È l'uomo il capitale da valorizzare

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di Ettore Gotti Tedeschi

I rimedi per sconfiggere la recessione economica in atto devono fondarsi sulle leggi della scienza economica. L'economia è infatti uno strumento razionale, ma proprio perché è solo uno strumento ha bisogno di un fine, per non restare fine a se stessa. La visione etica del cattolicesimo, diversamente da altre religiose o laiche, ha in proposito due punti di riferimento chiari che consentono riflessioni utili a realizzare programmi economici: la chiara distinzione tra fini e mezzi, e il concetto fondamentale che nel capitalismo globale il vero capitale da valorizzare, tutelare e su cui investire è l'uomo.
Ora, in questo confuso periodo di recessione - dovuta a errori ben identificati - possono servire alcuni suggerimenti affinché le scelte siano mirate e realistiche. Le due sollecitazioni conseguenti sono semplici. In primo luogo, non si confondano, come troppo spesso avviene, fini e mezzi nei programmi economici: la tentazione di spesa pubblica non può essere o diventare un fine, e pertanto non può essere una variabile indipendente per finanziare la quale si ha il diritto di fare qualsiasi altra scelta. In secondo luogo, non bisogna usare mezzi cattivi per realizzare fini buoni: sostenere i più deboli è sempre un buon fine, farlo con modelli assistenzialistici è invece un cattivo mezzo perché invece di rafforzare l'individuo lo si indebolisce e persino lo si umilia.
Basterebbero queste due raccomandazioni - ispirate dal buon senso, dalla conoscenza dell'economia e dall'esperienza (ma anche dal pensiero cattolico, per lungo tempo impegnato a trasferirle nella cultura occidentale che ha concorso a formare) - per elaborare buoni programmi economici, ma al fine di evitare manovre tanto facili quanto ingiuste conviene aggiungere qualche altra indicazione.
Innanzi tutto, non bisogna chiamare risanamento economico le manovre che utilizzano, direttamente o indirettamente, lo strumento fiscale di crescita delle tasse. Ogni aumento di imposte indebolisce la libertà dell'individuo, indebolisce il sistema economico e rafforza il dirigismo. Occorre inoltre porre molta più attenzione al valore del risparmio delle persone che rafforza la loro libertà e indipendenza. Questo risparmio va valorizzato anziché mortificato, come da troppo tempo sta succedendo: il risanamento del deficit fatto pagare con remunerazioni negative dei risparmi si traduce infatti in ingiustizia e povertà, oltre che in crollo dei consumi. Una remunerazione dei risparmi - per esempio investiti in titoli di Stato, che dovrebbero assicurare il risparmiatore - inferiore al reale tasso di inflazione è una imposta occulta e ingiusta sul risparmio stesso, un tradimento del risparmiatore.
Bisogna poi superare la difficoltà di realizzare il passaggio da una economia di Stato a una economia di mercato in modo che si rafforzi la competitività a beneficio primo dei cittadini. Ciò non sta avvenendo, e non solo si fatica a capire quale strategia di rafforzamento economico ispiri molte scelte, ma addirittura a volte si percepiscono tentazioni di neostatalismo e neoprotezionismo, più o meno camuffate, che rischiano di essere nuove fonti di costi per i cittadini. Non si deve infine aver paura di gestire i grandi problemi che il mondo globale impone utilizzando quei vantaggi che in Europa l'Italia e altri Paesi hanno e continuano ad avere, nonostante tutto, perché risiedono nelle capacità individuali che la cultura europea ha contribuito a formare: iniziativa, senso del dovere, operosità, genialità. I problemi da risolvere sono complessi perché nel globale è evidente che i capitali vanno dove sono remunerati di più (e sono remunerati di più dove si crea più ricchezza), il lavoro va dove si crea (e questo si crea dove vanno gli investimenti), i consumi vanno dove i prodotti, secondo la qualità, costano meno (e questi costano meno dove si ha alta tecnologia o bassi costi).
Ora, sembra che l'Italia e altri Paesi europei non sappiano attrarre capitali per investimenti, fatichino a creare lavoro se non di manovalanza e siano deboli su due punti: la mancanza di tecnologia e la presenza di alti costi. Quale strategia si dovrà dunque adottare per competere nel mondo globale? E cosa si farà in Paesi ricchi di piccole e medie imprese con capacità imprenditoriali uniche, vantaggi di innovazione e persino di costo, con conseguente capacità di creare lavoro e ricchezza? La strategia da perseguire è evidentemente quella di rafforzarle. E per quanto riguarda il risparmio, indirizzato, negli ultimi tempi, ai più fantasiosi investimenti, sarebbe utile avere fondi domestici che non solo lo raccolgano ma sappiano anche investirlo localmente con remunerazioni competitive perché si sono creati e sostenuti i vantaggi necessari.
Se non si affronteranno con una visione strategica questi problemi - spesa pubblica, assistenzialismo, tasse e tassazione del risparmio, neoprotezionismi - tra poco esploderà una contraddizione che potrà creare problemi irreversibili: la rottura tra l'individuo lavoratore, risparmiatore e consumatore. Se il risparmio, grazie a strumenti aggressivi, va dove si promette la massima remunerazione, e se il consumo va dove si produce a minor costo, ne risulta che risparmio e consumo lasceranno l'Europa e soprattutto l'Italia. È evidente che il lavoratore domestico in Paesi che non sanno attrarre gli investimenti, senza tecnologia e con alti costi di produzione, in quanto lavoratore continuerà a cercare di lavorare in questi Paesi, ma in quanto risparmiatore investirà i suoi risparmi al meglio (all'estero), e in quanto consumatore comprerà le merci più economiche (importate). Così tra non molto cesserà persino di essere lavoratore perché la sua impresa chiuderà se nessuno vi investe e compra i suoi prodotti, lui stesso non produrrà più ricchezza, non disporrà di risparmio e potere di acquisto, non si sposerà, non farà figli, non si occuperà dei genitori anziani, provocando la rottura della struttura sociale. A quel punto, cosa resterà?



(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2008)