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    Predefinito I campi di concentramento nella Jugoslavia occupata

    I campi di concentramento nella Jugoslavia occupata




    Il 6 aprile 1941 l'esercito italiano e quello nazista invasero la Jugoslavia. La Slovenia viene smembrata fra Italia (il territorio che diventa provincia di Lubiana) e Germania. Per quanto riguarda la Croazia il 18 maggio Aimone di Savoia, diventa re di Croazia, con il collaborazionista Ante Pavelic come primo ministro.

    Le prime formazioni partigiane slovene iniziarono la loro azione nel luglio 1941, con effettivi molto limitati (vengono successivamente indicate in 8-10 mila). Il primo tentativo di annientamento del movimento di liberazione jugoslavo, con un'azione congiunta italo-tedesca, viene realizzato nell’ottobre 1941. Esso termina con un totale fallimento, malgrado l’uso sistematico del terrorismo verso le popolazioni civili, le stragi e la distruzione, le rappresaglie feroci verso i partigiani e le loro famiglie (solo a Kragulevac, furono fucilate 2300 persone).
    Con l'inasprimento della lotta, i nazifascisti tentano una seconda grande offensiva, con 36.000 uomini. Scarsi risultati, moltissime vittime. I partigiani riescono a sfuggire al tentativo di accerchiamento.
    La terza grande offensiva si svolge dal 12 aprile al 15 giugno 1942, sotto la direzione del generale Roatta. Ancora una volta grandi perdite, stragi e distruzioni: non viene raggiunto l'obiettivo di annientamento.
    Intensificazione delle azioni contro guerriglia in Slovenia da parte delle forze del XI^ Corpo d'Armata (quattro Divisioni italiane, con l'aggiunta dei fascisti sloveni della "Bela Garda" (Guardia Bianca). Sempre feroci le azioni di terrorismo contro i civili e la deportazione delle popolazioni di intere zone, senza distinzioni di sesso e di età.

    Bilancio delle vittime slovene in 29 mesi di terrore fascista, nei 4.550 Km quadrati di questo territorio:


    Ostaggi civili fucilati .............................… n. 1.500
    Fucilati sul posto........................................ n. 2.500
    Deceduti per sevizie.................................. n. 84
    Torturati e arsi vivi……………………… n. 103
    Uomini, donne e bambini morti nei campi
    di concentramento……………………..… n. 7.000

    Totale ………………………………… n. 13.087


    In Slovenia, già dall’ottobre del 1941, il tribunale speciale pronuncia le prime condanne a morte, il mese dopo entra in funzione il tribunale di guerra. La lotta contro i partigiani, che diventano una realtà in continua espansione, si sviluppa nel quadro di una strategia politico-operativa rivolta alla colonizzazione di quei territori. Con l’intervento diretto dei comandi militari italiani la politica della violenza si esercita nelle più svariate forme: iniziano le esecuzioni sommarie sul posto, incendi di paesi, deportazioni di massa, esecuzioni di ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a scopo intimidatorio e punitivo, saccheggiamento dei beni, setacciamento sistematico delle città, rastrellamenti… prende corpo il progetto di deportazione totale della popolazione, con il trasferimento forzato degli abitanti della Slovenia, progetto che i comandi discutono con Mussolini in un incontro a Gorizia il 31 luglio 1942 e che non si realizza solo per l’impossibilità di domare la ribellione e il movimento partigiano. Nel clima di repressione instauratosi con l’occupazione militare nel territorio jugoslavo, per il regime fascista nasce inevitabilmente l’esigenza di creare delle strutture per il concentramento di un gran numero di civili, deportati da quelle regioni.

    In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906), viene proposta la deportazione della popolazione slovena. "In questo caso scrisse si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all'interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana".

    I campi di concentramento e deportazione italiani furono almeno 31 (a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, ecc.), disseminati dall'Albania all'Italia meridionale, centrale e settentrionale, dall'isola adriatica di Arbe (Rab) fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto. Solo nei lager italiani morirono 11.606 sloveni e croati. Nel lager di Arbe (Yugoslavia) ne morirono 1.500 circa. Vi furono internati soprattutto sloveni e croati (ma anche "zingari" ed ebrei), famiglie intere, vecchi, donne, bambini.

    A Melada (Zara) in Dalmazia, il 29 giugno 1942 arrivò il primo trasporto, composto da 76 uomini, 103 donne e 44 bambini. In breve, le presenze nel campo salirono a 1.320 persone. In data 15 agosto 1942 erano rinchiusi nel campo 1.021 donne, 866 uomini e 450 bambini, di cui 10 nati nel campo. Molti dei prigionieri vennero via via trasferiti in Italia, alle Fraschette di Alatri in particolare. Il maggior numero di presenze si registrò, al netto dei trasferimenti, il 29 dicembre 1942 con 2.400 prigionieri. Il campo cessò la sua attività il 9 settembre 1943. Le stime dei ricercatori e degli storici valutano in circa 10.000 il totale dei prigionieri passati per Melada, con un numero di morti pari a 954. In questo totale non è possibile sapere se sono compresi i 300 fucilati quali ostaggi.

    Altri campi furono organizzati a Mamula e Prevlaka, nel Cattaro, e a Zlarino (Zara).

    E’ certo, tuttavia, che il campo più tristemente famoso fu quello di Arbe (Rab), nell’isola omonima, ove alla fine del giugno 1942, dopo aver evacuato forzosamente gli abitanti delle case della zona scelta per l’insediamento del campo, dopo aver allargato una strada, i soldati italiani diedero il via all’installazione di circa mille tende, ciascuna da sei posti.

    A proposito ecco un documento del 15 dicembre 1942, in quella data l'Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, trasmise al Comando dell'XI Corpo d'Armata il rapporto di un medico in visita al campo di Arbe dove gli internati "presentavano nell'assoluta totalità i segni più gravi dell'inanizione da fame", sotto quel rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo".

    Sempre nel 1942, il 4 agosto, il generale Ruggero inviò un fonogramma al Comando dell'XI Corpo in cui si parlava di "briganti comunisti passati per le armi" e "sospetti di favoreggiamento" arrestati, in una nota scritta a mano il generale Mario Robotti impose; "Chiarire bene il trattamento dei sospetti, cosa dicono le norme 4C e quelle successive? Conclusione: si ammazza troppo poco!".
    L'ultima frase è sottolineata, il generale Robotti alludeva alle parole d'ordine riassuntive del generale Mario Roatta, comandante della II Armata italiana in Slovenia e Croazia (Supersloda) il quale nel marzo del 1942 aveva diramato una Circolare 3C nella quale si legge:
    "Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì da quella testa per dente".

    E infatti furono migliaia i civili falciati dai plotoni di esecuzione italiani, dalla Slovenia alla "Provincia del Carnaro", dalla Dalmazia fino alle Bocche di Cattaro e Montenegro senza aver subito alcun processo, ma in seguito a semplici ordini di generali dell'esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti.

    http://www.romacivica.net/anpiroma/d...ionecampi1.htm

  2. #2
    dubito, ricerco, costruisco
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    ottimo articolo storico.
    della serie: a scuola, hai voglia a fare il '900 in tutta la 5°, ma queste cose non te el spiegheranno mai...

  3. #3
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    Cose che avevo letto e altre che non sapevo.


    Di questi tempi si vogliono insegnare solo roba nostra,ma neanche quella visto che le nostre malefatte ce le vogliamo ancora scordare per altri decenni.

  4. #4
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    La TIGR (dalle lettere iniziali di Trst/Trieste, Istra/Istria, Gorica/Gorizia e Reka/Rijeka/Fiume) è stata una delle primi organizzazioni antifasciste popolari in Europa. Molti degli appartenenti erano collegati con i Servizi Segreti jugoslavi e britannici ed erano addestrati militarmente. Nata come reazione delle comunità slovene della Venezia Giulia alla durissima politica di snazionalizzazione attuata del regime fascista, la TIGR si risolse a usare ogni mezzo nelle sue azioni, caratterizzate da violenza contro le istituzioni fasciste, assalti alle pattuglie e da sabotaggi. Per questa ragione venne considerata dal regime un'organizzazione terroristica.
    Gli inizi [modifica]

    I primi segni della ribellione antifascista degli sloveni e dei croati risalgono alla seconda metà degli anni venti, quando un gruppo di patrioti sloveni della zona di Postumia comincia a collaborare con alcuni militanti dell'ORJUNA, organizzazione ultranazionalista e unitarista jugoslava. L'intento di questo gruppo era di opporsi con violenza alla sistematica politica di snazionalizzazione delle minoranze slave della Venezia Giulia e alla persecuzione politica che ne conseguiva.
    Con l'intento di collegare i due popoli slavi nella lotta contro il fascismo nel Litorale ed in Istria, a metà settembre 1927 si radunò sul Monte Re un gruppo composto da Albert Rejec, Zorko Jelinčič, Dorče Sardoč , Jože Dekleva, Andrej Šavli e Jože Vadnjal. Così vennero gettate le basi dell'organizzazione TIGR, il cui nome fu ispirato dal giornale degli studenti istriani che usciva a Karlovac con il nome di TIMOR e significava "Tužnu Istru moraju osloboditi rodjaci", ovvero "La triste Istria deve essere liberata dai compatrioti". La riunione che diede inizio all'organizzazione era assolutamente informale e per mantenere il segreto non ne fu stilato il verbale.
    Poco dopo si riunirono a Trieste Fran Marušič, Vekoslav Španger, Zvonimir Miloš e Drago Žerjal. Nella riunione fu definito lo statuto di un'organizzazione segreta poi denominata Borba ("Lotta" in sloveno), che si allacciava e collaborava con la TIGR.

    Organizzazione [modifica]

    Ambedue le organizzazioni agivano secondo la formula della troika; si conoscevano solo i membri della troika di appartenenza il cui capo aveva contatti solo con il capo di un'altra troika ossia con la direzione centrale. Le troike venivano poi raggruppati in cellule, settori e comunità. I membri delle troike di azione si riconoscevano con un documento di identità sul quale, in posizione esattamente predefinita, era collocato il numero 4 che stava per le quattro lettere di TIGR.

    Attività [modifica]

    La Borba iniziò subito ad agire: i suoi militanti distrussero numerosi depositi di armi dell'esercito italiano e incendiarono scuole e asili italianizzati che venivano visti come uno strumento di snazionalizzazione in seguito alla soppressione completa dell+insegnamento in sloveno[1].
    Il ramo goriziano della TIGR invece inizialmente si limitava alla conservazione della lingua slovena tra la popolazione. Così, nonostante lo scioglimento ufficiale di tutte le organizzazioni culturali slave nel 1927, gli aderenti goriziani organizzavano adunanze giovanili dove si cercava di conservare la parlata slovena e si passavano informazioni sull'operato dell'organizzazione, la quale tra l'altro faceva sì che i bambini potessero imparare in casa a scrivere e leggere nella lingua madre; a questo scopo Ciril Drekonja compilò un'antologia intitolata Sotto il tetto di casa. I tigri pensavano anche a pubblicare e diffondere stampa illegale, per lo più realizzata a Lubiana e finanziata dagli emigranti giuliani rifugiatisi nel Regno di Jugoslavia.
    Questa stampa illegale fu il mezzo con cui venne indotta, nel marzo del 1929, l'astensione di massa dalle elezioni del 1929. Andò male solo in Istria dove il materiale fu distrutto o perso. Vi fu un attentato in cui membri del TIGR istriani spararono agli squadristi che portavano a forza i contadini a votare. Due contadini furono feriti ed uno di essi morì. Vladimir Gortan da Beram (Vermo) presso Pisino fu arrestato quale "capo dei terroristi slavi" e successivamente condannato a morte. Venne fucilato il 18 ottobre 1929 vicino a Pola. Quattro suoi compagni di Pisino vennero condannati a 25 anni di carcere ciascuno.

    La scoperta e il Primo Processo di Trieste [modifica]

    Le Autorità italiane scoprirono l'organizzazione TIGR solo dopo l'attentato alla redazione del giornale triestino Il Popolo di Trieste. Gli accusati vennero processati dal Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato a Trieste (Primo Processo di Trieste); il processo durò dal 1 al 5 settembre 1930 e vi furono condannati a morte Ferdo Bidovec, Fran Marušič, Zvonimir Miloš e Alojzij Valenčič, fucilati a Basovizza il 5 settembre 1930, mentre ad altri dodici imputati vennero comminate pene detentive.
    Il processo convinse i tigri ad agire con più prudenza, ma anche con maggiore organizzazione e ampliando la rete dei collegamenti. Vennero quindi presi contatti con gli antifascisti italiani, in particolare con il Partito Comunista Italiano[2]. Nel luglio del 1936 venne firmato a Parigi un patto tra il PCI ed il TIGR con il quale il primo assicurava, in caso di salita al potere, tutti i diritti alle minoranze slovena e croata, dunque l'uso della lingua, la libertà di creare proprie associazioni ed organizzazioni, e la fondazione di attività economiche[3].
    Tra gli anni 1938 e 1939 il TIGR diede vita ad un'attività di contrabbando di armi dai depositi militari jugoslavi attraverso le zone di Ilirska Bistrica e di Pivka, con l'intento di frenare le milizie italiane in caso di aggressione italiana alla Jugoslavia. In questi anni l'organizzazione si collegò anche con lo spionaggio brittanico, la British Intelligence, a cui forniva dati sugli armamenti degli Italiani, sulla loro effettiva forza bellica e preparazione. Nel 1938 quando Benito Mussolini, venne in visita a Caporetto, alcuni tigri pensarono ad un attentato, ma non lo effettuarono in quanto le inevitabili vittime civili sarebbero state ovviamente slovene.
    Nel 1941 nove membri dell'organizzazione vennero accusati di terrorismo e spionaggio in periodo bellico, e cinque di loro (Pinko Tomažič, Viktor Bobek, Ivan Ivančič, Simon Kos e Ivan Vadnal) furono giustiziati a Opicina. Con ciò l'organizzazione fu definitivamente sgominata.

    La seconda guerra mondiale [modifica]

    Dopo la capitolazione del Regno Jugoslavo nel 1941 molti tigri si unirono alle schiere partigiane. Altri invece (incluso Albert Rejec, considerato la massima autorità politica e morale dell'organizzazione tra il 1931 e il 1941) scelsero di non aderire a una lotta antifascista guidata da comunisti. Il 13 maggio 1941 sulla Mala Gora presso Ribnica un gruppo di tigri (Anton Majnik, Danilo Zelen, Ferdo Kravanja) si scontrarono con una formazione militare italiana, il ché viene spesso considerato la prima battaglia della lotta di resistenza slovena nella seconda guerra mondiale.
    Sembra che la dirigenza del Partito Comunista (che controllava l'OF - Il Fronte di Liberazione del Popolo Sloveno) avesse liquidato molti tigri già durante la guerra. Alla fine del conflitto gli ex membri dell'organizzazione furono soggetti a una marginalizzazione politica e sociale a causa della loro militanza nel TIGR. Ciò sarebbe dovuto al fatto che sin dall'inizio il TIGR, pur composto da molti elementi comunisti, aveva tra le sue fila anche persone che si battevano soprattutto per obiettivi di carattere nazionale, a volte sostenendo tesi nazionalistiche. Inoltre, il loro primato di lotta antifascista, come anche il loro diretto coinvolgimento con i servizi segreti britannici e quelli della Jugoslavia monarchica avrebbero potuto rappresentare un pericolo all'egemonia comunista. Bisogna infine aggiungere che il TIGR rifiutò, negli anni trenta, di allacciare qualsiasi rapporto con il Partito Comunista Jugoslavo, per lealtà alle autorità monarchiche di Belgrado. Nessun riconoscimento fu loro accordato nell'ambito dell'OF, mentre molti dei suoi ex membri furono messi sotto la stretta sorveglianza dalla polizia segreta jugoslava.
    Nel 1997, in occasione dell'anniversario dell'annessione del Litorale alla Slovenia, Milan Kučan, allora Presidente della Repubblica slovena, ha conferito al TIGR la più alta onorificenza dello Stato, la Medaglia d'oro per la Libertà della Repubblica.
    http://it.wikipedia.org/wiki/TIGR


    http://www.youtube.com/watch?v=rtc0P...eature=related
    vedo che vi interessa la storia dei miei luoghi, la canzone quando la sento mi fa sempre commuovere, questa è la canzone ovvero l'inno di questa regione
    l'altro anno ce stato il 60 anniversario della liberazione e annessione della regione primorska dal occupazione italiana alla madre patria, hanno persino rifatto la scritta nas tito sul monte sabotino, non è che non cera piu ma era trascurata

  5. #5
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    Pulizia etnica all'italiana

    Tra il 1942 e il '43 il nostro esercito internò migliaia di persone: quasi 500 morirono in pochi mesi. Il progetto era quello di ripopolare la regione con gli italiani.
    È una storia rimossa che emerge oggi, 65 anni dopo, con grande difficoltà dalle pieghe della memoria. È la storia della pulizia etnica all'italiana, che ha lo stesso linguaggio, nasce dalle stesse intenzioni e procede con le stesse azioni dei signori della guerra nei Balcani dell'ultimo decennio del secolo appena passato. Cambiano i nomi, ma quello dell'alto commissario fascista di Lubiana, annessa al Regno d'Italia nel 1941, Emilio Grazioli, potrebbe essere equivalente a quelli di Milosevic o Karadzic, e a quelli dei generali Mario Robotti e Mario Roatta al generale serbo Ratko Mladic o al croato Ante Gotovina, criminali di guerra.

    Ma nessun militare né civile italiano è mai stato processato da un tribunale. L'Italia si è assolta e l'amnistia del dopoguerra non ha permesso neppure di conservare la memoria giudiziaria dei fatti. Ora qualcosa lentamente riemerge e il difetto di conoscenza e di coscienza collettiva è tragico. Alessandra Kersevan, ex insegnante di scuola media in Friuli, ricercatrice a contratto in didattica delle lingue all'Università di Trieste, ha pubblicato, con il contributo del Comune di Gonars, uno straordinario studio sul campo di concentramento fascista di quel paese, ricostruendo tutta la storia della "pulizia etnica all'italiana" in Slovenia e in Croazia.
    Spiega la Kersevan: "Ho lavorato per 15 anni negli archivi sloveni a Lubiana, all'archivio di Stato di Udine e in quelli dell'Esercito italiano a Roma. Gonars è una faccenda tutta italiana. Tra il 1942 e il '43 vennero internate migliaia di persone, rastrellate dall'Esercito italiano, donne, vecchi, bambini. Quasi 500 morirono in pochi mesi".
    Ma Gonars, come le altre decine di campi di concentramento fascisti, rimase invisibile nell'Italia del dopoguerra. Spiega il professor Spartaco Capogreco, docente alla facoltà di Scienze politiche dell'Università della Calabria, il maggior esperto dei campi di concentramento fascisti, di cui a febbraio uscirà per Einaudi il volume I campi del Duce: "È una storia di minimizzazioni e amnesie, che hanno offuscato gravi e precise responsabilità e che hanno contribuito all'affermazione di un pregiudizio, quello della naturale bontà del soldato italiano. Va anche rilevato il potente effetto assolutorio di Auschwitz nei confronti degli altri campi di concentramento. Ma ciò non giustifica l'oblio, né della politica di internamento fascista né della pulizia etnica all'italiana".
    Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1942, Roatta, Robotti e Grazioli fanno circondare Lubiana con reticolati di filo spinato: la città diventa così un immenso campo di concentramento. Robotti spiega al Duce il suo "metodo deciso": "Gli uomini sono nulla", e comunica la sua intenzione di "arrestare in blocco gli studenti di Lubiana". I rastrellamenti sono operati dai Granatieri di Sardegna. Il generale Orlando, comandante della divisione, prevede lo sgombero delle persone "prescindendo dalla loro colpevolezza".
    Alla fine di giugno Orlando comunica che con l'arresto di "5.858 persone si è tolto dalla circolazione un quarto della popolazione civile di Lubiana". Scrive il tenente dei Carabinieri Giovanni De Filippis in un promemoria che Alessandra Kersevan ha rintracciato a Roma: "Continua caotico e disorientato il procedimento dei fermi... La popolazione vive in uno stato di vero incubo".
    La filosofia della pulizia etnica era stata indicata nella circolare "3C" del generale Roatta: "Internamento di intere famiglie, uso di ostaggi, distruzione di abitati e confisca di beni".

    "Internamento di massa"


    Il 24 agosto 1942 Grazioli prospettava al ministero dell'Interno "l'internamento di massa della popolazione slovena" e la sua "sostituzione con la popolazione italiana". Robotti spiega ai comandanti: "Non importa se all'interrogatorio si ha la sensazione di persone innocue. Quindi sgombero totalitario. Dove passate, levatevi dai piedi tutta la gente che può spararci nella schiena. Non vi preoccupate dei disagi della popolazione. Questo stato di cose l'ha voluto lei, quindi paghi".
    In un altro rapporto, Robotti lamentava: "Si ammazza troppo poco". Roatta raccomandava l'uso dell'aviazione e dei lanciafiamme per distruggere i paesi.
    Il campo di Gonars, allestito per gli arrestati sloveni, in poche settimane è pieno. In estate viene approntato in fretta e furia il campo di tende sull'isola di Rab: donne, vecchi e bambini sono ospitati in condizioni disumane.
    Il vescovo di Krk, monsignor Srebnic, il 5 agosto 1943 in una lettera al Papa parlerà di più di "1.200 internati morti". Alla fine del 1942 il sottosegretario all'Interno Buffarini dà notizia al Duce che "50.000 elementi sloveni" sono stati internati in Italia.
    Nell'autunno 1942 la diocesi di Lubiana fa arrivare alla Santa Sede un documento dal tono molto preoccupato, che chiedeva interventi per evitare che i campi "diventino accampamenti di morte e di sterminio". Il Vaticano la inoltra al ministero dell'Interno fascista. Risponde proprio il generale Roatta, minimizzando la situazione, contestando i dati e rimproverando il Vaticano: "Molte delle lagnanze affacciate dal Vaticano sono destituite di fondamento. I comandi militari non hanno bisogno di suggerimenti per quanto riguarda i doveri di umanità".
    Più volte la Chiesa cattolica interviene a favore degli internati sloveni nel campo di Gonars, che alla fine del 1942 sono oltre 6.000. I vescovi di Lubiana, Rozman, di Gorizia, Margotti, e di Krk, Srebnic, sollecitano un'iniziativa della Santa Sede. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Luigi Maglione, invia a Gonars il nunzio apostolico in Italia Borgoncini-Duca, il quale però non riesce a capire le reali condizioni di vita e scrive che "il vitto non manca e l'acqua è abbondante".
    Altre testimonianze raccolte da Alessandra Kersevan sono assai diverse. Il segretario dell'arcivescovo di Zagabria Stepinac, don Lackovic, nel '43 denuncia alla Croce Rossa italiana che a "Gonars si trovano oltre 4.000 croati, in maggioranza donne e bambine che soffrono molto e muoiono in gran numero". Il salesiano padre Tomec descrive al Comitato di assistenza di Gorizia la terribile situazione di Gonars in una lunga relazione: "La gente muore di fame. La minestra è acqua nella quale nuotano due chicchi di riso e due maccheroni". E chiede la possibilità di inviare pacchi di viveri ai prigionieri.
    Il 27 marzo 1943 il prefetto di Udine impone all'Autorità ecclesiastica di bloccare i pacchi per evitare che "aiuti siano prodigati a una razza siffatta che non ha mai nutrito, né nutre, sentimenti favorevoli all'Italia". E a Lubiana Grazioli ordina di "far cessare ogni assistenza in favore degli internati".

    Punizioni, torture, orrore


    Slavko Malnar, ex internato a Gonars, ha raccontato alla Kersevan: "Avevo 6 anni e pesavo 13 chili. Con altri bambini cercavamo il cibo nei bidoni della spazzatura. Se trovavamo qualche grosso osso lo spaccavamo per succhiare il midollo. Mia madre era incinta. Mio fratellino è nato il 3 febbraio 1943. È morto qualche mese dopo". Poi c'erano le punizioni, le torture, insomma, l'orrore di ogni campo di concentramento.
    Oggi non c'è più traccia del campo di Gonars. Nel cimitero del paese sono sepolti 400 internati, ricordati da un grande sacrario costruito nel 1973.
    Spiega il sindaco Ivan Cignola: "Ricordare la tragedia e riconoscerne le responsabilità italiane non è solo un problema storico, ma anche di sensibilità civile". Tutti i protagonisti di questa vicenda non sono mai stati incriminati: Emilio Grazioli venne arrestato dopo la guerra per due eccidi commessi in provincia di Ravenna. Le accuse circa il suo operato a Lubiana non vennero menzionate. Tornato subito in libertà, sparì.
    Dei vari comandanti del campo di Gonars solo l'ultimo, il capitano Macchi, noto per la sua ferocia, venne ucciso dai partigiani nel 1944. Il generale Robotti è morto ed è stato dimenticato.
    Il generale Roatta riparò in Spagna. Poi usufruì di un'amnistia. Una sua foto è tuttora appesa alle pareti dell'Archivio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
    http://www.zmag.org/Italy/bobbio-pul...a-italiana.htm

  6. #6
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    interessante articolo che va letto

    La memoria delle foibe in Istria: intervista a Giacomo Scotti

    10.02.2005 scrive Andrea Rossini

    Un clima di nazionalismo insopportabile sta inquinando i rapporti tra Italiani, Croati e Sloveni. Giacomo Scotti, giornalista e scrittore di Fiume/Rijeka, racconta il clima di questi giorni e nella propria analisi contestualizza i fatti storici per i quali oggi in Italia si celebra il giorno del ricordo. Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista realizzata in collaborazione con Radio Onda d'Urto


    Osservatorio sui Balcani: Cosa furono le foibe e quante furono le vittime delle violenze avvenute tra il '43 e il '47 a Trieste, in Istria e Dalmazia?

    Giacomo Scotti: Oggi il termine di infoibati viene esteso a tutti quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri con i partigiani nel territorio dell'ex Venezia Giulia, quindi Istria e Quarnero. Qualche centinaio di loro morì di stenti, o di malattie nei campi di prigionia nei dintorni di Ljubljana, e anche questi vengono messi tra gli infoibati. I veri infoibati che sono stati fucilati e i cui corpi sono stati gettati nelle foibe sono verosimilmente alcune centinaia. La storiografia dell'estrema destra parla tuttavia di parecchie migliaia.

    Osservatorio sui Balcani: In Italia si parla per l'appunto di una cifra che arriva in certi casi alle 10.000 persone e oltre. Questa cifra dunque secondo te non è corretta?

    Giacomo Scotti: Non secondo me ma secondo gli storici triestini che potremmo definire di centro, come Galliano Fogar, e perfino secondo alcuni esuli istriani, come per esempio l'ex sindaco di Trieste, che hanno scritto libri sull'argomento. Ci sono state due fasi. Dopo la capitolazione italiana dell'8 settembre 1943 in Istria c'è stata una sollevazione, un'insurrezione di contadini che hanno assalito i Municipi, hanno assalito anche le case dei fascisti, di coloro che facevano parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale, degli agenti dell'OVRA (la polizia segreta fascista, ndr) ammazzandone parecchi nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe. L'insurrezione istriana durò dal settembre fino al 4 ottobre del '43, quindi circa 30 giorni. Dopo sono arrivati i Tedeschi e hanno messo a ferro e fuoco l'Istria. Le vittime dell'insurrezione erano per la maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono andati di mezzo anche degli innocenti, ci sono state rese di conti fra gente che aveva dei conti da regolare. Tuttavia non si può parlare di odio antiitaliano, in un certo senso non si facevano distinzioni. Prima ancora che calassero le grosse divisioni tedesche in Istria, i comandi italiani di Pola, ad esempio, avevano consegnato ad un battaglione di Tedeschi di 350 uomini una guarnigione di 15.000 soldati. I Tedeschi avevano messo questa gente nei vagoni per deportarli in Germania. I partigiani slavi, partigiani per modo di dire, questi insorti che avevano preso i fucili gettati via dalle truppe italiane oppure i propri fucili da caccia, hanno atteso questi convogli diretti in Germania nella stazione di Pisino, nel cuore dell'Istria, assalendo due treni e liberando circa 3.000 marinai italiani, cadetti. Migliaia e migliaia di soldati italiani, non solamente di stanza in Istria ma anche provenienti dalla Croazia, disarmati, dopo l'8 settembre, che attraversavano l'Istria interna per andare a Trieste, non quella costiera, popolata in gran parte da popolazione italiana, ma l'Istria interna popolata quasi esclusivamente da popolazioni slave, sono stati accolti e rifocillati da queste popolazioni, che li hanno protetti per non essere presi dai Tedeschi che nel frattempo, ad ottobre, erano calati in gran numero da Gorizia e dal Brennero. Ci sono anche documenti, anche per esempio dell'episcopato di Trieste, che attestano questa solidarietà, quindi è falso sostenere che tutte le vittime erano italiane e che dall'altra parte c'erano solo i barbari slavi.

    Osservatorio sui Balcani: Nel maggio '45 i partigiani jugoslavi occuparono Trieste. Quei 40 giorni vengono considerati e raccontati come il culmine delle violenze antitaliane. Come va inquadrato quel periodo?

    Giacomo Scotti: In Istria la caccia al fascista avvenne in quei trenta giorni del settembre, e poi non si è ripetuta più. A Trieste invece è avvenuta la seconda fase, quella appunto dei 45 giorni. Qui ci sono stati effettivamente episodi di pulizia etnica perché la cosiddetta guardia popolare - di cui facevano parte tra l'altro moltissimi Italiani, triestini, goriziani e friulani – e che a Trieste dava la caccia ai gerarchi, ai fascisti, ha colpito anche molti antifascisti la cui colpa era quella di battersi perché Trieste restasse italiana. Da una parte c'era l'idea di molti combattenti di costruire il socialismo fino all'Isonzo, però c'era anche molto nazionalismo da parte delle truppe di Tito arrivate a Trieste, che erano per la gran parte truppe della Quarta Armata, Dalmati. Erano circa 12.000 partigiani, anche se non si poteva più parlare di partigiani perché l'esercito cosiddetto partigiano era un esercito dei più potenti, che aveva ormai 800.000 uomini ben armati. Inoltre c'erano alcuni reparti del Nono Corpus sloveno, quindi uomini che avevano direttamente subito angherie dal fascismo. Non dimentichiamo che il fascismo oltre ad essersi annessi circa 600.000 Croati e Sloveni dopo la prima guerra mondiale, nella seconda guerra mondiale aveva occupato e si era annesso una parte della Slovenia, creando la provincia di Ljubljana, territori dove non c'era un solo Italiano. Anche una parte della Dalmazia era stata annessa dopo il 6 aprile '41 all'Italia, era stata occupata e migliaia e migliaia di Dalmati Croati sono finiti nei ben 109 campi di concentramento in Italia. Quindi c'era rabbia, c'è stata anche vendetta, un revanscismo da parte di questi soldati e sono stati commessi crimini. Ho trovato un documento in questo senso, un telegramma di Tito inviato al comandante jugoslavo della piazzaforte di Trieste che viene rimproverato aspramente per non aver saputo controllare e moderare questo regime di occupazione, togliendogli addirittura il comando. Quanti siano stati i cosiddetti infoibati in questa fase non saprei dirlo non avendo studiato il problema direttamente, io mi sono occupato nei miei libri della storia istriana, però stando a storici triestini come Galliano Fogar che era un azionista, oppure Raoul Pupo, oggi professore universitario, si tratta anche là di alcune centinaia di persone finite nella foiba di Basovizza, che ora è diventata monumento nazionale italiano. Di fronte a queste vittime bisogna certamente inchinarsi. Però bisogna anche dire che quelli che parlano di 10.000 o 20.000 infoibati infangano le vere vittime perché con le menzogne finisce che la verità viene coperta e anche chi dice il vero non viene creduto.

    Osservatorio sui Balcani: Dopo queste violenze ci fu l'esodo da Istria e Dalmazia. In questo caso si parla di 350.000 Italiani che sarebbero partiti dopo il '45. Si tratta di cifre attendibili?

    Giacomo Scotti: L'esodo complessivo dall'Istria e dalla Dalmazia e da tutte le terre che sono state date alla Jugoslavia in virtù del trattato di pace del '47 e della sconfitta purtroppo dell'Italia, dopo l'avventura nella quale l'aveva precipitata il fascismo, è stato di 240.000 persone. Negli ultimi dieci anni alcuni storici seri hanno studiato questa questione, dopo il crollo del comunismo, tra di loro addirittura uno storico anticomunista, Zeljavic. Sono andati negli archivi, hanno preso i registri dello stato civile che ogni comune nelle cosiddette province italiane dell'Istria e della Dalmazia aveva, facendo ricerca. La Dalmazia in definitiva era Zara, una città di 20.000 abitanti sotto l'Italia, una piccola enclave. C'erano poi la provincia di Fiume, che aveva tre comuni, con circa 50.000 abitanti, e la provincia di Pola, che ne aveva 300 e poco più. Se veramente fossero 350.000 gli esiliati, sarebbero il 90% della popolazione che viveva in quelle zone, compresi i Croati, e invece secondo il censimento fatto dieci anni dopo la fine della guerra c'erano ancora 180.000 Croati presenti e oggi, a 60 anni dalla fine della guerra, ci sono ancora 35.000 Italiani. Questi storici hanno preso in mano i registri dello stato civile e i registri delle Questure, che sotto l'Italia erano precisissimi segnalando addirittura chi era ebreo, chi era ariano, chi non ariano, chi era antifascista ecc. Sono dati italiani, dello Stato italiano che in base al trattato di pace l'Italia ha dovuto restituire alla Jugoslavia come preda di guerra. Nell'esodo inoltre sono scappate moltissime persone che non erano italiane, 20.000 Croati soltanto dall'Istria, perché non volevano il comunismo, non volevano restare sotto Tito. Molti Istriani poi, ad esempio, che lavoravano come ferrovieri a Trieste e in Italia e non volevano perdere il posto di lavoro, se ne sono andati. Ci sono molti motivi diversi, ma alla fine sono partite 240.000 persone. Tra queste c'erano, veniamo alle cifre, 44.000 funzionari che erano venuti dall'Italia negli ultimi 18 anni di presenza italiana in Istria, maestri elementari, insegnanti, questurini, carabinieri, finanza ecc. che si iscrivevano nelle liste della cittadinanza ma non erano autoctoni istriani o dalmati o fiumani. Non li voglio certamente togliere, ma questi erano 44.000. C'erano poi 20.000 Croati. Quindi quando si parla di Italiani bisogna fare attenzione. Parliamo degli Istriani, di qualsiasi nazionalità, non erano soltanto Italiani i profughi.

    Osservatorio sui Balcani: Tu hai seguito un percorso contrario a quello di cui stiamo parlando, recandoti a vivere in Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale. Negli anni recenti per l'impegno pacifista che hai intrapreso nel corso delle guerre in ex Jugoslavia degli anni '90 e anche in ragione della tua nazionalità italiana hai trascorso anni difficili… Come ti appresti a vivere questa giornata che in Italia è stata ufficialmente definita del ricordo, il 10 febbraio?

    Giacomo Scotti: Io e molti altri, quasi tutti gli Italiani qui, stiamo vivendo questi giorni con molto disagio, ci sentiamo veramente avviliti. Le destre, ovunque, i nazionalismi, ad esempio il nazionalismo dei dieci anni di Tudjman, durante il quale hanno cercato addirittura di chiuderci le scuole italiane, ci hanno perseguitato, ed ora questo nazionalismo da parte italiana, che è un'euforia insopportabile, con questi film che dicono menzogne, queste cifre che dicono menzogne, queste parate, ci avviliscono… Questi nostri vicini, amici con i quali viviamo qui nell'Istria, a Fiume, questi Croati, ci dicono: "Noi che abbiamo subìto un'aggressione durante la guerra, abbiamo subìto 360.000 morti dall'occupazione italiana, abbiamo subìto i campi di concentramento italiani… Invece di chiederci perdono ci attaccate ormai continuamente…" Come può fare un Italiano che vive qua a guardare in faccia questa gente? Con la quale ogni giorno vive? Dopo la morte di Tudjman di nuovo si era creato un clima di tolleranza, un clima di convivenza pacifica… Invece di dare agli esuli che hanno sofferto quella soddisfazione di essere ricordati al di sopra degli odi, al di sopra dei rancori, ora in Italia si sfrutta questa giornata per fare una campagna tremenda… Mi basta vedere la televisione, leggere i giornali – qui arriva il Piccolo di Trieste – per esempio il Piccolo ieri diceva che alla sala Tripcovich di Trieste è stato presentato questo film sulle foibe…

    Osservatorio sui Balcani: La fiction di Rai Uno, Il cuore nel pozzo?


    Giacomo Scotti: Sì. Tutta la platea era formata soltanto da aderenti al Fronte della Gioventù, della Fiamma Tricolore, e di Alleanza Nazionale. Voi sapete benissimo che a Trieste Alleanza Nazionale non è quella di Fini, si vantano di essere i picchiatori di Via Paduina, insomma sono rimasti sempre i soliti. Ebbene a un certo punto un soldato, un repubblichino prende la pistola e ammazza due persone, due partigiani, li ammazza dicendo che con questo vuole evitare che la sua fidanzata venga uccisa da loro. Ebbene è scoppiato un applauso, di fronte alla morte di questi due partigiani, di questi due slavi, è scoppiato un applauso irrefrenabile. Quando uno Sloveno, esponente della minoranza slovena di Trieste, ha cercato di entrare nella sala per protestare, lo hanno preso per il collo gridando alla polizia italiana: "Buttate fuori questa gentaglia." Ecco questo è il clima che si è creato a Trieste e già da molti giorni… Il giorno della memoria viene celebrato il 10 febbraio, non ci siamo ancora ma è già un'ubriacatura di odio, di revanscismo, dove vogliamo arrivare con queste cose? La stampa di qui riporta queste cose. Oggi per esempio (5 febbraio, ndr) il Novi List di Fiume, che è il giornale a più grande tiratura in Croazia, titola: "Tutti gli italiani vittime, solo noi Croati e Sloveni siamo stati i carnefici."

    Osservatorio sui Balcani: Nelle settimane scorse, in Croazia, c'è stato un attentato dinamitardo al monumento di Tito, nella nativa Kumrovec. Allo stesso tempo sono stati eretti [poi rimossi] monumenti ad esponenti ustascia del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia di Ante Pavelic, Budak e Francetic. Nella Croazia del 2005 sono ancora forti i movimenti e le tendenze di estrema destra?

    Giacomo Scotti: La risposta te la posso dare citando i risultati delle recentissime elezioni presidenziali. A destra della candidata dell'HDZ si è schierato uno che ai tempi di Tudjman era tra i massimi esponenti dell'HDZ, un erzegovese, Ivic Pasalic, presentandosi come capo del Blocco Croato, che ha raccolto tutte le sedici associazioni degli ex combattenti della cosiddetta Guerra Patriottica, gli ustascia, insomma la crema della destra in camicia nera. Ha ottenuto solo lo 0.5% dei voti. Questa è la destra ustascia neofascista oggi in Croazia. Però è una destra che ha ancora appoggi nei servizi segreti del governo, l'HDZ non ha fatto pulizia nei suoi ranghi, ancora la polizia segreta tudjmaniana tira le fila nel sottosuolo. Tutti sanno dove si trova Gotovina [il generale ricercato dal Tribunale dell'Aja, ndr], ma nessuno lo va a prendere, la Croazia è diventata ostaggio di un cosiddetto eroe che sta facendo soffrire le pene dell'inferno alla Croazia che non può entrare in Europa finchè lui è latitante. Ma tutti questi alla fine raccolgono solo lo 0,5% dei voti, quindi la Croazia non è fascista, i fascisti sono pochi, però sono terroristi, mettono le bombe sotto i monumenti, provocano, sono una piccola minoranza di terroristi.

    http://www.osservatoriobalcani.org/a...iew/3884/1/67/

  7. #7
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    http://www.youtube.com/watch?v=X2eNIonq3ko

    Un ottimo video,Ben documentato e anche con delle critiche(A dispetto di chi aumenta il numero delle vittime come se non fosse nulla)


    Attenzione:Contiene immagini molto violente.

  8. #8
    Kether è Malkuth del NM
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    Prove di esportazione della civiltà italiana all'estero:


  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da Palvesario Visualizza Messaggio
    Prove di esportazione della civiltà italiana all'estero:

    Tipico delle civiltà superiori non c'è dubbio.

  10. #10
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    Altro che giornata del Ricordo.In 5 minuti di video c'è da disgustarsi dell'essere italiano e odiare con tutto il cuore il morbo fascista.

 

 
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