CONTRATTI, SOVVENZIONI, COMMERCIO, CORRUZIONE
I generali saccheggiano le ricchezze del Pakistan

Il 15 dicembre il presidente pakistano Pervez Musharraf ha revocato lo
stato d'emergenza ma all'inizio della sua campagna elettorale Benazir
Bhutto, leader del principale partito di opposizione, è stata uccisa
da un kamikaze. Le elezioni legislative sono state rinviate dall'8
gennaio al 18 febbraio e si svolgeranno sotto stretto controllo. Lo
stato maggiore infatti, dietro lo schermo dei conflitti politici e dei
numerosi attentati organizzati da gruppi estremisti, è ben deciso a
conservare il controllo del potere. Tanto più che l'esercito, nel
corso degli anni, ha assunto un ruolo economico crescente, dal quale
gli ufficiali superiori traggono profitti notevoli cui non intendono
rinunciare.

di AYESHA SIDDIQA *

Di recente, un giornale pakistano ha pubblicato un'inchiesta secondo
cui il mondo degli affari preferisce un regime diretto da militari
(1). Non c'è da stupirsi. Come tutte le altre élite, anche i grandi
capitalisti pakistani gradiscono che uno dei pilastri del potere sia
l'esercito. Il quale, del resto, si sente investito da una missione:
«mettere in riga» quei civili ribelli e comunque meno patriottici di
lui. È quanto ha voluto fare, di nuovo, il 3 novembre, quando il
presidente Pervez Musharraf ha sospeso la Costituzione e decretato lo
stato d'emergenza (Emergency Plus). Il generale ha preteso che si
trattasse di difendere l'integrità dello stato contro estremisti
religiosi e terroristi. Di fatto, la decisione mirava a preservare
l'enorme potere politico, e soprattutto economico, dell'esercito.
Infatti, mentre è noto che le forze armate costituiscono il più grande
partito politico del paese, lo è meno il fatto che siano anche una
potenza economica che conta per il 6%, se non più, del prodotto
nazionale lordo (Pnl).
La storia del Pakistan è ricca di colpi di stato. Ma non era mai
successo che un generale fosse recidivo in materia. Musharraf si è
impadronito del potere il 12 ottobre 1999, soppiantando il capo di un
governo civile, Nawaz Sharif. Nel novembre scorso, non ha dovuto
allontanare nessuno, ma semplicemente instaurare lo stato d'emergenza,
riconoscendo così il proprio fallimento nel dirigere il paese. Ha
modificato la legge militare del 1952, affinché i militari potessero
arrestare civili e portarli davanti ai consigli di guerra senza
mandato giudiziario e i processi svolgersi a porte chiuse.
Secondo il presidente, i poteri speciali servono a facilitare la lotta
contro il terrorismo e l'estremismo religioso: da qualche mese, gli
attentati suicidi, così come altri attacchi contro i militari, si sono
moltiplicati. Ma la collera del generale Musharraf è rivolta
soprattutto contro la più alta istanza giudiziaria del paese, accusata
di aver fatto liberare sessantuno «terroristi» arrestati dai servizi
segreti, incoraggiando così l'estremismo. Quanto poi alla decisione
della stessa Corte suprema di convocare, in alcuni casi, alti
responsabili della polizia, è stata giudicata «demoralizzante» per le
forze dell'ordine.
Il generale Musharraf non lo ammetterà mai, ma la lotta contro il
terrorismo non è che un pretesto per limitare l'indipendenza dei
magistrati e le libertà ordinarie. Le milizie tribali che combattono
le forze di sicurezza nel Waziristan del nord e del sud sono comparse
grazie all'appoggio dei servizi di sicurezza. E se continuano a
prosperare, la colpa non è del potere giudiziario, ma della loro
importanza strategica per l'esercito: tanto che, il 5 settembre 2006,
quest'ultimo ha concluso un accordo con loro e deciso proprio il
ritiro dalle zonesotto il loro controllo (2).
Lo stato d'emergenza punta prima di tutto a rafforzare il predominio
dei militari su stato e società. Dopo anni di asservimento, la Corte
suprema aveva iniziato a difendere le proprie prerogative e ad
affermare la volontà di affrancarsi dall'autorità militare. L'8 marzo
2007, il generale Musharraf ha destituito il presidente della Corte.
Il movimento degli avvocati, un movimento laico nato dalle classi
medie, si è mobilitato, con successo, per salvarlo e rivendica ora una
liberalizzazione politica.
Per strappare il paese alla dittatura militare, la maggior parte degli
osservatori contava sul Partito del popolo pakistano (Ppp) di Benazir
Bhutto, oppure... sullo stesso esercito. Ritornata nel paese dopo un
accordo concluso con Musharraf - che la metteva al riparo da azioni
giudiziarie per fatti di corruzione - , la Bhutto aveva preteso poi di
opporsi alla destituzione, assai impopolare, dei giudici e aveva
denunciato lo stato d'emergenza (revocato il 15 dicembre). Il sostegno
popolare di cui godeva il suo partito restava abbastanza ampio, ma
erano in molti ad avere delle perplessità su di lei per via degli
scandali legati al suo nome e per il timore di altri cambi di
posizione. Tutto il potere allo stato maggiore Soprattutto era
difficile credere che qualcuno potesse sfidare la dittatura, dato che
l'esercito rimane l'istituzione più potente del paese. La Bhutto
avrebbe potuto contribuire a rovesciare il generale Musharraf? Quando
era al potere aveva destituito tre generali impopolari, compresi due
capi di stato maggiore. Il primo dittatore militare, il generale Ayub
Khan, è stato allontanato nel 1969, dopo essersi auto-proclamato
maresciallo: la sua impopolarità era così grande, da averlo già
costretto a lasciare la guida dell'esercito - cosa che Musharraf ha
appena fatto. Nel 1971, lo stato maggiore ha obbligato il capo della
difesa, il generale Yahya Khan, a rimettere il potere nelle mani di un
civile, Zulfikar Ali Bhutto. Infine, il generale Mohammad Zia ul-Haq,
il terzo dittatore del Pakistan, è morto in un misterioso incidente
aereo nell'agosto 1988. È quindi possibile immaginare che l'esercito
esaudisca i desideri della popolazione trovando un modo per rovesciare
Musharraf.
Ma, a conti fatti, l'esercito potrebbe anche optare per la repressione.
La natura dell'istituzione è infatti cambiata profondamente - i
militari sono diventati importanti attori economici, con interessi da
proteggere anche in questo settore. Grazie al generale Musharraf, il
corpo degli ufficiali superiori è riuscito a drenare risorse del paese
ben al di là dei bilanci della difesa nazionale. Cacciare Musharraf
non è il solo obiettivo della lotta per la libertà e la democrazia che
si svolge oggi nelle strade del Pakistan. Si tratta anche di
rafforzare sia il potere giudiziario che quello delle altre
istituzioni civili e di dotarsi di strumenti in grado di sfidare il
potere militare, il che evidentemente non piace alla maggior parte dei
generali. Lo stato maggiore non intende privarsi di alcuno dei poteri
che, direttamente o indirettamente, detiene dal 1958.
Solo nel 1969 si è riusciti a far dimettere il generale Ayub Khan, il
primo ad aver conquistato il potere politico, il quale ha lasciato il
suo posto ad un altro generale, Yahya Khan. Quest'ultimo è stato a sua
volta destituito nel 1971, dopo che l'India ebbe inflitto alle forze
pakistane una sconfitta umiliante, che ha portato all'indipendenza del
Bangladesh - fino ad allora provincia orientale del Pakistan - ,
minando l'autorità morale dei militari e indebolendone il potere.
Se in quel momento l'esercito ha scelto di facilitare l'ascesa al
potere di Bhutto, è perché costui, pur predicando un «socialismo
islamico», condivideva il programma nazionalista e di destra dei
militari. Decisamente contestata, la sua politica li ha riportati al
potere nel luglio 1977. I pochi anni d'interludio non hanno tuttavia
rafforzato la democrazia. Prima di tutto perché i militari
continuavano, sotto banco, a dirigere il paese; poi perché importanti
settori delle élite civili sono rimasti fedeli all'esercito.
I generali sostengono di dover intervenire per salvare il paese
dall'incompetenza dei responsabili politici. Ma il loro primo
intervento (legge marziale del 1958) è stato motivato esclusivamente
dalla sete di potere, e quelli successivi da un insieme di ambizioni
politiche ed economiche.
Oggi, la giunta militare è diventata uno dei principali arbitri della
ridistribuzione delle ricchezze del paese, a beneficio in particolare
degli ufficiali superiori e dei loro alleati civili. Il potere
economico conferisce loro una visibilità sociale impensabile, in
genere, per soldati professionisti.
Basta passeggiare per le strade delle principali città per rendersi
conto dell'importanza assunta dai militari. Al centro della maggior
parte di esse, non importa se grandi o piccole, troneggiano monumenti
dedicati a diversi tipi di missili balistici. Il passante potrà
inoltre acquistare sui mercati locali una quantità di beni di consumo
provenienti da imprese controllate dall'esercito. Queste non producono
solo carri armati, aerei o cannoni, ma anche cereali, porridge,
varechina, acqua minerale, cemento, concime chimico o maglioni. In
realtà, le forze armate sembrano più adatte a produrre beni di consumo
che sistemi di armamento. Posseggono anche una banca destinata a
raccogliere denaro fresco. I militari sono attivi nei tre grandi
settori dell'economia - agricoltura, servizi e industrie
manifatturiere. I loro capitali sono investiti nell'economia legale,
ma si ritrovano anche, direttamente o indirettamente, nei settori
informali e illegali. Fra tutte le istituzioni statali, le forze
armate sono quelle che rastrellano la maggior parte della ricchezza
nazionale. Questo predominio conferisce loro un netto vantaggio sulle
altre forze politiche, rafforzandole nei confronti degli altri attori
economici.
Il saccheggio dell'esercito su una parte notevole delle risorse
nazionali risale ai primi anni dell'indipendenza (1947), quando la
prima guerra con l'India ha fatto sì che il governo riservasse il 75%
del bilancio alla difesa nazionale. Da allora, le forze armate drenano
mediamente il 30% del Pil, cifra che include le pensioni e alcune
altre spese non direttamente militari.
Ma il bilancio della difesa non rappresenta la totalità dell'economia
militare, che prevede anche redditizi investimenti nel settore privato.
La struttura di questa economia è estremamente complessa e la maggior
parte delle sue ramificazioni sono difficili da individuare. Lo stato
maggiore utilizza innumerevoli tecniche per sfruttare le risorse
nazionali con l'aiuto di personale in pensione o in attività.
L'economia militare opera a tre livelli. Nel primo: le imprese dirette
da militari in attività, un po' sul modello cinese o indonesiano.
In Pakistan, questo livello riguarda soprattutto tre grandi imprese:
la Frontier Works Organization (Fwo), la più importante società di
edilizia e lavori pubblici, specializzata nella costruzione di
autostrade, dighe, ecc.; la National Logistics Cell (Nlc), la più
grande società di trasporti, incaricata della raccolta dei pedaggi
autostradali, partecipa anche a grandi progetti di costruzione; la
Special Communications Organization (Sco) che si occupa di
telecomunicazioni nel nord del paese e nel Kashmir.
Queste società si servono dei loro legami con l'esercito per ottenere
sovvenzioni statali e contratti. Ad esempio, la maggioranza degli
appalti per la costruzione di nuove strade è concessa alla Fwo e alla
Nlc, ritenute meno corrotte e più efficienti delle società civili.
Lungo le strade del paese si vedono molti cartelli che tessono le lodi
della Fwo e dell'esercito. Non sono normali cartelli pubblicitari:
invitano l'utente a ringraziare la società militare per aver così ben
costruito una strada tanto bella.
Le campagne trionfalistiche servono a mascherare la crescita di
incompetenza e corruzione, all'interno di organismi che non devono
rendere conto a nessuno. Ad esempio, un ponte costruito dalla Nlc a
Karachi è crollato meno di una settimana dopo l'inaugurazione,
provocando la morte di sette persone. Alla Fwo, una società creata nel
1966 per costruire l'autostrada del Karakorum tra il Pakistan e la
Cina, è stata attribuita la costruzione, a Rawalpindi, di una strada
di dieci chilometri.
Il contratto, per un importo di 18,8 miliardi di rupie pakistane (211
milioni di euro) è stato aggiudicato senza concorso pubblico e il suo
costo è considerato esorbitante. La Fwo, mentre percepisce 1,8
miliardi di rupie (21 milioni di euro) a chilometro per la costruzione
di questa strada, trascura quella che dovrebbe essere la sua
principale attività, la manutenzione e riparazione della strada del
Karakorum.
Oltre alle tre imprese, i militari posseggono anche centinaia di
attività più piccole, quali pompe di benzina, panetterie, drogherie,
ristoranti e anche saloni di bellezza. Tutte queste società attingono
ai forzieri dello stato e sfuggono a qualsiasi controllo.
Cinque grandi filiali dei vertici militari Segue poi un secondo
livello di attività, che riguarda le cinque grandi filiali dello
establishment militare: la Fauji Foundation, dedicata alla gestione
dei servizi sociali delle tre armi e amministrata dal ministero della
difesa; l'Army Welfare Trust (Awt), la Bahria Foundation e la Saheen
Foundation, che dipendono rispettivamente dall'esercito,
dall'aeronautica e dalla marina; infine la Pakistan Ordnance
Factories. Queste fondazioni gestiscono più di cento imprese
importanti, le cui attività vanno dalla produzione di cemento,
concimi, cereali e medicinali all'aviazione civile, passando per
banche, compagnie d'assicurazione, agenzie immobiliari ed edifici
scolastici. Nell'industria pesante la quota dei militari ammonta al 33%.
La maggioranza degli ufficiali superiori è restia ad ammettere un
coinvolgimento. Sostengono che si tratta di società private, che
impiegano militari in pensione. Queste filiali fanno pensare alla
struttura della fondazione militare turca Oyak, che gestisce centinaia
di piccole imprese tramite fondi pensione. Ma, in Pakistan, le
attività sono qualcosa di più di un'innocente riconversione di
ufficiali in pensione. Qui, l'influenza politica dei militari serve a
costruire un impero commerciale che è tutto tranne che trasparente.
Sono imprese che, mentre godono abbondantemente delle sovvenzioni
statali, non rispettano i principi di responsabilità finanziaria e le
procedure di controllo previsti per i servizi pubblici. Numerosi audit
pubblicati dal controllore generale delle finanze danno un'idea del
costo di questo saccheggio delle risorse nazionali. Ad esempio, Askari
Aviation, filiale di Awt specializzata nell'affitto di elicotteri,
utilizza apparecchi dell'aeronautica senza pagare nulla allo stato.
Eppure, si tratta della quota meno opaca del capitale militare! Il
peso finanziario delle fondazioni ammonta a circa 250 miliardi di
rupie (2,8 miliardi di euro), e la relativa trasparenza delle società
affiliate si deve al loro statuto. Una decina di queste filiali è
infatti quotata in Borsa e di conseguenza la contabilità è più
trasparente di quella degli altri due livelli.
Il terzo livello è il meno trasparente ed è quello che permette
maggiori profitti ai membri della confraternita militare. Ufficiali in
pensione o in attività ricevono dallo stato, a titolo di pensione o
indennità accessorie, miliardi di rupie, sotto forma di terre
agricole, terreni in città (si legga il riquadro a pagina 16) o altre
concessioni in natura. Si offrono loro anche impieghi. Nel settore
civile i privilegi non sono ripartiti equamente - l'élite degli
ufficiali ne è la principale beneficiaria. Un generale in pensione, ad
esempio, avrà diritto a personale di servizio domestico, un
maggiordomo o un autista. Ma queste sono piccole cose. Molto più
importanti, sono i doni immobiliari.
Tutti gli ufficiali superiori posseggono sei o sette proprietà nelle
diverse zone del paese. Il generale Musharraf ne possiede circa una
decina, tutte di grande valore, acquisite in quanto ufficiale
dell'esercito.
Gli ufficiali più onesti, invece, si contentano di una o due.
Ci sono, poi, le centinaia di posti offerti agli ufficiali dai diversi
servizi dello stato, dalle società sotto controllo militare o dal
settore privato. Da quando Musharraf ha preso il potere, almeno
milleduecento ufficiali sono stati assunti dal settore pubblico in
posti chiave.
Ad esempio, sulle dodici compagnie elettriche del paese, nove sono
dirette da militari. Ufficiali superiori vengono nominati ambasciatori
o rettori d'università. Tutti incarichi che vanno ad aggiungersi a
quelli offerti dalle società militari, di cui si è già parlato.
Il settore privato è a caccia di ufficiali, per i contatti e le
amicizie che questi hanno nel governo. D'altra parte, molti ufficiali
superiori in pensione si riconvertono nelle industrie di armamenti.
Alcuni sfruttano la loro influenza per favorire propri interessi
commerciali.
È questa una tradizione che risale agli anni '60, quando il capo di
stato maggiore, generale Ayub Khan, ha fatto di suo figlio un magnate
dell'industria. Più recentemente, alcuni generali, quali Zia ul-Haq e
Akhtar Abdul Rehman (capo dei servizi segreti all'epoca della lotta
contro l'invasione sovietica in Afghanistan), hanno figli miliardari
in dollari. Il problema è questo: i capitali militari, che dovrebbero
avere una funzione sociale, tendono a diventare predatori.
È nell'ordine delle cose, che un'organizzazione potente e notoriamente
poco trasparente utilizzi la propria influenza per sottrarre risorse a
vantaggio di alcuni individui. L'obiettivo dichiarato è quello di fare
della macchina militare una comunità strettamente coesa, capace di
difendere i propri interessi, soprattutto finanziari, che sono
talvolta considerevoli. Non bisogna quindi stupirsi che i militari,
entrati nel mondo degli affari per il loro potere politico, e oggi
alla testa di interessi importanti, facciano difficoltà a lasciare il
controllo del paese ai civili.

note:
* Analista militare pakistana, autrice di Military Inc. Inside
Pakistan's Military Economy, Pluto, Londra, 2007.

(1) «Why does corporate Pakistan detest democracy», Dawn, Karachi, 5
agosto 2007.

(2) Si legga Syed Saleem Shahzad, «Al Qaeda contro i taleban», Le
Monde diplomatique/il manifesto, luglio 2007.
(Traduzione di G. P.)

http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Gennaio-2008/pagina.php?cosa=0\
801lm16.01.html