Intervento conclusivo all'assemblea "I comunisti non si sciolgono"
di Claudio Grassi
su redazione del 22/01/2008
Care compagne, cari compagni,
intanto un ringraziamento alla Federazione di Livorno che ci ha ospitato in questa due giorni così interessante e partecipata. Agli ospiti di queste nostre iniziative – quella di ieri sulla centralità del lavoro e quella di oggi sul futuro di Rifondazione -, agli artisti che hanno contribuito con le loro opere alla realizzazione del catalogo curato dal compagno Roberto Gramiccia su “falce e martello”, al compagno Enzo Apicella che ha preparato per noi le vignette che avete visto nel video proiettato all’inizio di questo incontro e a tutti voi che siete venuti qui da varie parti d’Italia.
Con questi due giorni di iniziative noi pensiamo di aver dato un contributo affinché questo appuntamento - che ricorda l’anniversario della fondazione del Partito Comunista d’Italia - diventi sempre di più un evento politico. Meritoriamente da alcuni anni la federazione di Livorno si sta muovendo in questa direzione. Io credo che noi dobbiamo impegnarci già da ora per fare di questo appuntamento per il prossimo anno e quelli successivi un avvenimento ancor più partecipato. Il modello potrebbe quello - che ormai da tempo si è trasformato in un appuntamento di massa - che caratterizza a Berlino l’anniversario dell’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht e che quest’anno, proprio pochi giorni fa, ha raccolto in quella città oltre centomila persone. Ne vale la pena perché la storia del Partito Comunista, che nacque 87 anni fa qui a Livorno, è una grande storia che va ricordata, che non va dispersa, che va rivendicata.
Non voglio fare, care compagne e cari compagni, un discorso retorico. Il Partito Comunista Italiano – soprattutto negli ultimi anni – ha compiuto scelte sbagliate e ha commesso anche gravi errori. Basta pensare agli anni ‘76-’79, all’appoggio al governo di solidarietà nazionale. Ma non vi è dubbio che il bilancio della sua storia sia incommensurabilmente positivo. Pensiamo ad Antonio Gramsci. Abbiamo appena concluso gli appuntamenti e i ricordi per i 70 anni dalla morte. Il nostro compagno Alberto Burgio ha scritto un nuovo interessante libro, che è qui all’uscita, che vi consiglio di leggere. Antonio Gramsci, un comunista italiano. Un comunista che il fascismo e Mussolini avevano decretato che non dovesse pensare e che quindi andava chiuso in carcere perché quel cervello non funzionasse. E pensate il paradosso: proprio quella condizione così terribile ha dato la possibilità a quel grande intellettuale comunista di scrivere quelle straordinarie opere che ancora oggi sono fonte preziosa di riflessione e che vengono tradotte e lette in tutto il mondo. Ma oltre a Gramsci pensiamo a quel “paese nel paese” che ha coinvolto milioni e milioni di donne e uomini cresciuti anche culturalmente nella grande organizzazione del Partito comunista e che con le sue lotte ha reso più civile e democratico questo paese. Non siamo disposti ad accettare che il rullo compressore del revisionismo storico mandi al macero quella storia. Noi stessi dobbiamo reagire con maggiore forza contro chi, a destra ma anche nel centrosinistra, non esita a gettare fango su quella storia. I comunisti sono stati protagonisti decisivi - in alcuni momenti anche i soli - nella lotta contro il fascismo e per la cacciata del nazismo. Sono stati decisivi nella Resistenza, sono stati parte importante nella scrittura della nostra Costituzione che non ha caso porta la firma anche di quel grande comunista che è stato Umberto Terracini, quella Costituzione che oggi vorrebbero stravolgere e cancellare. I comunisti sono stati decisivi nella ricostruzione del paese, nelle lotte per la pace, per la terra, per i diritti al lavoro e allo stato sociale, i diritti civili. I comunisti sono stati in prima fila in tutte quelle lotte.
Non vorrei essere pedante ma voglio ricordare alcuni numeri perché in questi anni siamo stati travolti da informazioni che andavano in una direzione opposta. Pensate, solo per ricordare un ultimo fatto, a questo libro vergognoso di Giampaolo Pansa “I gendarmi della memoria”. Vorrei ricordare allora alcune piccole cifre che forse danno un’idea. Dei 256 mila partigiani 153 mila erano comunisti, dei 70.930 caduti 42.558 erano comunisti, dei 3.354 volontari che sono corsi in Spagna ad arruolarsi nelle Brigate Internazionali per difendere la Repubblica 1.819 erano comunisti e tra loro il giovanissimo compagno Giovanni Pesce che il luglio scorso ci ha lasciati e che ricordiamo con immenso affetto. Ci onora la presenza qui con noi della sua compagna Nori Brambilla Pesce che salutiamo e che ringraziamo. Dei 4956 condannati dal Tribunale Speciale 4.030 erano comunisti, per un totale di 23.000 anni di carcere. Altro che, come disse Veltroni, “il comunismo è incompatibile con la libertà”! I comunisti hanno dato un contributo determinante per la conquista della libertà e della democrazia di questo paese.
Noi siamo qui non solo per ricordare - ricordare è importante perché senza memoria non c’è futuro – siamo qui soprattutto per cercare di cambiare il presente. Per dare il nostro contributo affinché resti viva, in questo paese, una presenza comunista con basi di massa, ancorata al mondo del lavoro, che lotti per una società diversa da quella capitalistica e che, quindi, non sia basata sul profitto di pochi. Oggi per conseguire questo profitto, anteponendo a tutto l’interesse dell’impresa capitalistica, non si guarda in faccia a nessuno. Pensiamo ai morti sul lavoro: la recente vicenda della Thyessenkrupp e di Porto Marghera. Perché avvengono queste morti? Sono forse una fatalità? No. I padroni non investono in sicurezza, preferiscono aumentare i loro profitti e utilizzarli in speculazione finanziaria. Vengono a piangere ai funerali ma non fanno nulla per modificare la situazione. E pensate l'ipocrisia di quegli stessi padroni che hanno detto “Non succederà mai più una Thyessenkrupp” e che oggi negano ai meccanici il rinnovo del contratto di lavoro per consentire a questi lavoratori di avere una paga minimamente dignitosa. Ai meccanici che lottano da mesi per il rinnovo del loro contratto va il nostro appoggio oltre che ovviamente la nostra solidarietà. Perché se sei un lavoratore con un salario basso, sei costretto a fare lo straordinario e allora sei più stanco ed più facile che possa avvenire un incidente nel luogo di lavoro. Di questo ci parla la vicenda terribile della Thyessenkrupp, salari incapaci di dare una vita dignitosa ai lavoratori di questo paese. Proprio in questi giorni giornali e televisioni sono sommersi di quello che fa e dice Mastella, nessuno ha parlato più di pochi minuti dei dati Istat usciti in questi giorni che ci dicono drammaticamente che metà delle famiglie di questo paese vive con meno di 1900 euro al mese e che il 14.6% non arriva a fine mese e se deve affrontare una spesa di 600 euro non sa come fare. Questo ci hanno detto i dati dell’Istat. E tutto si tiene, appunto, per conseguire il profitto. Pensiamo alla precarietà diffusa che colpisce le giovani generazioni, nega loro un futuro, una possibilità di costruirsi una prospettiva di vita e rende difficile nei luoghi di lavoro anche una solidarietà, poiché nega anche una possibilità per questi lavoratori di lottare, di unirsi, di alzare la testa nei confronti del padrone perché quella situazione li rende più deboli, indifesi, soli. Hanno il timore che una loro lotta, una contestazione a quanto richiede il padrone, possa significare il mancato rinnovo del contratto di lavoro.
E pensiamo anche al fatto che per fare profitti si colpisce sempre di più l’ambiente, aggredito da uno sviluppo insostenibile, da un modo di produzione distorto. Perché vedete nella vicenda dei rifiuti di Napoli vi è racchiuso il fallimento non solo di una classe dirigente locale, che indubbiamente c’è - e Rifondazione comunista farebbe bene a tirarne le dovute conseguenze visto che ci siamo anche noi in quella amministrazione! Bisogna riconoscere anche i propri errori e valutare se non sia il caso di uscirne. Ma nei cumuli dei rifiuti è condensato il limite di una società che produce merci inutili, imballaggi inutili e non riciclabili, sostanze tossiche in totale disarmonia con le esigenze collettive e il rispetto dell’ambiente. E pensiamo al fatto che sempre per questi profitti si continuano a fare guerre e ad aumentare a dismisura le spese militari quando sarebbe sufficiente utilizzare parte di queste risorse per consentire ai due terzi degli esseri umani del pianeta che vivono in condizioni terribili di vivere dignitosamente.
E pensiamo al fatto che si fa di tutto per alimentare la guerra tra i poveri dove il nemico è il migrante o il rom, quello che è più debole di te, che attraverso anche una vergognosa campagna mediatica – che non esito a definire fascista e razzista – viene additato come la causa di tutti i mali. Per cui è lui che devi contrastare e non il padrone o il sistema che brucia le risorse in guerre e chiude i servizi sociali.
Allora per noi – care compagne e cari compagni – essere comunisti oggi significa combattere tutto questo, anche se ciò vuol dire andare contro corrente. Significa dire senza timore che questo Papa è un reazionario e che hanno ragione gli studenti e i docenti che lo hanno contestato; significa continuare a credere che il capitalismo possa essere sconfitto e che possa esserci un’altra organizzazione della produzione e della società che anziché mettere al centro il profitto vi metta la persona e l’ambiente. Noi crediamo ancora che ciò sia possibile, anche se in molti paesi dove questa esperienza è stata tentata abbiamo subito una sconfitta. Ci crediamo ancora perché vediamo che chi tutti i giorni ci parla della sconfitta del comunismo – da Bush a Berlusconi – ci propone un modello di società senza futuro, che non regge e non reggerà. Anche perchè se da noi, nell’Europa occidentale le sinistre e i movimenti sono sulla difensiva, in altri continenti le cose vanno in altra direzione. Basta pensare, come è stato ricordato qui da altri compagni che mi hanno preceduto, all’America Latina dove non c’è più solo Cuba, pur con tutte le sue contraddizioni, che resiste, ma c’è la Bolivia, l’Ecuador, l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay, il Nicaragua, il Venezuela di Chavez, che non accettano più di sottostare ai diktat degli Stati Uniti e del Fondo Monetario Internazionale. Ciò dimostra che anche se qui i tempi sono difficili e quindi tende a prevalere in noi il pessimismo della ragione, dobbiamo sempre associarlo – come ci ha insegnato Antonio Gramsci – all’ottimismo della volontà perché, ne sono certo, le contraddizioni di questo sistema riapriranno una stagione di conflitti, di movimenti e di ripresa quindi anche delle forze che lottano per il cambiamento e il superamento del capitalismo.
La situazione politica nella quale ci troviamo ad operare è particolarmente complessa, soprattutto per quanto riguarda il nostro partito. Non parlo tanto di questa vicenda di Mastella e dell’Udeur che pure ha la sua importanza perché con i precari equilibri al Senato rende ancora più incerta la prospettiva di questo governo. Ma anche perché, al di là della colpevolezza sua e degli altri inquisiti che sarà stabilita dalla magistratura, questa vicenda ha fatto venire alla luce un modo di fare politica basata sullo scambio tra politica e pubblica amministrazione, aziende pubbliche e società partecipate, finalizzato a conservare il potere e per quella via ad acquisire consenso e riprodursi come ceto politico. Se questo è vero, ed è sotto gli occhi di tutti, allora non capisco perché tutto il mondo politico abbia espresso a Mastella solidarietà, quasi avesse subìto un attentato. Al contrario, Mastella andava criticato e censurato per il grave e pesante attacco che ha fatto alla magistratura e quando questo viene fatto dal ministro della Giustizia è un fatto intollerabile per un paese democratico. Sei inquisito, il tuo partito è inquisito, e tu attacchi la magistratura e nello stesso tempo sei ministro del governo!? Consiglierei a tutti coloro che hanno espresso solidarietà politica a Mastella di andarsi a rileggere le pagine straordinarie e di grande attualità scritte da Enrico Berlinguer sulla questione morale: pagine che con notevole anticipo denunciarono il degrado della politica che poi sarebbe esploso con Tangentopoli e che sono valide ancora oggi.
Ma al di là di Mastella la situazione è complessa perché dopo venti mesi di questo governo, Prodi ha deluso le aspettative che aveva suscitato nell’elettorato di sinistra, disattendendo le stesse proposte contenute nel programma dell’Unione. Si tratta di un vero e proprio fallimento e in questo - sono molto schietto perché credo che tra compagni non si debbano usare tanti giri di parole - vi è anche il fallimento delle scelte politiche effettuate dal nostro partito in particolare dalla sua maggioranza. Al congresso di Rifondazione comunista di Venezia lo slogan con cui si decise di entrare nell’Unione si intitolava: “Vuoi vedere che l’Italia cambia davvero?” e il manifesto stampato dopo l’approvazione della prima legge finanziaria titolava “Anche i ricchi piangano”: ebbene io penso che questi titoli siano la rappresentazione plastica di un errore clamoroso di valutazione politica. Il compagno Bertinotti - che di quelle scelte fu il principale protagonista - in una recente intervista su Repubblica ha parlato di fallimento del governo dell’Unione, per onestà avrebbe dovuto aggiungere che si tratta anche del fallimento della sua proposta politica. Se a Venezia anziché indicarci la porta avesse ascoltato un po’ anche le nostre ragioni forse oggi non saremmo in questa situazione. Avremmo risparmiato venti mesi, visto che oggi, per uscire da questa difficoltà, la maggioranza del partito propone esattamente quello che proponevamo noi nel dibattito congressuale, e cioè: definiamo alcuni punti programmatici, concordati possibilmente con le altre forze della sinistra di alternativa, se li accettano si entra nel governo se non li accettano diamo il nostro contributo per cacciare le destre, ma non entriamo nell'esecutivo. La conclusione della vicenda legata al protocollo sul welfare, quindi sul tema pensioni e precarietà così importanti per noi e per il nostro elettorato di riferimento, per i movimenti a cui noi ci rivolgiamo, ha segnato la sconfitta più bruciante per il nostro partito e la smentita più clamorosa delle tesi del congresso di Venezia. Il centrosinistra infatti, al contrario di quanto era stato detto, non si è affatto spostato a sinistra rispetto agli anni '90. Al contrario proprio in questi mesi si è portato a compimento la costruzione del Partito democratico e cioè lo spostamento al centro della parte più importante della coalizione nella quale ci troviamo ad operare, l’Unione. Il governo, che avrebbe dovuto dimostrarsi permeabile ai movimenti, si è dimostrato assai più permeabile alla Confindustria e alla Chiesa. L’assunto secondo il quale la nostra presenza in maggioranza aveva l’unico significato di far crescere i movimenti si è risolto nel suo contrario: da quando siamo al governo ci sono state tre grandi manifestazioni: nel novembre 2006 la grande manifestazione contro la precarietà, nel febbraio 2007 a Vicenza la straordinaria manifestazione contro la nuova base americana e infine il 20 ottobre 2007 la grande e splendida manifestazione - molto combattiva e piena di bandiere rosse - che aveva l’obiettivo di cambiare il Protocollo e dire No alla precarietà. Ebbene, se ci pensate, su tutte e tre le richieste avanzate da queste manifestazioni e dai movimenti che le hanno organizzate il governo ha risposto negativamente.
Ora da questa difficoltà è necessario uscire. L’esito del protocollo sul welfare ha mortificato la manifestazione del 20 ottobre e anche la sinistra sindacale e la Fiom che nel referendum si erano impegnate, in una condizione difficilissima, per il No - e tra l’altro la Fiom e i meccanici quella battaglia erano riusciti a vincerla. Quell’esito, appunto, impone un chiarimento. E dunque è importante che il partito abbia deciso di andare a una verifica con il governo, ma deve essere una verifica vera e siccome per realizzarla – come ricordato da altri compagni – si è rimandato un congresso di fatto già avviato (erano già pronti i documenti, erano già state nominate le commissioni congressuali) devono essere protagonisti di essa prima di tutto le compagne e i compagni di Rifondazione attraverso la costruzione di un dibattito partecipato sui punti politici da portare al confronto con il governo. La decisione conclusiva, e cioè se l’esito conseguito dalla trattativa con il governo sia o meno positivo, deve spettare in ultima istanza al partito della Rifondazione Comunista. E’ positivo che vi sia anche un documento comune delle quattro forze della sinistra dell’Unione e che proprio in questi giorni sia stato presentato al governo. I contenuti di questo documento sono condivisibili, ma si tratta - e qui è il punto politico che pongo e che abbiamo posto alla Direzione del partito lunedì scorso - di un elenco lungo, ampio, di richieste. Rischia di essere un po’ un “bignami” del programma dell’Unione che poi, proprio perché così ampio, non riusciamo a farlo mettere in pratica! E allora io penso che dobbiamo andare alla verifica non con un programma così vasto – certo è importante sollecitare su tutti i punti una discussione e un impegno – ma noi, poiché dobbiamo decidere se restare o meno all’interno di questa coalizione, dobbiamo individuare non più di 3 o 4 questioni, punti chiari esigibili e porli come condizione per la permanenza nell’esecutivo: questo è un elemento che può dare credibilità alla nostra verifica. Io credo che i punti siano pochi, ma siano quelli che la gente si aspetta da noi arrivati a questo punto.
Il primo punto è certamente quello di aumentare i salari ma, anche qui, occorre avanzare richieste precise: in primo luogo la restituzione del fiscal drag. Un’altra cosa concreta che il governo può fare domattina: firmare il contratto del Pubblico impiego e questo potrebbe aiutare anche la firma degli altri contratti, a partire da quello dei meccanici! Inoltre un recupero a fine anno del differenziale tra inflazione programmata e inflazione reale.
Seconda questione il tema della precarietà: c’è scritto nel programma dell’Unione superamento della Legge 30 e cioè riduzione del numero enorme di tipi di contratti che hanno aumentato in modo immenso la precarietà soprattutto per i giovani.
Terza questione la moratoria per la nuova base americana di Vicenza: almeno questo ci deve essere altrimenti la nostra credibilità con quel movimento della pace su cui noi abbiamo così tanto investito in questi anni rischia di scomparire.
Infine, se vogliamo dare una risposta al tema della lotta al razzismo, se vogliamo dare una risposta alle persone che vengono nel nostro paese perché cercano un lavoro, una vita dignitosa, vogliamo il superamento della Bossi-Fini attraverso l’approvazione rapida della legge Ferrero-Amato.
Ecco, io credo che attorno a questi 4 punti si possa costruire una mobilitazione nel paese e il senso della nostra permanenza all’interno del governo. Perché vedete, dopo venti mesi, è vero che abbiamo il problema, che non sottovalutiamo, di queste destre così pericolose e aggressive; sappiamo che di là c’è Berlusconi ma, compagni, non ce la facciamo più a continuare a rimanere lì solo con l’argomento che altrimenti torna Berlusconi! Perché se continuiamo così fino alla fine della legislatura poi Berlusconi torna lo stesso, torna alla grande e noi saremo travolti.
Allora occorre ricostruire un senso che può essere dato solo da una risposta positiva ad alcune nostre richieste programmatiche sulla base delle quali si decide se continuare o meno a stare nel governo.
Care compagne, cari compagni, sto concludendo. Un po’ provocatoriamente abbiamo intitolato questa nostra assemblea “I comunisti non si sciolgono”. Lo abbiamo fatto volutamente poiché riteniamo giusto mettere in chiaro alcune questioni per noi dirimenti. Con la costruzione del Partito democratico e lo scioglimento dei Ds, una parte di quello che era stato il Correntone ha dato vita a Sinistra Democratica. Per quanto ci riguarda con questi compagni e compagne, così come con i Verdi e con i Comunisti Italiani, riteniamo non solo giusto, ma decisivo, costruire un’unità d’azione nel parlamento e nel paese. Ciò è necessario per cercare di ottenere risultati per la nostra gente che ha bisogno di una massa critica che pesi nel paese e nelle istituzioni. Vedete, noi questo discorso molto semplice lo sostenevamo anche quando in Rifondazione vi era il più totale disinteresse, da parte della maggioranza del partito, verso questi soggetti. Quando andavano per la maggiore i Disobbedienti, i Casarini e Caruso. Il problema è che oggi, come è capitato a questo partito anche su altri temi, si rischia di passare da un estremo all’altro e invece di ragionare su un’unità possibile e necessaria, che si può costruire, per esempio, attraverso una confederazione in cui ogni forza politica mantiene la propria autonomia, alcuni propongono il partito unico della sinistra.
Non siamo d’accordo. Lo ripeto: siamo per l’unità, non per il partito unico. Dico di più: chi spinge il processo unitario verso il partito unico, in realtà, non lavora per l’unità, poiché tra queste quattro forze non vi sono le basi culturali, programmatiche e identitarie per fare un unico partito. I Verdi - lo hanno già detto - non si riconoscono nella sinistra poiché il loro elettorato è trasversale e Sinistra democratica si è caratterizzata come forza che è partecipe e attiva del socialismo europeo, mentre Rifondazione comunista è collocata all’interno del Gue nel parlamento europeo. Infatti, pensate la contraddizione: si spinge verso il partito unico e la presentazione sotto un unico simbolo alle elezioni. Il prossimo anno ci sono le elezioni europee, che credibilità avrebbe una lista unica della sinistra di queste forze i cui eletti al parlamento europeo si dividerebbero immediatamente in tre gruppi diversi, e cioè quello verde, quello socialista e quello comunista? Ma non avevamo criticato il Partito democratico che nel parlamento europeo si divide in due gruppi? E ora noi facciamo una lista di eletti che si divide addirittura in tre gruppi? Non è questa la strada. Non abbiamo dato vita a Rifondazione nel 1990, contrastando Occhetto, per scioglierla oggi perché ce lo chiedono Mussi e qualcun altro, compreso lo stesso Occhetto, che dopo un giro molto tortuoso, ce lo ritroviamo in Sinistra democratica e che attraverso questa forza politica chiede a Rifondazione di fare la Bolognina dopo 17 anni! NO noi non ci stiamo! La nostra strada è quella di lavorare nell’ambito di una sinistra unitaria e plurale e, contemporaneamente, per il rilancio di Rifondazione comunista. C'è lo spazio in questo paese per la presenza di un partito comunista non settario, con vocazione unitaria, con basi di massa, radicato nel mondo del lavoro, nelle organizzazioni di massa, nei territori, presente nei movimenti, capace di innovare la propria cultura politica senza ripudiare la propria storia.
D’altra parte sarebbe ben strano se in questa lunga transizione italiana che sta scomponendo e ricomponendo le varie forze politiche gli unici a scomparire fossero i comunisti che ancora oggi, nonostante tutto, con quel simbolo e quel nome raccolgono tra l’8 e il 10% dei consensi elettorali!
Care compagne e cari compagni, io penso che ce la possiamo fare, ci sono tutte le condizioni per rilanciare Rifondazione comunista. I nodi di una linea politica sbagliata e di una gestione escludente sono venuti al pettine e ormai molti, anche nella maggioranza, avvertono l’esigenza di un cambiamento. E anche l’intervista di oggi di Giordano su Liberazione dimostra quanto sto dicendo e, se mi permettete, dà anche il senso dello sbandamento di questo partito, perché in quel ragionamento ci sono due cose che difficilmente possono stare assieme. Dice infatti Giordano nell’intervista: “basta, siamo nella palude, bisogna disinvestire dal governo per reinvestire nella società” e, contemporaneamente, dice che bisogna accelerare il processo unitario della sinistra. Ma come? non lo sappiamo che alcune di quelle forze non vedono in una autonomia dal governo una opzione possibile e praticabile??
Allora delle due l’una: o investiamo decisamente verso una riconnessione con i movimenti, con la società o puntiamo decisamente verso il partito unico della sinistra. Questo è il nodo politico che va sciolto. Sono convinto che nella maggioranza del partito vi è una parte significativa che è contraria al superamento di Rifondazione comunista. E noi come area Essere comunisti, come stiamo facendo da tempo, come abbiamo fatto alla conferenza di organizzazione di Carrara, come abbiamo fatto alla nostra festa di Gubbio e come abbiamo fatto anche qui a questa bella manifestazione di Livorno, dobbiamo aprirci anche agli altri, a chi non la pensa come noi o non ha fatto le nostre considerazioni al congresso di Venezia, per unirci a tutti quelli che, come noi, credono nella Rifondazione comunista. Questo è un primo punto, poi come sarà il partito della Rifondazione Comunista lo decideremo, ma intanto uniamoci per mantenere questo soggetto politico organizzato. Questo è l’obiettivo di oggi. La manifestazione del 20 ottobre - con quella presenza straordinaria di popolo - ci dice che è una esigenza che si connette ad un pezzo non minoritario e marginale della sinistra. Certo, so che è difficile, che il partito vive una crisi oltre che politica anche organizzativa pesante; che anni di gestione maggioritaria ed escludente ha diviso i compagni e le compagne non solo nel gruppo dirigente nazionale ma anche nelle federazioni e nei circoli. So che in molte federazioni è più il tempo che si dedica a gestire il contrasto delle componenti interne che per fare politica nella società. So, che in conseguenza di ciò, molti compagni non hanno rinnovato la tessera o fanno sempre più fatica a farlo. Ma so anche che c’è un potenziale su cui lavorare, come ha dimostrato appunto la manifestazione del 20 ottobre. Noi dobbiamo lavorare con impegno nel partito, soprattutto nei circoli e nei territori, e non abbandonare la lotta, guai a lasciare la militanza e l’impegno nel partito. Non ci sono alternative all’impegno dentro Rifondazione comunista per chi vuole cercare in questa fase di dare il proprio contributo affinché in questo paese resti presente una forza comunista attiva e non residuale o testimoniale.
Occorre quindi attivarci con impegno affinché questa verifica con il governo coinvolga tutti gli iscritti e sia un’occasione di confronto con la sinistra e la società. Occorre infine prepararsi per il prossimo congresso che si svolgerà entro l’anno e che oltre ad essere un’occasione importante per noi, per chiedere che si faccia un bilancio sui risultati negativi della linea di Venezia, si faccia chiarezza sul futuro di Rifondazione comunista. Noi siamo disponibili a discutere di tutto, a trovare tutte le forme di unità possibile. Una cosa però non possono chiedercela, e cioè che dopo tanti sacrifici e tante lotte si possa chiudere l' esperienza di Rifondazione comunista. Su questo il nostro consenso non l’avranno mai!
Care compagne e cari compagni,
nei giorni scorsi una ragazza di 18 anni, Ludovica, di un liceo classico in provincia di Treviso, stava tornando da scuola su un treno locale. Era contenta questa ragazza, canticchiava Bella Ciao. Prima di scendere dal treno due persone vestite di nero l’hanno spinta nel bagno e le hanno disegnato croci celtiche sulle braccia, le hanno scritto sul volto le iniziali di Forza Nuova e le hanno detto “comunista di merda, certe cose non si possono cantare”.
E’ a Ludovica, e ai tanti giovani come lei che non vogliamo crescano in un mondo dove succedono queste cose, che noi dedichiamo questa riunione e il nostro impegno di essere comunisti, per cambiare la società, per sconfiggere il fascismo, il razzismo, la precarietà, i morti sul lavoro.
http://www.esserecomunisti.it/index....Articolo=21150