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    Predefinito Riferimento: La peste italiana: il documento

    14.5 Il “genocidio politico e culturale” del movimento radicale

    Nei sessantanni di Repubblica, dunque, le condizioni generali della vita politica istituzionale rendono sempre più difficile il “conoscere per deliberare”, principio base della vita democratica. In particolare, il controllo dei mezzi di comunicazione, dei temi come dei soggetti ammessi, fa si che non vi sia spazio per un partito che voglia concorrere, come vuole la Costituzione, alla determinazione della politica nazionale esclusivamente con le proprie proposte ideali e programmatiche. Proprio per la sua capacità di incardinare lotte istituzionali e politiche sui temi più popolari del paese, ancorati al vissuto dei singoli, il Partito radicale è dapprima marginalizzato dalla radiotelevisione, poi leso nella sua immagine e identità e infine cancellato.
    Lo attestano quarant'anni di provvedimenti e di riconoscimenti provenienti dai massimi organismi istituzionali, giurisdizionali, politici e culturali.
    La prima competizione elettorale cui il Partito radicale partecipa nel 1976, è preceduta da una trasmissione ad esso riservata quale simbolica riparazione riconosciuta dallo stesso Direttore generale della Rai per gli anni di ingiusta e totale assenza dalla televisione.
    Due anni prima, dopo essere stati protagonisti insieme con la Lid della battaglia popolare per ottenere la legge sul divorzio, venivano del tutto esclusi dalle tribune referendarie precedenti il voto. E’ Pier Paolo Pasolini a rompere il muro di silenzio che circonda l’iniziativa nonviolenta di sciopero della fame di Marco Pannella , con un articolo sul Corriere della sera nel quale sostiene che il motivo per cui “il mondo del potere – Governo e opposizione – ignora, reprime, esclude Pannella, fino al punto di fare, eventualmente, del suo amore per la vita un assassinio” è legato alla “sua prassi politica realistica. Infatti è il Partito radicale, la Lid (e il loro leader Marco Pannella) che sono i reali vincitori del referendum del 12 maggio. Ed è per l’appunto questo che non viene loro perdonato da nessuno”.
    Nello stesso anno l'appello con cui i radicali convocano la prima marcia contro la Rai è sottoscritto da artisti ed intellettuali del calibro di Arrigo Benedetti, Alessandro Galante Garrone, Tinto Brass, Adriano Buzzati, Ignazio Silone, oltre a Pasolini.
    Il 28 settembre del 1995, durante uno sciopero della sete di Marco Pannella di fronte al silenzio del sistema dell’informazione nei confronti della campagna referendaria in corso, ben 485 deputati e senatori sottoscrivono un appello al Presidente della Repubblica per denunciare che “è in corso un attentato ai diritti politici del cittadino” e per chiedergli di intervenire.
    Il 19 novembre del 1997, la Commissione parlamentare di vigilanza, visionati i dati e “rilevata la pressoché totale assenza dai dibattiti e dai confronti televisivi di temi sollevati con molteplici iniziative dal Movimento dei Club Pannella e dai suoi leader”, chiede alla Rai “di inserire tempestivamente nella programmazione televisiva trasmissioni di dibattito e di confronto su quei temi”.
    Di fronte ai dati di presenza addirittura peggiori di quelli precedenti, la Commissione il 10 marzo 1998 dichiara che la Rai non ha “ottemperato agli indirizzi della Commissione. Infatti, dall’approvazione della risoluzione dello scorso 19 novembre, la Rai non ha programmato neppure un dibattito televisivo sul finanziamento pubblico dei partiti e sulla riforma elettorale, ed ha fatto partecipare in modo saltuario gli esponenti della ‘Lista Pannella’ alla gran parte dei dibattiti dedicati al tema delle droga.”
    Il 15 maggio del 1998, in una lettera indirizzata all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - da poco istituita con il compito di garantire il rispetto delle norme sull'informazione politica -, il Presidente della Commissione di vigilanza, Francesco Storace, denuncia il comportamento della Rai come “un’operazione che non esito a definire di autentico genocidio politico-culturale.”
    Dal 1998 al 2009, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni accerta, praticamente in maniera ininterrotta sebbene sempre su denuncia di parte, squilibri editoriali e violazioni di legge perpetrate dalle tre emittenti Rai a danno dei Radicali, per un totale di 40 provvedimenti aventi ad oggetto 47 diversi programmi. Altre decine di provvedimenti riguardano le emittenti Mediaset.
    Questi comportamenti contra legem si verificano sia nei telegiornali che nei cosiddetti programmi di approfondimento e persino nelle tribune politiche, nei momenti decisivi dei periodi elettorali e con lunghe assenze nei periodi non elettorali.
    Se si considera il triennio 2006-2008, il Tg1 è condannato cinque volte per comportamenti a danno dei Radicali, il Tg2 e il Tg3 quattro volte. Le principali trasmissioni di approfondimento vedono invece Porta a Porta subire sette volte provvedimenti per il danno arrecato ai Radicali; Ballarò cinque volte; Primo Piano e Telecamere tre volte; i programmi di Santoro due volte. Matrix, principale trasmissione di Mediaset, cinque volte.
    Infine, l’intera programmazione informativa della Rai è oggetto di richiamo per squilibri nei confronti dei Radicali da parte dell’Autorità nel 1999, nel 2001 e nel 2006, da parte della Commissione parlamentare di vigilanza nel 1997, nel 1998, nel 2001, nel 2002 e nel 2007. Si tratta di un unicum nel panorama italiano e forse mondiale: non esiste infatti altro soggetto politico che possa in modo anche parziale avvicinarsi per numero, gravità, varietà e durata degli accertamenti di squilibri editoriali e violazioni degli obblighi di informazione. Parimenti, non esiste caso di leader politico che sia così marginalizzato come Marco Pannella, agli ultimi posti delle classifiche di presenza sia nei telegiornali che nelle trasmissioni di approfondimento, nonostante l'oggettiva straordinaria rilevanza della sua attività politica.
    Nel marzo 2009, di fronte all'evidenza di questa strutturale e sistemica mancanza di apertura nei confronti della forza politica e culturale radicale, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per la prima volta, contesta alla Rai, ai sensi dell'articolo 48 del Testo unico della radiotelevisione, l'inadempimento degli obblighi di servizio pubblico.

    14.6 Il compiuto attentato ai diritti civili e politici

    La radio prima e la televisione poi sono state asservite all’esigenza di circoscrivere gli argomenti ammessi alla pubblica conoscenza e di predeterminare i soggetti cui consentire l’accesso, con l’obiettivo di abolire l’agenda reale del paese ed imporre protagonisti ed antagonisti di regime.
    Un obiettivo perseguito e raggiunto innanzitutto impedendo concorrenza e libertà di impresa, difendendo il monopolio pubblico della Rai ed il successivo monopolio privato di Mediaset anche contro le sentenze dei massimi organi giurisdizionali nazionali ed europei. Facendo del servizio pubblico il luogo di spartizione partitocratica, dapprima a uso esclusivo delle forze di governo e successivamente oggetto di scientifica lottizzazione da parte dei maggiori partiti.
    Ogni qualvolta poi sono conquistate regole democratiche che assicurino ai cittadini informazione e conoscenza, esse sono sistematicamente violate nella certezza della totale impunità, garantita dal costante rifiuto all’esercizio dell’attività giurisdizionale da quella stessa magistratura che rappresenta da anni la ragione sostanziale della mancata tutela dell’onore e della reputazione in Italia.
    Lo strutturale asservimento dei più popolari mezzi di comunicazione si è da subito legato con la forte limitazione del diritto alla libertà di espressione, sancito dall’articolo 21 della Costituzione, realizzata con l’istituzione nel 1963 dell’Ordine dei giornalisti e subordinando la liceità di ogni pubblicazione all’iscrizione all’albo dei giornalisti del suo direttore responsabile (a questo proposito è tuttora in corso il processo a Pippo Maniaci, direttore della tv Telejato, combattuto dalla mafia e contestato dall’Ordine dei giornalisti perchè “non iscritto”). Una norma illiberale, che ha origine nel periodo fascista e non trova eguali negli altri stati democratici, sottoposta a referendum nel 1997 per iniziativa dei Radicali dopo che gli stessi hanno tentato di vanificarne gli effetti offrendosi come direttori responsabili delle principali testate dei movimenti extraparlamentari. La maggioranza dei votanti si esprime per l’abrogazione dell'Ordine dei giornalisti, ma dopo una campagna elettorale silenziata dal sistema dei media non è raggiunto il quorum.
    Su tutto questo, sul sistema radiotelevisivo e sulle modalità con cui garantire la circolazione delle idee e rendere possibile la conoscenza, in 60 anni il paese non può mai avere un pubblico dibattito.
    L’unica eccezione si ha nel 1995, in occasione del voto su quattro referendum, quando vengono a confrontarsi due alternative opposte di intervento sulla legislazione radiotelevisiva. Da una parte i Radicali, che individuano nella Rai il nodo centrale da sciogliere per arrivare a una riforma complessiva, chiedendone la privatizzazione e l’abolizione della pubblicità (quest’ultimo quesito non ammesso dalla Corte costituzionale), dall’altra i “progressisti”, che vogliono colpire il monopolio del settore privato in mano alla Fininvest per meglio proseguire l’occupazione partitocratica del servizio pubblico. Gli italiani votano a favore solo del referendum radicale, ma negli anni seguenti il Parlamento ignora l’indicazione espressa dal corpo elettorale.
    La funzionalità di tale assetto di potere a un sistema politico che per sopravvivere è costretto a violare la propria legalità, trova conferma nel fatto che su questo tema nessuna grande manifestazione è mai convocata da chi ne ha la possibilità effettiva. Solo il Partito radicale tenta di investire l’opinione pubblica del problema informazione, a partire dalla prima marcia contro la Rai che si tiene il 20 settembre 1974 e che porta alle dimissioni di Ettore Bernabei, il Direttore generale che ha governato per vent'anni la Rai a monocolore democristiano.
    I pochi strumenti scientifici di monitoraggio della democrazia, del “quarto potere”, vengono ridotti all’impotenza dopo che per anni se ne era impedita l’esistenza. È il caso del Centro d’ascolto dell’informazione radiotelevisiva, il primo e più autorevole centro di monitoraggio televisivo che, proprio in ragione della sua indipendenza ed autorevolezza scientifica, nel 2008 è stato privato dei contratti con l’amministrazione pubblica e costretto a interrompere le sue attività. Si elimina così persino la possibilità effettiva di conoscere la realtà del sistema radiotelevisivo.
    L’interesse è impedire che ai cittadini italiani giunga una informazione completa e imparziale del reale dibattito politico, come quella ad esempio assicurata dal servizio pubblico di Radio Radicale, che dal 1976 porta nelle case degli italiani dibattiti che avvengono in Parlamento e nei congressi di partito.
    Da decenni i Radicali agiscono come attivatori di legalità, dei diritti di libertà costituzionali, attraverso la conquista di regole e la lotta per il rispetto delle leggi vigenti.
    Proprio per questo, sono l’unica forza politica che da cinquant’anni viene costantemente ostracizzata, diffamata, cancellata, nel timore che dando accesso ai Radicali si aprano spazi di conoscenza su argomenti scomodi al regime e potenzialmente generatori di aggregazioni politiche e sociali alternative.

  2. #12
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    Predefinito Riferimento: La peste italiana: il documento

    Capitolo 15
    GLI ULTIMI ANNI DEL REGIME

    Dalla marcia per l’amnistia alla cancellazione della Commissione di vigilanza, il perfezionarsi della non-democrazia verso le prossime elezioni europee.

    15.1 Sugli “obblighi costituzionali inderogabili” e sulla partecipazione dei Radicali alle elezioni europee

    Per ottenere condizioni simili a quelle che si sono determinate in vista delle cosiddette “elezioni europee” del giugno ’09, in altri tempi sarebbe stato necessario far ricorso ai “colonnelli”: tribune elettorali cancellate per un anno; cancellata la Commissione parlamentare di vigilanza assieme a quelle funzioni costituzionali di controllo ad essa attribuite. Lo stesso Presidente della Repubblica, nell’estate 2008, era intervenuto per richiamare gli “obblighi costituzionali inderogabili” che invece erano disattesi, ma anche il suo intervento rimase completamente inascoltato.
    Si preparano così elezioni europee prive di connotazioni democratiche nel senso tecnico, riservate e garantite unicamente alle diverse “gambe” del regime monopartitico e agli “oppositori” scelti come ufficiali. Per aiutare i massimi responsabili istituzionali a trovare soluzioni a questa situazione, i Radicali hanno fatto di tutto: scioperi della fame e della sete, occupazione di luoghi istituzionali, iniziative giudiziarie. La partecipazione della Lista Bonino-Pannella alle prossime elezioni è finalizzata ad approfittare anche di questa occasione per cercare di svelarne i suoi connotati sostanzialmente violenti e autoritari.
    Di seguito, sono ripercorse alcune delle vicende degli ultimi anni attraverso le quali è possibili leggere l’aggravarsi delle condizioni di negazione dello Stato di diritto.

    15.2 La marcia di Natale 2005 per l’amnistia, la giustizia, la libertà. Perché nove milioni di processi pendenti sono la più grande questione sociale del paese

    (…) “Quello che di impressionante vi è da sottolineare immediatamente all'attenzione di tutti voi è la mole dei procedimenti pendenti, cioè, detto in termini più diretti, dell'arretrato o meglio ancora del debito giudiziario dello stato nei confronti dei cittadini: 5 milioni e 425 mila i procedimenti civili pendenti, 3 milioni e 262 mila quelli penali. Ma il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente, senza riuscire neppure ad eliminare un numero almeno pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema.” [Ministro della Giustizia Angelino Alfano, 27 gennaio 2009, aula della Camera dei deputati, relazione sull’amministrazione della giustizia]
    La situazione delle carceri italiane è “fuori della Costituzione”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano intervenendo al convegno Rete Italia in corso a Riva del Garda. [ANSA 15 marzo 2009].
    Basterebbero queste due dichiarazioni del Ministro in carica per comprendere che quella della “giustizia” è la più grande questione sociale del paese. Ma c’è dell’altro.
    In un suo rapporto il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa è sferzante: “Solo per il periodo che va dal gennaio 2001 a dicembre 2004, delle 998 decisioni e sentenze rese dalla Corte Europea relative all’Italia, 799 riguardano l’articolo 6 della Convenzione Europea sui Diritti Umani, nella maggior parte dei casi in relazione a ritardi del procedimento giudiziario… Al 30 giugno 2004 oltre nove milioni di casi erano in attesa di giudizio. Ad essi bisogna aggiungere i centomila casi pendenti soltanto alla Corte di Cassazione. In base a tali cifre, circa il 30 per cento della popolazione italiana è in attesa di una decisione giudiziaria”.
    Quando si dice “in attesa”, significa che c’è chi quell’attesa la trascorre in carcere; e gli istituti di pena italiani sono tali nel senso letterale:
    “La realtà penitenziaria continua ad essere caratterizzata dal preoccupante dato del crescente sovraffollamento delle strutture detentive. Gli effetti dell'indulto approvato dal Parlamento con legge 31 luglio del 2006, n. 241, si sono ben presto rivelati del tutto insufficienti e provvisori, se è vero che da un totale di 38 mila e 847 presenze registrato il 31 agosto del 2006 si è passati alle 43 mila e 957 del 30 giugno 2007, per giungere alle 52 mila e 613 del maggio 2008. La scorsa notte hanno dormito nelle nostre carceri 58 mila e 692 persone, a fronte di una capienza regolamentare di 42 mila e 957 posti e di una cosiddetta di necessità di 63 mila e 443 posti: dati che indicano chiaramente come la crescita dell'andamento delle carcerazioni si stia rapidamente attestando sui livelli drammatici del periodo preindulto.” [Ministro della Giustizia Angelino Alfano, 27 gennaio 2009, aula della Camera dei deputati, relazione sull’amministrazione della giustizia]
    All’inizio di marzo i detenuti nelle carceri italiane avevano raggiunto la cifra di 60.570 e, secondo l’associazione Antigone “a Napoli siamo addirittura a 2.700 detenuti per 1.300 posti: quello di Poggioreale è il carcere più affollato d’Europa. Lì come nel resto d’Italia l’effetto indulto è stato annullato da tempo e siamo tornati alla situazione di sempre.” [Corriere della Sera, 15 marzo 2009]
    I rapporti ufficiali del Dipartimento per l’Amministrazione della Giustizia dicono che almeno la metà degli istituti penitenziari dovrebbero essere chiusi, luoghi di tortura più che di riabilitazione come la Costituzione prevede e prescrive: celle dove si ammassano il doppio dei detenuti previsti, condizioni igieniche e sanitarie da terzo mondo, assistenza insufficiente, personale ridotto che si trova a lavorare anch’esso in condizioni di estremo disagio. Un numero impressionante di suicidi e tentati suicidi, spesso di ragazzi che decidono di farla finita dopo pochi giorni di detenzione… Intanto nei tribunali i processi si trascinano, si accumulano; ogni anno cadono in prescrizione 140.000 processi penali: un’amnistia strisciante, continua, di classe: perché chi ha disponibilità economica e si può permettere un principe del foro che conosce tutte le scappatoie che la legge e i codici consentono, è in grado di trascinare il procedimento per mesi ed anni, fino a quando “per legge” si estingue. Il povero diavolo invece, paga subito. Per non dire dei “detenuti in attesa di giudizio”: persone che finiscono in carcere per un tempo imprecisato, e col tempo – ma con comodo – si scopre magari che sono vittime di un errore, di un’omonimia, di una suggestione; e dopo settimane e mesi di ingiusta detenzione sono scarcerati.
    Questo quadro, per sommi capi, è quello che porta nel novembre del 2005 Pannella – che già aveva condotto uno sciopero totale della fame e della sete per sette giorni coincidenti con l’agonia e la morte di Papa Giovanni Paolo II che fin dal 2000, in Parlamento, aveva chiesto un atto di clemenza per i detenuti - e i radicali si rivolgono a tutti i partiti, a cominciare da quelli dell'Unione di Romano Prodi, per rimettere il tema dell'amnistia nell'agenda politica.
    L’appello che costituisce la piattaforma dell’iniziativa politica chiede un indulto di almeno due anni, “che possa sgravare di un terzo il carico umano che soffre - in tutte le sue componenti, i detenuti, il personale amministrativo e di custodia - la condizione disastrosa delle prigioni”. Contestualmente si chiede un’amnistia, “la più ampia possibile; l’obiettivo è quello di ridurre di almeno un terzo il carico processuale della Amministrazione della Giustizia perché essa possa, liberata da processi meno gravi, proficuamente impegnarsi a concludere quelli più gravi”.
    Tra le varie iniziative messe in campo, una “Marcia di Natale 2005 per l’amnistia, la giustizia, la libertà. Perché 9 milioni di processi pendenti sono la più grande questione sociale del paese”. E’ la prima volta che in Italia si manifesta, in queste forme “di massa”, per la Giustizia Giusta. Mai prima un grande partito o sindacato si era mai impegnato su questo tema. E anche dopo…
    Giungono le prime adesioni, un arco di forze amplissimo, capeggiato dai senatori a vita Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Giorgio Napolitano.
    Il 7 dicembre Pannella inizia uno sciopero della fame: “tre giorni di dialogo, di incoraggiamento e di amicizia”. Si rivolge in primo luogo al Presidente del Consiglio Romano Prodi, a Piero Fassino, leader dei Ds; e ai tre segretari di Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta, Luigi Angeletti: “i responsabili della organizzazioni che in questi anni si sono specializzate nella convocazione delle grandi manifestazioni di massa”.
    Qui conviene ripercorrere le tappe salienti dell’iniziativa pro-amnistia e pro-indulto.
    Il 14 dicembre un comunicato firmato da Prodi, Fassino e Rutelli rompe il silenzio sulla questione amnistia: «L'Unione chiede alla maggioranza di governo di dare una risposta chiara ed inequivocabile».
    Crescono le adesioni al comitato promotore della marcia. Ne fanno parte tra gli altri: don Antonio Mazzi, presidente della Fondazione Exodus; i senatori a vita Giulio Andreotti, Emilio Colombo, Francesco Cossiga, Rita Levi Montalcini, Giorgio Napolitano, Sergio Pininfarina; i presidenti emeriti della Corte costituzionale Giuliano Vassalli e Antonio Baldassarre; don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, don Andrea Gallo, fondatore della Comunità San Benedetto al Porto di Genova, Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio…
    Il 17 dicembre il parlamentare della Margherita Roberto Giachetti chiede la convocazione straordinaria della Camera. Il 22 dicembre Giachetti annuncia di aver raccolto il numero di firme necessario per la convocazione della seduta straordinaria.
    La mattina del 25 dicembre la “Marcia per l’amnistia e la giustizia, la libertà”, aperta da don Mazzi e don Gallo, da Napolitano, Cossiga e Pannella, parte da Castel Sant’Angelo e transita poi davanti al carcere di Regina Coeli, al Senato, alla Camera dei Deputati, a Palazzo Chigi per poi concludersi di fronte al Quirinale.
    Il 27 dicembre sono 136 i deputati che partecipano alla seduta straordinaria della Camera per dibattere di amnistia. La stragrande maggioranza di loro (93) aveva aderito alla richiesta di convocazione promossa dall’onorevole Giachetti e sottoscritta da 205 colleghi. La Camera non vota il provvedimento: il presidente dell'assemblea Casini incarica la Commissione giustizia di Montecitorio di riunirsi e discutere un testo su un provvedimento di clemenza per l'inizio di gennaio.
    Il 13 gennaio 2006 la Camera dei deputati dice no al testo licenziato dalla Commissione giustizia per l'amnistia e l'indulto. Viene infine votato (con l’opposizione di Lega e An) un provvedimento di indulto che decongestiona temporaneamente le carceri sovraffollate; la proposta di amnistia, che avrebbe eliminato una quantità di procedimenti destinati comunque a finire prescritti consentendo ai magistrati di potersi dedicare ai reati più gravi e urgenti, in seguito a una furibonda campagna di stampa condotta dal centro-destra (ma anche, bisogna ricordarlo, con la complice ignavia del centro-sinistra) non viene mai votata.
    Il provvedimento, monco, consente benefici limitati e temporanei. Al provvedimento di indulto non fa seguito alcuna politica tesa al reinserimento nella società del detenuto liberato; cosicché si creano tutti i presupposti perché torni a delinquere e ritorni in carcere. Ora la situazione della giustizia è tornata ad essere quella in cui versava prima dell’indulto: carceri sovraffollate, oltre sessantamila detenuti, ventimila in più di quelli che gli istituti di pena sono in grado di “ospitare”, la metà circa in attesa di giudizio. L’ex ministro della giustizia Clemente Mastella, recentemente intervistato, ha ricordato che l’indulto era stato voluto da tutti, e che sarebbe stato necessario anche un provvedimento di amnistia. Ma oggi come ieri si preferisce l’amnistia strisciante, quotidiana e di classe per prescrizione, fenomeno che lascia completamente indifferenti chi allora, in nome di un malinteso senso di giustizia, si oppose all’iniziativa radicale. Un’amnistia all’italiana insomma, che si verifica nei fatti e di cui nessuno si assume la responsabilità politica.

    15.3 Il “Porcellum” del 21 dicembre 2005

    La legge del 21 dicembre 2005 n.270 introduce un sistema per l’elezione della Camera dei deputati di tipo interamente proporzionale, con l’eventuale attribuzione di un premio di maggioranza in ambito nazionale che sostituisce quello misto, precedentemente in vigore.
    I deputati sono eletti in proporzione ai voti ottenuti dalle liste concorrenti presentate nelle 26 circoscrizioni (un deputato viene eletto con metodo maggioritario nel collegio uninominale della Valle d’Aosta). La legge prevede che i partiti che intendono presentare liste di candidati possono collegarsi tra loro in coalizioni; i partiti che si candidano a governare, inoltre, depositano il loro programma e indicano il nome del loro leader. Quanto alle modalità di votazione, l’elettore può esprimere un solo voto per la lista prescelta; non è inoltre previsto alcun voto di preferenza.
    Tecnicamente è una legge proporzionale con il premio di maggioranza, garantisce cioè una governabilità certa almeno alla Camera, sommando però tre sistemi di elezione molto diversi tra loro: uno per la Camera dei deputati, un altro per il Senato della Repubblica, un altro ancora per gli italiani all'estero.
    La legge, che è la pietra tombale al sistema elettorale maggioritario, voluto dagli elettori con un referendum nel 1993, contiene una clausola grazie alla quale, di fatto, tutti i partiti sono liberati dall’onere di raccogliere le firme, al contrario di quanto avveniva con la legge precedente; tutti tranne uno: la Rosa nel Pugno, la forza politica nata dall'unione tra Radicali e Socialisti. Questo nonostante lo Sdi, uno dei due soggetti costituenti, disponga di ben diciassette parlamentari nazionali e di quattro al Parlamento europeo e i radicali dispongano di due parlamentari europei;.
    I Radicali e i Socialisti della Rosa nel Pugno sono così costretti a raccogliere 180mila firme in tutta Italia, e la raccolta di firme deve essere fatta sulle liste dei candidati; il che significa dover presentare i propri candidati quasi un mese prima rispetto agli altri partiti, per poter poi raccogliere le firme sulle liste chiuse. Una disparità, che pregiudica la stessa effettiva “legittimità del voto”. Gli avversari politici esentati dalla raccolta firme possono infatti definire le loro liste anche all’ultimo momento, e conoscere in anticipo chi sarà il candidato di quelle liste obbligate alla raccolta di sottoscrizioni; hanno così la possibilità di scegliere i candidati più appropriati da opporre nei diversi collegi.
    Il Senato respinge tutti gli emendamenti migliorativi al decreto: quelli sulla raccolta delle firme per la presentazione del simbolo; e quelli che propongono di raccogliere le firme solo sul simbolo e non anche sui candidati. Camera e Senato inoltre respingono la mozione che chiede al Governo un nuovo decreto o, almeno, un’interpretazione autentica della norma sulle modalità di presentazione delle liste, per eliminare la discriminazione ai danni della Rosa nel Pugno. Il Governo si dichiara contrario a entrambe le richieste. La mozione è respinta con soli 11 voti di scarto.

    15.4 Elezioni politiche 2006 – dall’applicazione all’interpretazione della legge: 8 senatori nominati al posto di quelli legittimamente eletti

    Nel corso delle elezioni del 2006 per il rinnovo del Senato quattro uffici elettorali regionali - Piemonte, Lazio, Campania e Puglia - decidono di interpretare la legge elettorale applicando una inesistente soglia del 3%; alterando il risultato elettorale e nominando 8 senatori al posto di quelli legittimamente eletti.
    Il ministro degli interni pro tempore Giuliano Amato, in Parlamento riferisce: “Il Ministero degli Interni...non ha emanato alcuna direttiva o istruzione o documento interpretativo della legge elettorale; ha semplicemente assolto ad un compito - che ha di fatto perché nessuna legge glielo attribuisce - che è quello della predisposizione del modello di verbale per gli uffici elettorali regionali che per tradizione viene fatto dal Ministero degli Interni così come, per tradizione, il Ministero degli Interni comunica oralmente i risultati delle elezioni accertati in via provvisoria e che provvisori rimangono perché poi i risultati veri delle elezioni sono quelli che vengono forniti dagli uffici regionali e, nel caso della Camera, dall’Ufficio Circoscrizionale Centrale. Ora, è vero peraltro che il modulo predisposto dal Ministero degli Interni era costruito in modo da presupporre l’interpretazione della legge elettorale alla quale Lei ha fatto riferimento e che Lei non condivide. Questa interpretazione del resto il Ministero l’ha enunciata in vario modo ma non attraverso una direttiva ed è un’interpretazione in base alla “ratio” complessiva della legge che l’ha portato a ritenere in via analogica applicabile anche al Senato il riferimento alle sole liste che avessero superato lo sbarramento anche nel caso di conseguimento del premio di maggioranza. Questi sono i fatti. Se vuole sapere la mia opinione, è anche possibile che se io fossi stato allora Ministro degli Interni avrei discusso con l’Amministrazione questa interpretazione perché personalmente tendo a ritenere che l’applicazione analogica in questa materia sia molto opinabile quando si risolva in limiti a diritti politici fondamentali e qui un limite all’elettorato passivo ha finito per essere imposto per interpretazione analogica in una situazione nella quale un emendamento noto del Senatore Mancino al Senato per specificarlo era stato respinto. Sappiamo che era stato respinto per evitare che la legge tornasse alla Camera, ma era stato respinto e questo sull’interpretazione pesa.”
    La Giunta delle elezioni del Senato per tutta la durata della procedura si muove all’unanimità, ad eccezione del senatore Manzione, che il 5 luglio è nominato relatore per la Regione Piemonte.
    L’11 ottobre, relazionando alla Giunta, Manzione propone di costituire un Comitato inquirente, incaricato di svolgere alcuni adempimenti istruttori. In sette sedute svoltesi tra novembre e dicembre 2006, tali adempimenti si sono articolati nelle audizioni dei professori Giuliano Vassalli, Fulco Lanchester, Mario Patrono, Massimo Luciani, Antonio Agosta e Stefano Ceccanti, nonché nell’audizione del presidente dell’Ufficio elettorale regionale del Piemonte, dottor Quaini, e del segretario responsabile, signora Ruscazio.
    Il 6 dicembre la Giunta decide di procedere alla revisione totale delle schede nulle, bianche e contenenti voti nulli o contestati, di alcune circoscrizioni regionali riservandosi, nel caso si rivelino scostamenti significativi rispetto ai dati di proclamazione, di estendere la procedura di revisione delle schede anche alle altre regioni. Decisione presa in violazione del capo III del Regolamento per la verifica dei poteri secondo cui tutta l'attività istruttoria della Giunta è imperniata sulle proposte formulate per ciascuna regione dal relatore all'esito dell'esame da parte dello stesso di tutta la documentazione elettorale concernente la regione medesima.
    Il 6 marzo 2007 la Giunta delle elezioni estende la revisione alle schede valide. Un ulteriore provvedimento per rinviare sine die la trattazione dei ricorsi, anche quando attengono ad una regione - il Piemonte - non inclusa nelle attività di revisione delle schede, già pronta per l’esame, il cui relatore ha già depositato le sue conclusioni.
    Il 21 gennaio 2008, a oltre 18 mesi dalle elezioni, la Giunta del Senato convalida l’elezione del senatore nominato nella circoscrizione Piemonte, e il 26 febbraio dei nominati a senatori pronunciata dagli Uffici elettorali regionali di Lazio, Campania e Puglia.
    Convalida contro la quale non è stato possibile ricorrere alla Cassazione - come accade per la Camera dei deputati - in quanto nella precedente legislatura questo diritto previsto dal regolamento della Giunta del Senato è stato cancellato dalla maggioranza parlamentare. La truffa si è consumata: otto senatori regolarmente eletti non vengono nominati. Al loro posto, altrettanti abusivi.

    15.5 La Commissione di vigilanza Rai nella XV legislatura e il Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva

    Il 14 novembre 2006 la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi approva all’unanimità una risoluzione che impone alla Rai di trasmettere alla Commissione periodicamente tutti i dati di monitoraggio politico, sociale e tematico relativo alle trasmissioni Rai nazionali, regionali, televisive e radiofoniche.
    Il provvedimento intende colmare una lacuna storica: la Commissione parlamentare non è materialmente in grado di svolgere i suoi compiti istituzionali non avendo a disposizione i dati del monitoraggio televisivo Rai. La risoluzione tuttavia non ottiene alcuna concreta applicazione: perché vengono forniti solo dati parziali, con grave ritardo e discontinuità. Nonostante ciò l’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) non adotta alcun provvedimento per assicurare l’ottemperanza alla delibera.
    Nel frattempo non viene rinnovato il contratto tra Rai-tv e Centro di Ascolto dell’informazione radiotelevisiva radicale, che si vede costretto prima a ridurre la sua attività, e, nel luglio del 2008 a sospenderla.
    Il Centro di Ascolto è la prima società italiana di monitoraggio televisivo; era già stato escluso dal servizio di fornitura in esclusiva all’Agcom dei dati del monitoraggio che aveva assicurato sin dall’inizio dei lavori dell’Autorità. Non sono così più disponibili i dati periodici del monitoraggio che solo il Centro di Ascolto forniva, mentre l’Agcom, assegnato il monitoraggio ad altra società tramite procedura di evidenza pubblica, li rende disponibili sul proprio sito con ritardi di mesi e mesi, rendendo così quasi impossibile l’esercizio dell’attività di denuncia dei soggetti interessati per violazione della par condicio.
    Un rapido sguardo alla situazione chiarisce la funzione essenziale di controllo del Centro d’Ascolto, i dati raccolti “descrivono” la situazione di sostanziale e formale illegalità e la violazione della funzione di servizio pubblico (e, se si vuole, anche le ragioni che hanno portato alla sua morte).
    Nel 2006, le tre testate dei telegiornali Rai, nelle loro edizioni principali, relegano gli esponenti della Rosa nel Pugno all’11° posto in termini di contatti raggiunti, dopo Forza Italia, Alleanza Nazionale, L’Unione, L’Ulivo, i Democratici di Sinistra, l’Udc, la Margherita, Rifondazione Comunista, Lega e Verdi, con 374 interventi in totale per 1h 49’ 39’’ in 157 giorni sui 365 dell’anno avendo potuto contare su 1.465 milioni di contatti, 160 milioni di contatti meno dei Verdi e la metà di quelli riservati a Rifondazione Comunista. Equità a parte, è stata violata anche una elementare regola giornalistica: la Rosa nel Pugno era l’unico, originale fenomeno politico di quella stagione. E’ stato completamente ignorato, sia nei servizi di cronaca che negli approfondimenti politici.
    L’esponente della Rosa nel Pugno maggiormente intervistato dalle tre testate Rai nel loro complesso è Enrico Boselli, al 20° posto nella classifica per contatti raggiunti del tempo di parola degli esponenti politici. Gli interventi sono 149 per un totale di 42’08’’ distribuiti in 76 giorni su 364 e 570 milioni di contatti.
    Ad Emma Bonino, al 45° posto, sono concessi 17’25’’ in 57 interventi (quasi tre volte in meno il tempo dedicato a Boselli) in 35 giorni su 364 dell’anno, potendo contattare meno della metà di spettatori di Enrico Boselli (260 milioni contro i 570). Marco Pannella, con 54 interventi, è al 47° posto avendo 233 milioni di contatti nei 20’24’’ di interventi in voce in 25 giorni dell’anno.

  3. #13
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    Predefinito Riferimento: La peste italiana: il documento

    15.6 Il caso della Commissione di vigilanza sulla Rai nella XVI legislatura

    Il Parlamento della XVI legislatura si insedia il 29 aprile 2008.
    Il 4 giugno i Presidenti di Camera e Senato su indicazione dei gruppi parlamentari nominano i componenti della “Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi”.
    Dalla settimana successiva, la Commissione è impedita a svolgere il suo lavoro per l’impossibilità di eleggere il suo presidente; le votazioni sono annullate per la sistematica assenza del numero legale: la maggioranza non concorda sull’indicazione del candidato indicato delle opposizioni, Leoluca Orlando; l’opposizione non è disposta a mutare candidato. Una situazione che si protrae per molti mesi.
    L’insediamento della Commissione è un atto costituzionalmente obbligato. I Radicali, a partire dal 23 luglio, danno vita ad azioni nonviolente per chiedere che sia finalmente insediato l’Ufficio di presidenza della Commissione; contestualmente si chiede che finalmente sia eletto il giudice della Corte costituzionale mancante da oltre 15 mesi. L’aula della Commissione di vigilanza è occupata dai parlamentari radicali per nove giorni. L’azione viene sospesa quando i Presidenti di Senato e Camera si impegnano formalmente per convocazioni “finalizzate all’adempimento di obblighi costituzionali...ad oltranza” sino a voto utile.
    A settembre si registra un nuovo impasse sempre sul nome del Presidente della Commissione, e senza che i Presidenti delle Camere mantengano l’impegno di convocazioni ad oltranza; per far cessare tutto ciò, Pannella inizia uno sciopero della fame e della sete, accompagnato dallo sciopero della fame di circa 250 fra dirigenti, militanti, parlamentari radicali e non. Inoltre per otto giorni i parlamentari radicali occupano un corridoio di Palazzo S. Macuto, sede della Vigilanza. Il 3 ottobre, il Presidente della Repubblica Napolitano, definisce l’elezione del giudice della Corte costituzionale da parte del Parlamento e l’insediamento della Commissione di vigilanza, “inderogabili doveri costituzionali da adempiere”. Ben 530 parlamentari sottoscrivono la richiesta di convocazioni ad oltranza sino all’espletamento degli obblighi costituzionali, e il 20 ottobre i parlamentari radicali occupano l’aula della Camera dei deputati.
    Il 21 ottobre, con un ritardo di circa 18 mesi, viene eletto il giudice della Corte costituzionale; e il 13 novembre la sola maggioranza elegge presidente della Vigilanza il senatore del Pd Riccardo Villari. Qualche giorno dopo si completa l’Ufficio di presidenza, la Commissione è dunque finalmente insediata. Inizia così un’altra sconcertante vicenda che bloccherà ancora i lavori della Commissione: dopo appena due giorni dall’elezione di Villari, maggioranza e opposizione comunicano di aver raggiunto un accordo: affidare la presidenza della Commissione al senatore Sergio Zavoli, e chiedono a Villari di dimettersi; Villari rifiuta, non sussiste alcuno strumento giuridico per farlo dimettere. Solo i Radicali e il commissario del Movimento per l’Autonomia si oppongono a questa ulteriore illegalità. La Commissione, con la sola presenza dei membri di maggioranza e di quello radicale di opposizione, adotta con ritardo il regolamento della par condicio Rai per le elezioni amministrative in Abruzzo (soltanto 15 gg. prima del voto, oltre un mese e mezzo sulla data obbligatoria fissata dalla legge 28/2000), mentre non viene adottato alcun regolamento per le elezioni nelle Province autonome di Trento e Bolzano, perché la Commissione non viene insediata in tempo.
    Il 4 dicembre Villari è espulso dal Pd. Il Presidente del Senato Schifani annuncia l’inizio di una inedita procedura di revoca di Villari da componente della Commissione, presso la Giunta del Regolamento del Senato, procedura la cui fondatezza è contestata dai più importanti costituzionalisti italiani.
    Entro il 31 dicembre la Commissione deve approvare anche il regolamento per la par condicio per le elezioni regionali in Sardegna, adempimento disatteso quando a gennaio la presidenza dei gruppi parlamentari di maggioranza comunica l’intenzione di non partecipare più ai lavori della commissione sino alle dimissioni di Villari; manca così il numero legale.
    Il 15 gennaio 2009 Pannella inizia uno sciopero della fame e della sete per chiedere che la Commissione di vigilanza possa infine funzionare ed adempiere agli atti obbligati ormai in ritardo da 10 mesi; contemporaneamente Marco Beltrandi torna ad occupare la sede della Commissione, e inizia uno sciopero della fame. La mattina del 16 gennaio Marco Pannella deposita una denuncia che ha ad oggetto la situazione in cui versa la Commissione parlamentare di vigilanza dei servizi radiotelevisivi, i cui lavori vengono preordinatamene disertati dai parlamentari (Beltrandi e Sardelli esclusi) al fine di costringere il presidente regolarmente eletto a dimettersi. Nella denuncia si ipotizzano alternativamente i reati di cui agli artt. 289 c.p. (attentato contro gli organi costituzionali dello Stato e contro le assemblee legislative) e 340 c.p. (interruzione di un pubblico ufficio o servizio). Il 19 gennaio maggioranza e opposizione, tranne il componente radicale e il Presidente Villari, si dimettono dalla Commissione, e il 21 gennaio, con una inaudita decisione dei presidenti di Senato e Camera, l’intera Commissione di vigilanza viene sciolta. L’obiettivo è estromettere il solo Villari dalla presidenza e dalla Commissione; tutti gli altri componenti, infatti, sono confermati. Si verifica così un fatto paradossale: il presidente che vuole far funzionare la Commissione è cacciato; chi, al contrario, ha la responsabilità di aver paralizzato i lavori della Commissione, è riconfermato.
    Eletto Sergio Zavoli Presidente della Commissione, e nuovamente insediato l’Ufficio di presidenza, neppure a questo punto vengono messi all’ordine del giorno gli atti obbligati che non si compiono da molti mesi, con l’eccezione dell’approvazione del regolamento sulla par condicio per le elezioni sarde (che viene adottato solo 10 giorni prima del voto, a campagna televisiva già compromessa a vantaggio evidente di un solo candidato, con un ritardo di oltre un mese). Zavoli convoca la Commissione per la sola elezione dei membri del Cda Rai, peraltro impedendo ogni attività istruttoria o dibattito preventivo della Commissione. L’11 marzo l'Ufficio di presidenza della Commissione impegna la Commissione ad adempiere gli atti obbligati, anche a seguito dell'ennesima iniziativa nonviolenta dei radicali: tuttavia con vari pretesti le forze politiche, con la complicità attiva del presidente Zavoli, rinviano l'esame dei provvedimenti. Si arriva alla seduta dell'8 aprile, quando si constata che le tribune in periodo non elettorale non si possono più fare perché ai sensi della legge 28/2000 i termini sono scaduti. E’ così provato che le elites che controllano i due maggiori partiti italiani hanno fattivamente e continuativamente operato proprio per impedire il funzionamento della Commissione, con la complicità dei Presidenti delle Camere, e il silenzio del Presidente della Repubblica.

    Capitolo 16

    PERCHÉ LA RESISTENZA PUÒ ANCORA VINCERE

    A vedere la televisione, i talk show di Bruno Vespa, l’inflazione di trasmissioni religiose, i discorsi del Papa puntualmente rilanciati da tutti i telegiornali, ma anche i salotti televisivi di Floris, di Santoro, di Matrix, di Primo Piano, si direbbe che in Italia viga su questioni particolarmente delicate che riguardano la vita di tutti o che investono l’ordinamento e il funzionamento del sistema politico, un pensiero se non proprio unico come negli stati teocratici e negli stati formalmente totalitari, almeno nettamente prevalente contrastato da una isolata minoranza che tenta inutilmente di opporvisi. E’ questa l’immagine del paese che i media trasmettono ogni giorno e che riflette su tali questioni le scelte del Parlamento e gli orientamenti delle forze politiche, di centro destra come di centro sinistra. Ma è davvero così? I referendum e i sondaggi ci raccontano un’altra storia.

    16.1 Dal 1974 la storia raccontata attraverso i referendum: l’altra faccia del paese

    Quando nel 1974 il referendum abrogativo del divorzio, promosso dalla Chiesa, riesce a giungere al voto, il 60% degli elettori dice No alla abrogazione della legge Fortuna e, secondo le ricerche demoscopiche, tra di essi una cospicua parte di elettori democristiani e missini che si dissociano dalle scelte e dalle indicazioni dei loro partiti. Grande è la sorpresa dei partiti laici e del partito comunista, convinti che di andare incontro a una sconfitta o a una vittoria di stretta misura. Sette anni più tardi un’analoga richiesta di abrogazione della legge 194 sulla legalizzazione dell’aborto viene bocciata da una maggioranza del 70% di elettori.
    Si dice: “ma si trattava di diritti civili ed era in atto in quegli anni un grande cambiamento dei costumi, la politica però è un’altra cosa”. Eppure anche sulla politica, sul fondamento stesso della politica – l’organizzazione dei partiti, i metodi di selezione della classe dirigente, la legge elettorale – i risultati sono ugualmente dissonanti rispetto alle volontà prevalenti dei partiti. Nel 1978 il referendum abrogativo del finanziamento pubblico, promosso dai radicali che rappresentano un misero 1% dell’elettorato, ottiene il consenso del 43,6% dei votanti, nonostante la legge venga difesa da uno schieramento, dal Msi al Pci, che rappresenta in Parlamento il 99% degli elettori. Ma anche sulla legge Reale, la prima delle leggi speciali sull’ordine pubblico, i favorevoli alla abrogazione sono quasi un quarto dei votanti.
    Non si tratta solo del frutto di una temporanea e breve stagione politica. Quando quasi un quindicennio dopo, nel 1993, si torna a votare in condizioni di maggiore informazione sul finanziamento pubblico, a favore dell’abrogazione si esprime oltre il 90% degli elettori sul 77% dei votanti. Risultati non meno clamorosi ottiene il referendum che abroga il meccanismo proporzionale nella legge elettorale del Senato e dovrebbe aprire la strada all’ uninominale (82,7% di favorevoli). Una schiacciante maggioranza sceglie un diverso tipo di organizzazione e di finanziamento dei partiti politici e si dichiara a favore di un sistema elettorale di tipo anglosassone. Risultati ugualmente netti e consistenti hanno nello stesso anno i referendum per l’abolizione dei ministeri delle Partecipazioni statali (crocevia dei rapporti fra partiti e imprese pubbliche e strumento di intervento dello Stato nell’economia), dell’Agricoltura e del Turismo (competenze che la Costituzione assegna alle Regioni), il referendum abrogativo delle nomine governative nei consigli di amministrazione delle banche, l’abrogazione delle parti peggiori della legge sulle tossicodipendenze. Ancora due anni dopo, tre referendum riformatori sono vinti: sul soggiorno cautelare (63,7% di sì) sulla privatizzazione della Rai (54,9) per l’abolizione della ritenuta automatica delle trattenute sindacali su salari e stipendi (56,2); uno sull’abrogazione del secondo turno nella legge elettorale per l’elezione dei Sindaci è perso per poche centinaia di migliaia di voti (49,4 contro 50,6%), altri due ottengono il consenso di minoranze superiori al 30% (licenze commerciali e orari dei negozi).

    16.2 L’annullamento dei referendum attraverso gli appelli all’astensione

    Da allora praticamente tutti i referendum sono stati vanificati dagli appelli all’astensione. Da metà degli anni ’90 gli oppositori delle richieste di abrogazione preferiscono bloccarli con l’astensionismo (sommando le astensioni indotte dai loro appelli all’astensionismo fisiologico) anziché battersi a viso aperto per farli respingere con il voto. Solo nel ‘99 sul referendum che abroga la quota proporzionale della legge elettorale si è perso il quorum per un soffio, perché il governo non ha provveduto a ripulire le liste elettorali, soprattutto tra gli italiani all’estero, ma anche dei morti e dei non più residenti che ancora le affollavano: in quella occasione si recano alle urne il 49,6% degli elettori, oltre 24 milioni 477 mila su un totale di 49 milioni 309 mila e di questi vota a favore il 94,6%. In quel caso l’appello astensionistico viene lanciato dalla Lega Nord per interessi comprensibili, oltre che da Rifondazione comunista e dagli altri partiti minori (verdi, socialisti, Mastella, Udc) tutti interessati al mantenimento del proporzionale (con quanta miopia lo dimostrerà poi l’introduzione della soglia di sbarramento del 4%).
    Un appello analogo viene promosso invece l’anno dopo da Berlusconi, che li definisce “referendum comunisti”: riguardano di nuovo l’abolizione della quota proporzionale della legge elettorale della Camera, l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti sotto la nuova truffaldina forma di rimborso elettorale, ma anche temi come la disciplina dei licenziamenti, la separazione delle carriere e il divieto di incarichi extragiudiziari dei magistrati, tutte proposte che, a parole, facevano parte del suo programma di governo: Su tutti questi temi, se si esclude la disciplina dei licenziamenti, i referendum ottengono vaste maggioranze di votanti fra coloro (oltre il 35% dell’elettorato) che si recano alle urne.

    16.3 La scandalosa campagna della Chiesa sulla legge 40

    La campagna astensionistica più grave e scandalosa è anche la più recente: quella promossa dalla Chiesa, in aperto contrasto con le norme elettorali che espressamente vietano gli appelli all’astensione da parte dei ministri del culto, contro i referendum abrogativi riguardanti la legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita. La Chiesa italiana ne ha fatto il cavallo di battaglia per conseguire un ulteriore e più stretto condizionamento della politica e del Parlamento. Inoltre, contrabbandando l’astensione come una esplicita bocciatura dei referendum, ne ha fatto lo strumento di una rivincita culturale del clericalismo nei confronti della laicità dello Stato. In realtà il forte astensionismo è il prodotto di diversi fattori: la complicazione e la difficile comprensione dei quesiti rimasti in vita, dopo che era stato dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale il referendum abrogativo dell’intera legge; la cattiva informazione, scarsa e manipolata; una campagna intimidatoria e menzognera di carattere pseudoscientifico, contro la quale i migliori scienziati devono continuamente cimentarsi; la sistematica depoliticizzazione del dibattito purtroppo subita e non sufficientemente contrastata da una parte dello schieramento referendario. Se la Chiesa fosse stata così convinta di poter sconfiggere l’opinione pubblica laica, avrebbe scelto la strada della chiara opposizione alla richiesta di abrogazione referendaria. Se così avesse fatto, si sarebbero confrontate lealmente due forze ugualmente motivate e ugualmente intense: con ogni probabilità le posizioni laiche sarebbero uscite nettamente vincitrici.

    16.4 Dai sondaggi un’Italia laica e non in sintonia con i partiti

    Se davvero le cose stessero come pretende di presentarle il pensiero – come chiamarlo? unico? dominante? – che la Chiesa, gran parte della classe politica, l’intera informazione televisiva, molte testate giornalistiche tendono ad accreditare, non solo non si spiegherebbero questi risultati referendari (anche quelli nei quali non è stato raggiunto il quorum), ma non si spiegherebbe neppure il responso univoco che da quasi quaranta anni danno tutti i sondaggi, condotti dalle più diverse e accreditate società demoscopiche. L’andamento di queste risposte, costante nel tempo, dimostra che la società italiana è, nei suoi valori e nei suoi orientamenti di fondo, niente affatto in sintonia con la Chiesa per quanto riguarda i diritti civili e le questioni cosiddette etiche e con i partiti sulle grandi scelte istituzionali e politiche. Al contrario, se una sintonia c’è e si mantiene intatta con il trascorrere del tempo, è proprio con coloro come i radicali che si oppongono a questa immagine artefatta della società italiana e sono per questo oscurati e messi a tacere.
    Il caso più significativo è quello dei sondaggi sull’eutanasia, un’ipotesi condannata dalla Chiesa alla stregua di un omicidio e che l’intera classe politica senza eccezioni considera inattuale ed esclude tassativamente di prendere in considerazione nell’agenda politica. I sondaggi registrano puntualmente, in un ragguardevole lasso di tempo, maggioranze favorevoli a un legge sull’eutanasia. Percentuali assai più alte si sono registrate sul caso Welby e anche sul caso Englaro nonostante la campagna criminalizzante negli ultimi giorni di Eluana e l’intervento del governo nella questione. Ugualmente nette le maggioranze persistenti degli intervistati che si dichiarano favorevoli all’aborto. Ma anche sulla procreazioni assistita, sulla quale si è svolto da poco un referendum che non ha raggiunto il quorum, si registrano percentuali favorevoli a riprendere in considerazione la legge .
    Peraltro questi orientamenti coinvolgono almeno in parte la comunità dei cattolici praticanti. Lo stesso Pontefice ha dovuto recentemente lamentare la dissociazione esistente la comunità dei fedeli e i dettami della Chiesa di Roma, nei comportamenti riguardanti la moralità sessuale (in particolare per quanto riguarda divorzio e uso dei contraccettivi) .
    Quando sono interpellati sulla riforma dello Stato e dell’economia, sulla liberalizzazione del mercato del lavoro, sui partiti o sui sindacati, il che accade per la verità meno spesso di quanto non avvenga sui temi cosiddetti etici, gli italiani mostrano di avere idee abbastanza chiare sul tipo di Stato che vorrebbero e appaiono molto meno conservatori nei confronti del sistema esistente, di quanto sia la “classe” che pretende di rappresentarli, e anche in questo caso consonanti con chi propone riforme radicali .
    Hanno dunque torto quei politici, quei costituzionalisti, quei politologi che attribuiscono alla scarsa o nulla cultura democratica degli italiani la crisi del nostro sistema politico. Le poche volte che il popolo italiano è stato investito di un reale confronto democratico, ha dimostrato di esserne all’altezza e di saper compiere scelte democratiche, liberali, riformatrici. Da tempo questo non è più possibile. Non è il popolo a essere poco democratico, è la partitocrazia che soffoca e impedisce l’esercizio della democrazia, sostituito con compromessi di potere cui corrispondono contrapposizioni fittizie che allontanano e precludono all’agenda politica i temi che riguardano la vita del diritto e il diritto alla vita.

  4. #14
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    Predefinito Riferimento: La peste italiana: il documento

    Scheda n°1

    CAMPAGNE ELETTORALI RADICALI: “CERTIFICATI BRUCIATI”, “SCIOPERO DEL VOTO”, “VOTA EMMA”, “SATYAGRAHA 2009”

    Campagne elettorali radicali diversissime, che molti “osservatori” definirebbero opposte nelle forme e nei contenuti, rappresentano in realtà il tentativo di rispondere a un unico problema: l’affermazione del diritto a conoscere per deliberare.

    1972 e 1983: dal bruciare i certificati elettorali allo sciopero del voto

    Dopo aver già bruciato le schede nel 1972, affrontando per questo denunce e processi, alle elezioni politiche del 1983 il Partito radicale decide di praticare l’”astensionismo votante”. Questa strategia deriva dalla consapevolezza che “ogni residuo diritto politico e costituzionale è stato ulteriormente sequestrato riservandone l'esercizio solamente alle forze politiche che abbiano depositato liste elettorali” e dunque, la presentazione delle liste elettorali si rende indispensabile “quale strumento tecnico-politico pregiudizialmente necessario” per garantire il proseguimento dell'azione antipartitocratica, e informare il maggior numero di cittadini.
    Viene adottata così una forma di “sciopero del voto”, che si concretizza come un “boicottaggio nonviolento” delle elezioni, la cui pratica è chiaramente espressa nel volantino che il Pr distribuisce in campagna elettorale, ove si legge: “Il nostro primo impegno è di ottenere che il massimo numero di cittadini neghi a queste elezioni dignità e legittimità democratiche, con comportamenti capaci di costringere i partiti a cambiare politica: “scheda nulla, scheda bianca, astensione”. Anche noi faremo così: annulleremo le nostre schede, scriveremo su di esse i nostri programmi, le firmeremo perché siano riconoscibili”. Lo stesso volantino cita una “doppia diga” contro la partitocrazia e infatti agli elettori si propone anche una seconda opzione di voto: il voto alle liste radicali. “Per tutti coloro, invece, che non se la sentiranno di seguirci nel rifiuto, per coloro che non sono del tutto convinti o intendono comunque votare un partito, abbiamo predisposto una seconda diga per impedire che anche stavolta prevalga un voto partitocratico: le liste radicali”.
    Tutti i partiti si mobilitano contro l’astensionismo. “Astensionismo è diserzione” recita ad esempio uno slogan del Msi, “Se non ti occupi di politica, la politica si occupa di te” è lo slogan del Pci, che in un altro slogan utilizza l’analogia dei colori: “il voto bianco è voto Dc”. “Non serve una scheda bianca, serve una scheda pulita” è lo slogan del Pli, pronunciato da una voce fuori campo durante uno spot televisivo. La campagna elettorale del 1983 è la prima campagna in cui il mezzo televisivo viene utilizzato in maniera sistematica. Anche per questo, pressoché quotidianamente si moltiplicano le iniziative radicali per garantire una corretta informazione, giungendo a investire la stessa magistratura denunciando l’allora Presidente della Rai Sergio Zavoli e i componenti del Consiglio di amministrazione della Rai-Tv per il reato di attentato ai diritti civili e politici del cittadino.
    Il Pr chiede in concreto di ripristinare quelle condizioni atte a “garantire parità di condizioni, completezza ed obiettività di informazione”, e si rivolge alla magistratura, quale “ultima linea di difesa contro una occupazione dei pubblici poteri e servizi da parte di soggetti privati, quali i partiti, che li esercitano a fini di parte”.
    Le urne danno al Pr il 2,2% dei voti con l'elezione di 11 deputati ed un senatore: nonostante la scelta astensionista, dunque, i Radicali tornano in Parlamento. In quella IX legislatura gli eletti radicali assumono un comportamento senza precedenti, rifiutandosi di partecipare alle votazioni in aula.

    1999: “Vota Emma”, vendita degli averi per ricomprarsi l’informazione rubata

    In occasione della campagna elettorale per le europee del ‘99 i Radicali riescono a dare non solo la dimostrazione concreta dell’importanza di informazione e comunicazione nella democraticità delle elezioni, ma anche della portata dirompente delle loro proposte. Riescono infatti a prendere alla sprovvista il regime, disponendo per la prima volta di ciò che in precedenza era mancato loro: le risorse finanziarie.
    A sorpresa, infatti, decidono di investire parte del loro patrimonio (vendendo l’emittente Radio Radicale 2, una quota di minoranza di Radio Radicale, e il 100% di Agorà Telematica, uno dei primi internet provider italiani) al fine di conquistare per sé e per i cittadini italiani quel diritto a “conoscere per deliberare” che sino ad allora era stato negato. Viene così realizzata una massiccia campagna di propaganda elettorale sui mezzi di comunicazione: 406 spot televisivi sulle reti Mediaset, 100 su Telemontecarlo e 5.056 sulle emittenti locali, più 45 milioni di lettere autografe di Emma Bonino inviate in quattro diverse spedizioni postali. Per un investimento totale pari 24.450.000.000 di lire.
    La strategia comunicativa si caratterizza per la capacità di trasmettere agli elettori la durata e l’efficacia delle lotte e iniziative radicali degli ultimi 30 anni, espressa attraverso l’immagine e l’identità di Emma Bonino e canalizzata nella fiducia di garantire ancora quelle azioni politiche che ne avevano contraddistinto la storia.
    In pratica, la lista Emma Bonino riesce a ribaltare il deficit comunicativo determinato dalla sostanziale assenza nei programmi di informazione, attraverso un investimento finanziario in messaggio politico “diretto”, che consente di raggiungere un numero elevato di cittadini italiani, anche attraverso l’innovativo incrocio dei diversi canali disponibili: pubblicità sui media, invii postali e internet, telefonate.
    Una circostanza irripetibile. L’impresa politica compiuta alle elezioni europee del ‘99 dai Radicali non è, oggi, in alcun modo riproponibile perché è stata messa fuorilegge. Infatti, nel febbraio del 2000 è approvata la legge n.28 (della cosiddetta par condicio), la quale, nel disciplinare l’accesso ai mezzi di informazione politica radiotelevisiva, comprime enormemente la possibilità per un soggetto politico di svolgere propaganda elettorale attraverso spot televisivi. In pratica, si passa da un regime in cui lo spot può essere acquistato dal singolo partito e collocato liberamente nei palinsesti (dovendo rispondere esclusivamente a leggi di mercato) a un regime in cui se ne limita la frequenza giornaliera, la collocazione nel palinsesto e persino in parte il contenuto.
    Al sostanziale divieto di spot elettorali introdotto dalla legge sulla par condicio (basti pensare che da allora ciascun soggetto gode in media di meno di 2 messaggi autogestiti al mese sulle reti Rai, in orari e con modalità di basso ascolto) non segue tuttavia un incremento rilevante degli spazi di comunicazione politica offerti a parità di condizioni. Infatti, sebbene la legge 28/2000 preveda l’obbligo per le emittenti nazionali di trasmettere programmi di comunicazione politica, l’applicazione effettiva data dalle emittenti, in violazione di legge - con la colpevole inerzia delle istituzioni di controllo, in primis l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - fa sì che la comunicazione politica sia a lungo marginalizzata e addirittura negata, nonostante essa sia la giustificazione adottata per vietare gli spot televisivi a pagamento.
    A fronte della sistematica riduzione degli unici spazi ad accesso diretto e garantito, cioè quelli di comunicazione politica (messaggi politici sterilizzati e tribune sospese, marginalizzate o, addirittura abrogate, come è accaduto da un anno a questa parte) è costantemente cresciuta la centralità delle trasmissioni “gestite” da un singolo conduttore televisivo, artificiosamente ridotte a trasmissioni di informazione al solo scopo di eludere il rispetto di una più stringente normativa.
    Tutto ciò, unitamente a una giurisprudenza lassista degli organi di controllo, ha determinato una compressione della capacità di raggiungere l’elettorato - sia nei periodi normali che in quelli di campagna elettorale – da parte delle forze politiche estranee all’assetto politico di potere che, nella realtà dei fatti, si è trasformato in un monopartitismo perfetto.
    La giustificazione politico-ideologica del divieto di spot televisivi, introdotto con la legge 28/2000, si è dimostrata dunque puramente strumentale al monoblocco partitocratico, rispetto a qualsiasi proposta politica “alternativa” a quella prevalente.



    Satyagraha 2009

    Oggi come allora - in vista delle elezioni europee del giugno 2009 per le quali sono già negati i diritti democratici di chi non appartiene a una delle due gambe del regime di monopartitismo e agli “oppositori” scelti come ufficiali - i Radicali si impegnano in “un’azione diretta nonviolenta di Satyagraha 2009 per la verità storica sulla scomparsa dello Stato di diritto e della Democrazia compiuta dal regime partitocratrico”, a partire dalla redazione di questa documentazione sul Sessantennio di storia repubblicana seguito al Ventennio fascista. In tal modo essi preannunciano la partecipazione alle elezioni con la “Lista Bonino-Pannella”, volta innanzitutto a utilizzare i residui strumenti di campagna elettorale per informare i cittadini sull’avvenuta cancellazione della democrazia e sulla necessaria lotta di liberazione.

    Scheda N° 2

    RADICALI IN GALERA (DAL '66 A OGGI)

    Buona parte della classe dirigente radicale (43 persone), a partire dal suo leader Marco Pannella, tra il 1995 e il 2003 è arrestata e processata nel corso di iniziative pubbliche di cessione a titolo gratuito di hashish e marijuana. Le sentenze dei tribunali di mezza Italia sono controverse: condanne in alcuni casi (14 persone), ma anche molte assoluzioni (17 persone), fino al riconoscimento a Marco Pannella che il reato “di lieve entità” commesso nel 1995 a Piazza Navona “è stato commesso per motivi di particolare valore sociale”. A seguito di queste disobbedienze civili, 13 esponenti radicali fra i quali Marco Pannella, Sergio Stanzani e Rita Bernardini non possono più candidarsi alle elezioni regionali provinciali e comunali per una legge promulgata nel 2000 (D.lgs 268, art. 58). L’incandidabilità – peraltro non prevista per le elezioni al Parlamento Italiano ed Europeo – è “a vita”, anche se la condanna comminata è di lieve entità. Il successo delle candidature di Marco Pannella nelle elezioni amministrative (Trentino, Trieste, Napoli, Catania, L'Aquila, Teramo, ecc.) ha in questo modo trovato il suo “arresto”.


    1966 marzo Milano Andrea e Lorenzo
    Strik Lievers Arrestati per la distribuzione di un volantino antimilitarista
    1967 2 giugno Milano Andrea Valcarenghi, Aligi Taschera, Giorgio Cavalli Arrestati mentre distribuiscono volantini antimilitaristi satirici.
    1967 24 agosto Roma Angiolo Bandinelli, Rendi, Gianfranco Spadaccia Il 1° settembre vengono denunciati a piede libero per “vilipendio di Capo di Stato estero e manifestazione non autorizzata” dopo aver bruciato una fotografia del re greco Costantino davanti all’ambasciata greca in una manifestazione contro il regime militare dei colonnelli.
    1968 agosto Sofia Marco Pannella, Marcello Baraghini, Antonio Azzolini,
    Silvia
    Leonardi Nell'agosto del 1968, l'esercito sovietico invadeva la Cecoslovacchia. I carri armati rovesciavano il governo di Dubcek colpevole di aver condotto una politica di caute riforme e di aver rivendicato un minimo di autonomia dalla madrepatria comunista. Mentre a Praga infuriava la repressione i radicali organizzarono una serie di manifestazioni (sit-in e digiuni) di protesta. Nel quadro di un'azione internazionale organizzata dal W.R.I., i radicali, tra cui lo stesso Pannella, furono arrestati a Sofia, in Bulgaria, per aver distribuito volantini antimilitaristi. “Basta con la guerra nel Vietnam, basta con la Nato, basta con l'occupazione della Cecoslovacchia” è scritto sullo striscione esposto nella piazza principale di Sofia.
    1972 11 marzo Torino Roberto Cicciomessere L’ex segretario del PR, si consegnava insieme ad una decina di altri obiettori alle autorità militari, continuando quindi la lotta all'interno del carcere militare di Peschiera. La nuova legge sull'obiezione di coscienza, che fu approvata nel successivo mese di dicembre, era il risultato di un drammatico sciopero della fame collettivo di radicali proseguito ad oltranza da Marco Pannella e dal radicale credente Alberto Gardin interrotto nel momento in cui l'allora presidente della Camera Sandro Pertini assicurò che la questione sarebbe stata posta rapidamente all'ordine del giorno. La legge sull’obiezione di coscienza verrà approvata il 15 dicembre del 1972.
    1974 2 giugno Roma Sei militanti In occasione della parata militare che celebra la festa della Repubblica, i Radicali, come di consueto, organizzano un lancio di volantini in cui si contesta che una Repubblica fondata sul lavoro sia festeggiata con una parata militare. Sei militanti sono arrestati e immediatamente rilasciati il libertà condizionata, per vilipendio delle forze armate.
    1975 9 gennaio Firenze Giorgio Conciani I carabinieri fanno irruzione nella clinica del CISA a Firenze, arrestando il dr. Giorgio Conciani e i suoi assistenti ed identificando e denunciando le oltre 40 donne che vi si trovavano.
    1975 13 gennaio Firenze Gianfranco Spadaccia Arrestato e incarcerato per aver dichiarato, in quanto Segretario del Pr, di aver promosso la costituzione del CISA (Centro Italiano Sterilizzazione e Aborto) e le sue iniziative di disobbedienza fra cui la clinica di Firenze dove venivano praticati aborti con il metodo Karmann. La legge verrà approvata nel 1978 per evitare il referendum radicale sul quale Radicali e Socialisti raccolsero le firme nella primavera/estate del 1975.
    1975 26 gennaio Roma Adele
    Faccio Sul palco del teatro Adriano a Roma, davanti a migliaia di persone viene arrestata la Presidente del CISA Adele Faccio che, raggiunta da mandato di cattura decide di consegnarsi alle forze dell’ordine.
    1975 5 giugno Bra (Cn) Emma
    Bonino Emma Bonino, che era subentrata come responsabile dell'attività del Cisa a Milano dopo l'arresto della Faccio, e contro cui era stato successivamente spiccato un mandato di cattura, si consegnava al momento di votare, il 5 giugno, a Bra, sua città natale, e veniva poi subito scarcerata.
    1975 giugno Roma Marco Pannella Antiproibizionismo: Marco Pannella fuma marijuana in pubblico e si fa arrestare per ottenere la rapida approvazione della legge che non punisce il consumo personale di droghe: grazie a questa iniziativa la legge sarà approvata poco tempo dopo. Il poliziotto che lo arresta gli manifesta solidarietà per il suo gesto di disobbedienza civile e per questo viene trasferito.
    1975 9 settembre Firenze Giorgio Conciani e sette militanti Ennesimo arresto del dottor Conciani e di sette militanti del Cisa per procurato aborto.
    1976 dicembre Roma Angiolo Bandinelli Il consigliere comunale radicale in Campidoglio, Angiolo Bandinelli, offre spinelli nel corso di una seduta del consiglio comunale. Viene immediatamente arrestato.
    1977 maggio Roma Valter
    Vecellio Durante le cariche della polizia sui manifestanti giunti per seguire la manifestazione del Partito Radicale a Piazza Navona indetta per l'anniversario della vittoria sul divorzio e la campagna di raccolta firme per nuovi referendum, viene uccisa Giorgiana Masi. Numerosi gli arresti anche tra i radicali tra i quali quella di Valter Vecellio, redattore di Notizia Radicali, che sarà condannato a 6 mesi per oltraggio, per aver difeso il parlamentare Mimmo Pinto picchiato dalla polizia davanti al Senato. 49 i fermi di polizia.
    1977 novembre Mosca Angelo Pezzana Angelo Pezzana, fondatore del Fuori, viene arrestato a Mosca nel novembre 1977 per un solitario sit-in contro la prigionia del regista gay Sergej Paradjanov.
    1977 dicembre Roma Bruno De Finetti,
    Giancarlo Cancellieri,
    Valter Vecellio,
    Andrea Tosa,
    Roberto Cicciomessere Il fermo del matematico Accademico dei Lincei Bruno De Finetti e dei radicali Valter Vecellio, Giancarlo Cancellieri, Andrea Tosa, avvenne “per associazione sovversiva e istigazione dei militari a disobbedire”, nell'ambito delle indagini sui cosiddetti “Proletari in divisa”. Il mandato di cattura venne revocato in tempo per limitare l'esperienza di De Finetti all' ufficio matricola del carcere di Regina Coeli, ma l'episodio provocò ugualmente le proteste di moltissimi uomini di cultura. Nell’ambito delle stesse indagini venne detenuto in carcere per sette giorni Roberto Cicciomessere.
    1978 2 giugno Roma Gianfranco Spadaccia ed altri 13 In occasione della parata militare, un gruppo di giovani radicali organizza una manifestazione contro le forze armate. Agenti di Polizia fermano 14 persone, tra le quali il Segretrario del Pr, che vengono in seguito denunciati per vilipendio delle forze armate.
    1979 marzo Teheran Enzo Francone Enzo Francone, Segretario del FUORI!, viene arrestato a Teheran per la prima protesta contro Khomeini sulla persecuzione dell’omosessualità in Iran.
    1979 4 e 5 ottobre Roma Angiolo Bandinelli, Jean Fabre Angiolo Bandinelli, consigliere comunale radicale di Roma viene arrestato per avere fumato uno spinello durante una seduta del Consiglio Comunale; il giorno successivo viene arrestato il segretario del Partito Radicale Jean Fabre, che compie il medesimo gesto nell'ambito di una conferenza stampa.
    1979 dicembre Roma Jean Fabre Fumando marijuana nel corso di una conferenza stampa a Roma, l’allora segretario del Partito radicale mette in atto una azione di disobbedienza civile per sollecitare la depenalizzazione delle non-droghe. Arrestato.
    1983 giugno Sergio Rovasio,
    Paolo Pietrosanti,
    Ivan Novelli e altri 20 fermati e denunciati, tra gli altri Sergio Rovasio, Paolo Pietrosanti e Ivan Novelli per la contro-parata in mutande in Via dei Fori Imperiali.
    1983 agosto Comiso (Rg) Alfonso Navarra,
    Paolo Pietrosanti, Gaetano
    Dentamaro, Maddalena Traversi, Andrew Hodson, Bruno Petriccione Antimilitaristi radicali entrano nella base missilistica di Comiso, violando la recinzione. Arrestati con l'imputazione di “Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio”, art. 260 c.p., sono rimessi in libertà provvisoria dopo sette giorni di detenzione nel carcere di Ragusa. Al processo il capo d'imputazione viene derubricato in “Ingresso arbitrario in luoghi ove l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato”, reato contravvenzionale successivamente amnistiato nel 1990.
    1983 ottobre Praga Vari militanti Viene fermato alla frontiera cecoslovacca un pullman di militanti radicali diretti a Praga per celebrare la Giornata mondiale per il disarmo e la pace, indetta dall’ONU, e per manifestare contro le installazioni di missili in Europa. I militanti decidono di presidiare simbolicamente il posto di frontiera fino al giorno successivo, quando tre attivisti riusciranno comunque a raggiungere la città e ad aprire uno striscione nella piazza San Venceslao. Verranno arrestati e poi espulsi.
    1984 settembre Pescara Luigi
    Del Gatto Gino Del Gatto, medico ed esponente radicale, viene arrestato a Pescara per aver prescritto ricette di sostanze stupefacenti a tossicodipendenti. Viene successivamente assolto dal tribunale.
    1984 novembre Roma Sandro
    Ottoni Nell'ambito della campagna per l'affermazione di coscienza, al 30° Congresso del Partito radicale si autoconsegna Sandro Ottoni, obiettore di coscienza e disertore poiché la sua domanda di servizio civile è stata respinta dal Ministero della Difesa. E' incarcerato a Peschiera del Garda e detenuto per cinque mesi e mezzo; in seguito a nuova domanda di riconoscimento, ottiene lo status di obiettore.
    1984 novembre Roma Sergio
    Rovasio,
    Paolo Pietrosanti Sono fermati e denunciati (rinchiusi nella cella di sicurezza del primo distretto di Ps) per una manifestazione davanti a Palazzo Chigi con Francesco Rutelli contro l'invio di soldati in Libano che, anziché garantire la pace, sostengono un governo autoritario. Sono entrati a Palazzo Chigi con i cartelli su un taxi.
    1985 ottobre Bruxelles Olivier
    Dupuis Dupuis compie la sua affermazione di coscienza di fronte all'esercito ed all’autorità giudiziaria militare ed affronta quasi un anno di carcere per testimoniare con una proposta positiva di valore europeo l'alternativa al militarismo, alle strutture militari ed ai problemi della difesa europei secondo una rinnovata tradizione socialista, antiautoritaria e nonviolenta.
    1985
    maggio Roma Gaetano Dentamaro Gaetano Dentamaro, “affermatore” di coscienza radicale, renitente alla leva, si consegna al seggio elettorale “per fondare in Europa una politica di difesa, di pace e di disarmo a partire dalla sopravvivenza degli sterminandi per fame, dalla difesa dei diritti umani (...)”. Rimesso in libertà dopo 17 giorni di detenzione nel carcere di Forte Boccea, con l'obbligo di presentarsi in caserma a La Spezia, rifiuta ed è nuovamente arrestato il 2 giugno. Condotto a La Spezia, viene ancora rimesso in libertà, poiché il Procuratore militare considera la sua lettera al Ministro della Difesa come “domanda di obiezione di coscienza”. Ammesso al servizio civile, nuovamente rifiuta di presentarsi ma il reato viene poi amnistiato nel 1990.
    1985 agosto Washington, Mosca, Varsavia, Budapest, Praga, Berlino Est, BerlinoOvestBelgrado, Atene, Ankara, Bruxelles, Parigi,
    Roma,
    Madrid. Gianfranco Spadaccia, Gaetano Dentamaro, Maurizio Turco A Washington, Mosca, Varsavia, Budapest, Praga, Berlino Est ed Ovest, Belgrado, Atene, Ankara, Bruxelles, Parigi, Roma, Madrid, militanti radicali espongono striscioni e distribuiscono volantini per ricordare Hiroshima. Chiedono interventi straordinari contro la fame e leggi per l'obiezione/affermazione di coscienza. Ad Ankara fermati dalla polizia il deputato Gianfranco Spadaccia e due obiettori di coscienza: Gaetano Dentamaro e Maurizio Turco. L'arresto dura lo spazio di un pomeriggio e di una notte, poi vengono espulsi dalla Turchia.
    1985 settembre Belgrado, Dubrovnik, Zagabria Olivier Dupuis, Andrea Tamburi e altri 500.000 volantini e autoadesivi per l'ingresso della Jugoslavia nella CEE e per la libertà di espressione vengono distribuiti da radicali italiani, francesi e belgi, a Belgrado, Dubrovnik e Zagabria. Solo dopo qualche giorno i radicali verranno arrestati, processati ed espulsi.
    1986 giugno Varsavia Franco Corleone,
    Ivan Novelli,
    Paolo Pietrosanti Un gruppo di radicali, fra i quali Pietrosanti, Novelli, il deputato italiano Franco Corleone, aprono uno striscione davanti alla sede del congresso dei comunisti polacchi, congresso di trionfo per la normalizzazione di Jaruzelski, mentre interviene Gorbaciov. Distribuiscono inoltre volantini per la libertà dei 250 detenuti politici e di circa mille obiettori di coscienza incarcerati. Arrestati per due giorni, nutriti con pane secco, strutto rancido ed acqua, verranno processati ed espulsi.
    1987 gennaio Varsavia Emma Bonino, Angiolo Bandinelli, Olivia Ratti, Roberto Cicciomessere, Antonio Stango Vengono arrestati e poi espulsi per avere distribuito volantini, esposto cartelloni e diffuso con altoparlante messaggi in lingua polacca in sostegno a Solidarnosc e contro il regime di Jaruzelski, in quei giorni in visita in Italia.
    1987 settembre Mosca Sergio Rovasio, Valentina Pietrosanti, Sabrina Coletta, Vittorio Conti Nel settembre 1987 Sergio Rovasio, Valentina Pietrosanti, Sabrina Coletta e Vittorio Conti sono arrestati a Mosca e quindi espulsi per avere distribuito volantini in lingua russa contro la guerra in Afghanistan, il cui testo era stato preparato dal Partito Radicale insieme con Vladimir Bukovskij.
    1988 marzo Spalato Maria Teresa Di Lascia,
    Massimo Lensi, Gaetano Dentamaro, Mario Cocozza
    e altri Tra coloro che colmano lo stadio per assistere alla partita di calcio tra Jugoslavia e Italia anche numerosi militanti radicali che aprono, davanti alle televisioni, striscioni per l'adesione della Jugoslavia alla CEE. Vengono arrestati, processati, condannati al pagamento di una ammenda ed espulsi.

    1988 agosto Praga Vari militanti Nel ventennale dell'invasione sovietica della Cecoslovacchia, radicali belgi, italiani, spagnoli e statunitensi distribuiscono in varie zone del paese decine di migliaia di volantini: »Non è sufficiente ricordare – è scritto nel volantino - noi siamo oggi in Cecoslovacchia per reclamare con la nonviolenza più rigorosa la libertà per i nostri fratelli perseguitati; noi chiediamo il rispetto dei diritti umani e civili fondamentali in Cecoslovacchia come in ogni altro paese. I radicali agiscono indisturbati per due giorni, finché alcuni vengono fermati, sottoposti a lunghi interrogatori e infine costretti a leggere il testo del volantino davanti ad una telecamera. Il 18 agosto l'azione nonviolenta si sposta in Piazza San Venceslao, la piazza di Jan Palach, dove viene aperto uno striscione di venti metri che reca la scritta: “Spolecneza demokracii; Sovetska vojska Prycze zeme; Svoboda; Lidska prava'' (Insieme per la democrazia; fuori le truppe sovietiche, libertà; diritti civili). Contemporaneamente un altro gruppo apre davanti alla statua di San Venceslao un altro striscione con la scritta “Svoboda''. Dopo pochi minuti gli striscioni vengono strappati dalla polizia ceca e i radicali vengono arrestati. Nella sede della polizia i radicali sono costretti ad aprire gli striscioni davanti alle telecamere. Il filmato sui “pericolosi terroristi'' occidentali viene trasmesso dalla Televisione di Stato. Dopo pochi giorni, il 21 agosto, migliaia di cittadini cecoslovacchi scendono in piazza nel ventennale dell'invasione sovietica. Il portavoce del governo di Praga accusa, nel corso di una conferenza stampa, i radicali di aver promosso e provocato la prima grande manifestazione dei cecoslovacchi dopo l'invasione sovietica.
    1989 agosto Mosca Antonio Stango Antonio Stango della segreteria del Partito Radicale, viene arrestato a Mosca e quindi espulso per avere preso parte, con un gruppo di iscritti russi al Partito Radicale, ad una manifestazione nel cinquantennale del Patto Molotov-Ribbentrop per la verità sull'accordo fra nazismo e Unione Sovietica e la libertà degli Stati baltici.
    1990 novembre New York Emma
    Bonino,
    Marco Taradash La Presidente del Partito Radicale transnazionale Emma Bonino e il segretario del CORA Marco Taradash si fanno arrestare per aver distribuito siringhe sterili ai tossicodipendenti. Ripeteranno l'iniziativa nell'aprile seguente e saranno nuovamente arrestati.
    1995
    - 2004 Roma Marco Pannella
    (2 giorni di arresti domiciliari nel 1997) + 8 mesi di libertà vigilata
    Rita Bernardini
    (2 giorni di arresti domiciliari nel 1997)
    Alessandro Caforio
    (2 giorni di arresti domiciliari nel 1997)
    Antonio Borrelli
    (2 giorni di arresti domiciliari nel 1997)
    Cristiana Pugliese
    (2 giorni di arresti domiciliari nel 1997)
    Mauro Zanella
    (2 giorni di arresti domiciliari nel 1997)
    Pigi Camici
    (2 giorni di arresti domiciliari nel 1997) Alle 27 disobbedienze civili su hashish e marijuana organizzate dai radicali tra il 1995 e il 2004, 43 sono i dirigenti e i militanti radicali che vi hanno preso parte autodenunciandosi; 14 di loro hanno avuto condanne definitive; 17 sono stati assolti in via definitiva; alcuni procedimenti sono ancora in corso. La nuova stagione di disobbedienze civili fu aperta il 27 agosto 1995 a Porta Portese, a seguito dell’arresto di un gruppo di giovani di Rimini “colpevoli” di detenere alcuni grammi di hashish.
    2000 5 novembre Città del Vaticano Michele De Lucia, Sabrina Gasparrini,
    Simone Sapienza, Maura Bonifazi,
    Flavio Di Dio, Alessandra Spalletta In occasione della celebrazione del Giubileo dei politici, in Piazza San Pietro, i radicali italiani manifestano contro la posizione e le iniziative del Pontefice e della Chiesa Cattolica in tema di contraccezione, di sessualità e di aborto. Dopo aver innalzato sul sagrato di Piazza San Pietro uno striscione con la scritta: “Sì al condom - Sì alla RU 486”, vengono fermati per 4 ore dalle forze di sicurezza dello Stato Vaticano.
    2001 26 ottobre Vientiane (Laos) Olivier Dupuis,
    Nikolai Kramov,
    Silvja Manzi,
    Bruno Mellano, Massimo Lensi Per avere manifestato a Vientiane per i diritti civili, politici e democratici del popolo laotiano, i 5 esponenti radicali sono condannati a due anni di carcere (considerati estinti con i quindici giorni passati nel carcere laotiano) e a una multa. Sono stati espulsi dal Laos dopo un processo farsa che li ha visti imputati di vari reati tra cui “per interferenza negli affari interni del Paese”. L’iniziativa radicale era stata organizzata in occasione del secondo anniversario della manifestazione per la libertà, la democrazia e la riconciliazione nazionale organizzata dagli studenti laotiani il 26 ottobre 1999 i cui 5 organizzatori arrestati dal regime risultano tuttora “desaparecidos”.
    2001 20 dicembre Manchester (GB) Marco Cappato Presso la Stazione di Polizia di Stockport, Marco Cappato effettua una cessione di cannabis in solidarietà con il deputato Chris Davies. Il 28 ottobre l’eurodeputato radicale viene condannato ad una multa di 100 sterline (circa 150 Euro) o sette giorni di carcere, oltre alla copertura integrale delle spese processuali e di polizia. Cappato paga tutte le spese processuali e di polizia, ma si rifiuta di pagare la multa: per questo va in galera per 4 giorni.
    2007 maggio Mosca Marco Cappato, Ottavio Marzocchi, Nickolay Khramov, Sergey Kostantinov, Nikolai Alexeiev. Marco Cappato, parlamentare europeo radicale, e il militante radicale Ottavio Marzocchi, in delegazione per il Partito radicale a Mosca, sono stati arrestati nel corso di una manifestazione per consegnare una lettera al Sindaco di Mosca, dopo il divieto per la tenuta del Gay Pride russo. Saranno liberati nel pomeriggio. Rimangono fino all' 8 giugno in carcere Nickolay Khramov, Sergey Kostantinov e Nikolai Alexeiev, militanti radicali in Russia. Saranno condannati per ‘disobbedienza alle pretese legittime degli agenti di polizia’ al pagamento di una multa di mille rubli.

  5. #15
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    Predefinito Riferimento: La peste italiana: il documento

    Scheda N° 3

    RADICALI FAMOSI E PERCIO’ CLANDESTINI

    “Allora c’è un problema di mezzi. Se i nostri ascoltatori sapessero che questo è stato il Partito in cui si è iscritto Ionesco, a cui Sartre voleva iscriversi, con tutto il resto. La doppia tessera è un modo per distruggere il valore sacrale della tessera. E l’hanno fatta compagni del Partito Comunista degli anni ’60, con quel partito!”.
    “Forse dovremmo riguadagnare quella naturalezza per parlare di queste nostre cose, dopo 40-50 anni. Abbiamo urgenza. Quando uno in più si iscrive, è un evento, viste anche le nostre dimensioni”. Marco Pannella

    A chi vuole fare carriera, un posto in un ente di Stato, in Rai-Tv, la tessera radicale non serve, è anzi un danno. Ad altro, per raggiungere altri obiettivi serve quel cartoncino plastificato con la testa che raffigura Gandhi. E allora, se non è un partito di potere, di insediamento che fa leva sull’occupazione delle poltrone locali e nazionali, se non è neppure un partito ideologico, per quale ragione iscriversi al Partito radicale?
    La risposta la si può condensare in una specie di slogan: per proseguire ed intensificare la battaglia per riconquistare all’Italia la legalità e la certezza del diritto. Per la difesa e il “ritorno” alla Costituzione scritta, in contrapposizione esplicita con quella “materiale”, che altro non è se non la regola perversa che con la forza e l’arroganza il regime partitocratico e potentati di ogni genere hanno imposto al paese.
    La scommessa giocata da sempre dai radicali, insomma, è quella di essere il Partito della Democrazia: per esempio ridimensionare i partiti, riconducendoli al loro posto, porre un freno alle loro prevaricazioni, ristabilire le regole del gioco per cui le leggi devono essere applicate, rendere i cittadini eguali fra loro e non sudditi rispetto allo Stato ed ai potentati, restituire al Parlamento la sua funzione di luogo nel quale effettivamente si prendono le decisioni, riconquistare un’informazione degna di questo nome da parte del servizio pubblico. In una parola: lo Stato di diritto contro lo Stato dei partiti.
    Ecco dunque che di volta in volta, al Partito radicale hanno aderito e vi hanno militato persone con alle spalle le più diverse esperienze e culture, ma con un comune denominatore: riconquistare lo Stato di diritto e la Costituzione.
    “Un Partito Radicale”, ebbe a dire Jean Paul Sartre, “internazionale, che non avesse nulla in comune con i partiti radicali attuali in Francia? E che avesse, ad esempio, una sezione italiana, una sezione francese, ecc.? Conosco Marco Pannella, ho visto i radicali italiani e le loro idee, le loro azioni; mi sono piaciuti. Penso che ancora oggi occorrano dei partiti, solo più tardi la politica sarà senza partiti. Certamente dunque sarei amico di un simile organismo internazionale”.
    Di questa presa di posizione di Sartre nessuno mai ha avuto modo di sapere, perché nessuna trasmissione televisiva e nessun giornale si è interrogato sul perché di questa sua adesione.
    E’ sterminata la lista degli iscritti e degli aderenti al Partito radicale in questi anni: alcuni tra gli scrittori più significativi del Novecento italiano: Elio Vittorini (del Pr diviene presidente e consigliere comunale), Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini. E ancora, alla rinfusa: la figlia di Benedetto Croce, Elena; Loris Fortuna; Piero Dorazio; Adriano Sofri; Dario Argento; Franco Brusati; Liliana Cavani; Damiano Damiani; Salvatore Samperi; Giorgio Albertazzi; Pino Caruso; Ilaria Occhini; Raffaele La Capria; Sergio Citti; Carlo Giuffré; Nantas Salvalaggio; Ugo Tognazzi, Mario Scaccia, Carlo Croccolo; Lindsey Kemp; Pierangelo Bertoli; Miguel Bosé; Angelo Branduardi; Lelio Luttazzi, Domenico Modugno; Claudio Villa; Vasco Rossi; Franco Battiato; Oliviero Toscani; Erminia Manfredi; Barbara Alberti; Goliarda Sapienza.
    Non solo: dall’estero, si iscrivono Eugene Ionesco (“Lo giuro: tutte le mie deboli forze saranno dedicate a far vivere il Partito Radicale, questo partito di cui non so nulla e di cui ignoravo l’esistenza…”); Marek Halter; il premio Nobel George Wardl; Arturo Goetz, Aristodemo Pinotti, Saikou Sabally, Vladimir Bukovskij, Leonid Pliusc.
    Dalla solitudine e dal dolore del carcere giungono al Partito radicale centinaia di iscrizioni, detenuti comuni e politici. A Rebibbia si iscrivono 22 detenuti della cosiddetta “area omogenea”: Alberto Franceschini, Cavallina, D’Elia, Cesaroni, Calmieri, Busato, Frassineti, Cozzani, Di Stefano, Lai, Potenza, Gidoni, Cristofoli, Litta, Piroch, Vitelli, Martino, Bignami, Melchionda, Maraschi, Scotoni, Andriani: “Da non radicali”, scrivono, “da detenuti politici e – speriamo presto – da cittadini liberi, ci iscriviamo al Partito radicale. E’ il contributo minimo che possiamo dare alla forza politica che espresse tensioni di crescita civile e democratica negli anni ’70 e che oggi continua a lottare su questo terreno, affinché tutti i non garantiti, la stessa non coscienza civile non perdano questo spazio per i diritti vecchi e nuovi. Come detenuti politici è un modesto segno di solidarietà e di affetto a chi seppe essere vicino ai problemi del carcere e della giustizia, con tanta intelligenza, abnegazione e amore”.
    Si iscrivono, tra gli altri i pluriergastolani Vincenzo Andraous, Giuseppe Piromalli, Cesare Chiti e Angelo Andraous.
    Centinaia, migliaia di iscrizioni e di adesioni che restano “ignote” anche quando l’iscritto per la sua storia e la sua attività è un “personaggio”. Il radicale non fa, non è “notizia”. Eppure dal “pretesto” di questo o quell’iscritto si poteva avviare un dibattito-confronto sulla forma partito, la libertà di iscriversi a più partiti, l’impossibilità di espellere chiunque dal Partito radicale che accoglie l’iscrizione, non la “concede”. Invece nulla, silenzio: non un solo dibattito pubblico sulle ragioni che hanno indotto migliaia di cittadini a iscriversi al Partito radicale, nessuna trasmissione che abbia ascoltato e registrato le loro ragioni.
    Eppure è il partito che con pochi militanti e un numero irrisorio di iscritti (se paragonato a quello di altre organizzazioni politiche), grazie a criteri di organizzazione nonviolenta, rigorossima e libertaria, ha saputo realizzare quanto non hanno fatto in milioni, tutti gli altri partiti messi insieme. E’ forse questa una delle ragioni per cui dei radicali non si deve e non si può parlare?

    INDICE
    Introduzione pag. 2

    Capitolo 1
    FATTA LA COSTITUZIONE NE INIZIA LA DISAPPLICAZIONE pag. 4
    1.1 La mancata abrogazione della legislazione fascista pag. 4
    1.2. La tardiva e parziale attuazione dell’ordinamento costituzionale pag. 4
    1.3 Il processo di ulteriore degenerazione partitocratica pag. 6
    DAL FASCISMO ALLA PARTITOCRAZIA pag. 7
    Due citazioni:
    Giuseppe Maranini pag. 7
    Giuliano Amato pag. 7
    Capitolo 2
    IL FURTO DELLA SECONDA SCHEDA pag. 8
    2.1 La rivoluzione del referendum e la sua tardiva attuazione pag. 8
    2.2 Il Golpe del ’78 e la giurisprudenza anticostituzionale pag. 8
    2.3 Il Popolo vota, il Regime fa il contrario, il Quorum è fatto mancare pag. 9
    SCHEDA 1: LE CONSULTAZIONI REFERENDARIE pag. 11
    SCHEDA 2: I REFERENDUM RESPINTI DALLA CORTE COSTITUZIONALE pag. 15
    Capitolo 3
    UNA REPUBBLICA FONDATA SUL REGIME DEI PARTITI (PARASTATALI E NON DEMOCRATICI) pag. 16
    3.1 Giuseppe Maranini e la partitocrazia pag. 16
    3.2 Oligarchie di partito e negata libertà di associazione pag. 16
    3.3 Referendum del 1978 pag. 17
    3.4 Dall’abolizione del finanziamento al rimborso elettorale pag. 17
    Capitolo 4
    GIUSTIZIA ALL’ITALIANA: UNO STATO “DELINQUENTE ABITUALE” pag. 19
    4.1 Codici fascisti, rinvio delle riforme e lentocrazia giudiziaria pag. 19
    4.2 Dal 7 aprile al caso Tortora la politica dell’emergenza e delle leggi speciali pag. 19
    4.3 Le responsabilità dei politici e della corporazione dei magistrati pag. 20
    4.4 La Giustizia una grande e irrisolta questione sociale pag. 21
    Capitolo 5
    UN PRESIDENZIALISMO ABUSIVO, MEDIATICO ED EXTRA-ISTITUZIONALE pag. 23
    5.1 L’esternazione extra-costituzionale pag. 23
    5.2 1992-1993: L’acquiescenza alle interferenze della magistratura pag. 24
    5.3 1995: Il presidente sordo (al “suo Parlamento”) pag. 24
    5.4 2001: Il presidente incatenato sul potere di grazia pag. 24
    Capitolo 6
    PARLAMENTO: LA CAMERA DEI PARTITI pag. 26
    6.1 Nel 1976 la voce dei politici esce dal Palazzo con Radio Radicale pag. 26
    6.2 Il regolamento della Camera del ’71 e il potere ai partiti pag. 26
    6.3 Le violazioni del regolamento tra il 1979 e il 1983 pag. 27
    6.4 Immunità parlamentare e impunità di regime pag. 27
    6.5 Decretazione d’urgenza e stravolgimento dei poteri tra esecutivo e legislativo pag. 28
    Capitolo 7
    GLI ANNI ‘70: LA RIVOLUZIONE DEI DIRITTI CIVILI pag. 30
    7.1 Il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e l’abolizione dei Tribunali militari pag. 30
    7.2 Aborto, da reato di massa a legge dello Stato. Come evitare i referendum pag. 30
    7.3 Le riforme di liberazione sessuale “GLBT” pag. 31
    7.4 La depenalizzazione del consumo personale di droghe pag. 31


    Capitolo 8
    UNA LETTURA ALTERNATIVA DEGLI ANNI NERI DELLA REPUBBLICA pag. 33
    8.1 Elezioni anticipate: i Radicali bruciano i certificati elettorali (1972) pag. 33
    8.2 L’inganno del cosiddetto “arco costituzionale” pag. 33
    8.3 Di nuovo elezioni anticipate, di nuovo contro i referendum (1976) pag. 34
    Scheda. Giorgiana Masi: dopo tre decenni, nessuna verità pag. 36
    Scheda. P2, P38, P-Scalfari (e poi Moro, Sindona, Calvi, D’Urso, Cirillo e altri ancora) pag. 37
    Capitolo 9
    LA BANCAROTTA DELLO STATO ITALIANO pag. 39
    9.1. Il tradimento dei vincoli costituzionali di bilancio pag. 39
    9.2 L’evoluzione spaventosa del debito pubblico e il dissanguamento da interessi passivi pag. 40
    9.3 Cassa integrazione straordinaria, un altro caso di “privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite” pag. 40
    9.4 La “sindacatocrazia”, l’altra faccia della partitocrazia pag. 41
    9.5 Pensioni, cartina di tornasole della determinazione dell’Italia a non risanare i conti pubblici
    pag. 42
    Capitolo 10
    DALLA RIFORMA “AMERICANA” POSSIBILE ALLE CONTRORIFORME PARTITOCRATICHE pag. 43
    10.1 La scelta della riforma maggioritaria uninominale, come risposta popolare alla degenerazione del sistema dei partiti pag. 43
    10.2 Il tradimento e il sabotaggio dei referendum pag. 43
    10.3 La restaurazione partitocratica del “bipolarismo” all’italiana pag. 44
    Capitolo 11
    PARTITOCRAZIA, DISSESTO IDROGEOLOGICO, DISTRUZIONE DELL’AMBIENTE pag. 45
    11.1 Un paese vulnerabile pag. 45
    11.2 Una dissennata gestione del territorio pag. 45
    11.3 Leggi inattuali e azione di surroga della protezione civile pag. 46
    11.4 Il caso Napoli: disattesi i progetti di rottamazione edilizia e di area metropolitana pag. 46
    11.5 La Campania sepolta dai rifiuti pag. 47
    Capitolo 12
    LO SFASCIO DELLE ISTITUZIONI: IL “CASO” DEI PLENUM MANCANTI pag. 48
    12.1 Corte costituzionale pag. 48
    12.2 Camera dei deputati pag. 48
    Capitolo 13
    IL MANCATO RISPETTO DEGLI OBBLIGHI INTERNAZIONALI DELLA REPUBBLICA ITALIANA pag. 50
    13.1 Lotta alla fame nel mondo, un impegno tradito pag. 50
    13.2 L’Italia artefice della Corte Penale a livello internazionale ma non a livello interno pag. 51
    13.3 I costi italiani dell’Europa delle nazioni pag. 51
    13.4 Moratoria universale della pena di morte, dopo quindici anni di inadempienze e rinvii
    pag. 52
    13.5 Il boicottaggio di “Iraq libero”, l’unica alternativa alla guerra pag. 52
    13.6 Italia-Libia, trattato contro il diritto internazionale pag. 53
    Capitolo 14
    LA NEGAZIONE DEL DIRITTO ALLA CONOSCENZA pag. 54
    14.1 Dall’Eiar a Raiset pag. 54
    14.2 La sistematica ed impunita violazione delle regole dell’informazione politica pag. 55
    14.3 Le questioni popolari cancellate dall’agenda pag. 56
    14.4 L’imposizione di protagonisti e antagonisti di Regime pag. 58
    14.5 Il “genocidio politico e culturale” (F. Storace) del movimento radicale pag. 59
    14.6 Il compiuto attentato ai diritti civili e politici pag. 61



    Capitolo 15
    GLI ULTIMI ANNI DEL REGIME pag. 63
    15.1 Sugli “obblighi costituzionali inderogabili” e sulla partecipazione dei Radicali alle elezioni europee pag. 63
    15.2 La marcia di Natale 2005 per l’amnistia, la giustizia, la libertà. Perché nove milioni di processi pendenti sono la più grande questione sociale del paese pag. 63
    15.3 Il “Porcellum” del 21 dicembre 2005 pag. 65
    15.4 Elezioni politiche 2006 – dall’applicazione all’interpretazione della legge: 8 senatori nominati al posto di quelli legittimamente eletti pag. 66
    15.5 La Commissione di vigilanza Rai nella XV legislatura e il Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva pag. 67
    15.6 Il caso della Commissione di vigilanza sulla Rai nella XVI legislatura pag. 68
    Capitolo 16
    PERCHÉ LA RESISTENZA PUÒ ANCORA VINCERE pag. 70
    16.1 Dal 1974 la storia raccontata attraverso i referendum: l’altra faccia del paese pag. 70
    16.2 L’annullamento dei referendum attraverso gli appelli all’astensione pag. 70
    16.3 La scandalosa campagna della Chiesa sulla legge 40 pag. 71
    16.4 Dai sondaggi un’Italia laica e non in sintonia con i partiti pag. 71

    Scheda n°1
    CAMPAGNE ELETTORALI RADICALI: “CERTIFICATI BRUCIATI”, “SCIOPERO DEL VOTO”, “VOTA EMMA”, “SATYAGRAHA 2009” pag. 74
    1972 e 1983: dal bruciare i certificati elettorali allo sciopero del voto pag. 74
    1999: “Vota Emma”, vendita degli averi per ricomprarsi l’informazione rubata pag. 74
    Satyagraha 2009 pag. 76

    Scheda N° 2
    RADICALI IN GALERA (DAL '66 A OGGI) pag. 77

    Scheda N° 3
    RADICALI FAMOSI E PERCIO’ CLANDESTINI pag. 83

 

 
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