Il Pd si è arreso: ormai si vota
Democratici rassegnati: alle urne ci porta Prodi. E Veltroni rilancia il treno di Rutelli
ROMA - La telefonata del ministro dell’Interno Giuliano Amato raggiunge Walter Veltroni nella tarda mattinata. Si discute sulla possibile data di scioglimento delle Camere. Potrebbe essere già mercoledì prossimo, dopo le consultazioni di Marini, a meno che le dolorose vicende famigliari di Berlusconi non facciano slittare di qualche giorno l’incontro con il presidente del Senato. Di conseguenza tutto sarebbe rinviato. Di poco, perché la fine della legislatura sembra ormai decretata. Lo stesso ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, mariniano di ferro ha dovuto prenderne atto: «Stamattina (ieri per chi legge; ndr) sembrava che potesse esserci qualche spiraglio, ma mi pare che non sia più così», ha detto a Veltroni. Il leader del Pd era d’accordo: «Anche io penso che sia chiusa». Già, chiusa, anche se non tutti si sono rassegnati. Ma neanche l’idea di D’Alema di indire i referendum prima delle elezioni per prendere tempo è passata. C’è il niet di Bertinotti e di Casini. E Veltroni ai promotori dei quesiti referendari che sono andati a trovarlo ha spiegato che non c’è più niente da fare: «Del resto, dovreste andare da Fini e non da me perché è lui che ha firmato il referendum ed è lui che adesso preferisce andare alle urne».
L’indisponibilità del centrodestra a fare le riforme sarà una delle carte che il centrosinistra giocherà al tavolo delle elezioni. Anche per questo Marini ha deciso di incontrare non solo i partiti, ma anche le forze sociali, in modo che sia chiaro che deve essere Berlusconi ad assumersi l’onere della rottura del dialogo e del ricorso anticipato alle urne, anche se sindacati e imprenditori (oltre che l’Unione ovviamente) chiedono il contrario. Una mossa tattica che nulla cambia sullo scacchiere politico. Tutti si stanno preparando alle elezioni. Veltroni ha già deciso che in campagna elettorale ripartirà il treno del Pd che, per la verità, non portò fortuna a Rutelli nel 2001. Tra gli organizzatori della campagna elettorale ci sono Bettini e Lusetti. Quest’ultimo fisserà le tappe del treno, mentre spetta a Bettini l’idea di far scendere in campo anche per le elezioni, come avvenne per le primarie, una lista «A sinistra per Veltroni». Un escamotage per togliere voti alla Cosa rossa, che ha già i suoi bei guai. Sì, perché anche da quella parti ormai si lavora alle elezioni e nessuno crede che sia possibile tornare indietro. Non lo pensa neanche Marini, il quale, non a caso ha fatto sapere che dopo il fallimento della sua esplorazione, non accetterà l’ipotesi di guidare un governo elettorale per andare al voto. Anche la soluzione di andare alle urne con Amato è stata scartata dal Pd. Perciò si andrà alle urne con Prodi.
A sinistra, si diceva, l’imminenza dell’appuntamento elettorale ha provocato qualche problema. Mussi, leader della Sd, non vuole che la Cosa rossa venga guidata da Bertinotti («sarebbe un’annessione»). Ma il presidente della Camera su questo punto è intransigente. Poi, potrà anche decidere di rinunciare al seggio alla Camera, ma la nuova formazione politica è una «sua creatura» e non accetta di cederne la leadership neanche a un giovane come Vendola. Perciò tutto è tornato in alto mare nel frastagliato arcipelago della sinistra. Mussi e Bertinotti sono d’accordo su un solo punto: nel nuovo simbolo non devono esserci la falce e il martello. Mentre nella Cosa rossa si litiga e si sgomita, Marini, anche ieri, ha proseguito come se nulla fosse le sue consultazioni. Incontrando anche i senatori che rappresentano solo loro stessi (Rossi e Turigliatto, per fare un esempio).
«E — racconta Oliviero Diliberto — ogni volta che entri in quella stanza trovi Enzo Bianco vicino al presidente del Senato. Con la prima bozza o la seconda della sua proposta di riforma a seconda del partito che deve essere consultato. Una presenza inquietante...». Una presenza che in realtà serve solo a certificare al puntiglioso Napolitano che non c’è più niente da fare. Come racconta Mastella «Franco mi ha dato ragione: mi ha detto che era finita». E che questa sia la piega che probabilmente prenderanno gli eventi lo dimostra anche il fatto che Gasbarra abbia annunciato ai vertici del Pd che non intende ricandidarsi alla Provincia di Roma perché vuole andare in Parlamento. Toccherà a Nicola Zingaretti scendere in campo per una battaglia certamente più semplice di quella che centrodestra e centrosinistra combatteranno a livello nazionale.
Maria Teresa Meli
http://www.corriere.it/politica/08_f...ba99c667.shtml