IL MERIDIONE E L'ATAVICO PROBLEMA...
Questione morale
Ora lo scenario ,non meno intriso di putredine e di abominio, si sposta dal golfo all'entroterra campano, in quel di Ceppaloni che le cronache di questi ultimi tempi indicano come una specie di ultimo feudo assoluto in cui regna sovrano e potente come un mandarino don Clemente Mastella che ogni domenica nella sua reggia pretenziosa e un po' cafona si degna di ricevere i "clientes" che chiedono udienza per avere un posto: da direttore o da spazzino e nell'intera provincia di Benevento (l'ex Maleventum dei romani) non si fa nulla che Mastella non voglia.
Sembrerebbe la prassi consolidata della cosca, o della società chiusa a carciofo, della consorteria tipica del Meridione, in cui si dà e si piglia, dell'interesse di bottega travestito da partito legalitario e legittimo che dispone di fondi, mezzi, palazzi in buoni indirizzi e perfino di un giornale "Il Campanile nuovo" in cui l'unico protagonista che scrive, parla, si intervista è sempre lui, Mastella. In un doloroso annuncio, che il copione non aveva previsto, Mastella ha confermato le dimissioni ed ha voluto pronunciare una frase storica che dovrebbe restaurarne l'immagine ammaccata,e non ci riesce: "Tra la famiglia e il potere scelgo la famiglia".
Indubbiamente il sacrificio è enorme. Ma era l'intera famiglia, sposa e consuocero in primo luogo, in una fitta trama di amicizie e complicità,ad avere scelto il potere e a gestirlo nei modi più disinvolti e disdicevoli. Ci descrivono la signora Mastella come la tipica gentildonna del Sud che offre sempre un dono signorile e di prezzo agli ospiti che si congedano.
Ci ha sempre colpito questa duplicità di fondo della gentilezza meridionale: un formalismo inappuntabile un po' affettato e la più sfrontata e biasimevole gestione del sottopotere. Già il fatto che la signora Mastella sia presidente del consiglio regionale campano dovrebbe far riflettere certa sinistra "moralista" sul capitolo decisivo e reiterato del "conflitto di interesse". E' naturale che quest'ultino sconquasso metta in azione la memoria. Torniamo con la mente ai grandi meridionalisti che non si fecero scrupoli di denunciare gli eterni e imutabili mali del Sud.
Da Salvemini a Dorso, da Croce a Fortunato tutti trassero l'amara conclusione che le classi politiche meridionali non sapessero distinguere tra interesse pubblico e interesse privato e che la "questione morale" che continuamente riemerge sia una costante del paese in generale ma che specialmente sia al Sud che il "familismo" prevale sull'interesse generale e sulla corretta amministrazione.
Alla fine dell'800 la commissione parlamentare Saredo portò allo scioglimento di quasi tutti comuni campani per collusione manifesta con la camorra. Il modello meridionale delle connivenze malavitose si esportò anche al Nord, che non poteva non esserne contaminato, ed esattamente un secolo dopo esplose Tangentopoli.
Ma fu qualcosa che non s'era mai visto e che non rientrava nei metodi della politica settentrionale le cui élite migliori provenienti dalle professioni e dall'industria ricordavano l'equa e onesta amministrazione asburgica. Francesco Nitti, politico onesto e coraggioso,scrisse che la classe politica meridionale dopo il 1876,avvento della Sinistra storica al potere, non fu mai un partito, fu l'insieme di tutti gli appetiti, lo sfogo di tutti i malcontenti.
Si personificò spesso in uomini privi di ogni morale, che confondevano interesse pubblico e privato e il primo sottomettevano quasi sempre al secondo. Raccoglieva antichi borbonici, liberale nuovi, ma abituati alle abitudini vecchie e desiderosi di prepotere. E' difficile non vedere in questa descrizione il modello politico incarnato non solo da Mastella che con il suo smilzo carniere dell'1% mantiene un potere di veto inimmaginale altrove.
Con la "meridionalizzazione" del paese alla fine dell'Ottocento, la lenta ma onesta burocrazia piemontese dovette cedere il passo all'affluenza dei "paglietti": e se fossero "paglietti", esclamava Giovanni Ansaldo in una lettera a Giustino Fortunato, "Il guaio è che spesso sono scauzoni". Non solo, come oggi, i politici del Sud prevalevano sul numero dei settentrionali; ma nella burocrazia, nell'esercito, nella scuola essi sostituirono le vecchie generazioni piemontesi.
Benedetto Croce ammetteva che si era scesi di grado in confronto alla burocrazia piemontese (e anche in confronto alla qualità della classe politica settentrionale), ma si era saliti al confronto di quella borbonica e papalina. Magra soddisfazione.
L'altra sera in una trasmissione televisiva, discutendo a caldo degli avvenimenti campani, un giornalista di Repubblica, nell'intento di difendere l'onorabilità del Sud, diceva all'ex ministro Roberto Castelli che Tangentopoli fu interamente un fenomeno settentrionale.
Se intendeva giustificare lo sfacelo materiale e morale del Sud, dalla spazzatura alle disavventure giudiziarie dell'Udeur, rendeva un cattivo servizio al Meridione che con i troppi difensori d'ufficio, per atavico complesso e orgoglio mal riposto, non troverà mai la forza di cambiare. E' sempre per atavico complesso che si finisce per fare l'apologia del "povero Sud" che si piange addosso. Il Nord non deve dare lezioni, anche se qualche differenza si nota, ma il Sud dovrebbe cominciare a liberarsi dall'antico vizio delle clientele e della corruzione. Vasto programma!
di Romano Bracalini (L'Opinione.it) del 18-01-2008