Alla Lega il 5% delle intenzioni di voto. Sinistra-L'Arcobaleno all'8,5%, Di Pietro al 4,5
Pd-Pdl: il 12% è indeciso tra i due
Il nuovo partito di centrodestra al 40%, Udc al 6. Veltroni al 33%: piace la scelta solitaria
Anche indipendentemente dal loro (probabile) risultato, queste elezioni sembrerebbero rivestire un carattere storico e costituire un significativo momento di svolta nell'evoluzione del sistema politico del nostro Paese. La prospettiva elettorale ha infatti stimolato molte radicali trasformazioni nell'assetto dei partiti e nel-l'offerta politica in generale. Parrebbe essere in corso un passaggio dal pluripartitismo estremo che ha connotato gli ultimi anni a una struttura più semplice, in cui agisce un numero minore di partiti, ma ove il ruolo principale è ricoperto da due sole grandi forze che tendono a catalizzare gran parte dei consensi. Un passo importante in questa direzione è stato compiuto a suo tempo con la costituzione del Partito democratico. Ma ancora più rilevante è stata la decisione del suo leader, Veltroni, di «correre da solo».
Una presa di posizione coraggiosa, forse perdente nel breve periodo, ma portatrice di una riformulazione delle alleanze e, specialmente, della costituzione di un nuovo polo di aggregazione nel centrosinistra. La reazione di Berlusconi e del centrodestra è stata altrettanto significativa. È vero che, come ritengono due terzi dell'elettorato di centrosinistra (ma solo un terzo di quello di centrodestra), il Popolo delle libertà può rivelarsi tra qualche mese un mero espediente elettorale, finalizzato esclusivamente a godere dei vantaggi offerti dalla legge in vigore (premio di maggioranza alla coalizione che ottiene più voti). Ma è vero anche che potrebbe accadere il contrario e verificarsi nel centrodestra quanto sembrerebbe essere in corso da tempo nel centrosinistra: vale a dire la formazione di una vera e propria nuova forza politica. Sarebbe una sorta di anticipazione degli effetti del referendum. Non a caso, l'elettorato premia questi nuovi grandi partiti o, quantomeno, non li punisce com'è successo spesso in passato nei casi di aggregazione tra forze politiche diverse.
Com'era stato rilevato qualche giorno fa, il Pd ottiene più voti correndo da solo che restando in una coalizione di centrosinistra rivelatasi troppo ampia. I nuovi consensi provengono in egual misura da elettori della sinistra estrema che si spostano e da altri che si sentono di centro ed erano orientati all'astensione o a scelte diverse. Viceversa, per ora, il Pdl non parrebbe fortemente avvantaggiato rispetto al risultato teoricamente ottenuto dai partiti che hanno contribuito a formarlo: esso però sembrerebbe consolidare la sopravvalutazione dei consensi per An di solito rilevabile nei sondaggi: il temuto «effetto simbolo» che, secondo alcuni, avrebbe dovuto trattenere gli elettori di Fini, parrebbe non manifestarsi.
Insomma, molti cittadini si trovano, talvolta senza saperlo, a concordare con l'opinione di Berlusconi, secondo la quale un voto esterno alle due maggiori forze politiche, Pd e Pdl, è «inutile»: tanto che, nel complesso, questi due partiti vengono oggi indicati per il voto da più del 70% dell'elettorato. Questa impressione si rafforza ulteriormente osservando i dati sull'ampiezza del voto potenziale, costituito da chi dichiara la disponibilità a prendere in considerazione un partito, pur senza avere ancora deciso definitivamente se votarlo o meno. Sia per il Pd, sia per il Pdl i valori registrati sono molto elevati, tali da coprire quasi l'intero mercato elettorale: nell'insieme i due partiti coinvolgono potenzialmente circa il 90%.
In più, l'esistenza di una relativamente ampia (12%) area di sovrapposizione tra i due elettorati potenziali mostra che una quota di persone si dichiara disponibile, per ora, a prendere in considerazione entrambi i partiti. È un altro segnale della già nota elevata fluidità che caratterizza in questi giorni lo scenario politico ed elettorale del nostro Paese, accentuata dalla rapidità e dalla intensità delle trasformazioni in atto. E costituisce un ulteriore indicatore della possibilità che all'ultimo minuto, a effetto della campagna elettorale, l'esito previsto sin qui venga ridimensionato o, al contrario, rafforzato. Tutto dipende da ciò che i leader faranno e, specialmente, diranno nelle prossime settimane.
Renato Mannheimer
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