Risultati da 1 a 4 di 4
  1. #1
    Forza e onore
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    Predefinito Mi faccio un poco di pubblicità anche io

    Ma in quanti dopo la guerra di annessione ebbero la stessa fortuna, le genti delle Due Sicilie subirono una diaspora biblica dopo l’invasione, dovettero lasciare i loro paesi, le madri, i figli, le mogli per evitare di proseguire a vivere una vita di stenti, fame, desolazione, soprusi, conobbero in tanti la via dell’emigrazione, perché figli di resistenti passati alla storia per mano dei vincitori con il nome di “briganti”. In migliaia scapparono, lasciarono, costretti ad abbandonare il loro mondo oramai infetto, oltraggiato dai nuovi padroni. Chi ebbe il coraggio di opporsi allo scempio fu punito ferocemente, loro pagarono il fio con prigione e fucilazioni sommarie i loro cari bollati con il marchio di cittadini non “allineati”, furono schiacciati e violentati, nell’ anima, nel cuore e nell’onore. In tanti partirono, scacciati dai loro campi, le loro botteghe, le case, le care piccoli cose. In quanti riuscirono a resistere alla nuova condizione non è dato sapere, di certo in tanti ritrovatisi in un mondo straniero e diverso, una lingua incomprensibile, violentando le proprie esistenze impazzirono, si suicidarono, continuando a pagare dazio ai vincitori. Il popolo che fu del borbone pagò e continua a pagare materialmente la colonizzazione degli italiani, ma non c’e un stima possibile del prezzo morale che gli emigranti delle Due Sicilie hanno dovuto loro malgrado onorare al mondo dei vincitori. Il padre di Sabatino come tanti altri cittadini del sud avevano creduto inizialmente a chi veniva da lontano con le loro false promesse di migliore benessere e libertà, aprirono le braccia ai garibaldesi, ai repubblicani, ma quando si resero conto del raggiro, quello di cambiare un re indigeno con uno straniero era oramai troppo tardi. In molti intrapresero la via della resistenza, come il capitano Longo, come i sottufficiali Damiano e Calvo, come il bracciante Lepore, che ebbero forse la fortuna di morire e non vedere e sapere fino a che punto questa genìa di ladri ed usurpatori si era spinta a discapito della loro antica, valorosa Patria...
    Da uno stralcio del libro " Un'anima divisa in due"

  2. #2
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    Napoli agosto 1899

    Inizia l’avventura

    Il tragitto scelto dai due viaggiatori fu lungo e faticoso, Sabatino ne era già consapevole, aveva già affrontato la faccenda, visto che era stato precursore di questo iter già l’anno prima.
    Lasciarono la masseria Pace il sabato mattina alle cinque per raggiungere la stazione ferroviaria di Melfi, presero il treno alla volta di Napoli, dove dovevano preparare e ritirare le documentazioni valide per l’espatrio, il marchese sbrigò le pratiche bancarie per le fedejussioni occorrenti per l’acquisto delle derrate alimentari che bisognava comperare dal colonnello Garcia, sapevano che i tempi per sistemare le “carte”non sarebbero stati di rapida conclusione. Napoli non era più la capitale di un regno, era una provincia italiana oramai, ma i segni della sua grandezza erano ancora visibili, anche se si avviavano ad affievolirsi.
    Rimaneva ancora però una grande “Madre”con il viso bellissimo di una vecchia signora che era stata una giovane Afrodite, adagiata con la testa sui colli che sembrano cuscini e con le gambe nelle acque del dolce mare del golfo,con la natura sempre viva e pronta a sgravare figli, angeli e demoni, che convivono con sorprendente armonia nel ventre della città, una miriade di formiche che si muovono come un disegno già stabilito da un grande Padre. Napoli è colori, suoni, un inferno abitato da angeli,la città dell’ impudicizia e della castità, il posto dove si recita perpetuamente commedia e dramma, una eterna sceneggiata, un palcoscenico , un circo dove tutto è caos organizzato, chi ci nasce vi ci vuole morire,chi la vive da fuori non ha alternative o la odia o la ama, Napoli la città dalle case abbracciate l’une sulle altre come se anche le dimore avessero un anima ed una vita propria, in cerca di calore e violenza, e poi i bassi, i vicoletti stretti , le tante chiese, il mare,Napoli la capitale di un regno , un ricordo che andava oramai svanendo, dell’antico fasto rimanevano i palazzi, ,i parchi, l’ orto botanico, l’albergo dei poveri ed altro ancora . Soggiornarono a Napoli fino a Natale, aspettando di potersi imbarcare per Genova. I Pace erano proprietari di una palazzina nei pressi di via Chiaia, Michele fece di quella magione il suo punto di appoggio. La palazzina fu acquistata dal nonno nel periodo che questi frequentò la capitale per i suoi affari commerciali e politici, in quel periodo il vecchio Pace ebbe la possibilità di conoscere Ferdinando II, fra i due nacque una buona amicizia, naturalmente fra suddito e sovrano. Nell’antica capitale il giovane marchese incontrò alcuni suoi clienti, per riscuotere il danaro spettante per le vendite dei suoi prodotti, ebbe anche l’occasione di rivedersi con un suo vecchio compagno di studi, Gaetano Balzano barone di Cerreto Sannita, figlio di un notaio che si era trasferito a Napoli dopo l’unità d’ Italia, costretto a lasciare il paesino sannita perché accusato di collaborazionismo borbonico dalle autorità locali.
    Da : Un' anima divisa in due di Fiore Marro

  3. #3
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    Genova gennaio 1900

    Un incontro importante


    Genova e simile a tutte le grandi città di mare, una magia particolare, le casette colore pastello e le piccole barche di pescatori che somigliano a volte a dipinti, un incrocio di lingue e dialetti, facce uguali a quelle che si possono incrociare a Marsiglia, Barcellona, Napoli, Atene, Oporto o Sebastopoli . Genova è bella ancora di più a vederla dal mare, la Città Vecchia che il sole del buon Dio non da i suoi raggi, i carruggi ,le calate dei vecchi moli, le Mura di Granarolo ed i tanti vicoli pieni di botteghe artigianali e taverne così caratteristiche che sembrano finti, e che sembrano abbracciarsi, in un solo corpo. Michele Pace seguito come un’ombra dal suo fedele servitore sbarcò e si avviò verso l’uscita del porto, l’amico Gaetano gli aveva consigliato di pernottare e mangiare all’osteria del “Carlin” ad alcuni isolati dal porto, un locale un poco più accettabile per la pulizia e per l’ambiente che era frequentato dalla borghesia ligure e dai passeggeri piuttosto agiati. La città portava ancora i segni del bombardamento subito ad opera dei savoia. Gravissimo fu il Sacco di Genova dei primi dell’aprile 1849 quando la città fu abbandonata per 36 ore al saccheggio dei bersaglieri guidati da Alfonso Ferrero di La Marmora. In una lettera scritta in francese, Vittorio Emanuele II si complimentò con La Marmora per aver ben operato a Genova e definì i Genovesi «vile e infetta razza di canaglie», il male commesso dai savoia un segno indelebile, per sempre, così a Napoli così a Genova.
    Presero due stanze, era ora di pranzo e dopo avere lasciato i bagagli in camera scesero per desinare. Il locale era pieno di clienti, i tavoli per mangiare erano stipati, dovettero sedere vicino ad un distinto signore che gentilmente si presentò ai due : “ Molto lieto, dottor Novi,Lorenzo Novi” Il fato è così, incontrollabile, inaspettato, senza previsioni, i due nostri fecero la stessa cosa, “ Michele Pace e questo è il mio dipendente Sabatino Lepore”. “ Ah…, lieto...molto… lieto..” Lorenzo, rimase sorpreso a sentire quel nome. Michele Pace come …Mangiarono scambiandosi le solite cortesie che si usa fare tra persone costrette a dividere un luogo pubblico, in uno scomparto di treno, su di un bus ed appunto attorno ad un tavolo da osteria.
    Sabatino appena finì di mangiare si allontanò, doveva sistemare i bagagli ed era stanco, salutò i due e salì nella sua camera...

  4. #4
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    ...Vide una sagoma nella penombra, ferma, immobile, sembrava attenderlo , sembrava essere trascinata lì da una forza innaturale, dal precipitarsi di quegli inspiegabili eventi, l’intrusa si girò e puntò dritto gli occhi su di lui, erano bagnati di pianto, il viso un misto di sofferenza e sgomento, a vederla in quello stato sembrava ancora più bella del solito, lei allargò le braccia tendendogliele:
    “ Maria Antonia, che ci fai qui, sono le dieci passate, che ti succede? “ esordì Michele, sorpreso di quella presenza, nascose la rivoltella.
    “ Michele, dove devi andare, che cosa sta succedendo, tutti questi movimenti, la masseria vuota, i cavalli sellati, Sabatino che scompare per mesi e poi al suo ritorno parla di ripartire questa volta con te, dove devi andare, perché ?” Una voce rotta a tratti da un singhiozzo, quasi una supplica quella che la ragazza rivolgeva al padrone di casa.
    “ Vai a casa, tuo padre ti starà cercando, ti dirò tutto al mio ritorno…” disse mesto
    “ Papà dorme, dove devi andare, in che guaio ti vai a cacciare vita mia, amore mio…” Maria Antonia si stava sorprendendo di quelle sue parole così spinte. Ma si fece forza e coraggio e non diede modo a Michele di rispondere, gli si avvicinò e con voluttà gli si avvinghiò , stringendogli la vita, lo fissò languida, offrendogli la bocca, Michele la baciò, forte, virilmente, la distese sul pavimento del soggiorno, gli tolse il vestito, non dissero più niente, c’era un silenzio magico, rotto a tratti dai loro gemiti, dai sussurri della passione, dai languori della voglia, quella fisica, si stavano cercando con naturalezza e desiderio per fare l’amore.
    Erano nudi, Michele osservava con un eccitazione sfrenata quel corpo bellissimo, quelle rotondità deliziose, sentì l’odore della pelle, afrodisiaco animalesco, gli baciò i seni turgidi, fino a succhiarglieli, fino a farle male,gli baciò tutto il corpo,accarezzò il viso, afferrò fremente le lisce cosce della donna , la strinse a se, gli salì addosso e gli entrò dentro, la prese con forza e sentimento, da uomo, da maschio, la ragazza sentiva la natura dell’uomo dentro di lei, mordeva le membra del compagno, guaiva come una gatta innamorata, con gli occhi rossi di desiderio, giaceva con ardore, gemente con piacere tutto femminile ,la bocca spalancata al piacere, tante volte aveva immaginato quel momento, ora era li con l’uomo che amava, l’amore della sua vita, l’unico, erano insieme finalmente, liberi e senza riserve, un uomo e una donna, la totalità dell’universo, tra amore e sesso, tra passione e sentimento, il seme della vita.
    Erano due corpi che si cercavano, che si volevano, che si prendevano , languidi e lascivi, caldi , sensuali, stretti, frenetici, il fuoco del desiderio ardeva copioso, una lava inarrestabile, due corpi ed un anima, un anima divisa in due.
    Fecero l’amore tutta la notte, senza sosta, in un innaturale silenzio, sapevano entrambi inconsciamente che quella era l’unica e l’ultima volta che sarebbe accaduto, ognuno dei due per ragioni diverse sapevano che quel momento non ci sarebbe più stato, unica magia, unica poesia, una rosa di Atacama .
    “Non andare ti prego, non lasciarmi sola, senza di te la mia vita non ha nessun senso” La ragazza implorò, sdraiata ed abbarbicata all’uomo.
    “ Non chiedermi questo, non chiedermi nulla, ci rivedremo presto, non temere” Erano parole di circostanza, vuote. Era dispiaciuto ora di quello che era successo,per essersi fatto trascinare da quella tormenta di desiderio,da quel vortice di passione, per anni aveva evitato di incontrarsi da solo con Maria Antonia, perché era conscio che i sentimenti della ragazza erano anche i suoi stessi sentimenti, un uomo in cerca di morte non può amare, si diceva, adesso che sapeva di essere innamorato, ancora più difficile gli sarebbe risultato il progetto di vendetta, quel odio che era la sua impresa, si malediceva di ciò perché ora era ancora più doloroso il distacco. Rimase in silenzio, voleva che la donna andasse via, avrebbe voluto cancellare quella notte,ritornò freddo, distaccato, anche se a fatica, Maria Antonia intuì quella situazione, con una disperata rabbia gli urlò:“ Io ti amo, lo capisci questo?, Ti amo! “ Poi abbassò il capo, quasi in segno di sconfitta, si era illusa di fermare gli eventi, il progetto di Michele, l’incontro di lui con la morte,si era data tutta per salvare il suo unico amore, l’unica ragione di vita, l’uomo dei suoi sogni. Non ci riuscì, forse già ne era consapevole, quindi come un ladro che stava per essere scoperto prese tutto ciò che gli fu possibile prendere, prima della fine, ma sentiva la frustrante sensazione di avere preso il meno .
    Michele non parlò più, non rispose a quel grido d’amore, rimase muto, mentre Maria Antonia si rivestiva, svuotata e sazia di sesso, era l’alba, fra un poco si sarebbe svegliato suo padre, che non vedendola in casa si poteva preoccupare, insospettire, non voleva farsi vedere neanche da Sabatino che sarebbe giunto da un momento all’altro, non si girò, uscì di casa a testa china,i lunghi capelli neri sciolti, bellissima come una madonna laica, ancora più bella così trafitta,sconfitta, Michele la seguì con gli occhi senza muoversi, immobile come una statua di sale, voleva fermarla, stringerla, ma gli riuscì solo un sussurro silenzioso “Addio amore mio”. Entrò in casa, dalla porta secondaria, in silenzio, tolse gli zoccoli, ma si trovò di fronte suo padre, seduto su di una poltrona, non gli sembrava irritato, ne deluso, la guardò ibrido, poi le chiese con voce rauca : “ Partiranno? “ la ragazza rispose di si con un cenno della testa, il vecchio si alzò dalla sedia, curvo, quasi assente, grugnì qualcosa di incomprensibile, poi si allontanò uscendo dalla casa.
    Maria Antonia rimase stupita da quello strano atteggiamento, ma era talmente svuotata che non proseguì a pensare. Si sdraiò sul suo letto, pianse muta fino a che il sonno non sopraggiunse...
    Mi fermo qui

 

 

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