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    repubblicano
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    Question Dies Iri - Storia sull'I.R.I. negli anni della gestione Prodi



    Cari amici repubblicani, non è molto che ho iniziato a scrivere su questo forum e spigolando nella rete ho trovato questa interessante storia sull'IRI negli anni della gestione Prodi, che volevo regalarvi:

    (Prima Puntata – Come ti risano un Ente giocando coi bilanci)

    In un delizioso documentino rintracciato su retecivica, l’Aquila di Scandiano passa in rassegna, in modo piuttosto generico, la sua esperienza alla guida dell’IRI.

    Ne trae lusinghieri giudizi sul suo operato pur senza mancare, da gran signore, di riconoscere che i meriti di questa indimenticabile stagione di successi debbano essere estesi a tutti i suoi collaboratori (presumo anche gli uscieri) e ammettendo che, alle grandi imprese, serve anche “un pizzico di fortuna”.

    Quella che non abbiamo avuto noi nell’averlo conservato così a lungo in quella posizione. Il succo del discorso, senza voler fare anticipazioni per non rovinare la sorpresa, è che l’Aquila avrebbe preso il comando di un rottame (cosa vera) per lasciarne la guida solo dopo averlo trasformato nel migliore esempio di Impresa di Stato del mondo intero (cosa meno vera).

    Gli esordi non sono dei migliori:
    “[omissis]...le azioni prontamente impostate non hanno consentito di riequilibrare i conti nel biennio 1983-84, che hanno presentato pertanto perdite rilevantissime, in presenza peraltro di ammortamenti via via crescenti come conseguenza dell’adozione di aliquote più consistenti.”

    Attenzione, perché il passo è importante e costituisce una delle principali azioni del “conducator” nell’intero periodo. Per chi, come me, non ha grande dimestichezza con i bilanci, incrementare le aliquote di ammortamento significa generare costi non monetari (cioè non effettivamente sborsati) che restano, di fatto, nelle disponibilità liquide dell’azienda.

    Risultato: si creano perdite contabili, ma si aumentano i quattrini disponibili in bilancio. Tanto è vero che la normativa in tema di contabilità pubblica consente, in molti casi, di utilizzare le quote di ammortamento per finanziare altre spese: considerando l’aumento delle disponibilità liquide (indirettamente affermato) e il permanere di perdite rilevantissime, rimane difficile capire cosa si intenda per “riequilibrio dei conti”.

    Ma si chiarisce altrove: nell’85, grazie alla diminuzione degli oneri finanziari (ma non è merito di Prodi visto che in quello stesso periodo i tassi di interesse sul mercato finanziario calano drasticamente per tutti) e alle risorse “generate” dalla politica di ammortamento, le fonti di finanziamento interne arrivano a coprire il 64% del fabbisogno contro il 13% dell’82 (ma per il 23% derivano dalla vendita di titoli e di immobili).

    In compenso, salgono i debiti: da 36.500 miliardi nell’82 a 40.400 miliardi nell’85.

    In sintesi, per mettere il vestito della festa all’IRI, Prodi aumenta i costi che non paga, vende titoli e immobili, si gode il calo degli interessi e si indebita. Ma non basta: nel 1985 Prodi annuncia al mondo il ritorno all’utile del Gruppo per ben 12,4 miliardi.

    Nello stesso anno, la Corte dei Conti (ancora lei?) scrive:
    Il complessivo risultato di gestione dell’Istituto per il 1985, cui concorrono... sia il saldo del conto profitti e perdite sia gli utili e le perdite di natura patrimoniale, corrisponde a una perdita di 980,2 miliardi, che si raffronta [aggiunge n.d.r.] a quella di 2.737 miliardi consuntivata nel 1984”.

    Caspita! Allora, gli utili Prodi come li conta? Li conta con il trucco che, sinteticamente, si può così rassumere:
    Va peraltro tenuto conto che l’articolo 20 dello Statuto dell’Iri prevede che le plusvalenze realizzate su partecipazioni non affluiscano al conto economico dell’Istituto e le perdite per svalutazioni di partecipazioni (registrate sotto la voce “perdite patrimoniali”) analogamente non vi affluiscano. Nell’intenzione dei redattori di quello statuto, che risale al 1948, si volevano separare gli andamenti gestionali ordinari dell’Istituto dagli accadimenti straordinari relativi alle plusvalenze o minusvalenze realizzate su partecipazioni, in maniera da consentire al potere pubblico e al Parlamento un più facile riscontro.“[sono parole di Prodi].

    Cosa significano, in soldini? Significano più o meno che, visto che all’attivo non vanno le plusvalenze sulle partecipazioni - che non ci sono -, allora al passivo non metto le minusvalenze - che, invece, ci sono.

    Sono quelle della siderurgia e fanno circa 3.600 miliardi, cioè 980,2 miliardi (perdita ’85) + 2.737 (perdita ’84) = 3.717,2 (perdita totale, più o meno). Ma siccome non si registrano queste quisquilie per non confondere gli asini del Parlamento, le stesse vengono accantonate perché si prevede che la liquidazione della Finsider, forse, ma dico forse, costerà qualcosina.

    Alla fine saranno 1.000 miliardi in più del previsto, ma è colpa delle rivalutazioni (sic!). Eppure, sempre nell’85, Prodi esalta l’utile di 660 miliardi del comparto industriale e sottolinea che è stato ottenuto per
    “…la prima volta un saldo positivo ma indica che il processo di risanamento, con particolare riferimento alla siderurgia deve considerarsi avviato a soluzione e il suo completamento potrà portare nel 1989 ulteriori positivi effetti sui risultati economici” [sono sempre parole di Prodi].

    Vediamoli, allora, i positivi risultati economici:

    1. i debiti salgono da 36.500 miliardi nell’82 a 43.911 miliardi nel 1988 (+ 30% brillante, eh?)

    2. il patrimonio netto cala da 3.175 miliardi dell’82 a 1.138 miliardi nell’88 (più che dimezzato, brillante, eh?);

    3. gli utili, stante il personale criterio di calcolo dell’Aquila, è meglio non contarli (tanto, non ce ne sono).

    Ma c’è di più. Paolo Cirino Pomicino (i veri amici non si dimenticano mai, tanto è vero che oggi sono ancora alleati) conferma, travestito da Geronimo, che:
    "...la vera abilità di Prodi era quella di intercettare i soldi dello Stato: dalla nascita dell’IRI, dei 25.800 miliardi sganciati dallo Stato, Prodi ne ha beccati 17.500".

    E come li considera questi fondi il nostro Presidente? Beh, visto che l’IRI è di Stato e che i soldi vengono dalla Stato, di fatto non sono debiti, ma sono poste di bilancio assimilabili ai mezzi propri (cioè dell’IRI).

    Invece, erano dei cittadini che pagavano le tasse. Per chiudere, va ricordato che Prodi divenne Re dell’IRI per volere di De Mita (che ce lo mise per bilanciare il potere di Craxi, ma se ne parlerà altrove) e ricambiò il favore con grande zelo.

    Procedette a ben 170 nomine, 93 delle quali destinate a democristiani di sinistra. Un vizietto che si porterà appresso anche alla guida della Commissione Europea, ma questa è un’altra storia.

    http://scheggedivetro.blogosfere.it/...ies-iri-1.html

  2. #2
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    (Seconda puntata – Sopra la banca, la capra campa. Sotto la banca, la capra crepa)


    L’IRI controlla e/o possiede un sacco di banche: le tre di interesse nazionale:

    1. Banca Commerciale Italiana – COMIT;

    2. Credito Italiano – CREDIT;

    3. Banca di Roma e relative galassie di banche minori.

    Più altre in ordine sparso, tra cui il Banco di Santo Spirito che gravita nell’orbita di Andreotti. Dopo lunghe notti insonni (i grandi managers trascorrono sempre lunghe notti insonni ad occuparsi dei problemi fondamentali del Paese), Romano Prodi pensa che sia giunta l’ora di creare un bel polo bancario al centro sud che faccia da contrappeso al potere refrattario alle ingerenze "esterne" di CREDIT e COMIT che spadroneggiano al nord.

    L’idea è quella di scorporare la Banca Centrosud dal Banco di Roma e di fonderla con il Banco di Santo Spirito: sono due banche piccole (la Centrosud ha 43 sportelli) e ne ricaverebbero entrambe un beneficio. In realtà, il progetto presentato dall’Aquila di Scandiano è un piano diversivo: prima ancora di presentarsi all’IRI con il progetto, con una trattativa privata (vietata) ha già raggiunto un accordo preliminare con Citibank (che si trova in area Bilderberg, ne riparleremo) alla quale ha venduto la Centrosud.

    Il PCI si incazza e una ventina dei suoi parlamentari presentano un’interpellanza nella quale si adombra la possibilità che ci sia stato un giro di mazzette da 100 miliardi. La cosa finisce in niente perché, probabilmente, si tratta solo di una forma di pressione. Infatti, Prodi vende con altrettanta tempestività anche il Banco di Santo Spirito.

    E qui, i comunisti o sapevano, o avevano avuto qualche intuizione perché alla trattativa per l’acquisto (non è chiaro in quali tempi) partecipa anche il Monte dei Paschi di Siena (area PCI) offrendo la bellezza di 800 miliardi. Tutto è bene quel che finisce bene, si potrebbe pensare.

    E invece, Prodi vende il Santo Spirito al Banco di Roma per 500 miliardi! Perché, se proprio Andreotti deve cedere l’orto, meglio a De Mita che ai rossi bolscevichi, anche a costo che lo Stato ci perda 300 miliardi (quasi il 40%).

    Inutile dire che il PCI si incazza nuovamente, ma stavolta di più: Visco e Bassanini ci vanno pesante e accusano Prodi di aver svenduto ai mafiosi (entrambi diventeranno Ministri di Prodi). La procedura, effettivamente, qualcosa di poco chiaro ce l’ha (tocca dar loro ragione!), specie se si considera un fatto particolarmente curioso, e cioè la tempistica di definizione del prezzo.

    D’accordo, mi si dirà, tra amici non si può essere troppo pignoli, ma firmare un accordo di vendita che, alla voce “prezzo” riporta una dicitura sintetizzabile in: “entro 15 giorni le parti affideranno ad una società di consulenza internazionale l’incarico di fare la valutazione e il risultato sarà il prezzo di vendita” mi sembra un po’ troppo.

    Evidentemente i rapporti tra Prodi e Geronzi erano davvero buoni e quest’ultimo avrà deciso di assecondare la passione di Romanone per le consulenze esterne. I piccoli azionisti del Santo Spirito (ancora piccoli azionisti che ci rimettono, eh? Che ci sia qualche similitudine con vicende recenti?) si costituiscono in comitato e denunciano Prodi per aggiotaggio, peculato, e falso in bilancio.

    La denuncia arriva sul tavolo del pm Giudiceandrea che si trova immediatamente in grave imbarazzo. Non tanto per la denuncia, ma perché gli accade di essere uno di quelli che occupa qualche centinaio di metri quadri di appartamento a Palazzo Blumensthil (dicono affrescati, stuccati e arredati con caminetti in marmo) pagando la folle somma di lire 200.000 mensili per l’affitto. Avrà pensato che mettere le mani in quel vespaio, probabilmente, gli avrebbe imposto di cambiare alloggio e di trovarsi costretto ad optare per una dimora meno adatta alle serate di gala.

    Per evitare problemi, passa il fascicolo ad un altro pm, Giancarlo Armati. Che abita in un appartamento di minor rappresentanza (evidentemente), ma ha un fratello che ricopre un’altissima carica. Dove? Chiunque osi rispondere:”al Banco di Santo Spirito” si becca subito l’epiteto di persona maligna e votata alla dietrologia, anche se ha indovinato. Con la dovuta calma, il fascicolo lo stanno ancora cercando…… (e con le Banche non abbiamo finito)

    http://scheggedivetro.blogosfere.it/...ies-iri-2.html

  3. #3
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    (Terza puntata – Romano, a “Cuccia”!)


    Alla fine della scorsa puntata, ci siamo lasciati con l’Aquila di Scandiano che fa il gioco delle tre tavolette un po’ dove capita: in Consiglio di Amministrazione dell’IRI, in Parlamento e in qualsiasi altro posto gli capiti a tiro. Per agevolare la visione, tocca mandare in onda una puntata che si riferisce ai tempi del secondo mandato di Prodi all’IRI (1993-1994) e che ha per protagonista, ancora una volta, due cessioni bancarie.

    Stavolta, però, non si sta giocando con le banchette dei bambini, si piazzano sul mercato (?) niente meno che Banca Commerciale Italiana e Credito Italiano, due delle banche di interesse nazionale. L’Aquila di Scandiano, dall’alto del trono di Presidente IRI di ritorno (Nobili, che lo ha preceduto, si è dovuto assentare), lancia proclami pubblici sul come egli voglia privatizzare le banche. Ha in mente l’azionariato popolare, la proprietà diffusa a tutto campo, ed entra in rotta di collisione con il Ministro dell'Industria Paolo Savona. Quest’ultimo, invece, è sì per la proprietà diffusa, ma con il sistema del nocciolo duro.

    Nei fatti, però, la battaglia vera si gioca su altri fronti. Si tratta di scegliere in quali alleanze internazionali debba entrare l’Italia del credito. Prodi, l’unico che non ci ha capito una mazza, si è già guardato attorno nel tentativo (tu guarda? Sarà mica che ha il vizio?) di chiudere l’operazione “fuori sacco con una cessione lampo ad un grande investitore europeo. Ma il mercato internazionale, che ha mangiato la foglia da tempo, sa bene che le decisioni su chi sarà il vincitore, quando non si chiudono i blitz di Prodi, si prendono altrove. Da Romanone, in questi casi, si passa per il regalino sul prezzo. E quindi, visto che in Italia non c’è nessuno che abbia la forza (o la voglia) di correre da solo e chiudere l’operazione, il blitz non avrà possibilità di riuscire.

    A questo punto, il vero protagonista della vicenda diventa Enrico Cuccia, uno che dall’Ufficio Studi del CREDIT ha fatto strada e adesso controlla Mediobanca.

    Mediobanca è controllata a sua volta dalle tre BIN (35% per uno a CREDIT e COMIT, 30% al Banco di Roma) per cui il gentile vecchietto si trova di fronte ad un bivio. Se lo Stato cede CREDIT e COMIT, o chiude o si compra una banca. Cuccia, che i soldi li prende indirettamente dallo Stato via i suoi controllori, ha l’idea del secolo. “COMIT e CREDIT me le compro io e la facciamo finita!” – avrà certamente pensato.

    I soldi, però, non ce li ha. Almeno, non tanti quanti ce ne vorrebbero per un’acquisizione vera. Quindi, si rivolge alla sua rete di contatti politici per far passare sopra la testa del Capo dell’IRI la decisione di privatizzare con lo schema del tetto massimo di possesso delle azioni (cioè la proposta di Savona, il nocciolo duro). In sostanza, nessuno degli acquirenti potrà detenere più del 3% delle azioni dell’acquisito.

    Fuori dalle questioni tecniche, cosa significa? Significa che, visto che nessuno può superare quella quota, se si maneggia da dietro e si riunisce in un patto (magari leggermente riservato) quattro o cinque “gruppi amici”, ci si prende il controllo delle banche spendendo anche pochino. E perché dovrebbero starci gli “amici”? Ma è ovvio, perché il Capo dell’IRI non conta un cazzo, prende ordini e li esegue da bravo cagnolino. Ed è talmente vero che, in un Paese normale, il numero uno dell’IRI, di fronte alla sconfessione della sua linea per le privatizzazioni, si sarebbe dimesso.

    Invece, l’Aquila di Scandiano non solo resta saldo sulla poltrona, ma fa anche un bel favore al suo “nemico” di via Filodrammatici. Al momento di vendere, il prezzo delle azioni viene fissato a 2.075 lire per CREDIT (solo un anno prima valevano 3.299 lire), mentre per COMIT lo sconto è inferiore (poco più del 5%, azioni a 5.400 lire).

    Il motivo dello sconto è presto detto: “bisogna favorire i piccoli risparmiatori”. In totale, lo Stato, come direbbe Prodi, incassa rispettivamente 1.081,1 e 2.891. Nei fatti, se si volessero rifare i conti in maniera almeno decente, lo Stato, come direi io, manca di incassare circa 4.000 miliardi.


    E i piccoli risparmiatori? Anche loro hanno goduto dello “sconto”, in fondo. Esatto, ma nella gestione delle banche non contano un accidenti. I Consigli di Amministrazione li fanno Cuccia e i suoi “amici”, gli altri mettono i quattrini. Bello come il sole, Prodi prende signorilmente atto della sconfitta:
    “Su COMIT e CREDIT abbiamo perso [abbiamo chi? Mi viene il sospetto che non si riferisca ai cittadini italiani, ma io sono di parte, n.d.a.], ma il grosso della partita si gioca si gioca sulla STET….” – dichiara a Famiglia Cristiana.
    E mentre lui continua a “giocare” le sue partite, il pubblico pagante assiste attonito, senza un fiato.

    http://scheggedivetro.blogosfere.it/...ies-iri-3.html

  4. #4
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    (Quarta puntata – Ei fu! Siccome “immobile”…)


    Una vicenda poco conosciuta dei passati successi dell’Aquila di Scandiano riguarda la tenuta “Maccarese che (siamo nel 1993) appartiene all’IRI da circa settant’anni. Si tratta di 3.200 – 3.500 ettari di proprietà sparsi nell’agro romano all’interno dei quali trovano alloggio, tra altre cose, un paio di castelli (quello di San Giorgio dei Rospigliosi è del ‘300), una riserva naturale gestita dal WWF e un centro di ricerca biotecnica. L’amena tenuta desta l’attenzione del “privatizzatore” perché, oltre ai nidi di quaglie, la tenuta “ospita” quasi un milione di metri cubi edificabili e c’è aria di affarone.
    Evidentemente, non per l’IRI perché oramai è chiaro che il Professore sta procedendo alla progressiva spoliazione dell’Ente e va regalando a ritta e a manca ciò che viene richiesto. Nel caso di Maccarese le richieste si sprecano e provengono un po’ da tutte le parti, specie perché a livello internazionale le quaglie sono amatissime e i loro destini hanno intenerito moltissime società immobiliari. A testimonianza di questa smisurata passione, una società di consulenza mette tutti d'accordo stimando che il valore della proprietà non sia inferiore a 300 miliardi.
    Ovviamente, Prodi apre immediatamente un’asta pubblica (ahahahahah, c’eravate cascati eh?). No, non scherziamo. L’Aquila di Scandiano, che alla noia delle aste continua a preferire la snellezza operativa degli accordi privati, vende tutto ai Gabellieri (già il nome….), che sono imprenditori del settore. A quanto? Beh, se vale almeno 300 miliardi vuoi non fare uno sconticino? E’ presto fatto: cifra finale 31 miliardi.
    Sotto la bandiera dell’indignazione per le paventate future speculazioni edilizie, sinistra e sindacati insorgono contestando la vendita, le denunce si sprecano e si comincia anche a parlare di tangenti (stavolta, sarebbero 120 miliardi variamente distribuiti). Tanto tuonò che piovve e, subito dopo l’arrivo nelle casse IRI del bonifico dei Gabellieri, un pretore blocca tutto. I palazzinari chiedono la restituzione dei danari, ma li ottengono solo nel 1996 quando, entrati in crisi finanziaria, hanno già perso anche la camicia. Poco male.
    Le acque si calmano e Prodi torna alla carica, ma stavolta più determinato che mai a tagliare il traguardo. Per fare le cose per benino, l’Aquila di Scandiano interessa Geronzi (a volte ritornano) che ha già beneficiato del gentile omaggio del Santo Spirito, per trovare acquirenti. Un altro lavoro estremamente “faticoso”. Si presentano in molti a questa messinscena, ma alcuni hanno già in mano l’Asso di Briscola.
    Caltagirone è quello che fa l’offerta migliore mettendo sul piatto 300 miliardi sebbene la nuova valutazione del complesso sia lievitata a 500. I titolari dell’asso di briscola si risentono: “ma come, cazzo!, avevamo stabilito 200 e via a casa….”. I nostri giocatori col trucco sono i Benetton (anche loro tra i gratificati dall’Aquilotto con GS supermercati e Autogrill, ma se ne disquisirà più avanti). Prodi non si demoralizza e aspetta.
    Aspetta fino al 1998 quando, da Presidente del Consiglio, con il classico colpo di mano alla sua maniera trova un velocissimo accordo con i Benetton e regala definitivamente tutto a 93 miliardi: 207 in meno della prima valutazione (e dell'offerta di Caltagirone), 407 in meno dell’ultima. Ancora proteste e sollevazioni, ma i Benetton sono gli amici giusti. Il centro destra, assieme alle quaglie e all’intero Paese la prende in saccoccia ancora una volta. Vien da pensare che sia davvero uno che ce la può fare……

    http://scheggedivetro.blogosfere.it/...ies-iri-4.html

  5. #5
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    (Quinta puntata – “Egli disse: Io sono l’Alfa e l’Omega…” - Apocalisse 22:13)



    Stando alla citata relazione di Prodi, alla fine dell’85 l’IRI va uscendo dal tunnel delle perdite eterne che ne hanno caratterizzato le gestioni precedenti. Il come, per chi ha seguito le puntate precedenti, è noto. I giorni radiosi, però, non riguardano la gloriosa Alfa Romeo che è in crisi nera da più di un paio di lustri.
    L’Alfa appartiene all’IRI via Finmeccanica e può permettersi di restare attiva soltanto grazie alle robuste iniezioni di fiducia (sotto forma di denari pubblici) che l’IRI dirotta sui bilanci di Arese. Per protestare contro questi sprechi, non si registrano occupazioni degli stabilimenti e nemmeno invasioni pacifiche dell’Autostrada dei Laghi. Allegramente, si tira a campare perché, tanto, passa Pantalone a saldare i conti. Il soggetto meno felice di tutti è il Governo, cioè la rappresentanza di coloro che pagano (i cittadini).
    Si decide, dunque, che sia giunta l’ora di vendere. Finmeccanica si muove e prende contatti sia con Crysler che con FIAT. La risposta è un gentile due di picche, anche perché si tratterebbe di comprare un rottame industriale per di più in perdita cronica. Nel solo biennio 1985 – 1986 le perdite ammontano a circa 1.000 miliardi, ammortizzate parzialmente con 615 miliardi dall’IRI. Ma la voragine effettiva è di 1.485 miliardi e per coprirla ha richiesto 1.388 miliardi complessivi di trasferimenti “pubblici” (a partire dal 1979).
    Come nelle favole, spunta dal nulla un’offerta di acquisto da parte della FORD la quale, probabilmente, ritiene che si possa usare un marchio di grande tradizione e una casa con clienti affezionatissimi per sbarcare in Europa. Anche a costo di doverla strapagare. L’offerta, infatti, è di ben 3.300 miliardi (secondo alcune fonti 4.000) per acquisire gradualmente il pieno controllo entro 8 anni, piano di investimento di 4.000 miliardi per il quadriennio successivo all’acquisto, ottime garanzie per coloro che risultano impiegati nel carrozzone. Unica condizione, restare in società con Finmeccanica per almeno un quadriennio perché è vero che sono americani, che hanno i quattrini, ma non sono scemi. Sanno benissimo che il giorno in cui Finmeccanica uscirà definitivamente salteranno gli interessi della “politica” a sostenere il progetto e la FORD si troverà sola. L’offerta viene formalizzata il 30 settembre del 1986 e resta valida fino al 7 novembre dello stesso anno. Nessuno fiata. Non i sindacati, non il Partito Comunista, non i lavoratori. E’ chiaro che fiatare di fronte a questo autentico colpo di "culo" non conviene a nessuno.
    A nessuno? Invece no, l’Aquila di Scandiano si fa cogliere da uno dei suoi numerosi scrupoli, che sconfinano spesso nell’eccesso di zelo quando si parla di amici, e informa carinamente Romiti dell’offerta ricevuta. Nulla di male, magari lo fa per forzare politicamente la mano alla FIAT e ottenere un rilancio. Che, puntualmente, arriva il 24 di ottobre. Ora, qualunque persona dotata di normale buon senso, all’apertura della busta della FIAT avrebbe avuto un attacco di riso isterico e avrebbe respinto al mittente una controproposta così formulata:


    1. Prezzo di acquisto: 1.050 miliardi, in 5 rate, prima rata nel 1993! (prezzo reale di acquisto tra i 300 e i 400 miliardi);
    2. Investimenti: 4.000 miliardi entro il 1995!;
    3. Posti di lavoro: da tagliare per recuperare competitività!


    Il “pregio” dell’offerta, che in soldoni è molto inferiore a quella americana, è che la FIAT scarica da subito Finmeccanica (magari perché conta di tenersi i conferimenti “pubblici” e perché, al contrario degli americani, i suoi contatti con la politica ce li ha lo stesso).
    Il 6 novembre indovinate un po’ chi si aggiudica l’Alfa Romeo?
    Ma è ovvio, la FIAT! E perché? Perché il piano FIAT è meno rischioso di quello FORD. Così la pensano i soloni dell'economia e della politica italiani. E lo ribadisce nientemeno che la Commissione Europea, sulla base della documentazione fornita dal Governo Italiano (nota bene) poiché sostiene che è si vero che la FORD pagherebbe di più, ma parte del prezzo dipenderà dai risultati futuri del progetto di ristrutturazione aziendale. Quindi, siccome si sa come sono gli italiani, i rischi che finisca in vacca sono elevati. Un autentico capolavoro, specie perché, alla luce dei fatti successivi, il successone FIAT è sotto gli occhi di tutti. Vorrei che non passasse inosservata la citazione “alla luce dei fatti successivi”, perché tornerà di moda quando si parlerà delle sentenze che “assolvono” il nostro Aquilotto.
    Tuttavia la Commissione Europea (stesso link), alla quale la FORD si è rivolta, condanna Finmeccanica (e quindi l’IRI, visto che Finmeccanica paga con soldi non suoi, ma dell’Ente, cioè dello Stato) a restituire i quattrini disinvoltamente ficcati nei bilanci della ormai ex proprietà del Gruppo: 615 miliardi di rimborsi, la condanna più alta mai inflitta fino ad allora per pratiche di aiuto di Stato in violazione alle normative della Comunità. Sarà questo uno dei record di cui Romanone va tanto fiero?

    http://scheggedivetro.blogosfere.it/...ies-iri-5.html

  6. #6
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    (Sesta puntata – “Ho seguito tutte le regole e tutte le procedure e ho agito nell’interesse dello Stato” Romano Prodi, 6 maggio 2003 a “L’Unità”)


    Già. Il problema è che regole e procedure, nella visione dell’Aquilone, non coincidono con le regole e con le procedure stabilite dalla Legge Italiana. Quanto agli interessi dello Stato, ha fatto bene a non precisare “quale Stato”, perché non si tratta sicuramente di quello italiano.
    L’argomento è sempre lo stesso, le privatizzazioni, ma da questa puntata si entra nel vivo degli “affari” più discussi degli ultimi venti anni.
    Il primo è la vendita della famigerata SME, una prima volta oggetto del tentativo di omaggio a Mr. Carlo De Benedetti, poi effettivamente regalata (a pezzetti) in giro per il mondo.
    La SME (Società Meridionale per l’Elettricità) è la finanziaria dell’IRI che opera, come dice il nome stesso, nel settore alimentare. Viene da anni di crisi profondissima, ma, all’altezza dell’anno domini 1984, mostra segnali di inversione di tendenza, soprattutto grazie al momento congiunturale di grande interesse per il settore alimentare.
    In che condizioni economiche si trova effettivamente la SME?
    Prodi dice che è sostanzialmente in passivo e in grande crisi.
    Corre l’obbligo, quindi, di snocciolare alcuni numeri che saranno anche noiosi da leggere, ma sono indubbiamente utili per capire come stessero effettivamente le cose.
    La SME (come gruppo) fatturava oltre 2.500 miliardi con un utile netto di quasi 65 miliardi (dovuti a operazioni straordinarie in gran parte), aveva un patrimonio netto pari a circa 430 miliardi e debiti netti inferiori ai 20 miliardi. Le principali divisioni erano:
    1. GS Supermercati (21 miliardi di utili);
    2. Alivar-Autogrill (30 miliardi);
    3. Italgel (ne riparleremo a parte, 3 miliardi);
    4. Cirio (riparleremo anche di questo, poco meno di un miliardo).
    Più varie ed eventuali. Un gruppo povero? Si direbbe di no. Magari, però, si tratta di un gruppo che ha difficoltà di mercato.
    Dunque, in realtà è:
    A. monopolista nella ristorazione autostradale (Autogrill);
    B. leader di mercato nei settori olio d’oliva (Bertolli) e conserve alimentari (Cirio e De Rica);
    C. secondo operatore nel settore gelati (Motta, Alemagna, Antica Gelateria del Corso) e surgelati (Surgela e Valle degli Orti);
    D. buone posizioni nel settore dei prodotti da forno e dolciario.
    Allora, non ha nemmeno problemi di competitività.
    Benissimo, quindi! Non essendo strategico per le Partecipazioni Statali, si può vendere alla grande e farne bei soldini.
    E qui, ma non è una novità, le prospettive cambiano. L’Aquilotto sostiene (deposizione al Processo SME nel 2001) di aver contattato prima Barilla e poi Ferrero ottenendone due rifiuti. Ora, che sia vero o no, Romanone ammette candidamente che di aste proprio non ne vuol sentire parlare, lui tratta solo nei bar, durante gli happy hours il cui clima sembra essergli più confacente. E i giudici non fanno una piega.
    Ricevuti i due presunti “Non mi interessa”, Prodi pensa (casualmente) che la Buitoni possa essere interessata. In effetti, alla Buitoni interessa perché De Benedetti (che, casualmente, l’ha comprata ben due mesi prima sottraendola alla DANONE ed è anche, casualmente, un acceso “sostenitore” della sinistra democristiana di De Mita) intende diversificare l’attività dal settore informatico (Olivetti).
    Ma chi è l’acquirente designato?
    Buitoni fattura circa 1.000 miliardi, ha perdite per 48, patrimonio netto zero e debiti per 300 miliardi. Ricorda, non so perché, una Banca Popolare recentemente divenuta assai famosa che tenta di scalarne un’altra che vale parecchio di più, ma anche una Compagnia di Assicurazioni che, analogamente, vuole scalare un’altra Banca che è grande 4 volte il potenziale compratore. Di sicuro, un pensiero che scaturisce dalla mia passione per la dietrologia. Ma torniamo a noi e non divaghiamo.
    Su quali basi viene fissato il prezzo?
    Sulla base di una perizia di Luigi Guatri (rettore della Bocconi, successivamente indagato per il caso Parmalat) e Roberto Poli (emerito professore della Cattolica, entrato successivamente nel CDA dell'IRI e finito sotto inchiesta per la cessione Italgel) che arrivano a stimare il valore a 497 miliardi.
    Peccato che la perizia fosse riferita ad un progetto di fusione all’interno del Gruppo (delibera IRI del 1984) e lo scopo fosse quello di valutare il “peso” della SME all’interno di quel contesto. In questo caso, invece, si deve vendere sul mercato e i valori devono tenere conto di ben altre poste di bilancio. La sola capitalizzazione della SME si aggira sui 1.300 – 1.500 miliardi. Prodi (“Io non mi occupo di valutazione di aziende”, bontà sua, deposizione del 2001) con De Benedetti firma un preliminare per la vendita (condizionato al si di Governo e CDA dell’IRI, dice lui, ma De Benedetti la pensa diversamente) alle seguenti, favorevolissime, condizioni:
    @ Prezzo di vendita: 497 miliardi, a rate, per il 64% della SME. Ma se si tiene conto della rateizzazione, il prezzo reale scende a 333 miliardi;
    @ Garanzie del pagamento: IMI e Mediobanca, cioè due banche controllate dallo Stato, che hanno già pattuito di ricomprare il 13% della SME per 104 miliardi (Visto? Il 64% costa 333 nella fase di vendita e, per miracolo, il solo 13%, due giorni dopo, ne vale 104 e non 67,5. Mah….). Inoltre, lo Stato, tramite l'IRI, vende a un privato al quale fornisce contestualmente le garanzie per pagare: se non paga la Buitoni, lo Stato si paga da solo. Ma è Presidente dell'IRI o in tour con quelli di Zelig?;
    @ Ulteriori contributi: già stabiliti finanziamenti pubblici a favore dell’acquirente tra i 500 e i 700 miliardi per il risanamento del gruppo acquisito al tasso di interesse del 5% (il medio di mercato, all’epoca, fa 15%);
    @ Ammennicoli vari: La SME, se acquisita da terzi, avrebbe permesso all’acquirente di dedurre 600 miliardi di perdite pregresse, con utile implicito di 210 miliardi (bel regalino, ne?). Autogrill e Agip si impegnavano a mantenere in essere i contratti anche per il futuro, sicchè l’Aquila di Scandiano ha risolto anche il problema dei fatturati futuri.
    Accidenti! Un altro paio di soggetti che proteggono così gli interessi dello Stato e siamo a posto.
    Prodi, porta l’offerta al CDA dell’IRI che l’approva.
    A questo punto, Craxi si incazza sul serio e fa presente a Prodi e Darida (Ministro delle Partecipazioni Statali) che, sebbene Natale sia dietro l’angolo, siamo ancora a Maggio: un po’ presto per i pacchi dono. A margine, l’incazzatura di Bettino raddoppia perché De Benedetti non è esattamente compreso nel parco amici dell’ex segretario socialista.
    Nel giro di qualche giorno, piovono all’IRI altre offerte per la SME:
    - 550 miliardi attraverso l’avvocato Scalera (chi cazzo sia e chi ci fosse dietro non si è mai saputo);
    - 600 da parte della cordata IAR (Barilla, Ferrero – ma non avevano detto che non erano interessati? – Confcooperative e Berlusconi).
    A questo punto, Darida non può fare a meno di imporre a Prodi la valutazione delle altre proposte. De Benedetti non rilancia perché sostiene di aver firmato un contratto di acquisto valido: denuncia tutti (tranne l’Aquila di Scandiano), chiede sequestri azionari, sospensioni, giudizi a destra e a manca (TAR del Lazio, Tribunale di Roma, ecc.). Gli danno torto su tutta la linea perché quell’accordo non poteva essere considerato un preliminare di vendita.
    Scatta la campagna di stampa sulle presunte tangenti che Berlusconi avrebbe pagato a Renato Squillante per comprare le sentenze (ma chi diede definitivamente torto a De Bendetti fu Filippo Verde). E’ il tentativo disperato di De Benedetti per accaparrarsi il bottino. Di fatto, la cagnara giudiziaria chiude l’operazione della tentata vendita e rimanda tutti a tempi migliori. Intanto, sotto processo finisce il solo Berlusconi: gli altri fischiettano e fanno finta di niente.

    Ancora dalla deposizione di Prodi al Processo SME (dicembre 2001):
    Avvocato Dinacci (di Berlusconi): “Come valutò la seconda offerta della cordata IAR?”

    Prodi: “Con un senso di frustrazione e di profonda irritazione. Vidi che c’erano Barilla e Ferrero, che con me si erano detti non interessati. E poi Berlusconi, che non avevo contattato perché era totalmente estraneo al settore alimentare”.
    De Benedetti, invece…. lui si che era un agricoltore (Rino Formica). Amen.

    http://scheggedivetro.blogosfere.it/...ies-iri-6.html

  7. #7
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    (Ottava puntata – “Il carretto passava e quell'uomo gridava: Gelati!” – I Giardini di Marzo: Battisti, Mogol - 1972)



    Maggio 1993: dopo le “dimissioni” di Franco Nobili, che ha traslocato temporaneamente a San Vittore causa coinvolgimento in tangentopoli, l’IRI ha bisogno di un nuovo Presidente. L’idea geniale è quella di richiamare il novello Cincinnato (Prodi) alla carica che aveva ricoperto con grandi successi nel decennio precedente. Romanone rinuncia agli incarichi di consulenza raggranellati in giro per il mondo (si veda la puntata precedente) e torna sul trono del carrozzone di Stato. Eredita il piano di (ri)vendita della SME che aveva tentato di regalare anni prima al suo compagnuccio di merende Carlo De Benedetti. La SME è, al momento, suddivisa in tre divisioni: CDB (Cirio- Bertolli- De Rica: ne parleremo, oh se ne parleremo), GS-Autogrill (ne parleremo, oh se ne parleremo) e Italgel.
    Parliamone. L’Italgel fa i gelati (Motta, Sammontana, ecc.) e, per questo, è molto “appetita”, specie da una famigerata multinazionale svizzera che, ogni due per tre, si becca cause a livello planetario per le peggio violazioni ed abusi. Ma sono amici di Prodi attraverso le storiche e comuni frequentazioni del Gruppo Bilderberg.
    Che cazzo sarà mai il Gruppo Bilderberg? E’ una simpatica organizzazione semisegreta, diciamo una consorteria di stile massonico, che opera da lobby a livello globale. In sintesi, coltiva il sogno di un mondo diviso in due: Occidente (USA e Europa Unita tra loro alleate) da una parte e gli altri stronzi che vagano per l’orbe terracqueo dall'altra. Persegue i suoi fini promuovendo incontri e conventions tra i potenti della terra (ministri, capi di governi, vertici delle multinazionali, et similia) i cui contenuti sono dichiaratamente mantenuti segreti. Il motivo di tale riservatezza? Facile: il segreto serve a mettere a proprio agio queste belle figure e le lascia libere di confrontarsi senza il timore che qualcuno faccia le pulci ai loro “pensieri”.
    Prodi, negli anni ottanta, è stato niente meno che membro del Comitato di Orientamento del Gruppetto di giocatori di tressette. Tra gli sponsor del Gruppo, guarda un po’, c’è sistematicamente la Nestlè. Dite che si conosceranno? Bah, le procure italiane sosterrebbero che si tratta di una pura coincidenza e che non c’è niente di male a vedere, ogni tanto, gli amici.
    Bene, andiamo avanti. Al momento della preparazione del bando di gara (però..... adesso che il CIPE ha dato praticamente via libera alle trattative private, Prodi fa le aste....) vengono dati due incarichi. Alla Pasfin Servizi Finanziari di stabilire un prezzo, alla Wasserstein & Perrella (merchant bank che avrà un’incarico anche per la vendita CDB e che gravita attorno ai Bilderberg) quello di aprire le buste e di riferire all’IRI il loro contenuto. Per questo laborioso compito, W&P porterà a casa la bellezza di 6 miliardi di lire (!).
    Il giorno dell’apertura delle buste, arrivano cattive notizie: una multinazionale anglo francese (Gran Met) ha offerto di più (850 miliardi). L’Aquilotto non si perde d’animo e fa pervenire immediatamente un fax alla Pasfin richiedendo una “correzione” alla stima del valore dell’Italgel.
    Cortesemente, arriva la rettifica in tempo reale: 680 miliardi contro i 750 precedentemente indicati. Almeno, adesso, l’offerta della Nestlè (700 miliardi) è superiore al minimo. Il CDA dell’IRI decide che il matrimonio con la Nestlè s’ha da fare e gli svizzerotti portano a casa coni e gelati.
    Per quanto? 431,1 miliardi. Come si è arrivati a questa valutazione finale? Non si sa. Quando la magistratura viene interessata della questione, la Procura di Roma (a volte ritornano), nella persona della PM Monteleone, agisce senza perdere tempo. Ordina una serie di perizie ad un geometra, che il gelato lo conosce in quanto cono, e ricevute le risultanze dell’indagine di cotale professionista, le ricusa come sbagliate. Le fa rifare? No, archivia la posizione sostenendo che tutto è corretto (l’abuso d’ufficio è già diventato una burletta grazie all’intervento del Premier di allora1997 – cioè Romano Prodi). La Procura di Salerno, invece, decide di andare avanti e ordina all’IRI di consegnare tutte le letterine d’amore che si sono scambiate le parti. La risposta dell’Ente di Stato lascia senza fiato: “Le carte non ci sono, le ha conservate la W&P”.
    GdF:Ma come? Non c’era l’obbligo della conservazione dei documenti?”
    Funzionario IRI: “Beh, infatti le abbiamo conservate, ma a Londra. Qui non avevamo più spazio. Sa com’è….”
    GdF: “Allora le chiediamo ai londinesi”.
    Picche anche di là.
    W&P: “Le carte c’erano, accidenti, erano qui, ma…ah, ora mi viene in mente….le hanno portate negli USA, in un magazzino di periferia”.
    GdF: “Va bene, andiamo a prenderle a spese nostre”.
    W&P: “Beh, veramente….il magazzino è andato a fuoco questa primavera”.
    Gente allegra, il ciel l’aiuta.

    http://scheggedivetro.blogosfere.it/...ies-iri-7.html

  8. #8
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    (Nona puntata – CDBodibù, lallarallà, CDBodibù lallarallà – da una vecchia pubblicità di materassi)


    Quando si tratta non solo di svendere, ma di regalare qualcosa agli amici, abbiamo già visto che l’Aquila di Scandiano non si fa pregare. Ora, siccome si presenta l’irripetibile occasione di omaggiare una pletora di affamati, sarebbe disdicevole dimenticarsi di quelli che gli vogliono bene. Il problema è che, stavolta, si gioca pesante e bisogna attrezzarsi per bene.
    L’IRI (cioè lo Stato) decide che la sua presenza nel settore alimentare non è strategica e, quindi, decide di vendere conserve e confetture (Ciro e De Rica) e l’olio d’oliva (Bertolli). Sommate, fanno la ben nota CDB che rappresenta un bel pezzettino del settore alimentare in Italia. Naturalmente, l’IRI indice la solita gara (bisogna pur salvare le apparenze), ma qualcuno sa già, come al solito, dove andranno a finire queste simpatiche aziende. Alla gara si presentano compratori con un bel curriculum: Eridania-Ferruzzi, Cragnotti & Partners, Parmalat, Granarolo e Unilever. Le offerte, però, sono giudicate troppo basse e la competizione viene azzerata. Sempre come al solito, si ricomincia con le trattative private e, d’incanto, ti spunta tra questi soggetti, l’imprenditore che tutti aspettavano: Carlo Saverio La Miranda con la sua FISVI, oggi notissimo per essere alle redini della "Masseria del Falco" nei pressi di Potenza.
    Agli inizi della carriera (1993-94), però, giovane e rampante, aveva coltivato il sogno di diventare uno di quelli che contano e si era ossequiosamente messo al servizio della DC, specialmente della corrente di sinistra (De Mita). Ma si era anche accompagnato ad imprenditori che avrebbero scritto pagine gloriose nella storia economica di questo Paese: Cragnotti e Tanzi.
    Dicevamo: la FISVI sbaraglia la poco agguerrita concorrenza con un’offerta strabiliante: 310 miliardi per prendere il 62% in mano all’IRI. Il giorno della cessione, le azioni valgono 1.146 lire, il Consiglio di Borsa di Milano aveva periziato “ragionevole” un prezzo di 1.370 lire, ma La Miranda porta a casa l’affare pagando 1.102 lire ad azione, il minimo toccato dal titolo nel 1993.
    Un bello sconto del 20% sul valore della perizia.
    Ma le “attenzioni” per la FISVI non finiscono qui: alla finanziaria lucana viene concesso di prestare una fidejussione dieci volte inferiore a quella richiesta (5 miliardi contro 50) e una rateizzazione del pagamento (in seguito, differito nuovamente).
    Le fidejussioni le prestano la Banca Mediterranea (ex Banca Popolare di Pescopagano. Non ridete, è una cosa seria. E’ la Banca degli affari di famiglia di Paolo Cirino Pomicino) e dal Banco di Napoli.
    Dal giorno dell’accettazione dell’offerta da parte dell’IRI (14 ottobre 1993) passano ben 20 giorni e la FISVI ha già venduto la Bertolli all’UNILEVER per 253 miliardi (e non ha ancora pagato la prima rata all’IRI di 155 miliardi!).
    Ora, i casi sono tre:
    1. La Miranda è un fenomeno del commercio, e allora meglio sarebbe stato affidare a lui la presidenza dell’IRI;
    2. Prodi, nel migliore dei casi, è un ingenuo perché vende un tutto a 310 quando un solo pezzo, e nemmeno il più “sugoso” ne vale da solo 253. In questo caso, sarebbe stato carino sentir parlare di dimissioni;
    3. La terza ipotesi, ognuno la ricavi da sé.
    Ma non è finita, ahimè. La FISVI (tra i cui soci c’è un certo signor Calisto Tanzi che, attraverso due società ne controlla il 20%) delibera un aumento di capitale da 50 miliardi a 256 (curiosa coincidenza di cifre….). La Miranda decide di fare il salto e apre formalmente una società con Cragnotti (anche se, dietro le quinte, erano già soci in FISVI: una delle due società di Tanzi che partecipavano in FISVI era la ITC&P che, tradotto, significa Intesa TANZI CRAGNOTTI and Partners).
    Nasce, così, la SAGRIT che dovrebbe assorbire Cirio e De Rica via "Saveriuccio" e Latte ALA via "Sergino". Ebbene, giunti al momento di onorare il debito e versare il capitale sociale, la Banca di Roma (Geronzi) ritira il credito e le garanzie a La Miranda sicchè il suo 51% passa nelle mani di Cragnotti che, gentilmente, sottoscrive.
    La Miranda esce di scena con 15 miliardi in tasca e viene messo in pensione anticipata. Alla fine del gioco di prestigio, in qualche mese Prodi paga il debito di riconoscenza ad Unilever che lo aveva assunto nel periodo sabbatico e mette su un piatto d’argento il resto a Tanzi e Cragnotti, imprenditori di chiara fede democristiana. Per i dettagli sulla vicenda giudiziaria potete senza tema cliccare qui.
    In sintesi, la PM Giuseppa Geremia decide di vederci chiaro (1996), apre un’inchiesta e ordina una perizia. Viste le conclusioni dei periti, decide di chiedere il rinvio a a giudizio Prodi, cinque consiglieri dell’IRI (tra cui il nostro Roberto Poli, già periziante la SME in tempi che furono) e La Miranda. Lungo tutto il tempo dell’inchiesta, la Geremia subisce minacce a ritmo crescente fino a quando la stessa si rivolge a Coiro (capo della Procura di Roma e le denuncia). Il CSM fa fuori Coiro nel giorno di qualche giorno prendendo a pretesto le sue frequentazioni con Squillante (Coiro viene promosso alla direzione centrale degli uffici di detenzione e pena del Ministero della Giustizia). La richiesta di rinvio a giudizio arriva sul tavolo del GIP Landi che prima rinvia, poi fa fare un’altra perizia e poi decide che non è successo niente. Ma non deposita la sentenza nei tempi giusti per evitare le fregole di appello della Geremia che, in quattro e quattr’otto, viene inviata a respirare aria salubre di mare a Cagliari.
    Intanto Prodi, divenuto Presidente del Consiglio, ha combinato una riforma del reato di abuso d’ufficio, in questo sostenuto da Giovanni Maria Flick (il suo avvocato: ricorda qualcosa?), in senso “meno sfavorevole” al Professore medesimo. La sentenza di Landi coglie al volo l’opportunità e tutto finisce in vacca, come al solito.
    Per chiudere questa noiossissima vicenda merita un accenno brevissimo la vendita di GS-Autogrill, ultimo dei pezzetti SME. L’Aquilone la regala ai Benetton, con i quali pare condividere anche la passione per il mare croato. L’accordo privato (!) si chiude a 740 miliardi. Tre anni dopo, i Benetton vendono la GS Supermercati ai francesi di Carrefour per 5.000 miliardi, ma si “consolano” mantenendo il controllo di Autogrill (Ristorante Ciao, Motta, Alemagna, Pavesi) il cui valore è lievitato a circa 1.500 miliardi.
    In soli tre anni, quindi, ciò che lo Stato ha venduto per 740 miliardi ha accumulato valore fino ad arrivare a 6.500.
    Rifacciamo le ipotesi di prima?

    Note:
    Pochi mesi prima di vendere alla FISVI, L'IRI aveva comprato per 101 miliardi la Lattesud dall'imprenditore Gravante, socio di La Miranda. Ora, se fate due conti: la Bertolli vale 253 miliardi per UNILEVER (non dei dilettanti) + 101 per la Lattesud (accidenti, l'abbiamo appena comprata, sarà mica già decotta?) fa, in totale, 354 miliardi. E sono solo due aziende. Ecco. La FISVI porta a casa tutto quanto per 310 miliardi. Verrebbe voglia di fare un paio di domandine, o no?

    http://scheggedivetro.blogosfere.it/...ies-iri-8.html


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    Grazie , ma alcune cose le sapevamo già.
    Oggi prodi ha fatto due concentrazioni di banche , monte paschi e dall'altra parte i bazoli e compagni

  10. #10
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    Il Prodi perde l'IRI ma non il vizio:

    Alitalia: Bonanni, Prodi voleva Air France

    Segretario Cisl, Lufthansa si ritiro' per questo motivo

    (ANSA) - ROMA, 24 MAR - Il segretario generale della Cisl Bonanni sostiene che Lufthansa si sia ritirata dalla corsa per Alitalia perche' Prodi voleva Air France. 'Il presidente Prodi farebbe bene a non menare il can per l'aia perche' sa perfettamente che Lufthansa si e' ritirata perche' la compagnia tedesca conosceva perfettamente di un rapporto suo con Air France indissolubile, di una sua preferenza, a prescindere, per la compagnia francese', afferma Bonanni, commentando le dichiarazioni del premier su Alitalia.

    http://www.ansa.it/site/notizie/awnp...124178161.html



    E oggi l'Italia si trova a dover seguire fedelmente il dettato dei francesi, unici in gara, e a svendere la compagnia di bandiera. Prodi è un pericolo per questo paese, prima se ne va e meglio sarà per tutti.

 

 
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