Il teatrino della politica, offre spettacoli interessanti, a volte ludici, altre volte raccapriccianti, ma una cosa che accomuna tutti i politicanti del globo, sono le promesse in campagna elettorale. Ho smesso di dare importanza ai programmi elettorali, ha più valore la carta igienica della mia toilette. Comunque, preso da uno slancio di ottimismo ho letto il programma di Veltroni e trovo che sia - a parte qualche scontata caduta demagogica - un buon programma di rottura con la storia del pci-pds-ds. Vi sono vari riflessi liberali, dal taglio delle tasse alla riduzione della spesa pubblica, dalle liberalizzazioni, alla modernizzazione dell'Italia. Aspettiamo di vedere quello del Pdl, ma credo che sarà molto simile.

Un programma elettorale non può cancellare le ultime esperienze di governo, a parte qualche rara legge, non abbiamo assistito ad un ridimensionamento dello stato, anzi è cresciuto. La colpa più grave è da imputare al governo Berlusconi, il quale si professa liberale e dovrebbe avere a cuore certi temi. Ma finchè si proporrà all'economia un socialista neo-protezionista colbertista come Tremonti, alleanze stataliste e interessi contingenti che poco si sposano con il libero mercato i risultati saranno scarsi. Qualche riforma abbozzata dal 2001 al 2006, ma senza il necessario coraggio. Molte occasioni perse per la strada, in parte dovute alla non facile situazione internazionale e del tessuto produttivo italiano.

Nell'attesa dell'attuazione del programma, vi propongo una critica alle politiche interventiste, prendendo in esame un'economista senza dubbio preparato, intelligente e acuto, ma che ha ispirato molte delle politiche goverrnative: Keynes.

http://brunoleonimedia.servingfreedo...28_Ebeling.pdf

In sintesi vi riporto un paio di stralcii interessanti nei quali si fa riferimento alla Teoria Generale (1936) l'opera che più di tutti ha ispirato statisti, burocrati e boiardi di stato a gestire potere e ricchezze prodotte da altri per fini collettivi.
Nella stragrande maggioranza dei casi - come dimostrava Hayek nel " I fallimenti dello Stato interventista" - generando risultati imprevisti, non pianificati e negativi per la libera iniziativa e per la libertà degli individui di scambiarsi beni e servizi.

Con quest'opera, Keynes "offrì un fondamento all’attività
da sempre preferita dai governi: spendere denaro e favorire interessi particolari"


Nel farlo, Keynes contribuì a minare tre dei
più fondamentali elementi istituzionali dell’economia
di mercato: il gold standard, il pareggio
di bilancio e l’apertura dei mercati competitivi.

Al loro posto, Keynes ci ha lasciato in
eredità l’inflazione conseguente all’emissione
di carta-moneta, le politiche pubbliche basate
sul deficit e un maggiore intervento politico da
un capo all’altro del mercato
.


Altri autori, prima e dopo Keynes giustificano un radicale intervento dello stato (e quindi di economisti, burocrati e amici degli amici vicino ai gangli del potere) per imbrigliare quell'autotreno impazzito del libero mercato. Ma la sua critica sovrasta le altre, non fosse altro per l'impegno e l'abilità - spesso facendo leva sulle ingiustizie e le ineguaglianze del mercato - con la quale ha argomentato la Teoria Generale.

Vi è la presunzione di bloccare il libero scambio tra gli individui, giustificandolo con il populismo della giustizia sociale, del bene comune, della collettività. Ma chi ha le conoscenze tali per neutralizzare gli effetti negativi degli interventi predatori e regolamentativi? Che domande, lo stato interventista e le sue varie diramazioni. (boom)

Il presupposto della spesa pubblica e delle politiche in deficit sarebbe quello di favorire i momenti di crisi e i disequilibri del mercato, quando au contrarie si scambiando le cause con gli effetti. Perchè ciò che si vede sono gli interventi pubblici, ma ciò che non si vede - come scrisse Bastiat in un famoso libro - sono le conseguenze impreviste di tali politiche. La risultanza sono debiti pubblici elevatissimi che pesano come macigni sui cittadini. Sono debiti contratti dai nostri politicanti ed economisti da strapazzo che gravano sui cittadini, senza che i responsabili abbiano mai pagato le conseguenze. In una impresa privata, sarebbe inconcepibile che un manager lavorasse in questo modo; sarebbe licenziato dopo la stesura del bilancio. I politici possono farlo, tanto hanno uno stock da cui attingere: le nostre tasche. Con questo non si vuole negare che in taluni casi non sia necessaria la presenza dello stato - fosse altro per vigilare sui contratti, sugli scambi senza coercizione, sulle minacce esterne, e sui disordini interni - gli assolutismi sono contro la mia idea della vita e della società, si vuole solamente indicare la luna e non il dito. Le politiche stataliste, pur se a volte vengono attuate in buona fede, hanno dei risvolti perniciosi che non possono essere eliminati.