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Risultati da 1 a 5 di 5
  1. #1
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    Predefinito Il caso del Kosovo: un precedente pericolosissimo per l'Europa.

    La Serbia, stato multietnico come la stragrande maggioranza delle nazioni del mondo, viene frantumata. Le si toglie un territorio per la volontà unilaterale degli Stati Uniti, con la compiacenza passiva, cinica e vergognosa dei paesi europei imbelli e complici ( Germania in primis, ma senza garndi eccezioni) nel massacro jugoslavo.
    Il 17 febbraio nasce un Kosovo colonia statunitense, un porto franco in mezzo ad un Europa terra di razzia, priva di sovranità, governata da classi politiche ciniche e sottomesse al progetto tecnocratico neo-liberistico delle istituzioni europee. In questo contesto gli Stati nazionali, ultimo appiglio di, per lo meno formale, rappresentanza politica possibile, luoghi in cui si è svolta una vita politica reale e condivisa per secoli, divengono giocattoli ad uso e consumo degli interessi nord-americani, con le classi dirigenti europee impegnate da vent'anni ad organizzare politiche economiche di tipo deflattivo, a favorire recessione, disoccupazione, abbassamento dei salari, miseria, precarietà.
    Le classi dirigente europee, inchinandosi ai padroni statunitensi e stendendo tappeti rossi affinchè il Kosovo diventasse uno dei tanti nuovi statarelli dei balcani colonizzati, oltre ad aver umiliato lo Stato serbo nella sua multiculturalità manifesta, e la stessa nazionalità albanese manipolata per giochi esterni e oppressa dai criminali terroristi del UCK, hanno aperto un precedente gravissimo che segue i precedenti che consistettero nella disgregazione della jugoslavia negli anni 90.
    Nel momento in cui una qualunque classe dirigente europea riuscisse a svincolarsi anche di pochi centimetri dall'unilateralismo impositivo nord-americano, stiamo sicuri che la stretegia della ritorsione tornerà a funzionare attraverso il secessionismo pilotato e lo spauracchio della distruzione dello stato nazione. In Italia l'auge della lega nord con le sue provocazioni e la sua propaganda continua contro l'unità del paese, è venuta proprio in un momento in cui si dovevano prendere decisioni fondamentali per il corso neoliberistico (svenidta del patrimonio pubblico, distruzione dello stato sociale, definitiva deindustrializzazione nazionale).
    Non a caso l'arroganza padana si è spenta proprio nel momento in cui non serviva più....ed oggi resta una di quelle spade di damocle pronte ad essere alimentate alla bisogna.
    La Spagna è ormai controllata da 25 anni con lo strapotere lobbistico, mediatico, ed elettorale ( grazie ad una legge ad hoc fatta per ridicolizzare il PCE con il nuovo corso democratico dopo la dittatura ) delle forze nazionaliste catalane, basche ed in parte galiziane, sovrarappresentate in parlamento e ( le prime due ) arricchitesi sulle spalle delle altre comunità autonome. Il dibattito che vi è in Spagna sui nazionalismo, sugli statuti autonomi, sul terrorismo di ETA, ruota tutto attorno ad una strategia di potere e controllo, al momento non più utile come negli anni 80, ma comunque ormai ferita aperta da poter lasciare per nuove occasioni. Non dimentichiamoci che la Spagna negli anni 80, ha compiuto tre passi fondamentali:
    l'entrata nella NATO
    il riconoscimento dello Stato di Israele ( mai evvenuto in epoca franchista)
    l'apertura totale dell'economia alla globalizzazione con interessi privatistici giganteschi ad attenderla al varco.

    In quel contesto i nazionalismi locali, con il terrorismo ETA in primis sono serviti da arma di ritorsione permanente, ben giocata, visto come è andata a finire.
    E questo anche molto al di là degli obiettivi degli stessi nazionalismi che si sono spesso ritrovati sotto manipolazione e controllo, con una base militante in buona fede e beffata ( le classi dirigenti erano invece ben coscienti del giochetto cui si prestavano, basti pensare che il PNV, partido nacionalista vasco, è sempre stato appoggiato dagli inglesi fin dalla sua nascita in chiave antispagnola, e poi dalla CIA).


    Questo soltanto per parlare di due esempi europei, ma ne potremmo citare altri 10 di paesi ricattabili sulla base del secessionismo, e della montatura del popolo oppresso.
    Oggi, al momento, all'Europa occidentale non accade, ed accade invece in altri luoghi del mondo ben più fragili, ma i fatti del Kosovo, sono li a dimostrare che l'imperialismo dominante può, all'occorrenza, far leva sulla separazione e la divisione, per sganciare assegni milionari al primo gruppo dissidente ( magari nella distrazione di un'opinione drogata dalla propagandata politicamente corretta) per destabilizzare qualunque nazione esistente.

    Il precedente del Kosovo è una spina nel fianco, dopo la morte della Jugoslavia, nel continente europeo che ci invita a prestare attenzione al futuro, sapendo che se un solo paese europeo oserà negare il proprio appoggio servile al padrone su una qualunque questione, potrebbe ritrovarsi frantumato in poco tempo o minacciato da movimenti nascenti come funghi.

    Ricordo su questo forum una conversazione con il compagno Shardana Ruju, con cui condividevo in pieno l'analisi della capillarità dell'imperialismo nella manipolazione delle questioni nazionali, e la sua incredibile capacità di afferrare ogni cosa dell'esistente per mettere a ferro e fuoco il mondo.
    Ebbene a mio avviso in questo contesto l'unica possibilità per resistere è l'unità, senza opportunismo, nè imposizioni, ma come valore politico.

  2. #2
    email non funzionante
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    L'autodeterminazione dei popoli dovrebbe essere la regola.
    Se dietro l'indipendenza del Kossovo ci siano gli USA o no non me ne fr**a niente!
    Dovrebbero essere indipendenti anche:
    i croati che sono in Bosnia;
    i serbi che sono in Croazia;
    i turco-ciprioti (indipendenti dalla Repubblica di Cipro),
    i kurdi (indipendenti da Turchia, Iraq, Iran, Siria),
    i Tamil (indipendenti dallo SriLanka),
    i Tibetani (indipendenti dalla Cina),
    i Ceceni (indipendenti dalla Russia),
    gli Iracheni (indipendenti dagli USA),
    i Baschi, ...,
    i Catalani (se lo vogliono),
    e tutti coloro che vogliano intraprendere una loro strada di vita in autonomia (anche in Italia, anche se, dopo aver cacciato 'quelli là', io proverei con convinzione a vedere se si possa stare assieme ...)

  3. #3
    Omia Patria si bella e perduta
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    Hai le idee confuse, l'indipendenza delle diverse etnie (il popolo è una cosa diversa) non deve essere obbligatoria, ma una libera scelta di tutte le parti in causa e non può essere fatta a danno di altre etnie.

    L'indipendenza del Kosovo implica anche la pulizia etnica di tutte le etnie non albanesi che abitano nella provincia e l'impossibilità del ritorno per tutti coloro che sono stati vittima della pulizia etnica del 1999.

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da cincinnatobis Visualizza Messaggio
    L'autodeterminazione dei popoli dovrebbe essere la regola.
    Se dietro l'indipendenza del Kossovo ci siano gli USA o no non me ne fr**a niente!
    Dovrebbero essere indipendenti anche:
    i croati che sono in Bosnia;
    i serbi che sono in Croazia;
    i turco-ciprioti (indipendenti dalla Repubblica di Cipro),
    i kurdi (indipendenti da Turchia, Iraq, Iran, Siria),
    i Tamil (indipendenti dallo SriLanka),
    i Tibetani (indipendenti dalla Cina),
    i Ceceni (indipendenti dalla Russia),
    gli Iracheni (indipendenti dagli USA),
    i Baschi, ...,
    i Catalani (se lo vogliono),
    e tutti coloro che vogliano intraprendere una loro strada di vita in autonomia (anche in Italia, anche se, dopo aver cacciato 'quelli là', io proverei con convinzione a vedere se si possa stare assieme ...)

    benvenuto nel forum del comunismo delle comunità. Se ne hai voglia una presentazione politica è sempre benvenuta.

    Sarò ipersintetico per mancanza di tempo, ma se hai tempo e voglia ci sono tante discussioni al riguardo in questo stesso forum dove approfondire.

    Non sono affatto contrario all'autodeterminazione dei popoli, anzi lo ritengo un principio sacrosanto.
    Tuttavia vi sono delle precisazioni determinanti da fare.

    1- la profonda diversità dei popoli colonizzati e oppressi da quelli non colonizzati e non oppressi. Il parametro per quanto mi riguarda è oggettivo, dove il popolo colonizzato è un popolo economicamente posto in collettiva situazione di sfruttamento e utilizzo di manodopera a basso costo, mentre l'oppressione riguarda più generale uno stato di soggezione anche culturale e politico, in cui ad esempio viene interdetta l'uso della lingua, la diffusione della cultura locale e l'autodecisione territoriale.
    Per quanto riguarda i popoli colonizzati e-o oppressi, non ho alcun dubbio a sostenere, con i diversi gradi ed i diversi mezzi secondo le reali condizioni e senza fare generalizzazioni sommarie, la loro lotta per l'indipendenza.

    2- per quanto riguarda i popoli non colonizzati e non oppressi, tra cui sicuramente posso citarti i baschi e i catalani, che godono non solo di totali libertà, ma soprattutto di amplissime autonomie, il discorso si fa molto più complesso e cambia il piano del ragionamento.
    Da un punto di vista giuridico credo sia giusto in condizioni normali riconoscere il diritto delle comunità, su basi di consultazioni referendarie, alla possibilità di decidere del loro destino, dunque anche di optare per l'indipendenza, volendolo. Tuttavia la cosa non è affatto facile dal momento che l'argomento contrario a questo, potrebbe essere il fatto che l'intera comunità nazionale debba decidere sulla sorte di un pezzo di suo territorio, per lo meno finchè vige un patto costituzionale ( ricordiamo per la cronaca che nei paesi bashi nel 1977, lo cito come caso emblematico giuridico, non vinse il no alla costituzione, ma l'astensione che fu poi utilizzata come arma politica).
    Posto che nel caso di oppressione e colonialismo il punto di vista giuridico non ha più ragion d'essere ( vedi il caso eclatante della palesina, del curdistan turco, del popolo saharawi), nel caso di non oppressione la storia si fa complessa e direi che ogni caso debba essere giudicato a sè.

    3- Il punto di vista invece politico e culturale, di mia specifica sensibilità e di visione d'insieme dei rapporti geopolitici è tutt'altra storia.
    cioè a dire, mi sento di dire con convinzione che i separatismi laddove non vige alcuna oppressione sono connotati da due ordini di problemi, di cui il primo è infinitamente maggiore del secondo:
    Il primo problema, dicevo ben più importante in quanto di sostanza pura, riguarda la negazione dell'identità di un popolo nella complessità e la manipolazione ideologica di questo sentimento a fini esclusivisti. Mi si dirà che il popolo ha sempre ragione se decide in libertà, ma resta il fatto che ho il diritto di opinare sulle ragioni etiche di un popolo quando ciò implica la stabilità e la convivenza tra popoli conviventi da secoli.
    Dunque quand'anche un popolo appoggiasse l'indipendentismo, tale scelta, ferma restando la libertà che accordiamo a quel popolo di scegliere, può essee anche vivamente criticata. In nome del fatto che spezzare una pacifica e sana convivenza per ragioni ideologiche o mitologie romantiche può ben essere un torto inflitto alla ragione e alla condivisione.
    E questo in molti casi è il mio punto di vista, che ripeto, non puà essere generalistico, ma specificato nei vari casi. In linea di massima sono un partidario filosoficamente del mantenimento delle unità politiche consumate e pacificamente esistenti, ritenendo, che la complessità dell'identità e la condivisione dell'identità sia un'opportunità e non un vizio.
    Nel 1977 i baschi hanno avuto l'opportunitò di condividere con tutto il popolo spagnolo la loro meravigliosa cultura millenaria, entro lo stato politico del quale, senza alcun attrito fino al 1937 ( salvo la mitologia nazionalista creata ad hoc per ragioni di propaganda) facevano parte dall'anno 1170.
    Ed invece in una parte della coscienza identitaria basca ( questa si cosa buona in sè) è prevalsa la convinzione che l'unica via era la scissione da uno stato di cui si faceva parte da otto secoli, con tutte le ovvie conseguenze che ciò comporta ( questo solo l'ideologia cieca può non vederlo).
    E'solo un esempio, ma potrebbe essere aplicato a moltissimi nazionalismi, il cui afflato identitario ritengo, per ragioni filosofiche, potrebbe essere innestato nell'unità nella diversità.
    Il secondo ordine di ragioni, importantissimo, ma concettualmente inferiore ( poichè relativo al lato pratico della faccenda) è dato dall'altissima probabilitò quasi certezza, di eterodirezione dei nazionalismo, specie dove essi nascono per volontà di elite dominanti ( ancora una volta paesi baschi e catalogna ci vengono in aiuto in quanto ad esempi).
    Eterodirezione che si consuma in arma di destabilizzazione politica di nazioni più vaste, di penetrazione colonialista di terzi e di creazione di patrie fantoccio come il neonato Kosovo ( che vorrei sapere cosa avrà di indipendente in quel contesto ).
    Questa seconda ragione è dialtro ordine, ma nel contesto storico in cui viviamo sarebbe altamente idiota sottacierla in nome dell'ideologia o del principio. Ripeto, sempre nel caso in cui si tratti di popoli non colonizzati e non oppressi ( perchè il discorso cambierebbe di nuovo e torneremo al caso desritto al principio, che è tutt'altra storia).

    Oggi, lo ripeto, per tantissime ragioni diverse, scindere nazioni in cui non avviene alcuna oppressione di fatto, è un passo filosoficamente sbagliato e polticamente suicida.
    Rivendicare spazi ed autonomia politica e culturale per l'esercizio dell'identità comunitaria è una cosa ( e questa resta per me oltre che valida, auspicabile), lottare per scissioni spesso forzate, complesse, violente e ottenibili solo a prezzo di complicate campagne ultranazionalistiche dirette da classi dirigenti furbastre, francamente è tutt'altra storia. E'evidente come la prima soluzione ( purchè depurata dell'aspetto economico, che deve restare fondato sul principio della solidarietà più ampia possibile) è potenziale fattore di rafforzamento di unità e di sovranità politica estesa a territori uniti da progetti di ampio respiro, mentre la seconda soluzione ( la scissione) può essere fonte di dissidi, separazioni, eterodirezioni, lotte intestine e annullamento di storia reale vissuta in nome di astrazioni.
    Questo lo dico con tutto il rispetto per i movimenti indendentisti di ogni dove che fanno della loro battaglia, una lotta culturale legittima e degna di essere ascoltata quando non fondata su fanatismo ed esclusionismi di sorta.


    Ovviamente tutta questa idea espressa è un mio punto di vista, e peraltro, ogni caso fa a sè, sapendo però che alcuni fatti possono comunque essere giudicati ( oltre le ideologie ) in forma oggettiva ( come ad esempio la legittimità del ricorso alle armi e alla violenza, ma questo è un altro discorso).

    alla faccia dell'ipersinteticità che avevo promesso....quando si parla di autodeterminazione non riesco a controllarmi, il tema è cosi' complesso che trovo sempre miriade di cose da dire..

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandokan80 Visualizza Messaggio
    Hai le idee confuse, l'indipendenza delle diverse etnie (il popolo è una cosa diversa) non deve essere obbligatoria, ma una libera scelta di tutte le parti in causa e non può essere fatta a danno di altre etnie.

    L'indipendenza del Kosovo implica anche la pulizia etnica di tutte le etnie non albanesi che abitano nella provincia e l'impossibilità del ritorno per tutti coloro che sono stati vittima della pulizia etnica del 1999.
    chiaramente, cosa di cui nella mia rispsta non ho parlato perchè concentrato sull'aspetto teorico della questione.
    Il caso del Kosovo è in sè un caso di violenza al contrario spacciato per diritto di autodeterminazione avvenuto sulla pelle dei serbi e degli stessi albanesi ( moltissimi ) anti strategia del terrore UCK.

 

 

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