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    Predefinito Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali

    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali
    Inserito il 24 marzo 2010
    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali | Libertiamo.it
    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali

    - Per qualche anno, più d’uno ha teorizzato che il successo della Cina fosse il risultato dello speciale modello di libero mercato senza libertà politica. Si sono frequentemente tessute le lodi di un governo che può realizzare enormi opere pubbliche e complesse riforme strutturali senza le lungaggini imposte dalla democrazia e dal diritto. Si è sovente valutato come sopportabile – e sostanzialmente accettato dalla popolazione – il costo della rinuncia a molte delle libertà civili caratteristiche dell’Occidente, posto che il beneficio è stato un benessere crescente e sempre più diffuso, frutto di un tasso di crescita galoppante persino nel corso degli anni cupi della crisi mondiale. D’altronde, è un fatto che l’opinione pubblica cinese (intendendo con questo termine quella porzione di popolazione, cospicua ma ancora minoritaria, che ha accesso ai mezzi di informazione ed alla tecnologia informatica) sia in gran parte indifferente all’esistenza della censura ed accetti di buon grado l’autoritarismo di regime. Così come è evidente che l’insofferenza e l’opposizione più o meno esplicita sia un fenomeno limitato e poco diffuso, tendenzialmente polarizzato in alcuni gruppi religiosi o etnici, solo timidamente presente tra studenti, giovani professionisti e lavoratori.

    Eppure, la mirabolante vicenda di Google in Cina mostra come sia una mera illusione che la libertà economica resti viva quando le manca l’ossigeno della libertà di opinione e dello stato di diritto. E se la prima delle due condizioni è ancora indifferente al grosso della popolazione cinese, l’assenza della seconda è un ostacolo difficilmente superabile.

    Google è entrata nel mercato cinese accettando – come hanno fatto altri – il compromesso con il regime. I primi incoraggianti risultati, conditi da interessanti profitti, sembravano confermare la bontà della scelta, ma ben presto si è capito che l’accordo con Pechino era demoniaco: Mountain View stava vendendo la sua anima, quella che di sé offre in giro per il pianeta, ed in più stava consentendo al suo clone mandarino Baidu di prosperare ed ai servizi segreti cinesi di infiltrarsi nei suoi forzieri di dati.

    La decisione di Google di abbandonare la Cina può aprire ora una voragine, perché da qualche tempo un numero crescente di investitori occidentali sta seriamente riflettendo sul senso e sulle condizioni del proprio investimento cinese: una ricerca dell’American Chamber of Commerce rivela come il 38 per cento delle società americane attive in Cina non si senta benvenuto dalle autorità locali, una quota in forte crescita rispetto al 26 per cento di qualche mese fa. I manager intervistati sottolineano come l’opacità della regolazione favorisca la discrezionalità dei giudici, che tendono a favorire gli interessi dei soggetti nazionali rispetto a quelli stranieri, i quali sempre più spesso lamentano il furto della propria proprietà intellettuale (in quanto a protezione dei diritti di proprietà, l’Heritage Foundation colloca la Cina al 148esimo posto su 180 paesi classificati). Ancora, rispetto all’high-tech, negli appalti pubblici e nelle politiche di acquisto delle società statali si è ormai affermata l’imposizione alle compagnie straniere di includere nei propri prodotti componenti cinesi. E’ soprattutto grave, a detta degli intervistati, che si diffondano, in modo pressoché arbitrario, gli arresti di dirigenti stranieri con l’accusa di corruzione e spionaggio.

    Google ha avuto il coraggio di denunciare un’evidenza che i governi occidentali – gli stessi che si accingono ad inaugurare i più fastosi padiglioni all’Expo di Shangai – catalogano come affare interno alla Cina e su cui pensano, sbagliando, di non avere alcuna responsabilità. In un certo senso, la Cina sta “comprando” l’accondiscendenza degli investitori stranieri con gli enormi tassi di crescita, capaci di sopravanzare i costi dell’arbitrarietà del governo. Ma come accade mutatis mutandis con lo yuan, Pechino non potrà continuare a lungo a tenere in piedi un’artificiale svalutazione della libertà e del diritto.

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    Piercamillo Falasca

  2. #2
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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    Citazione Originariamente Scritto da libertando Visualizza Messaggio
    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali
    Inserito il 24 marzo 2010
    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali | Libertiamo.it
    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali

    - Per qualche anno, più d’uno ha teorizzato che il successo della Cina fosse il risultato dello speciale modello di libero mercato senza libertà politica. Si sono frequentemente tessute le lodi di un governo che può realizzare enormi opere pubbliche e complesse riforme strutturali senza le lungaggini imposte dalla democrazia e dal diritto. Si è sovente valutato come sopportabile – e sostanzialmente accettato dalla popolazione – il costo della rinuncia a molte delle libertà civili caratteristiche dell’Occidente, posto che il beneficio è stato un benessere crescente e sempre più diffuso, frutto di un tasso di crescita galoppante persino nel corso degli anni cupi della crisi mondiale. D’altronde, è un fatto che l’opinione pubblica cinese (intendendo con questo termine quella porzione di popolazione, cospicua ma ancora minoritaria, che ha accesso ai mezzi di informazione ed alla tecnologia informatica) sia in gran parte indifferente all’esistenza della censura ed accetti di buon grado l’autoritarismo di regime. Così come è evidente che l’insofferenza e l’opposizione più o meno esplicita sia un fenomeno limitato e poco diffuso, tendenzialmente polarizzato in alcuni gruppi religiosi o etnici, solo timidamente presente tra studenti, giovani professionisti e lavoratori.

    Eppure, la mirabolante vicenda di Google in Cina mostra come sia una mera illusione che la libertà economica resti viva quando le manca l’ossigeno della libertà di opinione e dello stato di diritto. E se la prima delle due condizioni è ancora indifferente al grosso della popolazione cinese, l’assenza della seconda è un ostacolo difficilmente superabile.

    Google è entrata nel mercato cinese accettando – come hanno fatto altri – il compromesso con il regime. I primi incoraggianti risultati, conditi da interessanti profitti, sembravano confermare la bontà della scelta, ma ben presto si è capito che l’accordo con Pechino era demoniaco: Mountain View stava vendendo la sua anima, quella che di sé offre in giro per il pianeta, ed in più stava consentendo al suo clone mandarino Baidu di prosperare ed ai servizi segreti cinesi di infiltrarsi nei suoi forzieri di dati.

    La decisione di Google di abbandonare la Cina può aprire ora una voragine, perché da qualche tempo un numero crescente di investitori occidentali sta seriamente riflettendo sul senso e sulle condizioni del proprio investimento cinese: una ricerca dell’American Chamber of Commerce rivela come il 38 per cento delle società americane attive in Cina non si senta benvenuto dalle autorità locali, una quota in forte crescita rispetto al 26 per cento di qualche mese fa. I manager intervistati sottolineano come l’opacità della regolazione favorisca la discrezionalità dei giudici, che tendono a favorire gli interessi dei soggetti nazionali rispetto a quelli stranieri, i quali sempre più spesso lamentano il furto della propria proprietà intellettuale (in quanto a protezione dei diritti di proprietà, l’Heritage Foundation colloca la Cina al 148esimo posto su 180 paesi classificati). Ancora, rispetto all’high-tech, negli appalti pubblici e nelle politiche di acquisto delle società statali si è ormai affermata l’imposizione alle compagnie straniere di includere nei propri prodotti componenti cinesi. E’ soprattutto grave, a detta degli intervistati, che si diffondano, in modo pressoché arbitrario, gli arresti di dirigenti stranieri con l’accusa di corruzione e spionaggio.

    Google ha avuto il coraggio di denunciare un’evidenza che i governi occidentali – gli stessi che si accingono ad inaugurare i più fastosi padiglioni all’Expo di Shangai – catalogano come affare interno alla Cina e su cui pensano, sbagliando, di non avere alcuna responsabilità. In un certo senso, la Cina sta “comprando” l’accondiscendenza degli investitori stranieri con gli enormi tassi di crescita, capaci di sopravanzare i costi dell’arbitrarietà del governo. Ma come accade mutatis mutandis con lo yuan, Pechino non potrà continuare a lungo a tenere in piedi un’artificiale svalutazione della libertà e del diritto.

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    Piercamillo Falasca
    falliti !...non parlo dei cinesi ovviamente
    DEFORME AUTENTICO

  3. #3
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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    Citazione Originariamente Scritto da marocchesi Visualizza Messaggio
    falliti !...non parlo dei cinesi ovviamente
    I falliti sono quelli che pensano di poter censurare internet, come quei mentecatti nostrani dell'aams. :sofico:
    Ultima modifica di Boba Fett; 29-03-10 alle 19:47

  4. #4
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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    Citazione Originariamente Scritto da libertando Visualizza Messaggio
    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali
    Inserito il 24 marzo 2010
    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali | Libertiamo.it
    Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occidentali

    - Per qualche anno, più d’uno ha teorizzato che il successo della Cina fosse il risultato dello speciale modello di libero mercato senza libertà politica. Si sono frequentemente tessute le lodi di un governo che può realizzare enormi opere pubbliche e complesse riforme strutturali senza le lungaggini imposte dalla democrazia e dal diritto. Si è sovente valutato come sopportabile – e sostanzialmente accettato dalla popolazione – il costo della rinuncia a molte delle libertà civili caratteristiche dell’Occidente, posto che il beneficio è stato un benessere crescente e sempre più diffuso, frutto di un tasso di crescita galoppante persino nel corso degli anni cupi della crisi mondiale. D’altronde, è un fatto che l’opinione pubblica cinese (intendendo con questo termine quella porzione di popolazione, cospicua ma ancora minoritaria, che ha accesso ai mezzi di informazione ed alla tecnologia informatica) sia in gran parte indifferente all’esistenza della censura ed accetti di buon grado l’autoritarismo di regime. Così come è evidente che l’insofferenza e l’opposizione più o meno esplicita sia un fenomeno limitato e poco diffuso, tendenzialmente polarizzato in alcuni gruppi religiosi o etnici, solo timidamente presente tra studenti, giovani professionisti e lavoratori.

    Eppure, la mirabolante vicenda di Google in Cina mostra come sia una mera illusione che la libertà economica resti viva quando le manca l’ossigeno della libertà di opinione e dello stato di diritto. E se la prima delle due condizioni è ancora indifferente al grosso della popolazione cinese, l’assenza della seconda è un ostacolo difficilmente superabile.

    Google è entrata nel mercato cinese accettando – come hanno fatto altri – il compromesso con il regime. I primi incoraggianti risultati, conditi da interessanti profitti, sembravano confermare la bontà della scelta, ma ben presto si è capito che l’accordo con Pechino era demoniaco: Mountain View stava vendendo la sua anima, quella che di sé offre in giro per il pianeta, ed in più stava consentendo al suo clone mandarino Baidu di prosperare ed ai servizi segreti cinesi di infiltrarsi nei suoi forzieri di dati.

    La decisione di Google di abbandonare la Cina può aprire ora una voragine, perché da qualche tempo un numero crescente di investitori occidentali sta seriamente riflettendo sul senso e sulle condizioni del proprio investimento cinese: una ricerca dell’American Chamber of Commerce rivela come il 38 per cento delle società americane attive in Cina non si senta benvenuto dalle autorità locali, una quota in forte crescita rispetto al 26 per cento di qualche mese fa. I manager intervistati sottolineano come l’opacità della regolazione favorisca la discrezionalità dei giudici, che tendono a favorire gli interessi dei soggetti nazionali rispetto a quelli stranieri, i quali sempre più spesso lamentano il furto della propria proprietà intellettuale (in quanto a protezione dei diritti di proprietà, l’Heritage Foundation colloca la Cina al 148esimo posto su 180 paesi classificati). Ancora, rispetto all’high-tech, negli appalti pubblici e nelle politiche di acquisto delle società statali si è ormai affermata l’imposizione alle compagnie straniere di includere nei propri prodotti componenti cinesi. E’ soprattutto grave, a detta degli intervistati, che si diffondano, in modo pressoché arbitrario, gli arresti di dirigenti stranieri con l’accusa di corruzione e spionaggio.

    Google ha avuto il coraggio di denunciare un’evidenza che i governi occidentali – gli stessi che si accingono ad inaugurare i più fastosi padiglioni all’Expo di Shangai – catalogano come affare interno alla Cina e su cui pensano, sbagliando, di non avere alcuna responsabilità. In un certo senso, la Cina sta “comprando” l’accondiscendenza degli investitori stranieri con gli enormi tassi di crescita, capaci di sopravanzare i costi dell’arbitrarietà del governo. Ma come accade mutatis mutandis con lo yuan, Pechino non potrà continuare a lungo a tenere in piedi un’artificiale svalutazione della libertà e del diritto.

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    Piercamillo Falasca
    è la scoperta dell'acqua calda! I piani economici del governo cinese per l'acquisizione di brand e know-how occidentali sono tutti su internet disponibili al pubblico.. sono solo i governi europei e molte imprese manifatturiere italiane che vanno ad insediarsi in Cina, con l'illusione di qualche punto percentuale di fatturato in più.. i cinesi li sanno fare bene i calcoli, non è un caso che quando vogliono sono loro che delocalizzano.. vedi Lenovo-IBM hefico:

  5. #5
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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    ILSOLE24ORE.COM > Notizie Mondo ARCHIVIO
    Perché Google non fa proseliti contro la Cina?
    di Chiara Beghelli

    commenti - 5| Condividi su: |vota su ||27 marzo 2010


    "Dai nostri archivi"
    Google potrebbe avere guai in Russia, dopo la Cina
    Google ha lasciato la Cina per le memorie sovietiche di Brin
    Com'è cambiata internet in Cina dopo la decisione di Google
    Nel web attacco Usa e arrocco cinese
    Google aggira Pechino e sposta il traffico cinese su Hong Kong




    Se Google fosse un re medievale impegnato a organizzare una crociata contro i censori cinesi, probabilmente si ritroverebbe a partire soltanto con i suoi cavalieri. Nessuno degli altri big del mondo di internet, infatti, starebbe seguendo Google nella sua battaglia contro la sempre più stretta censura di Pechino sul web. E questo a dispetto di un'opinione pubblica, perlomeno occidentale, che invece supporta fortemente la libertà di informazione sulla rete nel paese della Grande Muraglia.

    Secondo un'analisi del New York Times, infatti, né Microsoft né Yahoo hanno imitato la scelta di Google, che ha deciso di chiudere il motore di ricerca cinese e dirottare il suo traffico su Hong Kong. Questo perché nel gigantesco mercato asiatico i loro interessi sono molto più radicati e il loro giro d'affari molto più importante rispetto a quelli di Google: dalla Cina, infatti, la società di Larry Page e Sergey Brin ricava solo fra l'1 e il 2% dei suoi 6,5 miliardi di dollari di profitto annuale. Briciole, insomma.

    L'unico big a sostenere Google sarebbe Godaddy.com, società di Scottsdale, Arizona, leader mondiale nel settore della registrazione dei domini, che ha fatto sapere che di domini, in Cina, non ne aprirà più. Una decisione presa dopo che il governo di Pechino ha stabilito che per aprire un sito il cliente deve fornire dati aggiuntivi, come ad esempio la sua fotografia. Imposizione insostenibile secondo Godaddy.com, che così per protesta non aprirà più domini .cn, ma continuerà a gestire quelli esistenti, un business che va avanti da 2005. A guardar bene, però, anche sul grado di coraggio di Godaddy vanno fatte delle precisazioni: dalla Cina, infatti, anche loro ricavano appena l'1% dei loro profitti annuali, che si attestano intorno al miliardo di dollari. Inoltre, a spulciare gli ultimi comunicati della società, risale a un mese fa un comunicato stampa dai toni entusiastici intitolato "Costuire una presenza online in Cina con Godaddy ora è più facile": a quanto pare, infatti, Godaddy ha appena stretto un accordo con Alipay, la più grande piattaforma di pagamenti online della Cina, che vanta 270 milioni di utenti. Riusciranno le ragioni della libertà sul web a prevalere su quelle del business? Se questo continuerà a valere al massimo il 2%, probabilmente sì.

    27 marzo 2010
    Perché Google non fa proseliti contro la Cina? - Il Sole 24 ORE
    Il problema è che Google in Cina non ha mai sfondato. C'è Baidu che sta per diventare il più grande motore di ricerca mondiale.
    Ultima modifica di Red Shadow; 31-03-10 alle 11:45

  6. #6
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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    l'Occiente deve fare la stessa politica commerciale con la cina imposta dal presidente regan al giappone

    REGAN ha imposto DAZI doganali e QUOTE d importazioni mostruosi
    in questo modo si è preparato il terreno agli anni 90
    in cui il giappone si è fermato e l'america ha registrato il decennia d + grande cresita economica

    noi dobbiamo fare la stessa cosa con cina india e giappone
    imponendo dazi doganali mostruosi al 900.000%

    REGAN ha imposto dazi talemente alti da risultare il presidente + protezionista della storia degli USA , alla faccia dei liberisti , sfacciati e spudorati buguardi, cialtroni senza dignità ,servi scemi di padroni falliti in patria ....hanno la faccia come il xxxx!!!

  7. #7
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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    La Cina fa il suo mestiere e se ne impippa delle regole economiche degli occidentali,se la danneggiano.
    Certamente Google non ha le menti( dirigenti intendo) adatte per capire che il mondo non potrà mai essere globale.
    I mandarini cinesi lo sanno e si comportano di conseguenza perchè la loro economia non vogliono che diventi ostaggio delle crisi importate dall'Occidente.
    Gli Occidentali dovranno pensare una economia che si fondi più sul lavoro che sulla finanza o moriranno tutti e duel corpo e la testa.
    GLF

  8. #8
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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    Citazione Originariamente Scritto da EURIDICE Visualizza Messaggio
    l'Occiente deve fare la stessa politica commerciale con la cina imposta dal presidente regan al giappone

    REGAN ha imposto DAZI doganali e QUOTE d importazioni mostruosi
    in questo modo si è preparato il terreno agli anni 90
    in cui il giappone si è fermato e l'america ha registrato il decennia d + grande cresita economica

    noi dobbiamo fare la stessa cosa con cina india e giappone
    imponendo dazi doganali mostruosi al 900.000%

    REGAN ha imposto dazi talemente alti da risultare il presidente + protezionista della storia degli USA , alla faccia dei liberisti , sfacciati e spudorati buguardi, cialtroni senza dignità ,servi scemi di padroni falliti in patria ....hanno la faccia come il xxxx!!!
    Straordinario! Pane al pane, eh!

    Dicono, peraltro, che gli Usa, adesso, siano messi malino...
    Ultima modifica di gigionaz; 07-04-10 alle 18:49
    Succede che la Camusso e Landini restino gli unici rappresentanti della sinistra italiana e, paf!, mi si cambia l'avatar glorioso. Tutto d'un tratto... FACEPALM

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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    Citazione Originariamente Scritto da Boba Fett Visualizza Messaggio
    I falliti sono quelli che pensano di poter censurare internet, come quei mentecatti nostrani dell'aams. :sofico:
    condivido

  10. #10
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    Predefinito Rif: Senza diritto e libertà non c’è mercato. La lezione di Google ai governi occiden

    Citazione Originariamente Scritto da roche Visualizza Messaggio
    è la scoperta dell'acqua calda! I piani economici del governo cinese per l'acquisizione di brand e know-how occidentali sono tutti su internet disponibili al pubblico.. sono solo i governi europei e molte imprese manifatturiere italiane che vanno ad insediarsi in Cina, con l'illusione di qualche punto percentuale di fatturato in più.. i cinesi li sanno fare bene i calcoli, non è un caso che quando vogliono sono loro che delocalizzano.. vedi Lenovo-IBM hefico:
    e la delocalizzazione in questo caso è positiva, se rispetta diritto e libertà

 

 

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