tratto da l'OPINIONE DELLE LIBERTA'


di Carmelo Palma, Riformatori Liberali


Alla base della “congerie di illeciti” che hanno costretto alle dimissioni Mastella (e che, peraltro, neppure sappiamo quanto reggeranno alla verifica processuale) c’è uno spaccato di Italia e di Sud assolutamente peculiare. Non sono però affatto sicuro che la ragione politica dello scandalo sia (solo) legata alla inconfondibile peculiarità dei suoi protagonisti. C’è, mi pare, una ragione più reale e più profonda, che chiarisce peraltro quanto sistemico sia il rischio del malaffare e vana l’illusione in un rimedio giudiziario. Questa ragione si chiama statalismo. Lo statalismo come postulato morale del potere e come “ideologia” del bene comune.
Se infatti, in senso “alto”, l’ideologia statalista ha comportato e imposto la progressiva espansione dell’intermediazione delle istituzioni pubbliche rispetto alla libera vita civile (e dunque la prevalenza politica dello stato sul mercato), in senso “basso”, ha consentito la progressiva identificazione del sistema politico con il sistema istituzionale – in poche parole, dei partiti con lo stato. Lo statalismo è stato e rimane la condizione necessaria (se non sufficiente) della partitocrazia, anche nella versione familiare e familista che ci consegnano, oggi, le cronache campane.

Il vero “sistema” in Italia è quello che impone l’identificazione tra pubblico e statale e, per trascinamento, tra statale e “partitico”. I partiti sono al centro del potere perché il loro potere è al centro della società. A Roma come a Ceppaloni. Il caso della sanità è emblematico: non è affatto possibile ripristinare condizioni di efficienza o simulare forme di organizzazione aziendale (“caposaldo” della riforma sanitaria del ’92-‘93) in un campo occupato militarmente dalla politica e a volte conteso, in modo del tutto improprio, dalla magistratura “militante”. E’ del tutto inutile affidare alla magistratura il compito di fare, in nome della legge, piazza pulita del malaffare, quando la legalità e il malaffare sono, in realtà, due facce della stessa medaglia. Si guardi agli esempi concreti, come quello della penosa ricerca di un primario “targato Udeur” al posto di quello “targato Forza Italia” e improvvidamente avallato da un dirigente sanitario “sleale”. Fino a che sarà un principio istituzionale – pacificamente accettato e di fatto (a destra come a sinistra) incontestato – ad imporre la selezione (cioè la discriminazione) politica dei dirigenti della sanità pubblica, sarà inevitabile che le unghie della politica affondino nella carne dell’amministrazione sanitaria fino a dettare l’assunzione di primari, medici, infermieri e portantini.

E’ del tutto inutile auspicare un cambio di rotta, che moralizzi, all’interno di questo quadro, le scelte dei players politici. Bisogna cambiare, per l’appunto, il quadro di riferimento. Fino a che, infatti, il mercato sanitario sarà ritenuto appannaggio pressoché esclusivo della “sanità pubblica” è inevitabile che alle inefficienze proprie del “non mercato” si sommeranno le pretese di comando dei padroni del potere politico. La difesa di Mastella (“Non ho mai chiesto né offerto denaro”) è da questo punto di vista disarmante ed esemplare. Al malaffare politico basta e avanza la benzina del denaro pubblico. Bastano e avanzano le nomine, gli incarichi, le assunzioni e gli appalti; bastano i piani regolatori e le varianti; basta una politica di bilancio disponibile e comunque espansiva.
Una politica che può contare sul serbatoio della spesa pubblica non ha bisogno di ricorrere - né per avere, né per dare - ai portafogli privati. Un malaffare che può contare sulla legge non ha alcun bisogno di ricorrere all’illegalità. Perché questa alla fine è la morale: è la devastata legalità di questo paese malato (non la scaltrezza “mariuola” dei Mastella) a consentire, fra le altre cose, l’uso privato di enti e società pubbliche. E’ lo statalismo, in Italia, la madre feconda della “mala politica” e dello sperpero, della ridicola confusione tra poteri che si contendono il monopolio del potere e dell’eterno gioco delle parti tra presunti colpevoli e presunti innocenti.