25 luglio e dell'8 settembre 1943 non disertarono, ma vollero continuare la loro inclita missione di Fede cristiana a fianco dei Combattenti per l'Onore della Patria. NASCE, COL GIURAMENTO, LA NUOVA FEDELTA’ Procediamo però, con ordine: nella Rsi, attraverso la Seconda sezione dell'Ordinariato Militare per l'Italia (istituzione introdotta dal Fascismo nel 1926 per il Regio Esercito e la Mvsn, poi inserita per volontà di Mussolini nel Concordato con la Chiesa cattolica) venne disciplinato il servizio dei Cappellani Volontari nelle varie Forze Armate repubblicane, al quale aderirono oltre novecento ministri ecclesiastici operanti non solo presso i più importanti Comandi oppure in altri Distretti militari, ma anche nelle diverse Unità divisionali, nei distaccamenti della Guardia Nazionale Repubblicana, in quelli successivi delle Brigate Nere, nella X Flottiglia Mas, in ogni Reparto speciale ecc. nonché in Francia, Balcania, Dodecanneso, Egeo, tra i Lavoratori italiani nel Terzo Reich, tra le truppe italiane prigioniere (e non «cooperatrici») in India, Usa, Gran Bretagna, Urss e altrove. In qualità di Pro-Vicario generale militare per le FF.AA. della Rsi sino al marzo 1945 rimase mons. Giuseppe Casonato, poi - dopo la circolare natalizia del '44 mediante la quale iniziava ad esercitare pressioni politiche contrarie all'azione del Governo repubblicano gli succedette il Cappellano capo del Piemonte mons. Silvio Solero. In precedenza, sul testo del giuramento di fedeltà alla Rsi, l'ordinario militare mons. A. Bartolomasi aveva frapposto inizialmente qualche difficoltà essendo stata da lui avanzata una formula diversa da quella predisposta dal Governo, ma entro il dicembre '44 tutti i Cappellani Volontari avevano giurato secondo la formula regolamentare, cioè: «Giuro di servire e di difendere la Repubblica Sociale Italiana nelle sue istituzioni e nelle sue leggi, nel suo onore e nel suo territorio, in pace e in guerra, fino al sacrificio supremo. Lo giuro dinanzi a Dio e ai Caduti, per l'unità, per l'indipendenza e per l'avvenire della Patria.». Sull'alta qualità dell'opera svolta dai Cappellani in grigioverde a nessuno può essere rimasto qualche dubbio, tanto è vero che lo stesso mons. Bartolomasi dopo il 1945 specificò come i «volontari cappellani militari della Rsi furono e restano l'orgoglio dei cappellani militari italiani, per l'ineccepibile condotta morale, per il senso eroico ed assoluto di servizio nell'assistenza religiosa e spirituale dei reparti loro assegnati, per l'amore di Patria nell'assistere e sostenere il morale di una popolazione civile, sotto l’inenarrabile flagello che si abbatteva sull'intera Nazione italiana». L'albo di gloria dei Cappellani militari dell'Onore distingue ben ventotto ministri della Chiesa caduti per servizio o per mano terroristica durante la Rsi e sono i seguenti: Fra' Fortunato Bertoni (Modena), Mario Boschetti (Ferrara), Guerrino Cavazzoli (Germania), Sebastiano Caviglia (Asti), Padre Crisostomo Ceragioli (Siena), Padre Antonio Ciervo (Egeo), Padre Sigismondo Damiani (Macerata), Edmondo De Amicis (Torino), Rosino Di Nallo (Frosinone), Giovanni Di Pietro (Teramo), Emilio Femandez (Ferrara), Carlo Ferrari (Grosseto), Padre Fernando Ferrarotti (Aosta), Vittorio Floriani (Germania), Giuseppe Gabana (Trieste), Padre Ceslao Galletti (Roma), Domenico Gianni (Bologna), Umberto Lotti (Austria), Padre Simone Nardin (Fiume), Adolfo Nannini (Firenze), Fra' Cleto Parodi (Egeo), Pietro Roba (Imperia), Padre Angelico Romiti (Torino), Leandro Sangiorgio (Vercelli), Carlo Terenziano (Reggio Emilia) e Antonio Torricella, -" (Francia). Inoltre, sono sei i Sacerdoti-Soldato caduti l'8 settembre in Albania, Dalmazia, Montenegro e Serbia, vittime del comunismo balcanico; due quelli nei campi non-cooperatori in India. Ascendono a quarantaquattro i Cappellani militari italiani deceduti prima e dopo l'armistizio badogliano nei campi sovietici di prigionia. Molto più numerosi sono invece i sacerdoti di Cristo che nel corso della Rsi oppure subito dopo il tragico 25 aprile persero la vita, accusati di amicizia per i fascisti oppure per le truppe germaniche in quanto rei di avere segnalato urgenti necessità delle popolazioni e degli sfollati, come accadde - ad esempio - a don Aladino Petri nel Pisano, vicino alla storica torre di Caprona, assassinato insieme al maestro Lughetti da tre fuorilegge dei Gap in bicicletta. DON TULLIO CALCAGNO E «CROCIATA ITALICA» Coscienza del Vangelo e fedeltà ai valori della Patria sono i canoni morali su cui la forte idealità di don Tullio Calcagno fece leva per aprirsi al calvario 1943-45, lungo l'ascesa del quale la sua Fede cattolica e il suo amore per l'Italia furono perseguitati senza pietà, mai riuscendo però, ad indebolire la virile temerarietà della sua missione. Il dramma degli eventi politico-militari dell'estate 1943 colsero don Calcagno in Umbria, dove era parroco della cattedrale di Terni e mentre sull'antica Interamna, trasformata dal Fascismo in grande centro industriale, i bombardieri anglo-statunitensi della Raf e dell'Usaf rovesciarono morte e distruzione. Dinanzi a così grave scempio morale e materiale, il parroco della cattedrale ternana, sentendo nell'animo la rudezza di Bernardino da Siena e conservando la mitezza di Francesco d'Assisi, si aprì alla focosità di Domenico da Guzmàn con la robustezza di fede appartenente ad Ignazio di Loyola, divenne testardo come G. Galilei di fronte al Sant'Uffizio e non si arrese ai messi papali quanto Gerolamo Savonarola, lasciò la città bagnata dal Nera e salì nella Valle Padana per trovare a Cremona - dove l'armonia dei liutai Amati, Guarnieri e Stradivari era salita in cielo più del Torrazzo - il fulgore coerentemente innovativo di Roberto Farinacci, l'incisività critica del quotidiano Il Regime Fascista, l'ardore combattivo delle Schutzstaffeln italiane per la realizzazione costruttiva ed operosa dei punti fondamentali del Pfr, sincronizzati nel «Manifesto di Verona». E qui, dopo la notte dei tradimenti, respingendo la materialità del comodo imboscamento, don Calcagno dà vita al settimanale più intrepido di religiosità e patriottismo e Crociata Italica si aprì anche all'assidua collaborazione dei Cappellani volontari della Rsi. E’ vero che per la continua incisività di Crociata Italica e per le relazioni settarie inoltrate alla Santa Sede dalla Curia cremonese e di Milano, presto don Calcagno venne sospeso «a divinis» da Bolla pontificia, ma è doveroso rammentare che il sacerdote di Terni non dissentì mai con il Pontefice Pio XII in materia di Fede, ma con il Sant'Uffizio che, appellandosi al Codice Canonico esigeva l'astensione di questo religioso dall'esercizio giornalistico della politica, mentre in quel tempo - tra i cortei schiamazzanti al seguito degli invasori «alleati» dove erano riusciti ad arrivare - si evidenziavano sempre più molti preti che, con il fazzoletto rosso al collo... celebravano la cosiddetta liberazione, cantando Bandiera rossa con i «fratelli» partigiani comunisti e alzando il braccio sinistro in alto e con il pugno della mano ben chiuso. Anticipavano di cinquant'anni l'attuale «passione» filomarxista di molti, troppi prelati altolocati. Quando nell'aprile '45 pervenne il tracollo militare, il massacro di Dongo, il ludibrio di piazzale Loreto e la carneficina spietata di fascisti o presunti tali, nessuno dei monsignori estensori delle relazioni per la sospensione del sacerdote-direttore di Crociata Italica nutrì un po' di pietas almeno latina per impedire che venisse trascinato da Crema al carcere di San Vittore a Milano e poi buttato in piazzale Susa per rabbiosa fucilazione. Troppi non capivano che, come Petrarca, don Calcagno - in politica seppe scrivere «per ver dire, non per odio d'altrui, né per disprezzo». CAPPELLANI CON GLADIO, ALFIERI DI FEDE Esiste nell'Ordinariato militare per l'Italia la nobiltà morale per gli alfieri della cappa di San Martino ed essa ha in Angelo Roncalli (Papa Giovanni XXIII), Giulio Facibeni (fondatore a Firenze della Madonnina del Grappa, ospitante i perseguitati della Rsi), Carlo Gnocchi (realizzatore di Pro Juventute a Milano), Luigi Soverini (officiante a Roma per 20 anni la Santa Messa in latino il 28 aprile in San Marco di Palazzo Venezia) e Giovanni Errani (sacerdote Divisione Etna della Rsi) i Cappellani militari benemeriti nella vita religiosa e civile. E’ dal loro esempio che durante la Repubblica sociale i loro colleghi con i Gladi quale mostrina assolsero alla propria missione con la franchezza e con la sensibilità francescane di cui militari e popolazione avevano la maggiore necessità con senso di misericordia umana. Il decano dei Cappellani della Rsi fu don Angelo Scarpellini, romagnolo, insegnante di lettere a Bologna, giornalista, scrittore. Pubblicò nel 1939 il libro Augusto nella luce del Vangelo, nel 1942 il volume Italia della Conciliazione, poi lasciò la cattedra per essere vicino ai soldati e alle loro sofferenze. Don Scarpellini fu assiduo collaboratore di Crociata Italica con gli articoli firmati Pier l'Eremita e, in conseguenza di ciò, non ottenne il dovuto inserimento nei ruoli dell'Ordinariato militare per l'Italia dei Cappellani volontari, ma ciò non gli impedì di emergere nel ruolo di Sacerdote-soldato prima nella Brigata Nera «Facchini» e poi nella Brigata Nera Mobile «Pappalardo», comandata quest'ultima dal prof. Pagliani. Dopo il 25 aprile venne condotto a Coltano e poi, su richiesta di un magistrato di Reggio Emilia, si presentò a quel Tribunale dove venne incarcerato e poi processato per collaborazionismo, condannato a 24 anni di reclusione e poi assolto in Cassazione. Ma nel carcere di Reggio Emilia venne sottoposto dai partigiani a gravi sevizie che gli procurarono sordità totale, timpani rotti, denti spaccati e una frattura al cranio. Quando i partigiani vennero tradotti dinanzi a lui per individuare chi lo aveva martirizzato, e pure riconoscendoli, al magistrato che lo invitava ad indicare i responsabili delle sevizie egli rispose: «Non riconosco nessuno!». Allorché riebbe la libertà, don Scarpellini - sebbene invalido - riprese la sua attività educativa, portò la sua voce in tante conferenze per illuminare gli Italiani sull'ampiezza del sacrificio dei Martiri e dei Caduti della Rsi, chiese la Pacificazione che inserisse nella Costituzione della Repubblica del 2 giugno la parificazione dei diritti dei combattenti e dei dipendenti pubblici della Rsi a quelli del regno del Sud, nonché di ogni beneficio da ciò derivante e, nel contempo, diede alle stampe La Rsi nelle lettere dei suoi Caduti, pubblicando anche Fausto Longiano (1959), La Pieve di San Giovanni in Compito (1962),, Don Alessandro Berardi patriota riminese (1963) e altro ancora, ma nel 1979 Dio lo chiamò a sé. DIO E PATRIA, SINTESI IDEALE Nell'ardente fucina di volontà cristiana e patriottica di Crociata Italica si cimentarono molti altri sacerdoti quali padre Blandino della Croce, don Antonio Bruzzesi, Fra' Galdino, padre Egidio del Borgo, il benedettino Ildefonso Troya che, insieme al tenace Fra' Ginepro di Pompeiana, perfezionarono i rispettivi intendimenti religiosi nell'aiuto a tutti i sofferenti della tragedia nazionale. D'altronde, il primo articolo di fondo del n° 1 di Crociata Italica era intitolato Dio e Patria e in esso don Calcagno specificava: «Siamo cattolici, apostolici, romani, figli devoti e membri vivi dell'unica Santa Chiesa e tali intendiamo restare, con la grazia di Dio, fino alla tomba, nell'eternità della Chiesa trionfante. Siamo repubblicani, perché col tradimento del re, il regno ha cessato di esistere per tutti gli italiani e per tutti gli uomini onesti, e ad esso è succeduto, nel modo più legittimo, la Repubblica Sociale Italiana, sotto la guida di colui che, fino alla vigilia della vergognosa catastrofe, era il Duce universalmente riconosciuto da popoli e governanti, da pontefici e sovrani.» Su questa ispirazione, insieme ai Sacerdoti-Soldato indicati e agli altri novecento che nel tempo 1943-45 assolsero alla missione apostolica di Cappellani volontari della Rsi, indirizzò con vigore la propria azione francescana padre Eusebio che già nel giugno 1940 - due giorni dopo l'entrata dell'Italia in guerra - si era arruolato nell'Ordinariato militare seguendo le sorti dei soldati prima tra gli Alpini, distinguendosi in Albania e in Russia, indi nella base atlantica di Bordeaux, fino ad essere catturato dai Tedeschi l'8 settembre ad Antibes. Padre Eusebio, al secolo Sigfrido Zappaterreni e nativo di Montecelio (l'attuale Guidonia), condannò la congiura di Grandi e Bottai, non accettò il tradimento di Vittorio Emanuele III°e di Badoglio, ed aderendo alla Rsi si fece promotore di tante conferenze per stimolare gli Italiani alla riscossa morale. Assumendo nel 1944 l'incarico di Capo Cappellano militare delle Brigate Nere, padre Eusebio accentuò i suoi incontri e dialoghi con il Duce e in settembre, mentre gli invasori iniziavano a scontrarsi contro la Linea Gotica, Mussolini - nel tratteggiare i problemi connessi ai rapporti fra lo Stato repubblicano e la Chiesa - gli disse: «In vari rapporti si nota una recrudescenza rossa che non preoccupa affatto il clero della Repubblica. Certe connivenze e complicità con i fuorilegge sono sintomi di decadenza morale e prove incontrovertibili di malafede.» Ma il colloquio non era finito. Mussolini continuò: «Ogni settimana Mezzasoma mi fa il rapporto scritto sulla stampa cattolica. Su centinaia di opuscoli, riviste e foglietti parrocchiali non sono mai riuscito a trovare un accenno contro il comunismo. Lo stesso dicasi delle allocuzioni che il clero fa la domenica nelle chiese. Ditemi, cosa significa tutto questo nel momento critico che si attraversa?» All'uomo liberato da Skorzeny sul Gran Sasso dalla prigionia dei badogliani di a . liora, il Cappellano capo delle BB.NN. rispose accentuando le sue prediche ai combattenti ed ai cittadini, aperse il suo fervore francescano invocando il dovere delle genti per la difesa della Patria, sollecitò una pace non dolorosa per la Nazione, affinché i «fioretti» del santo di Assisi maturassero nel cuore degli Italiani l'incitamento alla «perfetta letizia» dopo tante sofferenze. In fedeltà alla Vocazione francescana, alla bandiera tricolore dell'Onore, padre Eusebio coronò di splendore la sua missione di Cappellano della Rsi nella primavera '45 quando - in Galleria a Milano - profuse nella sua più ardente allocuzione l'invito ai credenti in Dio e nella Patria a professare virtù di buon frutto per la rinascita della Nazione e per costruire la Civiltà del futuro. MISSIONI DI APOSTOLI SULLE FRONTI ITALIANE A fianco di Fra' Ginepro e di Padre Eusebio che svolgevano il loro compito di apostoli del Cattolicesimo oltreché quali «confessori del Duce», anche come missionari di sostegno morale ai combattenti, con uguale coscienza del Verbo cristiano si distinsero sulle fronti della Linea Gotica, sulle Alpi occidentali e sulle doline carsiche, in Istria e nella Dalmazia, quanto sul Baltico e nell'Egeo, i Cappellani volontari della Rsi a fianco delle nostre truppe in grigioverde. Ecco nella Divisione Littorio l'esempio fulgente di Padre Marcello, al secolo Primiero Tozzi, che segui questa Unità militare della Rsi dall'addestramento in Germania nel centro di Senne alla difesa della sovranità italiana in Valle d'Aosta, dopo essere stato in precedenza predicatore francescano dei Padri Minori nella Toscana, Tenente Cappellano degli Alpini sulla fronte greco-albanese. Padre Marcello confortò i soldati in grigioverde sulle impervie vette della fronte aostana, segui i feriti negli ospedali e confortò le famiglie dei Caduti durante e dopo la guerra, anche quando divenne Coadiutore diocesano nella parrocchia di N. S. Gesù Cristo in Lastra a Signa, non mancando mai nei contatti con i «suoi» reduci. Nel rammentare gli eroismi dei soldati della Littorio su quella fronte nell'inverno 1944-45 padre Marcello scrisse: «Alzatevi, amici, e rimanete in alto. Sulle cime non vi è nebbia, né fango, né mosche. » Le «penne nere» del 4° Rgt. Alpini della Rsi avevano già compiuto questo confronto, erano stati eroici nel sacrificio per l'Italia repubblicana. In modo analogo, tra altre «penne nere», altri artiglieri da montagna, genieri e complementari della Divisione Alpina Monterosa si distinse il sacerdote-alpino Luigi Miglio con tutti i cappellani dislocati nei vari reparti, dal campo germanico di addestramento in Miinsingen all'offensiva d'inverno nella Garfagnana oppure nei contrattacchi e nelle «sortite» sulle Alpi occidentali, dal Colle della Maddalena al Piccolo S. Bernardo e al Moncenisio, ovunque le truppe alpine diedero prova del loro ardimento sulle vette, ove - sia ben chiaro - Dio ad esse è più vicino. A fianco della Divisione F.M. San Marco eccelle Padre Candido Carlino, in quella Etna è presente Padre Giovanni Errani, nel Rgt. Paracadutisti Folgore il temerario don Ovidio Zinaghi, mentre con la X Flottiglia Mas oltre a Padre Martinengo quale Cappellano capo si sono distinti don G. Graziani e don A. Castoldi nel Btg. Barbarigo, don B. Folloti nel Btg. Lupo, don R. Pio nei Btgg. NP e Sagittario, don Pettro nel 3' Rgt. Artiglieria e, su a Tamova, con il Btg. Fulmine, proteso con le altre truppe autonome a difendere l'italianità di Gorizia dall'aggressione del IX Korpus di Tito, non mancava don Casinúro Canepa. SPIRITO E COSCIENZA DEL CREDO EUROPEO Questa leggenda di Fede e di eroismo assume più valore proprio mentre il nostro vecchio Continente inizia a potenziare, attraverso la Cce, la propria, nuova prova di unificazione politica, economica e produttiva che la liberi dalla soggezione alla finanza degli Usa, nonché dall'influenza vessatoria della plutocrazia anglo-statunitense cui del progresso civile dell'Europa nel Terzo Millennio importa niente. D'altronde, gli altri non possono capire come sulla Via Crucis dell'Europa di mezzo secolo fa, dove il vessillifero del Credo cattolico e italiano - quale era Fra' Ginepro - si ergeva illuminando con lo splendore del suo Saio la nitidezza del Tricolore repubblicano per la pace del lavoro e per l'equilibrio delle coscienze, si rafforzò il valore etico posto a seme sul solco della Storia nel trascorrere dei millenni per la Civiltà, da quello latino del Diritto al Cristianesimo francescano, dall'Arte rinascimentale alle scoperte della Tecnica, dai moti liberali e socialistici (Bismarck li sostenne nell'800 per l'Europa) all'equilibrio fascista dell'economia produttiva attraverso le conquiste di emancipazione garantite dalla socializzazione. In questo, il Saio di Fra' Ginepro e degli altri Cappellani Volontari della Rsi assume il più eletto valore per lo Spirito e per le Coscienze. Ha consolato le sofferenze di tanti Martiri e di molti Caduti. E simbolo di Italia, di Europa, significa Civiltà. TABULA RASA 5 Settembre 1995. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI) L'OLOCAUSTO DEI RELIGIOSI NELLA RSI AMATEIS Don Giuseppe, parroco di Coassolo (Torino), ucciso a colpi di ascia dai partigiani comunisti il 15 marzo 1944, perché aveva deplorato gli eccessi dei guerriglieri rossi. AMATO Don Gennaro, parroco di Locri (Reggi o Calabria), ucciso nell'ottobre 1943 dai capi della repubblica comunista di Caulonia. AMBROSI Don Luigi. ARINCI Marino: seminarista. BANDELLI (Bandeli) Don Ernesto, parroco di Bria, ucciso dai partigiani slavi a Bria il 30 aprile 1945. BARDET (Border) Don Luigi, parroco di Hone (Aosta), ucciso il 5 marzo 1946 perché aveva messo in guardia i suoi parrocchiani dalle insidie comuniste. BARDOTTI Don Ugo. BAREL Don Vittorio, economo del seminario di Vittorio Veneto, ucciso il 26 ottobre 1944 dai partigiani comunisti. BARTHUS Padre Stanislao della Congregazione di Cristo Re (Imperia), ucciso il 17 agosto 1944 dai partigiani perché in una predica aveva deplorato le «violenze indiscriminate dei partigiani». BARTOLINI (Bortolini) Don Corrado, parroco di Santa Maria in Duno (Bologna), prelevato dai partigiani il 1° marzo 1945 e fatto sparire. BASTREGHI Don Duilio, parroco di Cigliano e Capannone Pienza, ucciso la notte del 3 luglio 1944 dai partigiani comunisti che lo avevano chiamato con un pretesto. BEGHE' don Carlo, Parroco di Novegigola (Apuania), sottoposto il 2 marzo 1945 a finta fucilazione che gli produsse una ferita mortale. BONIFACIO Don Francesco, curato di Villa Gardossi (Trieste), catturato dai miliziani comunisti Jugoslavi l'11 settembre 1946 e gettato in una foiba. BOLOGNESI Don Sperindio, parroco di Nismozza (Reggio Emilia), ucciso dai partigiani comunisti il 25 ottobre 1944. BORTOLINI Don Raffaele, canonico della Pieve di Cento, ucciso dai partigiani la sera del 20 giugno 1945. BOVO (Bove) Don Luigi, parroco di Bertipglia (Padova), ucciso il 25 settembre 1944 da un partigiano comunista poi giustiziato. BRAGHINI Dino: Chierichetto. BULLESCHI Don Miroslavo, parroco di Monpaderno, (Diocesi di Parenzo e Pola), ucciso il 23 agosto 1947 dai comunisti iugoslavi. BEGNE' Don Carlo BUSI Don Gogoli. CALCAGNO Don Tullio - direttore di «Crociata Italica», fucilato dai partigiani comunisti a Milano il 29 aprile 1945. CALE'- Don Ernesto. CAVIGLIA Don Sebastiano, cappellano della GNR, ucciso il 27 aprile 1945 ad Asti. CERAGIOLO Padre Giovan-Crisostomo, o.f.m., cappellano militare decorato al valor militare, Prelevato il 19 maggio 1944 da partigiani comunisti nel convento di Montefollonico e trovato cadavere in una buca con le mani legati dietro la schiena. CIOCCHETTI Don Paolo CORSI Don Aldemiro, parroco di Grassano (Reggio Emilia), assassinato nella sua canonica, con la domestica Zeffirina Corbelli, da partigiani comunisti, la notte del 21 settembre 1944. CORTIULA Don Virgilio, ucciso con suo padre e Pavine Virgilio. CRECCHI Don Ferruccio, parroco di Levigliani (Lucca), fucilato all'arrivo delle truppe di colore nella zona, su false accuse dei comunisti del luogo. CURCIO Don Antonio, cappellano dell'11° Btg. Bersaglieri, ucciso il 7 agosto 1941 a Dugaresa da comunisti croati. DAMIANI Padre Sigismondo, o.f.m. ex cappellano militare, ucciso dai comunisti slavi a San Genesio di Macerata l' 11 marzo 1944. DAPPORTO Don Teobaldo, arciprete di Casalfiumanese (Diocesi di Imola), ucciso da un comunista nel settembre 1945. DE AMICIS Don Edmondo, cappellano, pluridecorato della prima guerra mondiale, venne colpito a morte dai «gappisti», a Torino, sulla soglia della sua abitazione nel tardo pomeriggio del 24 aprile 1945, e spirò dopo quarantotto ore di atroce agonia. DIAZ Don Aurelio, cappellano della Sezione Sanità della divisione «Ferrara», fucilato nelle carceri di Belgrado nel gennaio del '45 da partigiani «Titini». DOLFI Don Adolfo, canonico della Cattedrale di Volterra, sottoposto il 28 maggio 1945 a torture che lo portarono alla morte l'8 ottobre successivo. DONATI Don Enrico, arciprete di Lorenzatico (Bologna), massacrato il 28 maggio 1945 sulla strada di Zenerigolo. DONINI Don Giuseppe, parroco di Castagneto (Modena). Trovato ucciso sulla soglia della sua casa la mattina del 20 aprile 1945. La colpa dell'uccisione fu attribuita in un primo momento ai tedeschi, ma alcune circostanze, emerse in seguito, stabilirono che gli autori del sacrilego delitto furono gli altri. DORFMANN Don Giuseppe, fucilato nel bosco di Posina (Vicenza) il 27 aprile 1945. D'OVIDIO Don Vincenzo, parroco di Poggio Umbricchio (Teramo), ucciso nel maggio '44 sotto accusa di filo-fascismo. ERRANI Don Giovanni, cappellano militare della GNR, decorato al vm., condannato a morte dal CNL di Forli, salvato dagli americani e poi deceduto a causa delle sofferenze subite. FALCHETTI Don Giovanni. FASCE Don Colombo, parroco di Cesino (Genova), ucciso nel maggio del '45 dai partigiani comunisti. FAUSTI Don Giovanni, superiore generale dei Gesuiti in Albania, fucilato il 5 marzo 1946 perché Italiano. Con lui furono trucidati altri sacerdoti dei quali non si è mai potuto conoscere il nome. FERRAROTTI Padre Femando, o.f.m., cappellano militare reduce dalla Russia, ucciso nel giugno 1944 a Champorcher (Aosta) dai partigiani comunisti. FERRETTI Don Gregorio, parroco di Castelvecchio (Teramo), ucciso dai partigiani slavi ed italiano nel maggio 1944. FERRUZZI Don Giovanni, arciprete di Campanile, Diocesi di Imola, ucciso dai partigiani il 3 aprile 1945. FILIPPI Don Achille, parroco di Maiola (Bologna), ucciso la sera del 25 luglio 1945 perché accusato di filofascismo. FONTANA Don Sante, parroco di Comano (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 6 gennaio 1945. FORNASARI Mauro: seminarista. GABANA don Giuseppe, della diocesi di Brescia, cappellano della VI legione della Guardia di Finanza ucciso il 3 marzo 1944 da un partigiano comuni sta. GALASSI Don Giuseppe, arciprete di S. Lorenzo in Selva (Imola), ucciso il 1° maggio 1945 perché sospettato di filofascismo. GALLETTI Don Tiso, parroco di Spazzate Sassatelli (Imola), ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo. GIANNI Don Domenico, cappellano militare in Jugoslavia, prelevato la sera del 21 aprile 1945 e soppresso dopo tre giomi. GUICCIARDI Don Giovarmi, parroco di Mocogno (Modena), ucciso il 10 giugno 1945 nella sua canonica dopo sevizie atroci da chi, col pretesto della lotta di liberazione, aveva compiuto nella zona una lunga serie di rapine e delitti, con totale disprezzo di ogni legge umana e divina. ICARDI Don Virgilio, parroco di Squaneto (Aqui), ucciso il 4 luglio 1944, a Preto, da partigiani comunisti. ILARDUCCI Don Luigi, parroco di Garfagnolo (Reggio Emilia), ucciso il 19 agosto 1944 da partigiani comunisti. JEMMI Don Giuseppe, cappellano di Felina (Reggio Emilia), ucciso il 19 aprile 1945 perché aveva deplorato gli «eccessi inumani di quanti disonoravano il movimento partigiano». LAVEZZARI Serafino: Seminarista. LENZINI Don Luigi, parroco di Crocette di Pavullo (Modena), trucidato il 20 luglio 1945. Nobile, autentica figura di Martire della Fede. Prelevato nottetempo da un'orda di criminali, strappato dalla sua chiesa, torturato, seviziato, fu ucciso dopo lunghissime ore di indescrivibile agonia, quale raramente si trova nella storia di tutte le persecuzioni. Si cercò di soffocare con lui, dopo che le minacce erano risultate vane, la voce più chiara, più forte e coraggiosa che, in un'ora di generale sbandamento morale, metteva in guardia contro i nemici della Fede e della Patria. Il processo, celebrato in una atmosfera di terrore e di omertà, non seppe assicurare alla giustizia umana i colpevoli, mandanti ed esecutori, i quali, con tale orribile delitto, non unico, purtroppo, hanno gettato fango, umiliazione e discredito sul nome della Resistenza Italiana. Ma dalla gloria all'Eternità, come nella fosca notte del Martirio. Don Luigi Lenzini fa riudire la ultime parole della sua vita, monito severo e solenne, che invitano a temere e a stimare soltanto il giusto Giudizio di Dio. (N.B. - Volantino fatto stampare a Pavullo l'8 agosto 1965). LOMBARDI Don Nazzareno. LORENZELLI Don Giuseppe, priore di Corvarola di Bagnone (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 27 febbraio 1945, dopo essere stato obbligato a scavarsi la fossa. LUGANO Don Placido. MANFREDI Don Luigi, parroco di Budrio (Reggio Emilia), ucciso il 14 dicembre 1944 perchè aveva deplorato gli «eccessi partigiani». MATTIOLI Don Dante, parroco di Coruzza (Reggio Emilia), prelevato dai partigiani rossi la notte dell'11 aprile 1945. MERLI Don Ferdinando, mensionario della Cattedrale di Foligno, ucciso il 21 febbraio 1944 presso Assisi da jugoslavi istigati dai comunisti italiani. MERLINI Don Angelo, parroco di Fiainenga (Foligno), ucciso il medesimo giomo dagli stessi, presso Foligno. MESSURI Don Armando, cappellano delle Suore della S. Famiglia in Marino, ferito a morte dai partigiani comunisti e deceduto il 18 giugno 1944. MORA Don Giacomo. NANNINI Don Adelfo, parroco di Cercina (Firenze), ucciso il 30 maggio 1944 da partigiani comunisti. NARDIN Don Simone, dei benedettini Olivetani, tenente cappellano dell'ospedale militare «Belvedere» in Abbazia di Fiume, prelevato dai partigiani jugoslavi nell'aprile 1945 e fatto morire tra sevizie orrende. OBID Don Luigi, economo di Podsabotino e San Mauro (Gorizia), prelevato da partigiani e ucciso a San Mauro il 15 gennaio 1945. PADOAN Don Antonio, parroco di Castel Vittorio (Imperia), ucciso da partigiani l'8 maggio 1944 con un colpo di pistola in bocca ed uno al cuore. PAVESE Don Attilio, parroco di Alpe Gorreto (Tortona), ucciso il 6 dicembre 1944 da partigiani dei quali era cappellano, perché confortava alcuni prigionieri tedeschi condannati a morte. PELLIZARI Don Francesco, parroco di Tagliolo (Acqui), chiamato nella notte del 5 maggio 1945 e fatto sparire per sempre. PERAI Don Pompeo, parroco dei Ss. Pietro e Paolo di città della Pieve, ucciso per rappresaglia partigiana il 16 giugno 1944. PERCIVALLE Don Enrico, parroco di Varriana (Tortona), prelevato da partigiani e ucciso a colpi di pugnale il 14 febbraio 1944. PERKAN Don Vittorio, parroco di Elsana (Fiume), ucciso il 9 maggio 1945 da partigiani mentre celebrava un funerale. PESSINA Don Umberto, parroco di San Martino di Carreggio, ucciso il 18 giugno 1946 da partigiani comunisti. PERSICHILLO Don Giovanni. PETRI Don Aladino, pievano di Caprona (Pisa), ucciso il 2 giugno 1944 perché ritenuto filo-fascista. PETTINELLI Don Nazzareno, parroco di Santa Lucia di Ostra di Senigallia, fucilato per rappresaglia partigiana l'l 1 luglio 1944. PIERAMI Giuseppe, seminarista, studente di teologia della diocesi di Apuania, ucciso il 2 novembre 1944, sulla Linea Gotica, da partigiani comunisti. PISACANE Don Ladislao, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso da partigiani slavi il 5 febbraio 1945 con altre dodici persone. PISK Don Antonio, curato di Canale d'Isonzo (Gorizia), prelevato da partigiani slavi il 28 ottobre e fatto sparire per sempre. POLIDORI Don Nicola, della diocesi di Nocera e Gualdo, fucilato il 9 giugno 1944 a Sefro da partigiani comunisti. PRECI Don Giuseppe, parroco di Montalto (Modena). Chiamato di notte col solito tranello, fu ucciso sul sagrato della chiesa il 24 maggio 1945. RASORI Don Giuseppe, parroco di San Martino in Casola (Bologna), ucciso la notte sul 2 luglio 1945 nella sua canonica, sotto accusa di filo-fascismo. REGGIANI Don Alfonso, parroco di Amola di Piano (Bologna), ucciso da marxisti la sera del 5 dicembre 1945. RIVI Rolando, seminarista, di Piane di Monchio (Reggio Emilia), di 16 anni, ucciso il 10 aprile 1945 da partigiani comunisti, solo perchè indossava la veste talare. ROCCO Don Giuseppe, parroco di Santa Maria, diocesi di S. Sepolcro, ucciso da slavi il 4 maggio 1945. ROMITI Padre Angelico, o.f.m., cappellano degli allievi ufficiali della Scuola di Fontanellato, decorato al v.m., ucciso la sera del 7 maggio 1945 da partigiani comunisti. SALVI Don Guido. SANGIORGI Don Leandro, salesiano, cappellano militare decorato al v.m., fucilato a Sordevolo Biellese il 30 aprile 1945. SANGUANINI Don Alessandro, della congregazione della Missione, fucilato a Ranziano (Gorizia), il 12 ottobre 1944 da partigiani slavi per i suoi servimenti di italianità. SLUGA Don Lodovico, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso insieme al confratello Don Pisacane il 5 febbraio 1944. SOLARO Don Luigi, di Torino, ucciso il 4 aprile 1945 perché congiunto del federale di Torino Giuseppe Solaro anch'egli soppresso. SPINELLI Don Emilio, parroco di Campogialli (Arezzo), fucilato il 6 maggio 1944 dai partigiani sotto accusa di filo-fascismo. SPOTTI Nerumberto, Chierichetto. SQUIZZATO Padre Eugenio o.f.m., cappellano partigiano ucciso dai suoi il 6 aprile 1944 fra Corio e Lanzo Torinese perché impressionato dalle crudeltà che essi commettevano, voleva abbandonare la formazione. TALE' Don Ernesto, parroco di Castelluccio Formiche (Modena), ucciso insieme alla sorella l'l 1 dicembre 1944. TAROZZI Don Giuseppe, parroco di Riolo (Bologna), prelevato la notte sul 26 maggio 1945 e fatto sparire. Il suo corpo fu bruciato in un forno di pane, in una casa colonica. TATICCHIO Don Angelo, parroco di Villa di Rovigno (Pola), ucciso dai partigiani jugoslavi nell'ottobre 1943 perchè aiutava gli italiani. TAZZOLA Don TERENZIANI Don Carlo, prevosto di Ventoso (Reggio Emilia), fucilato la sera del 29 aprile 1945 perché ex cappellano della milizia. TERILLI (Terilli) Don Alberto, arciprete di Esperia (Frosinone), morto in seguito a sevizie inflittegli dai marocchini, eccitati da partigiani, nel maggio 1944. TESTA Don Andrea, parroco di Diano Borrello (Savona), ucciso il 16 luglio 1944 da una banda partigiana perché osteggiava il comunismo. TORRICELLA Mons. Eugenio Corradino, della diocesi di Bergamo, ucciso il 7 gennaio '44, ad Agen (Francia) da partigiani comunisti per i suoi sentimenti d'italianità. TRCEK Don Rodolfo, diacono della diocesi di Gorizia, ucciso il l° settembre 1944 a Montenero d'Idria da partigiani comunisti. VENTURELLI Don Francesco, parroco di Fossoli (Modena), ucciso il 15 gennaio 1946 perché inviso ai partigiani. VIAN Don Gildo, parroco di Bastia (Perugia), ucciso dai partigiani comunisti il 14 luglio 1944. VIOLI Don Giuseppe, parroco di Santa Lucia di Medesano (Parma), ucciso il 31 novembre 1945 da partigiani comunisti. ZALI Don Francesco. ZAVADLOV Don Isidoro. ZOLI Don Antonio, parroco di Morra del Villar (Cuneo), ucciso dai partigiani comunisti perché durante la predica del Corpus Domini del 1944 aveva deplorato l'odio tra fratelli come una maledizione di Dio. L'ULTIMA CROCIATA N. 4. Aprile 1995. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
    QUELL'INQUIETO PARROCO DI SQUANETO ASSASSINATO DAI SUOI "COMPAGNI" Giannuzzi Ugo Il 2 dicembre 1944, intorno alle 18.30, sulla strada Pareto-Miòglia, veniva ucciso a colpi di rivoltella sparati da tre partigiani, il sacerdote Virginio Icardi, parroco di Squaneto, una frazione del Comune di Spigno Monferrato (AL). La salma, rinvenuta il giorno successivo, venne deposta momentaneamente in una vicina cappella campestre; grazie all'intervento del Generale Amilcare Farina, Comandante della Divisione F.M. "San Marco" della R.S.I., che aveva ottenuto il consenso del Vescovo di Acqui, fu tumulata nel Cimitero di guerra di Altare, detto delle "Croci Bianche" e benedetta da un cappellano militare della Divisione stessa, padre Giovanni Del Monte. Il Vescovo in persona si recò a pregare su quella tomba. Queste sono le circostanze per le quali don Icardi viene inserito negli elenchi dei sacerdoti uccisi dai comunisti durante e dopo la guerra civile 1943-1945, facendolo quindi figurare come un martire della Fede e dell'Idea. Anche il mensile "Volontà", voce dei "non-cooperatori", lo include recentemente in una lista di venerabili sacerdoti uccisi, sbagliando, peraltro involontariamente perché riporta dati di altra pubblicazione, data e località e con la seguente motivazione: "Ucciso a Preto da partigiani senza una ragione". Ma chi era in realtà don Virginio Icardi? Ce lo spiega un documento riservato, da poco venuto alla luce. Don Icardi, parroco di Squaneto da circa 10 anni, aveva già in precedenza dato motivo di rilievi da parte dell'autorità ecclesiastica, tanto che aveva chiesto di essere trasferito in altra Diocesi, ma senza esito. Amante della vita movimentata, quasi avventurosa, nel novembre del 1943, cioè dopo l'armistizio dell'8 settembre, in una lettera inviata al suo Vescovo, esprimeva il desiderio di partecipare alla lotta che andava delineandosi fra partigiani da una parte e forze della R.S.I. dall'altra. Naturalmente si cercò di dissuaderlo ma don Virginio non dette ascolto ai consigli del suo superiore e trasformò la sua canonica e la parrocchia in luogo di ritrovo e convegno di partigiani; la qual cosa ovviamente attirò l'attenzione delle autorità preposte al mantenimento dell'ordine pubblico. La sera del 21 maggio 1944 infatti, una pattuglia di militari germanici proveniente da Spigno, bussò alla porta della canonica e don Icardi, spaventatissimo, saltò da una finestra sul retro e fuggì. Da una località sconosciuta inviò una missiva al Vescovo nella quale annunciava che da quel momento si sarebbe dato alla macchia. Il Vescovo si interessò del caso con le autorità e ottenne che il sacerdote potesse far ritorno alla sua parrocchia senza molestie. Trascorse così un periodo di irrequietezza durante il quale don Virginio trascurò molti dei suoi doveri sacerdotali e prese parte clandestinamente ad azioni partigiane. Finché il 1° ottobre 1944 abbandonò il suo stato di parroco, vestì abiti secolari, si armò e formò una sua banda di partigiani, comunicando al Vescovo il fatto compiuto e il nome di battaglia da lui assunto di "Italicus". Da quel momento Icardi prese un atteggiamento arrogante e brigantesco, molestando, armi alla mano, i parroci della zona, sottoponendoli a malversazioni e incitandoli a contravvenire a ogni disposizione dei superiori. Mise a repentaglio le popolazioni che, per sua colpa, furono soggette ad atti di rappresaglia. Arrivò perfino ad assaltare treni alla stazione di Spigno, depredando i viaggiatori e portando a casa sua a Squaneto la refurtiva, promettendo di dividerla poi con i suoi gregari. In definitiva non agì come un cappellano, non celebrò mai una Messa per i suoi seguaci, ma invitò e praticò solo la violenza. Le sue imprese partigiane sembra siano anche state oggetto di un colloquio telefonico, svoltosi a metà ottobre, tra il suo Vescovo e il Gen.Farina, nella cui zona di competenza l'Icardi agiva. Ma tutti gli appelli e le preghiere del Presule intese a farlo desistere dalla sua attività risultarono inutili. Arrivò però il momento che i componenti la sua banda, una diecina di giovani e di ragazze, si stancarono di lui e decisero di abbandonarlo, aggregandosi ad altre formazioni partigiane; il caso determinante fu la cattura di un ufficiale repubblicano che gli venne affidato in custodia ma che lui si lasciò scappare. Minacciato dai suoi, don Icardi fuggì a Cortemilia cercando di unirsi al noto "Mauri" (al secolo Enrico Martini) ma ne fu respinto. Pensò allora di rientrare a Squaneto ma si ritrovò con soli quattro o cinque elementi rimasti e tirò avanti fino a dicembre. La sera del 2 di quel mese con tre di questi partigiani arrivò a Pareto; si separò dai suoi accompagnatori fuori del paese e andò a trovare il parroco del luogo, che ben conosceva; inutilmente venne da questi esortato, ancora una volta, a rimettersi sulla retta via. Don Icardi uscì dalla canonica di Pareto e raggiunse i tre compagni che aveva precedentemente lasciati (sembra che i loro nomi siano noti nella zona) i quali, eseguendo un piano evidentemente prestabilito, lo uccisero a revolverate, abbandonandolo sul posto. Come si è già detto, la salma fu trovata il giorno seguente e sepolta nel Cimitero di Altare su iniziativa del Gen.Farina. Fu molto probabilmente questo gesto di umanità e di autentica pacificazione del Comandante della "San Marco" che, negli anni seguenti, ingenerò la convinzione che don Virginio Icardi avesse immolato la sua vita per gli stessi Ideali per i quali caddero don Edmondo De Amicis, padre Cesare Romiti, don Leandro Sangiorgi e tanti, tanti altri sacerdoti che allora furono uccisi per la sola colpa di essere stati Cappellani militari della R.S.I. IL SECOLO D’ITALIA Quotidiano del 23 Marzo 1991 INTRODUZIONE - DODICI PRETI ASSASSINATI A REGGIO EMILIA da LA CHIESA REGGIANA TRA FASCISMO E COMUNISMO di Rossana Maseroli Bertolotti. Editore Il Girasole d’Oro. 2001. Secondo uno studio del 1963 eseguito dall'azione Cattolica, dal 1940 al 1946 rimasero uccisi trecento sacerdoti italiani. L'ultimo fu Don Umberto Pessina, ucciso da ex partigiani comunisti a Reggio Emilia, in località San Martino di Correggio, il 18 giugno 19461. Nella provincia di Reggio Emilia, dall'8 settembre al 18 giugno 1946, venivano uccisi 12 religiosi. Otto sacerdoti ed un seminarista dai partigiani comunisti2 , due sacerdoti dalle forze armate tedesche, ed un altro dai soldati della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Il 30 gennaio 1944, in seguito alla uccisione del capo squadra della RSI, Angelo Ferretti, veniva fucilato, insieme ad altri 8 reggiani, don Pasquino Borghi, parroco di Tapignola, condannato alla pena capitale da una sentenza del Tribunale Speciale Straordinario di Reggio Emilia3. Il 20 marzo 1944, veniva fucilato dai paracadutisti della divisione Hermann Goering a Cervarolo, dopo essere stato ingiuriato, insieme ad altri 21 abitanti del paese, il parroco Don Battista Pigozzi. Tra il 30 giugno ed il 5 luglio 1944, veniva ucciso a Vallisnera Don Giuseppe Donadelli, insieme ad altri 2 reggiani, da truppe tedesche impegnate nel grande rastrellamento estivo contro Informazioni partigiane nell'Appennino reggiano e modenese. Il 19 agosto 1944, veniva ucciso con colpi d'arma da fuoco alla nuca dai partigiani Don Luigi Ilariucci, parroco di Garfagnolo. Il 22 settembre 1944 . veniva ucciso dai partigiani nella sua canonica, insieme alla perpetua Zeferína Corbelli, il parroco di Grassano, Don Aldemiro Corsi. Il 25 ottobre 1944, Don Sperindio Bolognesi, parroco di Nísmozza rimaneva ucciso dall'esplosione di una mina anticarro deposta davanti alla sua canonica da un russo militante in una formazione partigiana, che aveva incartato l'ordigno con tanto di un nastro azzurro. Il 14 dicembre 1944, veniva ucciso dai partigiani con una scarica di mitra Don Luigi Manfredi, parroco di Budrio di Correggio. Il 19 aprile 1945 veniva ucciso dai partigiani don Giuseppe Jemmi, colpevole di aver deplorato in una predica gli eccessi della guerriglia antifascista che il 23 marzo aveva passato per le armi due suoi parrocchiani. L'11 aprile 1945, veniva prelevato dalla canonica dai partigiani Don Dante Mattioli, parroco di Meletole, ed il nipote di Mario Mattioli. I loro corpi non saranno mai stati ritrovati. Il 13 aprile 1945, veniva trucidato dai partigiani, con colpi di pistola sparati alla testa, il seminarista Rolando Rivi di San Valentino, dell'età di 14 anni, dopo averlo dileggiato e percosso, ed averlo fatto inginocchiare davanti ad una fossa4. Il 29 aprile 1945, veniva prelevato nei pressi della basilica della Madonna della Ghiara, a fronte alla Prefettura di Reggio Emilia, da appartenenti Informazioni partigiane, Don Carlo Terenziani.Il sacerdote, dopo essere stato oggetto di scherno e di violenze, veniva fucilato a San Ruffino. Moriva gridando "Viva Cristo Re!". Il 18 giugno 1946, viene ucciso da ex partigiani, il parroco di San Martino di Correggio Umberto Pessina. La storiografia reggiana della Resistenza di questo ultimo mezzo secolo di dopoguerra ha scelto un silenzio omertoso nei confronti dei sacerdoti uccisi dai partigiani. La "Storia della Resistenza reggiana' di Guerrino Franzini, Frigio, caposcuola degli storici-partigiani di matrice comunista, non cita nessuno dei sacerdoti vittime della violenza antifascista. Questo testo rimane tuttora la versione ufficiale della vicenda del partigianato reggiano per l'associazione degli ex combattenti e per gli istituti storici della Resistenza. L'incapacità ad affrontare la vicenda dei sacerdoti uccisi dai partigiani, anche solo dal punto strettamente oggettivo di citare il fatto storico, permane anche oggi fra i più giovani storici della Resistenza reggiana5. Negli anni '90 è stata presa in considerazione la vicenda di Don Umberto Pessina, nell'ambito, però, degli errori giudiziari commessi nell'individuazione degli uccisori e della successiva revisione dei processi nei confronti dei partigiani ingiustamente condannati. Rimane isolato lo sforzo di alcuni studiosi della Resistenza cattolici, come Sandro Spreafico e Sereno Folloni, che hanno avuto l'onestà di chiedere il riconoscimento storico dell'esistenza di questi crimini6. Questo esempio, tuttavia, sembra non avere avuto discepoli. Al contrario, rimane intatta la consuetudine da parte delle istituzioni reggiane di onorare con cerimonie ufficiali solo i sacerdoti vittime della violenza fascista e tedesca, ignorando i religiosi trucidati dai partigiani. L'antifascismo reggiano di matrice comunista non ha mai descritto e condannato, mettendone all'indice i protagonisti, i crimini commessi dai propri combattenti durante la guerriglia partigiana. A fronte di questa incapacità a fare i conti con gli aspetti criminali della propria storia, si è sempre cercato di porre rimedio facendo ricorso alla propria egemonia politica locale e portando come giustificazione il pericolo di una strumentalizzazione neofascista. Nei primi anni del dopoguerra, al di fuori del Vescovo Beniamino Socche, solo due giornalisti osarono sfidare il silenzio su questi crimini imposto dall'egemonia comunista: un partigiano delle fiamme verdi, Giorgio Morelli, autore di denunce dei crimini partigiani dal giornale "La Nuova Penna", morto in seguito alle ferite di un attentato comunista avvenuto nel dicembre '45; e Mons. Wilson Pignagnoli, "l'uomo più querelato di Reggio Emilía" per i suoi articoli sul settimanale "La libertà". Al di fuori di loro, a Reggio Emilia, solo il locale Movimento Sociale Italiano aveva il coraggio di intervenire sull'argomento. Se dopo oltre mezzo secolo a Reggio Emilia è ancora vivo il desiderio di verità sulla parte negata della storia della terra reggiana lo si deve a quella comunità di persone che subì il bagno di sangue, le violenze, ed il Terrore del Triangolo della Morte. Costoro, anche quando non vi era speranza di ottenerla, ma, piuttosto, rimaneva il timore di subire altri torti, non hanno mai smesso di chiedere la condanna delle violenze e dei crimini perpetrati dai partigiani. Le loro richieste, rimaste inascoltate per decenni, ed il silenzio di chi, pur sapendo, ha taciuto, faranno parte per sempre della nostra storia.
                  • Luca Tadolini Presidente Centro Studi Italia (Reggio Emilia)
    NOTE: 1-W.Pignagnoli, L'ultimo Vescovo-Principe di Reggio Emilia L’episcopato reggiano di Mons Beniamino Socche (1946~1965), Roma, 1975, Giovanni Volpe Editore, p. 97. 2-Confronta: G. Franceschi, in Lo Specchio, n°. 49, 9.12.1973. 3-Confronta: L. Tadolini, Guerra senza regole, Reggio Storia, anno 2000. 4-P.Russo, Rolando Rivi un ragazzo per Gesù, Padova,, 1997 Edizione Del Noce p. 58. 5-Confronta: M. Storchi, Combattere si . può vincere si deve. La scelta della violenzafra resistenza e dopoguerra, (Reggio Emilia 1943-1946), Venezia, 1998, Marsilío Editori. 6-Confronta: S. Spreafico, I cattolici reggiani dallo stato totalitario alla democrazia: la resistenza come problema, vol.V, tomo I, S. Folloni, Una zona una resistenza, 1985, A.L.P.I. Reggio Emílía. da LA CHIESA REGGIANA TRA FASCISMO E COMUNISMO di Rossana Maseroli Bertolotti. Editore Il Girasole d’Oro. 2001.

  2. #2
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    Il Martirio di Don Tullio Calcagno.

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    Don Tullio Calcagno

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    GLI UOMINI DELLA RSI: FRA' GINEPRO FRA' GINEPRO IL CAPPELLANO CHE CONFESSAVA MUSSOLINI" Bruno de Padova L’alzabandiera per Fra Ginepro Cappuccino e per la sua inesauribile goliardia missionaria di Francescano da Pompeiana – quel borgo serafico del Ponente imperiese ove Antonio Conio nacque nel 1903 – magnifica, nella propria compostezza, l’intera vita di quest’Uomo eccezionale, integralmente proteso alla solennità del suo Viatico, alla vocazione di Cappellano militare e ad alleviare – con il conforto della Fede cristiana – i sacrifici ed i patimenti dei Soldati in grigioverde laddove si trovarono impegnati nell’adempimento del loro dovere verso la Nazione Italiana, sia con il servizio di leva quanto con quello da volontari. La migliore conferma di ciò venne fornita dallo stesso Fra Ginepro, che nell’opera Non li possiamo dimenticare (ediz. 1958), nel capitolo ‘La sagra del valore’ (pag. 72 e successive) indicò che "Quando il nostro popolo era nelle trincee, Iddio mi mandò nelle trincee; quando il nostro popolo era dentro i reticolati, Iddio mi mandò dentro i reticolati; quando il nostro popolo era in galera, Iddio mi mandò in galera." e conchiuse "Ti ringrazio, o Signore, per queste prove meravigliose di cui mi hai creduto degno". Precisiamo che quest’alzabandiera fu intrapreso quale carme celebrativo dell’apostolato di Fra Ginepro – unitamente all’interpretazione genuina del significato sublime sempre attribuita da questo frate, valido cavaliere di Cristo, all’elevazione del Calice – già sei lustri or sono, il 23 Marzo 1970, da Fra Giorgio Maria da Terni mediante la divulgazione d’un impareggiabile dossier impresso dai compositori dell’antica Stamperia Tuderte (proprio nella contrada umbra In cui Jacopone da Todi nel ‘200 compose la rinomata Lauda VII nota come ‘Pianto della Madonna’) – e nel quale, con meticolosità, certifica l’interezza etica dell’incombenza adempiuta dal cenobita da Pompeiana: da quando ascese come novizio in un conventino in Val di Fiemme sino al momento in cui, nel luglio 1962, dall’Eremo di Loano s’elevò oltre la soglia dell’Aldilà con l’intera sua Umiltà, col corredo spirituale in cui risaltava la sintesi della Vita di uno dei Cappuccini che ha espresso a simbolo tutta una generazione, a conferma che la genuinità della Passione è eterna e non muore quando nasce fin dal primo germe della giovinezza e rinnovando in simbiosi nel Calvario d’ogni giorno l’immolazione perfetta del soldato alla trincea e del mistico alla Croce. Adesso, in quest’inizio incerto del Terzo Millennio e confuso da un ottuso materialismo che globalizza la sovranità monetaria insieme al ‘mito’ utopico del libero mercato e avverso la giustizia sociale (quella – ad esempio – indicata da Giacomo Barnes e che nel 1944 la R.S.I. segnalò col Ministero della Cultura Popolare), l’alzabandiera per il Pio Cappuccino da Pompeiana dev’essere rinnovato perché, la tonaca di Fra Ginepro è il vessillo meglio caratterizzante il patrimonio morale della coerenza e delle scelte responsabili. Infatti, col libro Il mio saio: una bandiera! (ediz. 1956) conduce dalla considerazione per il suo noviziato, che gli rivelò il trionfo sulle tentazioni con il quale Benedetto e Francesco fecero fiorire le spine dei roveti, al ‘Presente!’ per tutti i Soldati italiani sacrificatisi sulle fronti belliche, dall’Africa alla Spagna, dalla Grecia alla Russia, dalla Sicilia alla Linea Gotica, dai campi di concentramento ai luoghi di martirio, da Piazzale Loreto alle foibe, ecc., rinnovando la solennità della Pietas – latina e cristiana – evolutasi in millenni di Storia e di Civiltà, dai compiti della magistratura sacerdotale guerriera introdotta da Cesare Augusto e dal Capitolarium libri VII con abbozzo di gerarchia per i sacerdoti addetti alle Legioni (Anno 803) a quelli dell’Ordinariato Militare delle FF.AA. Italiane perfezionato da Mussolini dopo i Patti Lateranensi della Conciliazione (11 febbraio 1929), tutto a tutela di coloro che credono nei valori d’Iddio e della propria Nazione, capaci – quindi – d’affrontare, in difesa di questi patrimoni morali, qualsiasi privazione o abnegazione. S’estrinseca così la metamorfosi vibrante di protesta contro l’assurdità del cosiddetto modernismo faccendiero e trafficante che, già nel remoto 1210, ebbe ad Assisi quel sublime critico che fu San Francesco (vedasi ‘I grandi contestatori: San Francesco’ di P. D’Amia, 1973), risoluto nel rifiutare il benessere del babbo – quel Pietro di Bernardone, affermato giostratoremigliore disciplina per i ministri del culto) la Formula vitae del nascente Ordine dei Frati Minori, cioè la Regola francescana. nella corporazione della lana – e persino il fasto della Chiesa governante in tal’epoca, più esattamente quella suntuosità che il fraticello assisano condannò dinanzi al Pontefice Innocenzo III e presentandogli (quale E’ da quest’indicazione tanto significativa e d’obbligo che Fra Ginepro trasse l’ispirazione per l’opera Un canto di religiosità nel Risorgimento (ediz. 1931) in cui ‘Tugnolo’ (così firmava gli articoli di poesia e di critica pubblicati sul ‘Giornale di Genova’) rivelò, attraverso gli studi meticolosi compiuti sui Fratelli Ruffini di Taggia, quanto il rivoluzionario idealista Giuseppe Mazzini – promotore nel 1832 anche del culto del Dovere – fu l’assertore deciso del principio risorgimentale Dio-Patria-Famiglia, specificando che, questo partecipante ai ‘sacri travagli’ dei Carbonari, si dimostrò esplicito nel perorare come la sorgente d’ogni equilibrio proviene soltanto dal Creatore, condannando il materialismo ateo di K. Marx e il collettivismo anarchico di M. A. Bakunin. E’ da rammentare che tale Religiosità del Risorgimento, puntualizzata da Fra Ginepro con l’opera indicata del 1931, quindi del patriottismo, ebbe un incisiva prosecuzione nella Repubblica Sociale (1943-1945) e oltre, in quanto il martirologio anche del Clero fu parecchio sofferto da tutti i Cappellani Militari – oltre novecento – partecipanti alla battaglia di redenzione per l’onore della Nazione affrontata dalle FF.AA. del Maresciallo Rodolfo Graziani: e lo riconosce Emilio Cavaterra in Sacerdoti in grigioverde (ediz. 1993) de scrivendo la passione di dolore – insieme a quanto sofferto da Fra Ginepro – di Padre Romiti, Don Angelo Scarpellini, Don Tullio Calcagno (creatore del periodico ‘Crociata Italica’) assassinato a Milano con il mutilato Carlo Borsani, Don Edmondo De Amicis, Don Sebastiano Caviglia, Don Ovidio Zinaghi e tanti altri, confermandosi tutti ‘Soldati dell’eternità’. Altresì, quando Antonio Conio – bersagliere con le ‘piume ardenti’ per passione italica analoga a quella di Goffredo Mameli, di Enrico Toti e di Benito Mussolini – all’inizio del 1932 divenne Fra Ginepro, non rimase chiuso tra le vecchie mura claustrali, ma partì penitente col sacco della sua e di altre Croci sulle spalle verso il cammino della Via Crucis della Grazia, si aprì ad un percorso di privazioni che Fra Giorgio M. da Terni indicò descrivibili soltanto con la forza di un’altra ‘Divina Commedia’ dell’Alighieri, mediante un nuovo ‘Paradiso Perduto’ di J. Milton e soprattutto con un susseguente ‘Viaggio del Pe1legrino’ di J. Bunyan. E’ d’obbligo, per noi, aggiungere che il francescano da Pompeiana volle – in ogni momento – essere l’umile ‘fra’, anziché ‘padre’ (che a Lui sembrava troppo austero, meno ‘spartano’ ), consapevole essenzialmente di un’incombenza, d’un apostolato che emerse per la sua saldezza morale nel componimento su sofferenze rappresentato dall’opera Convento e galera (1949) con cui il Frate-Soldato, e carcerato dai ‘liberati’ degli invasori, tracciò la propria fermezza nel respingere qualsiasi istigazione all’odio e all’egoismo, per condannare l’apatia concentrata e opportunista di troppi personaggi politici (‘fascistissimi’ prima del 25 luglio), ma in particolare per evidenziare l’ampiezza della sua solidarietà coi "fratelli in catene" e con le "famiglie degli uccisi senza Sacramenti", più chiaramente ‘per gli Italiani massacrati dalla cosiddetta liberazione’. Nel ‘proemio’ con cui l’ospite della povertà (il valoroso Gino C. Mazzoni, come lo indicarono Giacomo Marchetti e Goffredo Olivari) presentò nel 1970 il libro postumo Ho confessato il Duce di Fra Ginepro, si specifica che quegli appunti-diario configurano un documento straordinario perché, oltre ad armonizzare con lirismo la fermezza della Repubblica Sociale nel rigenerare appieno i valori civili della Nazione Italica, nonché per l’Europa, nella sua funzione augustea d’una Socializzazione plasmante nel mondo la supremazia del Lavoro sulla speculazione monetaria della plutocrazia e sulle falsificazioni dialettiche del marxismo, conferma quanto Benito Mussolini s impegnò in quei momenti drammatici per la salvaguardia dei diritti e dei beni del nostro popolo. Inoltre, nel tratteggiare i diversi momenti del suo incontro con Mussolini alla Villa Feltrinelli di Gargnano nel dicembre 1944 e qualche giorno prima del discorso dell’Uomo di Predappio al Teatro Lirico di Milano, il cenobita puntualizza (pagg. 51-60) come sul tavolo di lavoro del Capo della R.S.I. dispiegò il proprio altare da campo per officiare la S. Messa (quell’ara adoperata sull’Amba d’Oro in Etiopia per benedire le salme degli eroici scalatori e dei legionari di Passo Uarieu e le spoglie della M.O. Padre Reginaldo Giuliani) e al Vangelo, con l’omelia, invocò la benedizione di Dio per quanti si prodigavano per salvare la Patria dalla catastrofe della ‘guerra civile’ fomentata dagli invasori anglo-statunitensi e dall’antifascismo riemerso soltanto con l’asservimento al nemico. Avvenne in quel frangente che il fondatore de ‘Il Popolo d’Italia’, il promotore del Fascismo italiano, il realizzatore del Concordato con la Chiesa Cattolica (1929) e l’artefice della Carta del Lavoro confessò al Cappellano del Tiemben l’intera, profonda, propria ansia per le sorti future della Nazione Italiana e del suo popolo. Altro non l’assillava, neppure l’incalzante tragedia che poi lo condusse a Dongo ed a Piazzale Loreto. Molteplici volumi torniscono adesso la biografia del Cappuccino da Pompeiana, insieme al le diverse iniziative per promuovere nelle nuove generazioni la virtù e lo splendore della sua Dottrina religiosa e patriottica. Tra quest’opere — a nostro avviso — indichiamo che essa ottiene da Pierfranco Malfettani uno dei compimenti più idonei attraverso l’antologia di appunti, ricordi, documenti ed immagini perfezionata col compendio Fra Ginepro. Il francescano, lo scrittore, il cappellano (ediz. 1997), realizzato in collaborazione con l’Associazione Amici di Fra Ginepro, al suo Presidente Padre Clementino da Montefiore, al Segretario Carlo Viale ed alla schiera d’estimatori di questo Soldato di Cristo e d’Italia, ‘tomo’ che tratteggia nei dettagli il ciclo missionario di Antonio Conio: eccolo impegnato quale Cappellano Militare in Africa Orientale (1935-1936) e in Etiopia tra i fanti della Divisione ‘Cosseria’, sino a venerare la Madonnina del Tembien scolpita da un legionario ferito; poi, compare sulla fronte italo-francese (giugno 1940) nell’assistere la M.O. S.Ten. Andrea Oldoini, Vittorio Allegrini e altri Caduti; fu epico anche tra gli avamposti greco-albanesi (1941) dei combattenti del 42° Rgt. Fanteria della Div. ‘Modena’ e del 36° Btg. Camicie Nere – in cui emerse per eroismo il seniore Maga – fino al momento in cui, ferito, diventò prigioniero degli ellenici, indi condotto dagli Inglesi a soffrire la crudele detenzione di S.M. Britannica in India, fra i reticolati d’un ‘Camps Criminals Fascists’ nell’infernale zona di Bhairagar, dove tutto significava il ‘cimitero dei vivi’. Soltanto nella primavera 1943, per lo scambio di prigionieri degenti effettuato dalla Croce Rossa Internazionale, questo Cappellano poté rientrare in Italia e ciò gli consentì di schierarsi sulle trincee della Repubblica Sociale per il riscatto dell’Onore nazionale. Fra Ginepro – durante la R.S.I. – si prodigò in Germania tra i soldati italiani rinchiusi dopo il tradimento dell’8 settembre nei ‘lager’, si distinse tra i Combattenti in grigioverde di Graziani, Borghese e Pavolini, fu accanto alle popolazioni afflitte dai bombardamenti ‘alleati’ e dalle atrocità della ‘guerra civile’ incoraggiata e sovvenzionata dagli U.S.A., Gran Bretagna e U.R.S.S., tra tutti i feriti ed i moribondi, senza distinzioni. Il Cappellano che aveva confessato il Duce affrontò anche il tormento, il calvario d’una nuova prigionia nel carcere genovese di Marassi (‘galeotto’ dei Partigiani, dal maggio 1945 in poi) insieme ai più perseguitati dalla cosiddetta Liberazione , trasformando il pancaccio del carcere in pulpito e sino a voler essere uno degli ultimi dimessi dalla reclusione politica per riuscire ad assistere ogni vittima della persecuzione antifascista, tanto che durante il ‘Natale di galera’ (dopo quelli sulle fronti militari) portò il Crocifisso tra i condannati a morte e tutti gli altri camerati imprigionati e sofferenti. ‘La vita dello Spirito è la vita vera’ reitera ai pellegrini – nell’Eremo di Loano – la statua-effigie di Fra Ginepro. Rammentiamo pertanto che, nel benedire le tombe di Caduti della R.S.I. in un cimitero del Nord Italia, egli precisò: ‘Ora li rivedo nella luce. Saliti al divino dall’umano, alla beatitudine del martirio, all’amore dall’odio, all’abbraccio del Padre ... La loro incrollabile fede è stata premiata in eterno’. Identica consacrazione sentiamo che Iddio volle per il Cappuccino da Pompeiana, essendo stato uno dei Francescani e dei Cappellani Militari immolatosi all’assioma di Fede cristiana e d’italianità.

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    FRA' GINEPRO SARA' BEATIFICATO? Sacerdoti Martiri. Vasco Nannini Venerare Don Angelo Scarpellini, decano dei cappellani militari della RSI; riabilitare Don Calcagno direttore nel 1943/45 di «Crociata Italica» (scomunicato «a divinis»), novello Savonarola scomodo alla gerarchia «filopartigiana» di allora, accusato di voler creare una chiesa nazionale; beatificare Fra' Ginepro, apostolo di Dio e della Patria sui campi di battaglia, dietro i reticolati della prigionia, in galera volontario fra i condannati a morte, frate esemplare in convento e sul letto d'infermità; onorare la schiera di quei preti che per vocazione e dovere morale seguirono Mussolini nella Repubblica Sociale, trucidati o perseguitati dopo la «liberazione», èun dovere religioso e morale che le competenti gerarchie ecclesiastiche non possono seguitare a ignorare. Per esaltare questi soldati di Dio e della Patria - come soleva definirli Mons. Della Vedova occorrerebbero volumi e volumi; sarebbe inoltre un compito difficile poiché questi fari di amore, di fede e di pietà verso i perseguitati hanno sempre preferito tacere le persecuzioni subite, anche da parte delle stesse gerarchie. L'unica ribellione ai superiori da parte di «questo povera frate mezzo scomunicato» (come amava definirsi Fra' Ginepro, obbligato dopo la fine della guerra a cambiar nome in «Padre Pio»), ritengo sia stata quella di non nascondere affatto la sua militanza nella RSI in quanto «non aveva niente di cui vergognarsi». Ed aveva cento ragioni per poterlo affermare! «Quando il nostro popolo era in galera, Dio mi mandò in galera»: è una frase della sua preghiera, alla quale restò sempre coerente. Quando i partigiani vennero a cercarlo in convento, non solo non volle nascondersi, ma fu lieto di seguirli. Il suo posto era in prigione, carcerato fra i carcerati, nella cella dei fascisti condannati a morte, per dar loro l'ultimo conforto di Dio e della Patria e prepararli, con l'estrema unzione, ad entrare nel regno di Dio, nel cielo dei Martiri. Mai una parola di risentimento, da parte di questi uomini di fede, verso i persecutori, tanto meno da parte di Fra' Ginepro, verso il suo fratello in fede, Don Berto, «il cappellano militare dei partigiani» - come egli scrive - «in divisa nuova, con il fazzoletto rosso al collo, venuto a prelevarmi per portarmi in galera». Quando alle nostre cerimonie partecipa uno dei nostri preti-martiri (per «martirio» la Chiesa intende «testimonianza di fede») queste si elevano a manifestazioni religiose di gioia, di unione con Dio e con i Caduti. Non posso non commuovermi e non rimanere affascinato dalla fede e dalla personalità di questi ministri di Dio. Mi riferisco a Don Angelo Scarpellini, quando celebrò piangendo la prima messa sulla cassa da sapone restituitaci dal governo democratico, contenente i miseri resti del Duce; a Mons. Della Vedova, che si onorava di essere stato con i nostri soldati in Spagna contro i miliziani rossi, responsabili della strage di centinaia di religiosi, recentemente beatificati dal Pontefice; a Don Adamo Accosa, cappellano della «Monterosa», (esiliato a Cella di Varzi, sperduta località della Vai Staffora, ove ha costruito, di sua iniziativa, il «Tempio della Fraternità», il maggior luogo di convegno di tutti i combattenti dell'ultima guerra); a Padre Liberato Rosson, sacerdote tradizionalista che celebra la Messa in latino, testimone delle foibe titine; a Don Santucci, il frate del Campo 10 a Milano; a Padre Clementino, testimone diretto della santità di Fra' Ginepro; a Don Tadini, custode della chiesa-sacrario della «Monterosa» a Palleroso in Garfagnana; a Don Natali di Livorno, prigioniero non cooperatore, fratello e camerata dei combattenti della RSI di Livorno e Pisa... Nell'ultima commemorazione di Fra' Ginepro tenutasi a Loano, è stata avanzata la richiesta per la sua beatificazione. La proposta non deve cadere nel vuoto: Fra' Ginepro è il simbolo di tutti i religiosi della Repubblica Sociale e di tutti coloro che hanno seguito Mussolini nell'ultima trincea. Chiunque desideri inviare testimonianze, può indirizzarle a Fra' Clementino, Convento di Loano (SV).

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    PADRE
    REGINALDO GIULIANI
    1887-1936


    Ma chi era Padre Reginaldo Giuliani (cappellano medaglia d’oro al valor militare), nato a Torino il 28 agosto 1887, padre centurione della I Brigata “Eritrea” ?.
    Dal canto del Legionario
    I morti che lasciammo a passo Uarieu
    sono i pilastri del romano Impero.
    Gronda di sangue il gagliardetto nero
    che contro l'Amba il barbaro inchiodò.
    Sui morti che lasciammo a passo Uarieu
    la Croce di Giuliani sfolgorò. Duce!
    Per il Duce e per l'Impero eja eja Alalà! Alalà!
    "Ma la mitragliatrice non la lascio!"
    gridò ferito il legionario al passo.
    Reginaldo Giuliani di Carlo e Massaia Giuseppina riposa nella Chiesa di San Domenico a Torino
    Onorificenze:
    M.O.V.M. - M.A.V.M.- 2 M.B.V.M.
    Giuliani, “ferito gravemente si gettò contro i nemici, croce alla mano, per cercare di evitare che questi “seviziassero” i corpi dei moribondi”. Morì così lui a passo Uarieu in Etiopia il 21 Gennaio 1936. Il corpo fu ritrovato solo 3 giorni dopo dall’amico medico Alberto Lixia che disse. “…ha ancora indosso la camicia nera bagnata dal suo sangue, la clavicola sinistra spezzata da una sciabolata ..”
    Reginaldo Giuliani aveva abbracciato da giovane la vita monastica dell’ordine dei Domenicani (Saio bianco e nero). Nella Grande guerra aveva combattuto in Trincea con gli arditi (della III Armata) meritandosi l’argento e il bronzo. Sostituiva spesso gli ufficiali quando il reparto si trovava falciato dal nemico. Attraversò il Piave raggiungendo di isolotto in isolotto l’altra sponda e ritornò per fare altrettanto con un altro reparto. Prima di queste imprese “disperate”, si disse, si confessò da Don Celso Costantini nel caso fosse andata male.
    Padre Reginaldo Giuliani, che visse dal nascere le vicende degli arditi:" La prova delle reclute era terminata: le file s'erano quotidianamente assottigliate e poi rimpolpate di nuovi elementi in modo da costituire un battaglione organico. Perciò si poteva iniziare l'istruzione tecnica delle truppe d'assalto. Questa consiste essenzialmente nell'ammaestrare e prender contatto immediato e soverchiante coll'avversario: l'assalto della trincea opposta, del nido di mitragliatrici, l'a corpo a corpo sono compito dell'ardito: la bomba a mano sopratutto è l'arma ordinaria per offesa e difesa, quindi con essa l'ardito deve avere la stessa dimestichezza che ha cogli oggetti più familiari, colle sigarette e col pane. In un'ansa di terreno formato da una voluta del Sile si costruì un poligono per il lancio delle bombe. Le compagnie vi si avvicendavano quotidianamente: gli uomini in piedi , senza alcun riparo, lanciavano il petardo contro l'ostacolo segnato e lo rincorrevano immediatamente in modo che le loro persone si mescolavano al fumo prodotto dalle esplosioni. Spesso i terribili " Thevenot" ( i petardi più comunemente in uso presso di noi) con esplosioni premature o tardive fecero stragi della nostra carne: il capitano Rota, intelligente gentiluomo, i tenenti Bocaccini e Fadigati furono pure colpiti. Ad alcuni soldati le sottili schegge del petardo tolsero loro la vita."
    Di padre Reginaldo non si seppe più nulla da quei giorni d'ottobre del Piave, ma ricomparve a Trieste al termine del conflitto, un mese dopo. Andò poi a Fiume con D’Annunzio e con gli squadristi cattolici (Fiamme Bianche). Nel 22 fu alla marcia su Roma, non rivestendo in seguito alcun ruolo politico se non quello di predicatore nella Chiesa di S. Domenico a Torino. Muti “mangiapreti” della prima ora aveva una deferenza unica nei suoi confronti: per scherzo durante una celebrazione gli mise una immagine di Giuseppe Mazzini nel messale per vedere la sua reazione. Mangiapreti si, Muti, ma teneva nel portafoglio il santino della Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori, che Giuliani gli aveva regalato: ("Gim", come lo chiamavano dai tempi di Fiume di protezione ne aveva bisogno). Se Padre Giuliani fosse riuscito a tornare dall’Etiopia (definiva Padre Massaia, primo evangelizzatore dell'Etiopia, suo lontano parente, ma da civile costui si chiamava Lorenzo Antonio da Piovà d’Asti), si riprometteva di tornare a fare il missionario come nel 1928, sicuramente con lo stesso spirito con cui usava la spada.
    Inutile dire quanto ormai la sua fede lo accecasse sulla reale condizione degli Italiani, portatori di civiltà e dei nativi che a questa anelavano !?. Sogna di essere come i cavalieri che liberarono la Spagna dall’islam, il soldato che “con sentimento di fede”, è partito per l’Africa Orientale per “spezzare le catene degli schiavi e preparare la via ai Missionari cattolici, che andranno a liberare milioni di anime dall’eresia monofisita e a ricondurle nell’ovile di Gesù Cristo nel seno della Chiesa cattolica”. Nel gruppo del generale Diamanti, in quel gennaio del 36, trova lui solo la morte su 122 cappellani. La notizia viene riportata dai maggiori organi di stampa e fa il giro del Mondo per la notorietà del personaggio. Un uomo serio, sincero ed eroico caduto al seguito di una causa sbagliata, si dirà. Fra Ginepro da Pompeiana che lo vide per ultimo “ Beato te ardito, che sei morto assolvendo i morenti e con essi sei alle porte del Paradiso”.
    Cardinale Fossati ordinario militare. “La morte in lui ha spezzato una fibra d’acciaio, ma non la vita. Lui che ripeteva - Non sarò mai costretto a scegliere fra chiesa e patria perché nel bene d’una ho sempre trovato il bene dell’altra.- E’ l’amore che si deve invocare in guerra non l’odio. L’odio è il figlio e padre della barbarie. L’amore, invece, sorge dalla civiltà e genera il bene e la pace. Oggi è la madre patria che si imporpora tutta con il sangue dei suoi figli, dei vostri fratelli il sangue che dice l’affetto ardente con cui si è amata e si ama la più bella di tutte le patrie".
    Significativo il curriculum di Fra Ginepro da Pompeiana testè sentito: arruolatosi volontario per la guerra d'Abissinia, ancora nell'estate 1940 si recò di propria iniziativa tra i combattenti per assisterli spiritualmente, predicando un robusto cattolicesimo mussoliniano. Le note diaristiche del frate ligure magnificano le vittorie della religione tra le armi.
    (13 giugno 1940) -Appena ho finito di predicare la novena di S. Antonio a Finale Ligure, penso che il mio posto non è più in convento ma in mezzo ai nostri soldati che stanno per vivere giornate decisive -
    (26 giugno 1940) - Celebro a Mentone italiana la prima Messa, esaltando la vittoria e il sacrificio. Il battaglione si è schierato presso il ponte dell'Unione, sopra un magnifico piazzale che guarda il micidiale Capo Martin. Mentre celebro, vedo avvicinarsi, con pietà commossa, fanti dell'89° e 90°. Quando ho finito, arriva l'automobile del film 'Luce' -
    (29 giugno 1940) - Messa con 300 e più comunioni sul piazzale delle Rive Azzurre. La cerimonia lascia commossi tutti. Solo chi conosce la scarsa pietà degli uomini della nostra provincia di confine può comprendere il vero trionfo spirituale di questa comunione al campo -
    (30 giugno 1940) - Messa per tre battaglioni. Da questa unione di fanti e di militi prendo lo spunto per esaltare la compattezza della vittoria dell'esercito italiano -

    Sulla figura di padre Reginaldo Roberto Rossellini gira un Film :” L'uomo della croce ” o dalla croce con attori non professionisti, ”liberamente ispirato” alla vita e al sacrificio di don Reginaldo Giuliani. - Trama: Cappellano al seguito del corpo di spedizione italiano in Russia viene fatto prigioniero dai sovietici (altra ambientazione e altro significato politico) e continua lì il suo apostolato. Muore durante un bombardamento. "L’uomo della croce" chiude, dopo "La nave bianca" (1941) e "Un pilota ritorna" (1942) la trilogia di guerra di Rossellini ( ma Rossellini a quei tempi era allineato e capace di questo e d’altro - vedi cinema di guerra in Free Time).
    Padre Giuliani dalla sua esperienza della Grande Guerra trasse anche un libro. GLI ARDITI, breve storia dei reparti d’assalto della terza armata. Milano 1926.
    "GRUPPO BATTAGLIONI CC.NN. D'ERITREA- del Regio Corpo TRUPPE COLONIALI. CAMPAGNA A.O.I. 1935--1936 - Caduti Ufficiali 19 Truppa 219- Ricompense Individuali Medaglie ORO V.M. 9 " " ARGENTO V.M. 85 " " BRONZO V.M.118 " " Croce di Guerra al V.M. 86:
    Ricompense alle insegne: 2° e 4° Btg. Medaglie d'Argento al V.M. 1° e 3° Btg. Medaglia di Bronzo al V.M.

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