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  1. #1
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    Predefinito Per la patria politica contro ogni nazionalismo

    rilancio un tema decisivo su cui ho speso in questo forum fiumi di parole, nel sottolineare la differenziazione fondamentale tra patriottismo di cittadinanza e nazionalismo di popolo di radice romantica.
    Ritengo che nel momento storico attuale, è di enorme importanza ( in questo ritengo benemerite le luci accese in questa sede da sandokan sul tema) il concetto di cittadinanza politica, cosi' come intesa dagli antichi greci dai tempi di Clistene ( il grande legislatore della democrazia e della divisione dell'Attica in demi).
    Rilanciare l'appartenenza alla comunità politica, nell'alveo dell'anticapitalismo, significa dare linfa al rapporto tra territorio, sovranità, responsabilità e visione dei risultati del proprio agire.
    Il contrario di questo è a mio avviso il ricorso all'argomento etnico-culturale come bandiera per la creazione di patrie anche a costo di smembrare nazioni politiche esistenti. Il che non implica ovviamente la non considerazione, ad esempio, dell'elemento culturale e linguistico come esercizio di comunità reale, ma implica il non legare tale concetto alla necessità di sovranità politica e legale su di esso fondata, ma piuttosto all'idea di autonomia e autogestione della crescita comunitaria locale ed aperta.

    solo il ricorso alla cittadinanza e alla partecipazione può essere forza coagulante e chiave di accesso alla comunità politica
    In Italia a mio avviso dobbiamo lavorare in quetsa direzione e proporre questo tipo di cultura, senza cadere mai nell'italianità come concetto astorico e metafisico e senza cadere però nel disinteresse estremistico per le sorti della comunità politica statuale di riferimento.
    La ragione per cui osteggio i nazionalismi o i nazionalitarismi che fondano sè stessi sull'elemento culturale che precede l'elemento politico è proprio la pretesa di mettere confini laddove non c' è oppressione, rifiutando aggregazioni politiche salde ed esistenti, seppur tutte da ricostruire.
    E questo verso una progressiva aggregazione dei popoli, la cui forma e direzione sarà desvribile solo nel divenire della storia e non secondo idee metafisiche.
    Le idee metafisiche riguardano gli ideali e gli uomini in senso metastorico, non le nazioni.

    Dunque, costruire un patriottismo di cittadinanza, cominciando dall'interpretazione del nefasto processo di aggregazione europea guidati dalla tecnocrazia nostrana e dagli Stati Uniti, profondamento antidemocratico e incrementante la distanza tra cittadino e potere.

  2. #2
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    Quindi "patria" come "repubblica"?

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Scapigliato" Visualizza Messaggio
    Quindi "patria" come "repubblica"?
    patria come lugo territoriale di aggregazione delle comunità dove l'appartenenza culturale comunitaria sia fonte di orgoglio nella condivisione e non di scissioni.
    Patria nel senso di repubblica, intesa come luogo del bene comune e della comunità vivente.
    Dove il bene comune non sia mera esecuzione della solidarietà economica e della relazione produttia liberata dal capitalismo, ma esercizio dell'essere sociale e dell'essere politico nel senso greco del termine, dove la misura delll'agire non è la libera espressione avulsa dal contesto, ma la consapevolezza dell'importanza di ciascuno unita alla coscienza dei limiti e della misura.
    E rilanciare una patria fondata sull'aggregazione counirtaria, va fatto partendo dagli spazi politici consumati ormai senza oppressione diretta.
    Almeno per la mia sensibilità e per un discorso realistico di prospettive.

    Oggi il paradosso che ho più volte sottolineato, è che l'appiglio etnico-culturale antiglobalizzazione e ( a volte , dove è il caso)separatista, va di pari passo con l'avanzare stesso della globalizzazione e del mercato nel mondo.
    In questo condivido in toto il pensiero di Bontempelli e Badiale nel libro" lasinsitra rivelata" in cui sottolineano la complementarietà tra nazionalismo etnico o confessionale e capitalismo.
    L'elemento culturale etnico, linguistico, è forza di resistenza comunitaria al disfacimento capitalistico, laddove si ponga come forza unificante, e non cada dunque preda potenziale di manipolazione, volntà di smembramento, eutanasia di nazioni politiche ( il caso della serbia e del Kosovo è emblematico).

    Non a caso, la vere resistenze oggi sono resistenze nazionali in senso politico e di cittadinanza: irachena, libanese, palestinese ( sul piano militare e politico ) e Venezuela, Cuba e Bolivia ( sul piano politico ).

    fare dell'Italia un luogo di resistenza politica contro l'annullamento del rapporto tra potere e popolo, all'interno della multiculturalità reale interna ( che non è la multiculturalità retorica usata come risposta all'immigrazione come fenomeno capitalistico), è il vero strumento di resistenza democratica alla globalizzazione, al capitalismo.

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da terraeamore Visualizza Messaggio
    patria come lugo territoriale di aggregazione delle comunità dove l'appartenenza culturale comunitaria sia fonte di orgoglio nella condivisione e non di scissioni.
    Patria nel senso di repubblica, intesa come luogo del bene comune e della comunità vivente.
    Dove il bene comune non sia mera esecuzione della solidarietà economica e della relazione produttia liberata dal capitalismo, ma esercizio dell'essere sociale e dell'essere politico nel senso greco del termine, dove la misura delll'agire non è la libera espressione avulsa dal contesto, ma la consapevolezza dell'importanza di ciascuno unita alla coscienza dei limiti e della misura.
    E rilanciare una patria fondata sull'aggregazione counirtaria, va fatto partendo dagli spazi politici consumati ormai senza oppressione diretta.
    Almeno per la mia sensibilità e per un discorso realistico di prospettive.

    Oggi il paradosso che ho più volte sottolineato, è che l'appiglio etnico-culturale antiglobalizzazione e ( a volte , dove è il caso)separatista, va di pari passo con l'avanzare stesso della globalizzazione e del mercato nel mondo.
    In questo condivido in toto il pensiero di Bontempelli e Badiale nel libro" lasinsitra rivelata" in cui sottolineano la complementarietà tra nazionalismo etnico o confessionale e capitalismo.
    L'elemento culturale etnico, linguistico, è forza di resistenza comunitaria al disfacimento capitalistico, laddove si ponga come forza unificante, e non cada dunque preda potenziale di manipolazione, volntà di smembramento, eutanasia di nazioni politiche ( il caso della serbia e del Kosovo è emblematico).

    Non a caso, la vere resistenze oggi sono resistenze nazionali in senso politico e di cittadinanza: irachena, libanese, palestinese ( sul piano militare e politico ) e Venezuela, Cuba e Bolivia ( sul piano politico ).

    fare dell'Italia un luogo di resistenza politica contro l'annullamento del rapporto tra potere e popolo, all'interno della multiculturalità reale interna ( che non è la multiculturalità retorica usata come risposta all'immigrazione come fenomeno capitalistico), è il vero strumento di resistenza democratica alla globalizzazione, al capitalismo.
    Perdona la mia pedanteria....ma potresti approfondire intorno alla definizione di "multiculturalità reale interna"?

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Praedur Visualizza Messaggio
    Perdona la mia pedanteria....ma potresti approfondire intorno alla definizione di "multiculturalità reale interna"?

    Altro che pedanteria; la domanda che fai è centrale e mi da l'occasione di esplicitare il concetto che avevo in mente.
    Oggi la multiculturalità è una sorta di involucro ideologico utilizzato per la flessibilizzazione e la precarizzazione della stabilità della vita, tramite la costruzione di miti globali fluidi, leggeri e perfettamente innestati nella logica mercantile. L'uomo medio vive in una sorta di culto della multiculturalità in cui il viaggio in paesi lontani, il parlare mille lingue, il cibo d'ogni parte del mondo, i costumi, le religioni occidentalizzati, divengono appigli di compensazione al vuoto etico generato dalla società di mercato.
    Per l'uomo moderno la multiculturalità allora non è espressione della condivisione e dell'innesto naturale delle vita dei popoli, ma è puro elemento folcloristico, utilizzato ad arte per coprire la frustrazione di una società spoglia di valori e di vita comunitaria.
    La società statunitense dei ghetti è la quint'essenza di questa tendenza.

    All'opposizione, ed insieme complemento, di questa tendenza di sradicamente cui si accompagna il multiculturale di mercato, è il ripiegamento romantico nella comunità nazionale o etnica come luogo di distinzione, il tutto condito spesso dall'alterazione profonda delle stesse determinanti storiche di fondazione dei popoli , in nome di presunte omogenietà mai esistite.
    Questa opposta visione è in realtà complementare alla prima perchè nega la complessità dell'identità, e la compartecipazione possibile di tale identità nella comunanza con le altre.

    In mezzo vi è la comunità che percepisce la propria identità, e la mette in condivisione con le altre, senza che essa si dilegui nel mercato della multiculturalità mercificata.
    Per questo sono contrario alla disgregazione ( nel 90 % dei casi eterodiretta da terzi ) degli attuali stati nazione europei.

    l'unione delle comunità significa avere di sè una coscienza netta ed aperta allo stesso tempo.
    e' evidente come questo potrà portare a processi aggregativi di popoli sempre più ampi, nell'alveo non di un'improbabile mercato mondiale di atomi impazziti, ma di un'unione di comunità aperte e coscienti allo stesso tempo della propria identità.
    La frantumazione che alcuni nazionalismi portano avanti come idea che preceda successive aggregazione più vaste, a mio avviso è contraddittoria poichè nega ( in condizioni di pace e condivisione consumata) entro uno stesso spazio politico, la condivisione, pur ammettendo ( nelle versioni migliori e che potrei condividere, come quelle di alcuni compagni sardi) la condivisione a posteriori successiva.

    Quello che sostengo è che il fattore culturale oggi e di identità comunitaria interna a stati sovrani, possa essere fattore aggregativo comunitario entro l'alveo della multiculturalità reale, dello scambio virtuoso tra comunità, e del mantenimento della solidarietà nazionale consumata e pacifica.
    Altrimenti diviene arma di divisioni, e si può immediatamente innestare nel progetto di parcellizzazione degli spazi politici reali portato avanti dall'impero statunitense, e da tutti gli imperi dominanti da che mondo è mondo.
    L'autonomia di una comunità nella solidarietà mantenuta è la vera arma di resistenza alla globalizzazione del falso multiculturalismo e al capitalismo.

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da terraeamore Visualizza Messaggio
    Altro che pedanteria; la domanda che fai è centrale e mi da l'occasione di esplicitare il concetto che avevo in mente.
    Oggi la multiculturalità è una sorta di involucro ideologico utilizzato per la flessibilizzazione e la precarizzazione della stabilità della vita, tramite la costruzione di miti globali fluidi, leggeri e perfettamente innestati nella logica mercantile. L'uomo medio vive in una sorta di culto della multiculturalità in cui il viaggio in paesi lontani, il parlare mille lingue, il cibo d'ogni parte del mondo, i costumi, le religioni occidentalizzati, divengono appigli di compensazione al vuoto etico generato dalla società di mercato.
    Per l'uomo moderno la multiculturalità allora non è espressione della condivisione e dell'innesto naturale delle vita dei popoli, ma è puro elemento folcloristico, utilizzato ad arte per coprire la frustrazione di una società spoglia di valori e di vita comunitaria.
    La società statunitense dei ghetti è la quint'essenza di questa tendenza.

    All'opposizione, ed insieme complemento, di questa tendenza di sradicamente cui si accompagna il multiculturale di mercato, è il ripiegamento romantico nella comunità nazionale o etnica come luogo di distinzione, il tutto condito spesso dall'alterazione profonda delle stesse determinanti storiche di fondazione dei popoli , in nome di presunte omogenietà mai esistite.
    Questa opposta visione è in realtà complementare alla prima perchè nega la complessità dell'identità, e la compartecipazione possibile di tale identità nella comunanza con le altre.

    In mezzo vi è la comunità che percepisce la propria identità, e la mette in condivisione con le altre, senza che essa si dilegui nel mercato della multiculturalità mercificata.
    Per questo sono contrario alla disgregazione ( nel 90 % dei casi eterodiretta da terzi ) degli attuali stati nazione europei.

    l'unione delle comunità significa avere di sè una coscienza netta ed aperta allo stesso tempo.
    e' evidente come questo potrà portare a processi aggregativi di popoli sempre più ampi, nell'alveo non di un'improbabile mercato mondiale di atomi impazziti, ma di un'unione di comunità aperte e coscienti allo stesso tempo della propria identità.
    La frantumazione che alcuni nazionalismi portano avanti come idea che preceda successive aggregazione più vaste, a mio avviso è contraddittoria poichè nega ( in condizioni di pace e condivisione consumata) entro uno stesso spazio politico, la condivisione, pur ammettendo ( nelle versioni migliori e che potrei condividere, come quelle di alcuni compagni sardi) la condivisione a posteriori successiva.

    Quello che sostengo è che il fattore culturale oggi e di identità comunitaria interna a stati sovrani, possa essere fattore aggregativo comunitario entro l'alveo della multiculturalità reale, dello scambio virtuoso tra comunità, e del mantenimento della solidarietà nazionale consumata e pacifica.
    Altrimenti diviene arma di divisioni, e si può immediatamente innestare nel progetto di parcellizzazione degli spazi politici reali portato avanti dall'impero statunitense, e da tutti gli imperi dominanti da che mondo è mondo.
    L'autonomia di una comunità nella solidarietà mantenuta è la vera arma di resistenza alla globalizzazione del falso multiculturalismo e al capitalismo.

    Quindi...se ho capito... comunità accorpate da un vincolo solidaristico e politico (nel senso di polis) e che interagiscono l'una con l'altra, evitando così frizioni di ordine revanchistico e nazionalistico?

  7. #7
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    Tutto molto interessante quello che hai scritto TerraeAmore.

    Volevo solo fare un appunto magari ingenuo: tu scrivi di essere contro le immigrazioni perchè "cavalli di troia" del globalismo liberista e distruttori dello Stato-Nazione...

    Ma integrare positivamente comunitarismo e nazionalismo è praticamente possibile ? Non si cadrebbe comunque nel rischio di un ripristino del nazionalismo fine a se stesso ?

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Praedur Visualizza Messaggio
    Quindi...se ho capito... comunità accorpate da un vincolo solidaristico e politico (nel senso di polis) e che interagiscono l'una con l'altra, evitando così frizioni di ordine revanchistico e nazionalistico?
    assolutamente si.

    Penso che il concetto comnitario debba innestarsi nei rapporti vitali delle persone e che la comunità è prima di tutto aggregazione solidaristica affettiva, poi lavorativa, cittadina, territoriale ed infine nazionale e statuale.
    tuttavia l'ultimo livello, essendo il più lontano e potenzialmente il più astratto ed il più alienante, non può essere rivendicato come forza coincidente con omogeneità culturali forti. Deve essere piuttosto politico e culturale in un senso ben più ampio.
    L'aggregazione culturale forte, per contro, non deve affatto essere risucchiata da astrattezze che pretendono il salto in avanti con il superamento della comunità intermedia ( comunismo economicistico), ma deve integrarsi in autonomia, ma in unione politica e in solidairietà entro un'idea politica ed etica ben più vasta.

    Posto che il modello è questo, perchè non iniziare a lottare per la sua realizzazione entro gli stati politici esistenti, dove l'unità è politicamente e in una certa misura anche culturalmente consumata ? ( questo ovviamente vale se un popolo non subisce oppressione e schiacciamento della propria possibilità di esprimere sè stesso e la sua cultura, come ad esempio nell'ultranazionalista Turchia).
    Il punto è che il nazionalismo scissionista, dove rivendicato in situazioni di pacifica e persino virtuosa coesistenza ( come ad esempio in Spagna, dove è divenuto un fenomeno di divisione, lotta, spartizione di quote di potere, revanchismo, chiusura e spesso idiozia), rischia di divenire una forza che antepone alla lotta politica e sociale, un sentimento nazionale che viene immediatamente risucchiato nelle astrattezze. E le astrattezze sono i migliori alleati del capitalismo contemporaneo.
    Al contrario invece far valere la propria identità in condivisione, senza dover perdere nulla di essa, ma rivendicandone lo stesso fattore comunitario, è una forza immensa di unità e di contrasto alla logica della mercatizzazione del mondo.

    E questo lo dico proprio perchè non mi sognerei mai di idolatrare l'Italia in quanto italianità, nè la Spagna in quanto spagnolità, e via dicendo, ma perchè le vedo come spazi politici potenzialmente ricostruibili, entro cui lottare fianco a fianco. E ciò in vista di ulteriori aggregazioni libere, nella distinzione e nell'unità.
    Come sarebbe bello vedere l'affermazione,ad esempio, del meridione d'Italia che si erge a comunità stanca delle umiliazioni inflittegli dalla storia, entro la solidairteà nazionale, ma con la coscienza che solo una rinascita locale e territoriale potrà restituire a quei luoghi dignità e giustizia?

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da Radical Visualizza Messaggio
    Tutto molto interessante quello che hai scritto TerraeAmore.

    Volevo solo fare un appunto magari ingenuo: tu scrivi di essere contro le immigrazioni perchè "cavalli di troia" del globalismo liberista e distruttori dello Stato-Nazione...

    Ma integrare positivamente comunitarismo e nazionalismo è praticamente possibile ? Non si cadrebbe comunque nel rischio di un ripristino del nazionalismo fine a se stesso ?
    sono stato assolutamente frainteso.
    Io non propongo alcun nazionalismo. Sono un acerrimo nemico del nazionalismo espansionista, e del nazionalismo romantica di radice tedesca ottocentesca, che vede nel popolo un'aggregazione metafisica ed astorica.
    nazionalismo di cui oggi esistono esempi a bizzeffe: sionismo israeliano, micronazionalismi intrajugoslavi, Kosovo, nazionalismo basco in una sua componente e nella sua radice, e molti altri nazionalismi minoritari. Solo per fare esempi europei.

    Detto ciò sono altresi' antinazionalista nel senso di idolatria del carattere nazionale di un popolo ( questo indipendentemente se il popolo abbia o non abbia uno stato indipendente) .
    Osteggio ogni idea di Italia nazione in quanto popolo italiano, sapendo che l'Italia è una nazione politica, culturalmente variegata ( viva Dio) e piena di meravigliosa diversità, che è elemento di unione e forza e non certo di debolezza.

    Non sono contro l'immigrazione come epifenomeno ( cio è non ho alcuna pretesa di mettermi ai confini dei paesi a buttare fuori gli immigrati) e manifesto la mia piena solidairteà ai nuovi schivi di questo mondo schifoso, rivendicando per loro ogni diritto di vita dignitosa. Semplicemente descrivo l'immigrazione per quello che rappresenta per chi la vive sulla propria pelle ( i nuovi schiavi) e per il complessivo funzionamento a regime del sistema capitalistico, nonchè per la creazione ad hoc di società segmentate e etnicizzate sul modello americano ( le migliori per costruirvi sopra il capitalismo assoluto ultra-liberista che l'Europa plasma giorno dopo giorno nella passività dei suoi cittadini ).

    Allo stesso tempo però, credo che un'inversione della politica migratoria sarebbe possibile, ma solo con la progressiva fine delle politiche imperialiste. In quel caso, ritengo che scoraggiare i flussi in nome della solidaritetà internazionale sarebbe auspicabile.
    Sono contrario in ogni caso a politiche migratorie attiraflussi e precarizzamigranti ( che sono quelle odierne fondate su regolarizzazione di massa ad hoc per attirare manodopera schiava che attenderà cinque anni in clandestinitàò in attesa di una probabile sanatoria nazionale, e che nel frattempo sarà beatamente sfruttata dai nostri capitalsiti).
    In proposito cercati un paio di discussioni sull'immigrazione in cui vedrai espresse non solo le mie posizioni ma anche dei compagni che non coincidono necessariamente con le mie ( pur condividendo il fondamento ).

    Lo stato nazione, per concludere, per me resta territorio politico dove la multiculturalità è quella delle genti che vi vivono e non quella di veltroni che che distribuisce piatti multiculturali alle mense per bambini ( esempio raccontatoci da Epifanio).
    Dove l'apertura alla cultura esterna è massima, ma allo stesso tempo non si fonda su un relativismo etico e culturale utile allo sviluppo della libera idelogia di mercato, ma su un percorso veritativo ed universalista di incontro tra culture diverse.

  10. #10
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    Per l'uomo moderno la multiculturalità allora non è espressione della condivisione e dell'innesto naturale delle vita dei popoli, ma è puro elemento folcloristico, utilizzato ad arte per coprire la frustrazione di una società spoglia di valori e di vita comunitaria.
    Confesso che non ho letto tutto la discussione. Ho il cervello massacrato di fumo e bevanda.
    Comunque una piccola nota riguardo alla multiculturalità. Questa secondo me è molto di più che semplice folklore.
    Infatti è successo che il capitalismo ha creato un uomo a sua convenienza, un uomo che si puo spostare come una merce (e infatti è diventato una merce) da un punto all'altro del pianeta. E allora, afinché quest'uomo sia sempre operativo, deve essere capace di vivere in ambienti ogni volta nuovi.

    Per questo è cruciale, per il capitalismo moderno, di crescere una generazione intera nel discorso sui meriti della multiculturalità. Cosi lo sradicamento capitalista verrà chiamato, da questa generazione di schiavi internazionali, "multiculturalità".

    Ovviamente il rispetto vero della cultura altrui presuppone la distruzione della forma-capitale. Su questo siamo d'accordo.

 

 
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