È inaccettabile. Si possono inventare tutti gli artifizi da azzeccagarbugli per negare la grazia a Bruno Contrada e per negargli gli arresti domiciliari e per negargli il differimento della pena e per negargli la revisione del processo, ma non si può accettare che il più famoso poliziotto di Palermo, un servitore dello Stato che ha combattuto la mafia per quarant’anni, rischiando ogni giorno la vita, sia stato processato e condannato per le accuse degli stessi criminali che ha perseguito e ha arrestato. Ed è inaccettabile che Contrada resti a marcire in galera, al posto dei criminali che sono stati liberati e stipendiati dallo Stato solo perché lo hanno accusato, fino a morirne.
Perché, per quanto cerchino di nascondere la verità, questo è successo. È stato un criminale assassino, un mafioso che ha confessato di aver compiuto tanti assassinii da non poterli più contare, Gaspare Mutolo, che ha accusato Bruno Contrada, e solo per sentito dire. Ma era stato proprio Contrada a incriminare Mutolo per l’assassinio del poliziotto Cappiello e a portarlo davanti al giudice assieme al boss Riccobono, il capo della cosca mafiosa di cui Mutolo fa parte. Il giudice non ha creduto a Contrada e ha mandato assolti Mutolo e Riccobono. Quando, dopo molti anni, Mutolo ha accusato Contrada di complicità con Riccobono, che intanto era morto assassinato, è stato quello stesso giudice, proprio lui, a condannare Contrada per i suoi rapporti con lo stesso Riccobono. Il poliziotto indaga sull’assassinio di un suo collega e incrimina il mafioso, il giudice assolve il mafioso e manda in carcere il poliziotto al suo posto.
E non è un caso isolato. Bruno Contrada non è il solo poliziotto, il solo servitore dello Stato perseguito e incriminato dai professionisti dell’antimafia della Procura di Palermo. È stato così anche per un collega di Contrada, il questore Ignazio D’Antone, anche lui accusato da un mafioso assassino «pentito», e già condannato in via definitiva e rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove Contrada l’ha raggiunto. Ed è stato così per il maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, che è stato accusato da un mafioso assassino «pentito» e in diretta televisiva, e per evitare la vergogna di essere arrestato si è suicidato sparandosi in bocca con la pistola di ordinanza nel cortile della caserma.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=233862
Questo Jannuzzi passa per essere un "giornalista" (vabbeh, con i suoi trascorsi di non lontananza rispetto alle produzioni editoriali di Pippo Calo') e ci offre un esempio della protervia e dell'arroganza della disinformazione, quando afferma che la condanna di Contrada scaturisce dalle dichiarazioni dei pentiti (che peraltro han consentito, anche di recente, la cattura di diversi boss, con immaginabile disappunto del senatore Jannuzzi) omettendo di ricordare quanto riportato dalla Suprema Corte nel motivare la condanna definitiva di Contrda e cioe' che a suo carico han deposto anche la vedova Cassara', il questore Immordino, la dottorella Pluchino, il giudice Del Ponte e tanti altri che, a differenza dello stesso jannuzzi, hanno la fedina penale integra.
Inoltre qui c'e' un altro fatto, ancor piu' grave, e cioe' il disconoscimento dell'Autorita' Giudiziaria e l'avocazione del potere assoluzione/condanna alla Casta di cui Jannuzzi fa parte, che non e' propriamente, per i motivi sopra esposti, quella giornalistica ma quella "politica".
Quindi un attacco, dal sapore eversivo, contro l'autonomia e l'indipendenza dei poteri e del potere giudiziario e la rivendicazione della supremazia della politica o meglio di quella politica di cui Jannuzzi e' espressione che si e' distinta, anche di recente, per la difesa di Mangano e per avere tra le proprie file, una serie di personaggi che hanno amorevolmente assistito il boss Provenzano.
Poi sorge naturale una domanda :
com'e' che fra i giornalisti minacciati da Cosa Nostra non ne figura mai uno che "lavori" per il Giornale, per Libero, o per altri organi di stampa simili?
P.S.
penso che questo ci aiuti a capire meglio il senso delle parole del senatore:
Sono soprattutto le intercettazioni ambientali in casa Guttadauro a svelare le manovre mafiose. Parlando col boss di Brancaccio, il medico Salvatore Aragona sostiene di poter contattare il giornalista Lino Jannuzzi, con il tramite di Marcello Dell’Utri. Aragona parla di «imbeccate», «spunti di riflessione» da girare al giornalista, «perché lui sa bene cosa fare». Anche Domenico Miceli - politico udc palermitano, coinvolto nelle inchieste su mafia e politica a Palermo insieme al governatore siciliano Totò Cuffaro – era tra i frequentatori assidui di casa Guttadauro. Oltre a Jannuzzi, nei discorsi tra Guttadauro e i suoi interlocutori spuntano fuori i nomi di Ferrara (il boss si dice un appassionato lettore del Foglio) e Lehner, giornalisti ritenuti da Aragona «adatti» agli obiettivi dell’organizzazione perché «hanno scritto contro i pool di Milano e Palermo».
http://www.liberainformazione.org/news.php?newsid=165