Premesso che secondo me Veltroni alla fine ci ha fatto un favore, perché ho sempre pensato che noi del PS ci saremmo dovuti presentare da soli.
Ma il PD non aveva detto che si voleva presentare da solo?
E come mai a Di Pietro, che di certo di problemi al governo in questi venti mesi ne ha causati non pochi, è stato concesso di allearsi presentando proprie liste, mentre al PS è stato detto che al massimo ci si sarebbe potuti presentare alleati al PD solo sotto le insegne del PD?
La risposta è in quest'articolo.
Dal Riformista del 7 febbraio 2008.
L'amore con Tonino nato un 4 luglio
L'incontro decisivo il giorno dopo la caduta di Prodi
di Tommaso Labate
A domanda, Antonio Di Pietro risponde rinviando alla riunione dell'ufficio politico del suo partito, in programma oggi: «Ora ho da fare. Domani saprete tutto». Dentro il loft di Sant'Anastasia, invece, le idee - che sono per giunta chiare - le mettono nero su bianco. «A oggi è fatta. L'Italia dei Valori sottoscriverà il programma, sarà alleata con noi e correrà col suo simbolo».
Detta col gergo del calciomercato, l'accordo tra Veltroni e Di Pietro per la corsa insieme alle prossime elezioni è stato trovato. Manca solo qualche dettaglio tecnico (sul Senato, ad esempio). Il piano è stato messo a punto quasi due settimane fa. Per la precisione, l'abboccamento decisivo tra i democrat e gli italvaloristi avviene venerdì 25 gennaio, a meno di ventiquattr'ore dalla caduta del governo Prodi al Senato.
L'appuntamento è a Montecitorio, nella stanza di Dario Franceschini. Veltroni arriva in anticipo per curare con il suo vice i dettagli del vertice. L'Italia dei Valori, con Di Pietro in testa, si presenta con una delegazione di cui fanno parte anche il capogruppo alla Camera Massimo Donadi e il deputato Felice Belisario, responsabile organizzativo del partito dell'ex PM. E così, dopo una premessa rompighiaccio di Franceschini e una battuta di Veltroni, tocca a Di Pietro andare al sodo. «Walter, tu confermi la linea di correre senza la sinistra massimalista e solo con chi firmerà un programma riformista?». E Walter, di rimando: «E voi siete interessati a firmarlo, questo programma riformista?».
Nemmeno un'ora dopo, i cinque sono alle strette di mano. Accordo fatto, nella stanza non è volato neanche un «che ci azzecca?». Veltroni e Franceschini bypassano lo spettro del giustizialista in casa. Anzi, sono convinti di aver incassato «un alleato fedele», «che ha un suo bacino di voti» e ragionano sull'alto indice di popolarità «che negli ultimi temi ha premiato Di Pietro come ministro». [Ma come, Di Pietro non aveva forse avuto abboccamenti con la Rosa Bianca?] Gli italvaloristi, invece, puntano ad accrescere il loro potere sul territorio. Come? Facendo la gamba centrista della mini-alleanza col PD e accogliendo, quindi, tutti quei transfughi (soprattutto UDEur) che dopo il terremoto nazionale dell'Unione non se la sentono di abbandonare giunte e consigli di centrosinistra. Il giro d'Italia che i colonnelli dipietristi percorreranno con le insegne di alleati del PD è già iniziato. Dalla Campania.
In Campania, ad esempio, ci sono ben quattro consiglieri regionali dell'UDEur (Salvatore Arena, Nicola Caputo, Giuseppe Maisto e Vittorio Insigne) che non seguiranno Mastella nel centrodestra. Alcuni di loro hanno già preso contatti coi dipietristi. Morale? I quattro salveranno la giunta regionale e consentiranno a Veltroni di poter seguire sino in fondo, e in tranquillità, la sua principale scelta campana: quella di non candidare alle politiche Antonio Bassolino (la di lui moglie Anna Maria Carloni, invece, dovrebbe trovare nuovamente spazio nelle liste piddine).
La vocazione a raccattare pezzi, dalle parti di Di Pietro, è sempre stata coltivata con amore. Con gruppi, gruppetti, gruppuscoli in cerca di un pasto caldo, l'Italia dei Valori è sempre stata prodiga di alleanze. In vista della corsa alle politiche del 2006, l'ex PM si fa il giro delle sette chiese. A gennaio di due anni fa stringe un accordo con la Federazione dei Liberaldemocratici, capeggiata da tale Marco Marsili. Nemmeno un mese dopo, tra le braccia dell'ex pm si gettano i Repubblicani per l'Unione, un trust in cui erano precedentemente confluiti i Repubblicani Democratici" di Giuseppe Ossorio e Democrazia Repubblicana. Poi è tutto un entra-entra preelettorale: spuntano i Cristiani Democratici Europei di Stefano Pedica, Leoluca Orlando fresco di addio alla Margherita, la Federcasalinghe di Federica Rossi-Gasparrini (che col tempo emigrerà da Mastella), Lady Nobel Franca Rame, e una pattuglia di mastelliani di cui fanno parte Pino Pisicchio, Tancredi Cimmino, la fu-golden-girl-berlusconiana Cristina Matranga e l'assessore regionale calabrese Aurelio Misiti. Ma visto che in una campagna acquisti scatenata un bidone ci può sempre stare (e solitamente è un bidone di quelli veri), ecco che Di Pietro apre le porte dell'Italia dei valori al Movimento Italiani nel Mondo, capeggiato dallo stesso Sergio De Gregorio che a tradire l'Unione ci metterà meno di un attimo.
Ma questo era il 2006. I rapporti di Di Pietro con Prodi erano "buoni" sin da almeno tredici anni. Da quando il Professore, allora presidente dell'IRI, s'era trovato, a palazzo di giustizia di Milano, seduto di fronte all'ex PM (leggenda vuole che Tonino urlasse come un ossesso frasi del tipo: «Non ho ancora capito se l'hanno fatto fesso o se lei sta facendo il fesso», «E allora, i soldi alla DC chi li ha dati?»). L'altra leggenda che lega Di Pietro al primo centrosinistra è quella che ha per protagonista Silvia, ingegnere e nipote di Prodi, che quando lo zio saliva per la prima volta a palazzo Chigi era preoccupata per la situazione disastrosa della sua professione. Fu Silvia, per salvare il futuro di tutti gli ingegneri del paese, a suggerire allo zio Romano di mettere Tonino alla guida del ministero dei lavori pubblici. Poi successe quello che successe: le polemiche sulla variante di valico, l'inchiesta della procura di Brescia, le dimissioni da ministro, il ritorno su piazza con le famose suppletive del Mugello.
Sorvolando sulla nascita e la morte dell'Asinello - e arriviamo al 2003 - Di Pietro si vede tagliato fuori dal progetto della lista triciclista dell'Ulivo. Fatto fuori - racconta lui stesso al "Foglio" - da «diessini», da «tutta quell'area che fa capo alla dirigenza dell'ex Asinello», dai «popolari» e dai non meglio precisati «mosconi verdi capeggiati da Rutelli».
Ora ritorna, Tonino, «ché finalmente c'è Veltroni», come ripete sempre Leoluca Orlando, autonominatosi «ambasciatore dell'Italia dei Valori presso il PD» (o era il contrario?) da quel giorno in cui - all'Hotel Radisson di Roma - andò in scena un mitico convegno organizzato per parlare, riparlare e discutere di una prospettiva democrat che allora si vedeva a stento all'orizzonte. Era il 4 luglio 2006. Veltroni fu uno dei protagonisti della giornata. L'amore tra Walter e Tonino nacque forse lì. Nacque il 4 luglio.
E quindi, alla faccia di tutti i proclami sull'"alleanza omogenea", Di Pietro serve a canalizzare verso il PD i voti di tutti quei voltagabbana ai quali Veltroni dice di voler "voltare le spalle" perché "bisogna ridurre la frammentazione politica".