Il miglior libro resta Naufraghi. Ugo Maria Tassinari ha rivisto e corretto per la riedizione da “Sperling & Kupfer” il primo tomo della sua trilogia sui neri, Fascisteria, e lo ha fatto indubbiamente nel giusto spirito. Purtroppo però questo libro riedito è viziato dallo stesso difetto di Guerrieri:é dettato più dalle esternazioni di sbandati neri e dai frammenti di carte processuali che non scritto dall'autore. Può sembrare un paradosso ma è proprio quando quest'ultimo interpreta, ci mette del suo, frutto dell'intuito, della sensibilità e dell'esperienza, che la nostra storia assume una certa autenticità. Quando invece deve seguire le piroette dettate da quel minestrone di banalità, rancore, nevrosi, acidità e fallimento esistenziale che contraddistingue una parte dei sopravvissuti al grande meriggio, non solo la ricostruzione è impropria e conduce fuori strada ma è assolutamente fasulla e priva di oggettiva storicità. Se ne sono accorti in tanti, tra quelli che su di noi banchettano e s'ingrassano e questi, Telese in testa, nulla fanno per cercare il vero, ma si accontentano di vendere bene, con tanto di lacrimuccia di sottofondo, quello che più risponde al facile mercato.
Né storie né nere
Ho detto più volte che questa saga di storie nere (che non sono né storie né tantomeno nere, se per tali s'intende un colore politico) è fastidiosa, imbarazzante e non ci sarebbe da starle dietro. Tuttavia le decine di migliaia di fascioconsumatori, categoria sempre più nutrita nel pulviscolo estremodestro, per queste storie si eccita. E in fondo in fondo, riflesso play man, qualche piacere lo provano anche quelli che un sentimento del mondo non si limitano a metterlo in bacheca ma lo vivono nel quotidiano in una dimensione talmente distaccata dal reality show della vita moderna da sembrare positivamente alienati. E per questo pubblico, quello autentico, indubbiamente il miglior autore resta Tassinari.
Mille personaggi in cerca d'autore
Sei personaggi in cerca d'autore è uno dei capolavori del camerata Luigi Pirandello. Per chi non lo ricordasse egli sosteneva che i personaggi delle commedie esistono e vagano alla ricerca di un autore che metta in scena la loro storia. Così avviene in quel capolavoro di “teatro nel teatro” ma, immmancabilmente, ne deriva un fiasco perché i personaggi non riescono a essere messi in scena così come si sentono.
Mille personaggi in cerca d'autore potrebbe chiamarsi la nostra storiografia, falsante, deviante, pregna di pregiudizi, spesso a prescindere dall'onestà di chi cerca di metterla in scena: si pensi alla storia del Msi secondo Parlato. Qui sta il primo e più importante ostacolo per la ricostruzione delle storie nere. I personaggi in cerca d'autore sono generalmente delle comparse di ieri o, nei pochi casi in cui siano stati invece protagonisti, sono degli individualisti insoddisfatti. Chi è stato invece all'altezza della sua tragedia generalmente non parla se non – quando capita – per confutare qualche calunnia, specie se ai danni di un suo fraterno amico.
Chi declama invece, spesso ululando al vento, dice cose che sovente non stanno né in cielo né in terra. E non mi rifersico qui soltanto ai teoremi che in troppi si sono acriticamente bevuti pari pari dalla propaganda comunista, parlo degli aneddoti, delle ricostruzioni anche vivaci della realtà. Soggettivisti esasperati salgono in tribuna e ci spiegano che gli scontri andavano così, che ragionavamo così, che le donne contavano così, che ci vestivamo in tal modo, che la musica la si ascoltava così, che c'erano questi e quei pregiudizi, che c'erano silenzi strani, grigioscuri o vattialapesca. Uscite così assurde che, se ci si limitasse a queste, il libro dovrebbe chiamarsi Fasci-osteria. Senza voler fare i nomi, che sarebbe inelegante, mi limito a segnalare che persino da parte di persone che frequentai ho riletto costruzioni talmente fantasiose, astratte, campate in aria, addirittura corredate di un colorato immaginario che penso che quello che a troppi manca sia solo un buon psicanalista.
Democrazia e altre sindromi
Impossibile, più che difficile, per i pochissimi che come Tassinari cercano davvero di comprendere e non invece di vendere e di svendere, il venire a capo della matassa.
Ci sono già le ipotesi processuali un po' Stalin, un po' Torquemada e tanto Wanda Marchi che lo storico deve prendere in considerazione. Se a questo aggiungiamo le contorsioni psichiatriche di alcuni e il narcisismo di molti, se calcoliamo che sulle fragili personalità degli uni e degli altri i teoremi banali del Pci e i luoghi comuni calzano come un guanto, cosa ne può dedurre uno studioso? Se è in buona fede, come lo è appunto il compagno napoletano, non ignorerà quanto va contro il comun ricostruire, specie se lo deriva dalle figure sostanzialmente più importanti, documentate e intelligenti della nostra esperienza pluriennale. Ma per abitudine alle logiche incapacitanti della democrazia egli è costretto a dare più o meno pari legittimazione a Mussolini e allo smemorato di Collegno.
Da questo gorgo non si esce e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Emblematico il minestrone che porta a fascistizzare intere espressioni di banditismo (Circeo, Magliana, Uno Bianca) mentre sull'altro versante si scorda immediatamente la militanza politica pur acclamata di bande criminali quali la Cimino o la Cavallero. A giorni andrà in vendita un libro sul gansterismo romano che comprende i Nar. Le Brigate Rosse, quelle non ci sono.
Perché alla fin fine una maggior disciplina e un superiore rispetto gerarchico oltre ad una mentalità più politica hanno impedito colà di ricadere in quelle acque stagnanti nelle quali si annega qui, o meglio costì, dove ogni disperato, magari andato volontariamente allo sbando, cerca catarsi nell'infangare tutti gli altri trascinandoli con lui nelle sue aberrazioni idiote. La potremmo chiamare sindrome Vinciguerra ma non ha colpito solo lui. Il bello è che tanto spesso questi dissociati mentali con tentazioni da Vermilinguo si considerano irriducibili. Certamente: irriducibili di un ego in cerca di un finale di vita che abbia uno straccio di palcoscenico, fosse anche di ghetto.
Quella mania di outing
Ecco perché Naufraghi è il miglior libro, non solo della trilogia ma probabilmente di tutto quanto è finora uscito sul nostro passato. Tassinari ne ha fatto una specie di sintesi discorsiva, meno “oggettiva” e “accademica” di Fascisteria e di Guerrieri ma molto più autentica in quanto egli, malgrado i confusionari “outing” di troppi di noi, ci ha capiti abbastanza e, soprattutto, ha cercato di raccontarci un po' diversamente dai soldatini cattivi, perversi, sfortunati, imbecilli, che vengono fuori da quasi tutte le righe di altri autori, sia che questi ci vogliano annientare che, peggio ancora, compiangere neutralizzandoci.
Novità sulla strategia della tensione
In Fascisteria c'è qualcosa di assolutamente notevole. Lo troviamo nel capitolo “Le trame bianconere” che non riguardano Moggi ma le manovre dei partigiani in chiave atlantica con sporadica, episodica, compartecipazione neofascista. Notevolissimo e da rilanciare con tutte le forze, il suo rigetto della teoria secondo la quale la strategia della tensione sarebbe servita a impedire l'ingresso del Pci nelle stanze del potere. Tassinari la refuta allinenandosi sull'interpretazione praticamente opposta di Giorgio Galli e citando a più riprese la mia. Vede dietro alla strategia della tensione una conflittualità tra centrali europeiste e americane (che a mio avviso è parzialmente vero, ma si deve mettere in particolare rilievo la questione del Mediterraneo) e di fatto considera la partecipazione neofascista alle trame come qualcosa di marginale. Ma questo non gl'impedisce di chiedersi, onestamente: se le cose stanno così perché Paolo Taviani, capo partigiano, ministro degli interni, dirigente di Stay Behind, ha voluto sciogliere Ordine Nuovo? Non era, insomma, così funzionale alla Nato come ce la raccontano...
Burattinai, burattini e...
La presa di posizione di Tassinari è importante, vieppiù nell'ottica di una revisione del processo di Bologna. Ovviamente non è sufficiente perché la marginale, episodica, ininfluente, partecipazione - quasi sempre spontanea e megalomanica - di qualche elemento neofascista a impossibili trame atlantiche in una lettura storica non può essere estrapolata dal resto; non si può, cioè, non prendere contemporaneamente in considerazione le contemporanee, e ben più organiche, oltre che numerose e influenti, azioni golpistiche e bombarole all'estrema sinistra.
Non intendo sostenere che da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia, dal Superclan alle formazioni partigiane del Pci, tutto fosse necessariamente più colluso del nostro minuscolo ambiente, né che, all'opposto di quanto si è lasciato credere, questo sia stato, come lo è stato, il più pulito di tutti solo per grazia ricevuta. Il fatto è che i burattinai intervengono soprattutto laddove c'è massa e dove c'è maggiore incidenza cosicché anch'essi hanno finito con lo snobbare l'estrema destra dedicandosi soprattutto a sinistra. Ma questa storia proprio non ce la vogliono raccontare...
Sarebbe infine ora che si comprendesse che si è agenti, consapevoli o meno, non sulla base di ipotetici teoremi cospirazionisti ma nella misura in cui ci si lascia provocare e ci viene permesso di compiere scempi titanici dettati da megalomania e/o da insofferenza. Lo si è se non siamo tenuti in posizione di guardia da disciplina e gerarchia.
Ce la mertiamo tutta
A sinistra c'è stato un po' di tutto ma, alla fine, un qualcosa con una sua ossatura è prevalso e la disciplina, la gerarchia, il senso di parte, la mentalità politica hanno fatto sì che quanto di assurdo e inquietante è stato commesso venga praticamente taciuto e sacrificato in nome di quanto di buono si è fatto. Da questa parte avviene esattamente l'opposto e dovremmo riflettere non poco in proposito. Questa è la ragione per la quale alla fin fine le Brigate Rosse non saranno mai trattate come delle bande criminali e noi continueremo ad esserlo. Troppo individualismo, troppa democrazia, troppa ignoranza, troppa presunzione, troppa accettazione dei dogmi altrui, troppa diffidenza nei confronti di chi ci è vicino, troppa considerazione per gli altri, tutte queste demenze ci caratterizzano.
Queste storie nere, insomma, ce le meritiamo tutte. Semmai non ci meritiamo che le racconti Tassinari perché uno che insieme con l'inchiostro mette l'anima e non la saliva probabilmente non abbiamo maturato il diritto di averlo come mentore.
Gabriele Adinolfi