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    Predefinito Avevate giá letto questo articolo di Lino Iannuzzi?

    I libertari sono i nuovi marxisti: troppa teoria e poca realtà Posted by nanto on Mercoledì, 22 agosto 2007 alle ore 18:08

    di Raffaele Iannuzzi

    Ogni volta che incontro Carlo Stagnaro, esponente del movimento libertario in salsa italiana, gli dico: “Carlo, io sono più libertario di quanto tu possa immaginare”. Non so perché ma sono convinto che Stagnaro interpreti questa mia uscita come una sorta di garbato risarcimento per tutte le volte che ho attaccato lui e i libertari in genere. Non è così. Il fatto è che anch’io, come moltissimi altri in questo benedetto e dannato Paese, possiamo dirci “libertari”, perché esserlo è a costo zero. E’ il famoso pasto gratis di cui i libertarians sanno quasi tutto. No allo Stato! Più mercato! Privatizziamo l’Alitalia! Le ronde padane sono venute prima di certi libertari nostrani con le agenzie private di sicurezza (vorrei vederle alla prova con gli attentati di Londra, con quell’11 settembre, di cui qualcuno scrisse: L’America se l’è cercata, era un libertario, se non erro, etc.). Roba da smercio facile, tutta pars destruens che funziona bene assai in questo giro di giostra italiota, inclusa l’antipolitica di turno, salvo poi convegnare con piacere sommo con tutti i politici di rango del Belpaese: bella l’Italia, anche quella dei libertari… Ecco perché anch’io sono “più libertario” di quanto Stagnaro possa immaginare. Che ci vuole?

    Dopodiché riconosco, grato, il valore intellettuale di certe opere di Rothbard e leggo con piacere e profitto gli scritti della Rand e di Nock, tanto per fare due esempi di succulenti libertarians (e qui la reazione da setta indurrebbe i più “scafati” libertari de noantri a esclamare: la Rand! No! E’ minarchica! Meglio Hoppe, no, meglio Rothbard, ma poi c’è quel canadese…: dopo il marxismo e le sue sette, oggi abbiamo i libertari, questo è uno degli effetti del crollo del Muro di Berlino? Meditate gente, meditate…): eppure non ci siamo. E vengo al punctum dolens: Cofrancesco pone delle questioni gravi a Lottieri e il professore libertario, che ha scritto cose importanti che mi hanno aiutato a cogliere certi nodi della modernità, stavolta latita. Parte in quarta con la solita strategia retorica: perché non dovrebbe essere possibile che…Ovvio che è possibile: si può criticare a fondo la democrazia anche come forma in sé, sempre tenendo presente che in realtà l’oggetto delle critiche è lo Stato, di più la forma-Stato in quanto tale, di cui la democrazia è una propaggine e una concrezione dispotico-formale (“dispotismo legale”, avrebbe detto Merciére de la Riviére e, con lui, nientemeno che Althusser, lettore accanito di Montesquieu); si può, certo, e si può anche allargare la cerchia dei critici autorizzati della democrazia, includendo, indebitamente a mio avviso, Talmon. Si può tutto, ma non è una risposta a Cofrancesco, il quale domanda a Lottieri: se p, allora q, sii logico: se la democrazia è statalismo dispotico, allora qual è l’uscita storica da questa condizione? Perché, al fondo, questa è la domanda. Il resto è filologia al pari di quella marxiana, che mi sono sorbito quand’ero marxista ancora negli anni Ottanta: Marx sì, ma senza “Capitale”, “oltre Marx” con i “Grundrisse”, e nessuno o almeno pochissimi a riflettere sulle tragedia del comunismo realizzato di fatto, cioè dell’apice storico “da Marx al Gulag” (Pellicani). Qui rischiamo di replicare siffatto filologico furore ma senza interlocutori. La strada è quella effettuale, storica, logico-storica: dalla realtà alle forme di statualità ed alla democrazia. Ad esempio: leggendo seriamente Talmon, si capisce che il suo bersaglio polemico non è la democrazia in quanto tale, ma la deriva totalitaria della medesima a seguito dell’espansione della dimensione giacobino-statolatrica-dispotica. Qui in questione è il giacobinismo come forma mitica e storica insieme di ampliamento del dispotismo anche attraverso gli apparati formali ed istituzionali. Questo è il nodo vero. Di qui la cifra del messianismo politico immanente ad ogni forma di totalitarismo. Anche quello sedicente “democratico”, come le “democrazie popolari” e le esperienze così ammirate da Lukàcs delle democrazie a forte tasso di “socializzazione” (in sostanza: la società replica i comandi dello Stato perché non vuol diventare un dominio “borghese” dell’economia di mercato). Ma allora dobbiamo “complicare” per capire, se si fa di ogni erba un fascio è la notte in cui tutte le vacche sono nere e non si cava un ragno dal buco. Cofrancesco ha ragione: l’esperienza liberale è storicamente complessa e non è vero che si possa dire tutto e il contrario, è invece vero che si debba dire tutto ciò che sia sottoponibile a critica storica. Ripeto: l’effettualità storica è la guida della critica intellettuale. Invece Lottieri, come schematismo libertario dispone, produce idealtipi su idealtipi, cioè induce il primato dell’astratto sul concreto, finendo per lanciare una lunghissima sonda in avanti (ricordiamo l’approccio retorico iniziale: perché non si dovrebbe pensare che…): la conclusione del contributo di Lottieri è significativo: il futuro è aperto e “altre soluzioni”, che non sia quella democratica, sono possibili. Benissimo: quali? Silenzio totale. Lottieri ha scritto un bellissimo saggio, che cito spesso per la pars destruens di critica del dispotismo intellettuale anche di un certo democraticismo (che io non gradisco e che ho infatti sottoposto a critica proprio su una rivista libertaria, “Enclave”), in cui si propone di dimostrare che il libertarismo non sia un’utopia. Esito: nessuno. Il libertarismo appare come il marxismo rovesciato. Un costruttivismo alla rovescia. Il primato dell’ideale sul concreto storico. La pars construens è totalmente deficitaria. Di più: non si coglie neanche che le critiche alla democrazia sono già ammuffite quando giungono alla memoria dei libertari. Ha ragione Lottieri: non siamo solo noi a mettere in discussione la democrazia. Caspita! Che notizia! Certo che no: Mosca, Michels, Pareto, Gramsci, Lukàcs, Gentile, la scuola dell’organicismo tedesco, Weber, e potrei continuare per una pagina. E allora? Proprio la tenuta di strada della forma democratica dovrebbe indurre i costruttivisti libertari a non compiere l’operazione che compie improvvisamente Rothbard alla fine della sua “Etica della libertà”: elaborare una “strategia della libertà”. Un paradosso assoluto, corrispondente a chi ritenga come verità la massima hobbesiana “Auctoritas aut potestas non veritas facit legem”, siamo agli antipodi idealistici del libertarismo, ma la direzione di marcia metodologica è la medesima. Costruttivismo puro. Invece Mises, nel suo splendido saggio dedicato al liberalismo mette al bando qualsiasi forma di costruttivismo, in ciò allineandosi con von Hayek, incluse certe strategie politiche di libertà calata dall’alto. Forse è anche per questo che nel pensiero di Mises c’è posto anche per lo Stato, come ogni liberale sa. Rothbard, in quest’ultima sezione del suo saggio che contiene spunti anche magistrali, afferma: “Il libertarismo, dunque, è una filosofia che cerca una politica”. Dunque, stringe Rothbard, cerca una sua “strategia”, anzi, di più, per il pensatore libertario siffatta strategia sarebbe necessaria in quanto mai declinata (chissà perché, vien fatto di domandarsi…). Rothbard si infila in un ginepraio dal quale non esce fino al punto, anche un po’ penoso, in cui, corroborando la mia idea del settarismo libertario ormai non più in pectore, assevera con qualche malizia (a proposito: prima aveva chiarito che spetta al libertario spingere la comunità politica verso l’obiettivo più radicale, indovinate quale? Abolire lo Stato! Come a dire all’esercito: disarmati, roba incredibile): “Nella vita di qualsiasi movimento dedicato a un radicale cambiamento sociale nascono necessariamente, come hanno scoperto i marxisti (n.d.r.: appunto!), due tipi di “deviazioni” dalla corretta linea strategica (n.d.r.: che R., da buon “libertario” intende inculcare ai suoi discepoli, ovvio, no?!): l’ “opportunismo di destra” da un lato e il “settarismo di sinistra” (n.d.r.: Touché!) dall’altro. Queste deviazioni, spesso attraenti a prima vista, sono così rilevanti che di norma, nel corso del suo sviluppo, qualsiasi movimento è destinato prima o poi ad essere afflitto da una o da entrambe di esse. Tuttavia, la nostra teoria non può predeterminare quale tendenza trionferà in un movimento; il risultato dipenderà dalla visione strategica soggettiva che anima le persone che costituiscono il movimento. Tale risultato, quindi, è questione di libero arbitrio e di persuasione”. Dieci righe prima c’era la linea “corretta” da seguire, alla fine c’è il “libero arbitrio”: logica molto libertaria, sembra Feyerabend, “anything goes”, tutto è permesso, anche in logica. Bene. Queste citazioni e argomentazioni non vogliono costituire un attacco a priori alle teorie libertarie, ma vogliono raggiungere due obiettivi: 1) mostrare come i libertari siano costruttivisti alla rovescia, cioè marxisti del “free market”, teorici del terzo libro del “Capitale”, che oggi, non a caso piacciono molto anche a sinistra perché, dopo l’89, sono in perfetta linea per raccogliere le membra sparse con una casa accogliente e zeppa di stendardi amici; 2) fare un autentico scoop: Deleuze è come Rothbard, il quale somiglia molto all’altromondismo (infatti infuria assai il “benaltrismo”, cioè la questione è sempre un’altra…): Deleuze, in una splendida intervista del 1988-89 (appunto…), tutta riprodotta oggi in Dvd, rileggendo i significati decisivi a partire dalle lettere dell’alfabeto, giunto alla “G”, come “Gauche”, spara dritto: tutti sanno che le rivoluzioni falliscono, e allora? La sinistra ha un indirizzo postale diverso (sic!) dalla destra. Quest’ultima parte dall’individuo per arrivare alla famiglia, quindi allo Stato e infine al mondo. La Gauche pensa che vi sia prima di tutto l’”orizzonte” (quel che pensano oggi gli antagonisti dei movimenti, che infatti non hanno categorie sottoponibili a retta falsificazione: e chi lo falsifica un orizzonte?), cioè che i problemi dell’Africa siano più prossimi di quelli della mia ristretta famiglia. Tutto qua. La Gauche aspirerebbe alla politica (proprio come Rothbard), ma al governo non può starci, perché la macchina governativa, lo Stato, determina strettamente i criteri e le cose da fare, mentre il “divenire rivoluzionario” (il “movimento” chéz Rothbard) è permanente e trascende continuamente il presente e la politique politicienne. Deleuze come Rothbard e Rothbard come Deleuze. Non è uno scoop, questo? E non si dica ora che la “questione è un’altra”. Qui parliamo di “orizzonti”, dunque della stessa aria fritta.








    L'Occidentale 22 Agosto 2007

    Questo qua vi paragona ai marxisti, mica a persone qualunque. Comunque vi muove delle critiche; io non sono in grado di dire se e quanto siano consistenti o meno, lascio a voi la palla.

  2. #2
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    Li dove ho inalzato mura solide a difesa dell'agressore Socialista. Li dove la strada ha il mio nome. Li dove ho costruito una torre bene armata in difesa della Libertà. Li dove sono Sovrano e i messi dello Stato non sono i benvenuti.
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    Citazione Originariamente Scritto da zazoblepa Visualizza Messaggio
    I libertari sono i nuovi marxisti: troppa teoria e poca realtà Posted by nanto on Mercoledì, 22 agosto 2007 alle ore 18:08


    di Raffaele Iannuzzi

    Ogni volta che incontro Carlo Stagnaro, esponente del movimento libertario in salsa italiana, gli dico: “Carlo, io sono più libertario di quanto tu possa immaginare”. Non so perché ma sono convinto che Stagnaro interpreti questa mia uscita come una sorta di garbato risarcimento per tutte le volte che ho attaccato lui e i libertari in genere. Non è così. Il fatto è che anch’io, come moltissimi altri in questo benedetto e dannato Paese, possiamo dirci “libertari”, perché esserlo è a costo zero. E’ il famoso pasto gratis di cui i libertarians sanno quasi tutto. No allo Stato! Più mercato! Privatizziamo l’Alitalia! Le ronde padane sono venute prima di certi libertari nostrani con le agenzie private di sicurezza (vorrei vederle alla prova con gli attentati di Londra, con quell’11 settembre, di cui qualcuno scrisse: L’America se l’è cercata, era un libertario, se non erro, etc.). Roba da smercio facile, tutta pars destruens che funziona bene assai in questo giro di giostra italiota, inclusa l’antipolitica di turno, salvo poi convegnare con piacere sommo con tutti i politici di rango del Belpaese: bella l’Italia, anche quella dei libertari… Ecco perché anch’io sono “più libertario” di quanto Stagnaro possa immaginare. Che ci vuole?

    Dopodiché riconosco, grato, il valore intellettuale di certe opere di Rothbard e leggo con piacere e profitto gli scritti della Rand e di Nock, tanto per fare due esempi di succulenti libertarians (e qui la reazione da setta indurrebbe i più “scafati” libertari de noantri a esclamare: la Rand! No! E’ minarchica! Meglio Hoppe, no, meglio Rothbard, ma poi c’è quel canadese…: dopo il marxismo e le sue sette, oggi abbiamo i libertari, questo è uno degli effetti del crollo del Muro di Berlino? Meditate gente, meditate…): eppure non ci siamo. E vengo al punctum dolens: Cofrancesco pone delle questioni gravi a Lottieri e il professore libertario, che ha scritto cose importanti che mi hanno aiutato a cogliere certi nodi della modernità, stavolta latita. Parte in quarta con la solita strategia retorica: perché non dovrebbe essere possibile che…Ovvio che è possibile: si può criticare a fondo la democrazia anche come forma in sé, sempre tenendo presente che in realtà l’oggetto delle critiche è lo Stato, di più la forma-Stato in quanto tale, di cui la democrazia è una propaggine e una concrezione dispotico-formale (“dispotismo legale”, avrebbe detto Merciére de la Riviére e, con lui, nientemeno che Althusser, lettore accanito di Montesquieu); si può, certo, e si può anche allargare la cerchia dei critici autorizzati della democrazia, includendo, indebitamente a mio avviso, Talmon. Si può tutto, ma non è una risposta a Cofrancesco, il quale domanda a Lottieri: se p, allora q, sii logico: se la democrazia è statalismo dispotico, allora qual è l’uscita storica da questa condizione? Perché, al fondo, questa è la domanda. Il resto è filologia al pari di quella marxiana, che mi sono sorbito quand’ero marxista ancora negli anni Ottanta: Marx sì, ma senza “Capitale”, “oltre Marx” con i “Grundrisse”, e nessuno o almeno pochissimi a riflettere sulle tragedia del comunismo realizzato di fatto, cioè dell’apice storico “da Marx al Gulag” (Pellicani). Qui rischiamo di replicare siffatto filologico furore ma senza interlocutori. La strada è quella effettuale, storica, logico-storica: dalla realtà alle forme di statualità ed alla democrazia. Ad esempio: leggendo seriamente Talmon, si capisce che il suo bersaglio polemico non è la democrazia in quanto tale, ma la deriva totalitaria della medesima a seguito dell’espansione della dimensione giacobino-statolatrica-dispotica. Qui in questione è il giacobinismo come forma mitica e storica insieme di ampliamento del dispotismo anche attraverso gli apparati formali ed istituzionali. Questo è il nodo vero. Di qui la cifra del messianismo politico immanente ad ogni forma di totalitarismo. Anche quello sedicente “democratico”, come le “democrazie popolari” e le esperienze così ammirate da Lukàcs delle democrazie a forte tasso di “socializzazione” (in sostanza: la società replica i comandi dello Stato perché non vuol diventare un dominio “borghese” dell’economia di mercato). Ma allora dobbiamo “complicare” per capire, se si fa di ogni erba un fascio è la notte in cui tutte le vacche sono nere e non si cava un ragno dal buco. Cofrancesco ha ragione: l’esperienza liberale è storicamente complessa e non è vero che si possa dire tutto e il contrario, è invece vero che si debba dire tutto ciò che sia sottoponibile a critica storica. Ripeto: l’effettualità storica è la guida della critica intellettuale. Invece Lottieri, come schematismo libertario dispone, produce idealtipi su idealtipi, cioè induce il primato dell’astratto sul concreto, finendo per lanciare una lunghissima sonda in avanti (ricordiamo l’approccio retorico iniziale: perché non si dovrebbe pensare che…): la conclusione del contributo di Lottieri è significativo: il futuro è aperto e “altre soluzioni”, che non sia quella democratica, sono possibili. Benissimo: quali? Silenzio totale. Lottieri ha scritto un bellissimo saggio, che cito spesso per la pars destruens di critica del dispotismo intellettuale anche di un certo democraticismo (che io non gradisco e che ho infatti sottoposto a critica proprio su una rivista libertaria, “Enclave”), in cui si propone di dimostrare che il libertarismo non sia un’utopia. Esito: nessuno. Il libertarismo appare come il marxismo rovesciato. Un costruttivismo alla rovescia. Il primato dell’ideale sul concreto storico. La pars construens è totalmente deficitaria. Di più: non si coglie neanche che le critiche alla democrazia sono già ammuffite quando giungono alla memoria dei libertari. Ha ragione Lottieri: non siamo solo noi a mettere in discussione la democrazia. Caspita! Che notizia! Certo che no: Mosca, Michels, Pareto, Gramsci, Lukàcs, Gentile, la scuola dell’organicismo tedesco, Weber, e potrei continuare per una pagina. E allora? Proprio la tenuta di strada della forma democratica dovrebbe indurre i costruttivisti libertari a non compiere l’operazione che compie improvvisamente Rothbard alla fine della sua “Etica della libertà”: elaborare una “strategia della libertà”. Un paradosso assoluto, corrispondente a chi ritenga come verità la massima hobbesiana “Auctoritas aut potestas non veritas facit legem”, siamo agli antipodi idealistici del libertarismo, ma la direzione di marcia metodologica è la medesima. Costruttivismo puro. Invece Mises, nel suo splendido saggio dedicato al liberalismo mette al bando qualsiasi forma di costruttivismo, in ciò allineandosi con von Hayek, incluse certe strategie politiche di libertà calata dall’alto. Forse è anche per questo che nel pensiero di Mises c’è posto anche per lo Stato, come ogni liberale sa. Rothbard, in quest’ultima sezione del suo saggio che contiene spunti anche magistrali, afferma: “Il libertarismo, dunque, è una filosofia che cerca una politica”. Dunque, stringe Rothbard, cerca una sua “strategia”, anzi, di più, per il pensatore libertario siffatta strategia sarebbe necessaria in quanto mai declinata (chissà perché, vien fatto di domandarsi…). Rothbard si infila in un ginepraio dal quale non esce fino al punto, anche un po’ penoso, in cui, corroborando la mia idea del settarismo libertario ormai non più in pectore, assevera con qualche malizia (a proposito: prima aveva chiarito che spetta al libertario spingere la comunità politica verso l’obiettivo più radicale, indovinate quale? Abolire lo Stato! Come a dire all’esercito: disarmati, roba incredibile): “Nella vita di qualsiasi movimento dedicato a un radicale cambiamento sociale nascono necessariamente, come hanno scoperto i marxisti (n.d.r.: appunto!), due tipi di “deviazioni” dalla corretta linea strategica (n.d.r.: che R., da buon “libertario” intende inculcare ai suoi discepoli, ovvio, no?!): l’ “opportunismo di destra” da un lato e il “settarismo di sinistra” (n.d.r.: Touché!) dall’altro. Queste deviazioni, spesso attraenti a prima vista, sono così rilevanti che di norma, nel corso del suo sviluppo, qualsiasi movimento è destinato prima o poi ad essere afflitto da una o da entrambe di esse. Tuttavia, la nostra teoria non può predeterminare quale tendenza trionferà in un movimento; il risultato dipenderà dalla visione strategica soggettiva che anima le persone che costituiscono il movimento. Tale risultato, quindi, è questione di libero arbitrio e di persuasione”. Dieci righe prima c’era la linea “corretta” da seguire, alla fine c’è il “libero arbitrio”: logica molto libertaria, sembra Feyerabend, “anything goes”, tutto è permesso, anche in logica. Bene. Queste citazioni e argomentazioni non vogliono costituire un attacco a priori alle teorie libertarie, ma vogliono raggiungere due obiettivi: 1) mostrare come i libertari siano costruttivisti alla rovescia, cioè marxisti del “free market”, teorici del terzo libro del “Capitale”, che oggi, non a caso piacciono molto anche a sinistra perché, dopo l’89, sono in perfetta linea per raccogliere le membra sparse con una casa accogliente e zeppa di stendardi amici; 2) fare un autentico scoop: Deleuze è come Rothbard, il quale somiglia molto all’altromondismo (infatti infuria assai il “benaltrismo”, cioè la questione è sempre un’altra…): Deleuze, in una splendida intervista del 1988-89 (appunto…), tutta riprodotta oggi in Dvd, rileggendo i significati decisivi a partire dalle lettere dell’alfabeto, giunto alla “G”, come “Gauche”, spara dritto: tutti sanno che le rivoluzioni falliscono, e allora? La sinistra ha un indirizzo postale diverso (sic!) dalla destra. Quest’ultima parte dall’individuo per arrivare alla famiglia, quindi allo Stato e infine al mondo. La Gauche pensa che vi sia prima di tutto l’”orizzonte” (quel che pensano oggi gli antagonisti dei movimenti, che infatti non hanno categorie sottoponibili a retta falsificazione: e chi lo falsifica un orizzonte?), cioè che i problemi dell’Africa siano più prossimi di quelli della mia ristretta famiglia. Tutto qua. La Gauche aspirerebbe alla politica (proprio come Rothbard), ma al governo non può starci, perché la macchina governativa, lo Stato, determina strettamente i criteri e le cose da fare, mentre il “divenire rivoluzionario” (il “movimento” chéz Rothbard) è permanente e trascende continuamente il presente e la politique politicienne. Deleuze come Rothbard e Rothbard come Deleuze. Non è uno scoop, questo? E non si dica ora che la “questione è un’altra”. Qui parliamo di “orizzonti”, dunque della stessa aria fritta.








    L'Occidentale 22 Agosto 2007


    Questo qua vi paragona ai marxisti, mica a persone qualunque. Comunque vi muove delle critiche; io non sono in grado di dire se e quanto siano consistenti o meno, lascio a voi la palla.
    Costui è un Minarchico. Come sua definizione ama Rand, Nock, quindi Nozick. Li amo anche io, ma non hanno la coerenza Anarchica. Chiunque abbia un po' di onesta intelletuale è pronto a riconoscere che Rothbard ha stroncato tutte le tesi Minarchiche nella sua Etica della Liebertà.

    Questo scritto è stracolmo comuqnue di inesattezze e superficialità che qualsiasi Rothbardiano o Lottieriano sa riconoscere. Anzi. Io penso che dell'Etica della Lbertà abbia letto solo i titoli dei capitoli. E non sa nemmeno che è stato Ron Paul il Liebertario che ha pronunciato la frase degli USA che se la sono cercata. Magari non intendeva nominarlo. Non lo so. Ma costui conosce pocchissimo di Anarcocapitalismo. Sul serio. Stagnaro lo stracerebbe in mezzo secondo.
    Siamo una setta? Bene, niente contro le sette. Nemeno contro la sete e la seta, e nemmeno contro il sette.
    Anche il Cristianesimo era una seta.
    Bafanculo rossi.

  3. #3
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    Jannuzzi è un destro come pochi, non un rosso

    Comunque il discorso è interessante: come abbattere lo Stato e costruire una società libertarian /liberale anarchichica /minarchica /et coetera ?

  4. #4
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    Sì l'avevo letto a suo tempo, ma è difficile avanzare una critica, perché (almeno io) non riesco ad afferrare bene il punto.
    Per quanto riguarda il costruttivismo, l'astrattezza, il dogmatismo il nostro ha almeno un po' di ragione. Come ha ben spiegato Liberty First (che poi è lo stesso che sta scrivendo la storia della scuola austriaca su brunoleoni.it)

    Iannuzzi si pone quindi un problema reale, ma... neanche lui propone soluzioni.
    Chi cerca di fare politica dall'interno, coi partiti, non combinerà nulla di buono per via della logica della politica. E questo Iannuzzi pare ignorarlo, anche perchè sarebbe stato vagamente fuori tema.
    Chi si propone di superare tale logica deve però rendersi conto dell'enormità del compito, e del fatto che la Teoria e la Storia sono due cose epistemologicamente antipodali.
    Siccome non c'è nulla che si possa fare all'interno della politica, a parte forse testimoniare a favore della libertà, c'è un problema profondo nella modernità. Dunque occorre un'analisi anche concettuale profonda, e quindi radicale.
    Fatto questo, però, non bisogna illudersi di aver risolto granchè. Il riconoscere che molti problemi reali gravissimi trascendono il dibattito democratico e non possano risolversi al suo interno, che siamo condizionati da errori concettuali inerenti al paradigma ideologico hobbesiano, o qualsiasi altra cosa a qualsiasi livello di astrazione possiamo concepire, può essere necessario, ma non sarà mai sufficiente.
    Un libertario non costruttivista, per rispondere a Iannuzzi, è un libertario che non ha speranze, e che è del tutto conscio di non avere una strategia credibile per realizzare i propri ideali.

    C'è poco da aggiungere a questo. (qui il post completo)
    Il libertarismo, l'anarcocapitalismo in primis è una teoria completamente avulsa dalla prassi (dalla realtà politica). Inoltre, quello di matrice rothbardiana, tende spesso a crogiolarsi dietro la sua logica ferrea. Giudicando in base ad una semplice regola quasi matematica (il principio di non aggressione) tutto ciò che avviene sul palcoscenico politico e giuridico. Questa approccio è corretto, perché corretta e giusta è la non aggressione, ma è anche limitante, perché spesso questo semplice ed immediato grado di giudizio impedisce di vedere differenti livelli di profondità, rischiando di far apparire il libertario una macchietta che ragiona con l'etica della Libertà in mano.
    A parte queste doverose (ma facili e scontate, prima di Iannuzzi sono piovute da altre parti) critiche ci sono diverse ragioni per preferire la teoria libertaria.
    La prima è che proprio grazie a questo dogmatismo preferisce la giustizia e l'umanesimo alla realpolitik. Siamo in mano a delle persone che senza patemi decidono qual è ila giusta gradazione di male per noi.
    La seconda è che costituisce, se preso senza fanatismi, una delle poche (l'unica?) chiave di lettura valida per comprendere l'attuale realtà politica, in particolar modo quella italiana. Faccio un esempio: tutti più o meno sappiamo che l'italia è nella merda. Ma solo i libertari sanno il perché. Prendete il movimento di Grillo: ha capito quali sono i problemi che affliggono il mondo della politica, ma propone una cura peggiore del male.
    Destri, sinistri... tutti quanti concordono che parlamento e governi sono marci. Ma tutti propongono una sola soluzione: cambiare la casta con un'altra, bella e onesta. La loro, guarda caso.
    Insomma vale davvero la pena essere libertari, senza paraocchi, però

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Manfr Visualizza Messaggio
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    Comunque il discorso è interessante: come abbattere lo Stato e costruire una società libertarian /liberale anarchichica /minarchica /et coetera ?
    Rothbard e Hoppe lo spiegano benissimo. Il primo lo spiega nell'Etica della Libertà, il secondo lo spiega in Democrazia il Dio che ha fallito. Gli Agoristi hanno consigliato altre strategie. Bene, a mio parere queste strategie della Libertà sono ottime. Certo nessuno dei tre ha parlato di questa: gradualismo, ovvero quello che i Socialisti fanno da più di un secolo. A mio parere ha portato a grossi risultati per i Socialisti. Secondo, intaccare la Costituzione da dentro, modificando un solo punto: l'Italia è unica e indivisibile. Basterebbe modificare questo punto e stabilire quali siano le prassi per concedere l'indipendenza sovrana a chi ne faccia richiesta, in base al principio internazionale di autodeterminazione dei popoli.
    Certo, bisognerebbe aprire una fase costituente, per dirla in politichese, ma bisogna provarci. Il problema è che non ci sono abbastanza Libertarian in Ialia e nel mondo per andare su questa strada. E allora si ritorna al punto centrale della strategia Rothbardiana: diffusione e predicazione dell'Anarcocapitalismo.

  6. #6
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    Jannuzzi è un destro come pochi, non un rosso

    Comunque il discorso è interessante: come abbattere lo Stato e costruire una società libertarian /liberale anarchichica /minarchica /et coetera ?
    Stasera ho poco tempo ma la domanda è interessante, e dico la mia in brevissimo:

    - Evasione fiscale scientificamente adottata;

    - Lavoro nero eretto a normalità;

    - Servirsi ogniqualvolta è possibile di servizi non statalizzati;

    - Praticare il free riding nei limiti dei rischi ritenuti tollerabili;

    - Tenere un comportamento buro-insostenibile nei limiti delle possibilità;

    - Agire in modo tale da minimizzare i rapporti burocrazia statale;

    - Prediligere beni o servizi provenienti dal mercato grigio-nero.



    E soprattutto tanta, compatta e diffusa indifferenza ai richiami.

 

 

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