Caro Mastella dacci la spintarella

di Gianluca Di Feo e Marco Lillo


Magistrati in cerca di promozioni. Appalti per l'ambiente. Più di 100 episodi da contestare. Ecco cosa c'è negli altri atti dell'inchiesta capuana sull'ex ministro.

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Più di cento episodi da contestare, con un capitolo consistente sulle toghe sporche, un altro sulla spartizione di appalti e infine un filone sulle gare pilotate per i depuratori spaventa più la magistratura che la politica. L'inchiesta spaventa quei pubblici ministeri che la ritengono una esagerazione, quasi una provocazione che fa il gioco della politica: una mossa azzardata e inopportuna. Ma spaventa ancora di più uno squadrone di giudici sorpresi mentre bussavano alle porte del Palazzo in cerca di una raccomandazione. La Procura capuana ha registrato uno dei momenti chiave nella storia della giustizia italiana, alla vigilia della nomina di decine di nuovi capi degli uffici giudiziari. In tanti erano pronti a contattare quelli che apparivano come i luogotenenti del ministro: il consuocero Carlo Camilleri e l'instancabile Vincenzo Lucariello, protagonista di una incredibile carriera che l'ha visto cominciare come netturbino, andare in pensione come segretario generale del Tar e finire in cella a 73 anni. Alcuni invocavano una spintarella, altri chiedevano un aiuto concreto.

No, correggo: al governo c'è una 'unione' di partiti che si sono presentati alle elezioni sotto la stessa bandiera perché condividevano tutti alcuni sacri principi e tutti si opponevano a quello che consideravano il malgoverno precedente. Mi domanda l'amico: compreso il gruppo del ministro dimissionario? Certo, rispondo. E dunque, insiste l'amico, il ministro di cui si parla aveva aderito alla unione per motivi ideali ed era, sia pure in senso metaforico, disposto a battersi sino all'ultimo per il trionfo di quei principi ideali. E come no, rispondo io. E allora, si stupisce l'amico, perché nel momento in cui viene accusato il ministro non crede più in quei principi ideali e minaccia di far cadere quel governo per sostenere il quale è stato eletto?

Non sapendo cosa rispondere, prego l'amico di cambiare argomento. Egli mi chiede allora come mai quando un nostro uomo politico, compresi gli uomini di governo, fa un viaggio e viene intervistato all'estero, anziché farsi interprete degli interessi del nostro paese presso il paese ospite, rispondendo alle domande dei giornalisti locali, risponde invece alle domande dei giornalisti italiani, che tra l'altro non si vede perché abbiano fatto un viaggio così costoso per domandare al politico cose che avrebbero potuto domandargli in patria. E nel rispondere a quelle domande il politico parla di cose di casa propria, lanciando dei messaggi sovente minacciosi non solo ai suoi avversari ma spesso anche ai propri colleghi di partito o di governo. Mi dice l'amico che nel resto del mondo civile, se un uomo di governo deve fare una dichiarazione importante, non fa del turismo ma resta nel proprio paese e convoca una conferenza stampa o addirittura lancia un messaggio alla nazione, come fa spesso il presidente Bush; oppure parla in parlamento, che è la sede deputata per dichiarazioni che concernono la politica nazionale. Vedi, gli spiego, se il nostro politico parla in una conferenza stampa o in parlamento, il suo discorso viene registrato parola per parola, e dopo non può più smentire quello che ha detto. Invece parlando all'estero, la sua voce arrivando in patria attraverso la mediazione di cronisti, può sempre dire di essere stato frainteso. Ma perché un politico desidera essere frainteso, mi domanda l'amico? Confesso che anche su questo punto non ho una risposta convincente. In ogni caso gli faccio notare che è importante per un nostro politico parlare all'estero, perché noi siamo dei provinciali e quello che si dice a Roma fa meno notizia di quello che si dice a Mombasa. Per questo i nostri politici fanno tanti viaggi all'estero, magari con famiglia - la cui unità va salvaguardata.

Il pm ostinato Cimmino è l'uomo che ha fatto nascere questa istruttoria. Non parla con i giornalisti, non ha mai rilasciato un'intervista, non ha tessere di correnti, né frequentazioni rilevanti. Trentasette anni, magistrato da 7, ne ha trascorsi quattro come pm a Foggia prima di passare a Santa Maria: una procura minore, ma strategica sull'asse di potere tra Napoli e Roma. L'unico debole che gli si riconosce è la famiglia: venne deriso quando chiese due settimane di permesso per seguire il più piccolo dei suoi tre bambini. Ogni mattina fa il pendolare guidando la sua auto per 50 chilometri: negli ultimi due anni ha quasi sempre pranzato con un panino e la cuffia in testa, per riascoltare le intercettazioni. Ha una concezione rigorosa del suo dovere: una visione così rigida e ostinata dal venire definita 'ottusa' da diversi suoi colleghi. Dicono che respinga ogni valutazione politica e tattica dell'attività inquirente.

Anche le frasi di Gerardo D'Ambrosio sull'opportunità processuale per Alessandro Cimmino sono "cinismo giudiziario": sostengono che abbia una sola fede, quella dell'obbligatorietà dell'azione penale e nell'uguaglianza davanti alla legge. Nella terra degli ozi capuani non ha perso tempo: partendo da una denuncia per abusi edilizi, ha fatto arrestare un notabile ds e avviato la maxi-inchiesta sull'Udeur di Nicola Ferraro. Di sicuro però non si è fatto amare. Ha indagato su cinque colleghi, trasmettendo gli atti a Roma. Ha indagato persino sul procuratore aggiunto, accusandolo di avere spinto gli investigatori a distruggere un'informativa che riguardava il parente di un magistrato. Anche in questo caso nella capitale è stato tutto archiviato, ritenendo che quello distrutto non fosse un documento ufficiale, mentre il Csm non ha mosso un dito.

Cimmino non è mai stato tenero nemmeno con le forze dell'ordine: ha fatto arrestare un poliziotto che lavorava per la Procura. Un precedente che ha contribuito a tutelare il segreto sulle indagini. Perché in questo silenzio totale, il pm aveva valutato l'ipotesi di chiedere l'arresto anche per Clemente Mastella. Ma a fine estate, quando era ancora in vigore la legge Boato che vietava l'uso delle telefonate tra parlamentari e indagati, il gip Francesco Chiaromonte aveva preso tempo: prima di chiedere al Parlamento l'autorizzazione per le intercettazioni, voleva esaminare tutte le trascrizioni. Poi la Consulta aveva annullato la legge, permettendo l'utilizzo dei colloqui. A quel punto, però, è mancato il tempo.

Adesso gli ispettori del ministero stanno vagliando una pioggia di esposti contro Cimmino. I pochi che hanno potuto incontrarlo lo descrivono preoccupato, quasi rassegnato a una rappresaglia: senza però nulla di cui rimproverarsi. Ha un unico rammarico: quello di non avere completato il lavoro, per carenza di esperienza, di mezzi e forse di superiori che lo sostenessero in un'inchiesta così delicata.

Il governatore smemorato

Il procuratore di Napoli Giandomenico Lepore ora deciderà come e se proseguire. A partire dalla posizione di Antonio Bassolino. Il governatore, presunta vittima delle manovre contestate ai Mastella, a novembre aveva ricevuto un invito a comparire. Era accusato di abuso d'ufficio per la sostituzione del commissario di una Asi sannita, l'associazione sviluppo industriale. Aveva risposto con una memoria di poche pagine, in cui sostanzialmente scriveva di essersi limitato a firmare un testo redatto dai tecnici della Regione.

Peccato che gli investigatori avessero intercettato tutte le trattative tra lui, i suoi collaboratori e gli emissari di Mastella che pretendevano quella poltrona. Un esempio? L'assessore Udeur Luigi Nocera viene registrato mentre descrive l'incontro con Bassolino: "Allora lui ha chiamato davanti a me Andrea Cozzolino (assessore ds che sul suo sito si definisce 'delfino' del governatore, ndr) e ha detto: 'Fai la verifica per il commissariamento, anche se non è al 100 per cento mi assumo la responsabilità di fare il decreto'". A chi ha mentito: ai giudici o ai politici?