Domenico Millelire
Pietro Millelire, ebbe da sua moglie Maria Ornano 4 figli maschi ; Agostino nel 1758, Domenico nel 1761, Carlo Antonio nel 1765, Francesco di cui non si conosce la data di nascita, ma senz'altro era il più giovane.
Tutti e quattro subiscono il fascino irresistibile del mare, in quel suo aspetto particolare che è la vita della marineria militare, il che significa: il mare come la libertà, una bandiera per l'ideale, una disciplina per essere uomini. Così Agostino si imbarcò giovanissimo e nel 1787 lo troviamo pilota sulla regia mezza-galera "Beata Margherita" agli ordini di quell'ottimo capitano che era Felice De Costantin, in occasione dell'epico scontro che il 15 aprile vide quella nave vittoriosa contro uno sciabecco tunisino.
Egli si battè strenuamente, benchè ferito, fino a quando i barbareschi non furono piegati. Combattè quindi con eroismo nella battaglia de La Maddalena tanto che nel 1794, oltre alla medagliad'oro, fu promosso pilota di fregata. Nel 1816 ebbe l'onore di essere nominato comandante dell'arcipelago de La Maddalena, ol grado di Maggiore di Fanteria (la marina faceva allora parte di questo corpo). Nello stesso anno, il Re permutò la sua medagliad'oro in croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia, il massimo riconoscimento dell'epoca. Morì nella sua isola in quello stesso 1816.
Suo figlio Giò Battista, nato nel 1803, si distinsea 22 anni nella spedizione di Tripoli e successivamente nella campagna del 1848 , raggiungendo il grado di contrammiraglio. Tra i discendenti di di Agostino vi fu anche un secondo Ammiraglio.
Domenico Millelire, il nocchiere della Real Marina Sarda, aveva un "nome di battaglia" che era tutto un programa: "Debonnefois" ed ebbe la sua medaglia d'oro a 32 anni con la semplice e lapidaria motivazione: "Per aver ripreso al nemico l'isola di Santo Stefano e per la valorosa difesa dell'isola de La Maddalena contro gli attacchi della squadra navale della Repubblica francese" nulla di più semplice e di più puro per un soldato.
L'eroismo lo aveva nel sangue. Era imbarcato sulla mezza-galera "Santa Barbara" al comando di un altro grande della Marina Sarda, Vittorio Porcile, nativo dell'isola di San Pietro che come La Maddalena, diede alla marineria uomini illustri; insieme il 3 gennaio 1794, combatterono con estremo valore contro due sciabecchi algerini e li catturarono. Per questa azione Domenico ricevette la medaglia d'argento al valor militare. Promosso sottotenente delle mezze-galere, partecipò il 18 luglio 1811 alla famosa battaglia navale di Capo Malfatano, a seguito della quale ebbe il grado di capotenente delle truppe di fanteria. In seguito gli fu riconosciuto il gradi di sottotenente di vascello dei forti della Reale Marina Sarda e la carica di capitano del porto e comandante della Marina a La Maddalena.
Quì morì il 14 agosto 1827 e, come Agostino, fu sepolto nel cimitero vecchio dell'isola.
Nel 1928 la marina volle dare il suo nome a un sommergibile di 1.320 tonnellate, di cui fu madrina la pronipote signora Anita Susini-Millelire.
Il terzo fratello Carlo Antonio presente anch'esso come "pilotino" tra i difensori de La Maddalena, raggiunse il ruolo di ufficiale di Marina, ed un suo figlio, Francesco , fu Ammiraglio.
L'ultimo Francesco, morì in servizio attivo a Napoli nel 1802 senza eredi.
Po no si nd'iscadesci
Zonza Tommaso
Medaglia D'Argento al V.M.
Tommaso Zonza nacque a La Maddalena nel 1756 ed entrò in Marina a vent'anni, subito dopo l'occupazione dell'isola da parte delle navi del Re, col nome di battaglia "La Fedeltà",un ideale al quale tutta la sua vita fu dedicata.
Nel 1793 lo troviamo dapprima al fianco di Domenico Millelire a trasportare i cannoni a Punta Nera, poi a difendere come un leone l'isola di Caprera; per queste azioni gli fu assegnata la medaglia d'argento al valore militare. L'anno dopo e secondo nocchiere sulla "Santa Barbara" durante il già citato scontro con due sciabecchi barbareschi e per il suo coraggio gli fu riconosciuta una pensione annua di £ 50.
Viene promosso pilota della Marina Sarda nel 1810 "Per l'esatto e lodevole servizio prestato da 34 anni"
Nel 1811 avvenne il famoso scontro navale di Capo Malfatano in cui Zonza Comandava il lancione "Sant'Efisio", col quale si misurò contro una feluca tunisina, assai più forte della sua barca, con tale ardimento, da metterla in fuga gravemente danneggiata. Il Re gli assegnò la medaglia d'oro, al valor militare con i relativi vantaggi economici. Nel 1816 la medaglia d'oro fu tramutata nel cavalierato dell'Ordine Militare di Savoia. Il 23 giugno 1818, il Comandante in Capo della Regia Marina, Ammiraglio Giorgio Andrea Des Geneys, affidò al primo pilota Cav. Tommaso Zonza "Il comando dello scopritore "il lampo", montato di due alberi a vele latine di portata Cantara, equipaggiato di uomini 11 compreso esso piloto, armato di Cannoni, per eseguire gli ordini che gli verranno dati....".
Nel 1827 Tommaso Zonza chiese al Re Carlo Felice di essere mandato a riposo, dopo 50 anni di servizio, all'età di 71 anni; ebbe una pensione speciale di 720 lire annue, somma piuttosto modesta, quale riconoscimento sovrano per la sua fedelta.
Si spense il 29 agosto 1842 a La Maddalena. In un articolo sul "Giornale d'Italia" del 27 aprile 1935 l'Ammiraglio Rodolfo Colonna scrisse di lui "Egli, nobile don Tommaso Zonza, medaglia d'oro e d'argento, croce d'oro dell'Ordine Militare di Savoia, non lasciò testamento perchè povero".
Alla battaglia de La Maddalena, si distinse anche un'altro Zonza, Cesare, Nocchiere, del quale non sono riuscito a ricostruire notizie certe, ne a sapere se fosse parente di Tommaso. Comunque anche a lui risulta che in quell'occasine fu riconosciuta ina Medaglia d'argento e che l'anno sucessivo fu insignito della medaglia d'oro.
Custu est un'atru, candu apu agattai calincuna cosa de Lebiu "SU REJ" nci dh'appodhu, saludi saludi.
Giovanni Maria Angioy nacque a Bono nel 1751 dai nobili e ricchi possidenti Pier Francesco Angioy e Margherita Arras. Rimasto orfano in tenera età, gli zii materni si occuparono della sua educazione; la prima tappa fu il collegio Canopoleno di Sassari, nel quale il giovane si dedicò con profitto allo studio della filosofia e del diritto. Nel 1771, conseguita la laurea in leggi presso la regia università di Sassari, Giovanni Maria espresse il desiderio di entrare nella Compagnia di Gesù, contro la volontà degli zii materni i quali, invece, nel 1773, lo mandarono a Cagliari per farvi pratica forense.
Nel capoluogo sardo l'Angioy ebbe modo di rivelare l'altezza del suo ingegno. Prima direttore di un collegio cittadino, poi docente di diritto presso la Regia Università di Cagliari, divenne infine giudice della Reale Udienza, cosa che gli fruttò la fama di dotto e integerrimo magistrato. Non tardarono ad arrivare anche in Sardegna le idee della Rivoluzione Francese, foriere anche su Angioy di pensieri volti alla necessità di combattere la tirannide, allora nell' isola espressa dal feudalesimo operato dai Savoia (nella persona di Vittorio Amedeo II°) a danno dei Sardi.Esso, basandosi sulla sfruttamento dei sudditi, penalizzava l'unica comune fonte di reddito: L'agricoltura. I
n quel periodo infatti, l'isola era suddivisa in feudi ed altissime erano le rendite dovute agli arcivescovi di Cagliari e di Oristano, come pure quelle dovute ai maggiori feudatari come il marchese Alagon di Villasor, i marchesi Manca di Villahermosa di Thiesi e di Mores, il barone di Ossi, il Barone di Sorso e tanti altri. Le città, in quel periodo, erano poco abitate mentre gran parte della popolazione viveva nelle campagne dove erano vessate dala durissima imposizione fiscale feudale: gli agricoltori veniva sotratto un quinto di ciò che seminavano (diritto di giogo), mentre per i pastori il tributo consisteva nel versare un capo di bestiame ogni dieci (deghino). Per i vassalli le tasse erano innumerevoli: ogni capo famiglia, oltre agli altri tributi, doveva pagare un reale (feu) e versare al feudatario una parte degli animali di corte (gallina da corte).
Per i vassalli le tasse erano innumerevoli, ogni capo famiglia, oltre agli altri tributi, doveva pagare un reale (feu) e versare al feudatario una parte degli animali di corte (gallina da corte). Fu in questo clima che si generò, sotto la miopia della classe dirigente nobiliare, il malcontento del Popolo Sardo, che di lì a poco sfociò in tumulti.
Il 28 aprile 1794, l' assassinio di due funzionari piemontesi a Cagliari degenera in aperta ribellione. Vengono inseguiti e uccisi dalla folla l’ intendente generale Gerolamo Pitzolo (6 luglio) e il generale delle armi Gavino Paliaccio, marchese della Planargia (22 luglio). Sono i giorni de "s’ acciappa" (la caccia ai piemontesi ancora in città). Furono catturati tutti i 514 funzionari continentali, incluso il viceré Vincenzo Balbiano e furono cacciati via dall' isola.
L'esempio fu seguito da altre città e la rivolta si propagò per tutta la Sardegna. A quella rivolta parteciparono tutte le classi sociali: Borghesia, nobiltà e popolo; fu in quell' occasione che si ritrovarono tutti uniti per rivendicare l' autonomia del Regno. Nel Logudoro i moti antifeudali si svilupparono nel 1795.
In questa regione i diritti feudali non erano ben precisati ma soventemente pagati mediante barbare estorsioni. Al fine di sedare questi disordini, il viceré Filippo Vivalda (13 Febbraio 1796) insieme ai rappresentanti degli Stamenti, decisero di inviare a Sassari Giovanni Maria Angioy, allora magistrato della Reale Udienza. A lui venivano dati i poteri di Alternos: Ovvero la capacità di esercitare il potere vicereale. Con poca scorta partì da Cagliari inoltrandosi nel cuore della Sardegna.
Durante il viaggio, nei vari paesi che attraversava, venne accolto con manifestazioni di simpatia mentre gli venivano esposti tutti i disagi sociali ed i bisogni delle popolazioni.Ogni paese volle fargli omaggio di una scorta di uomini e quando giunse alle porte di Sassari il suo seguito era imponente. L'accoglienza fu trionfale: accorse tanta folla e anche i canonici della capitale intonarono il "TE Deum".
Ridato ordine e tranquillità al Capo di sopra, Giovanni Maria Angioy chiese al viceré il riscatto dei villaggi infeudati, rifiutandosi di procedere alla riscossione dei tributi anche con la forza. Rispose al viceré che non avrebbe mai fatto l'esattore baronale. Si schierò apertamente dalla parte degli oppressi, proclamando la distruzione della feudalità e dichiarando apertamente le sue idee, in opposizione ai reazionari e al viceré.
Per circa tre mesi cercò di ricucire il rapporto tra vassalli e feudatari con atti legali, ma ben presto si rese conto che gli mancava il supporto della borghesia cagliaritana ed anche il sostegno del viceré.I suoi compagni di idee e di partito - però - lo stavano pian piano abbandonando e la sollevazione popolare che aveva creduto di poter suscitare a Cagliari era svanita nel nulla.
In quei mesi il Piemonte veniva invaso dalle truppe di Napoleone e lui aveva avuto dei contatti con agenti francesi per preparare un piano eversivo e cacciare la monarchia. Ma gli eventi presero un'altra piega. Vittorio Amedeo III fu costretto a firmare il trattato di Cherasco e successivamente a Parigi, il 15 maggio 1796, la pace con i francesi. Si ritrovò così senza nessun sostegno esterno ed a capo dei rivoltosi.
Il viceré gli revocò la fiducia insieme ai poteri conferiti e si preparò a combatterlo. Sul suo capo venne messa una taglia di 3.000 Lire sarde mentre i soldati del viceré lo cercavano per arrestarlo.Il 2 giugno parte con un esercito antifeudale diretto verso Cagliari; giunge ad Oristano l’8 giugno, ma viene battuto e abbandonato dai suoi.
Si rifugiò dall'amico Obino a Santulussurgiu e attraversando poi la Planargia giunse il 14 giugno a Thiesi e poi a Sassari. La sera del 16 giugno si diresse verso Porto Torres da dove s'imbarcò clandestinamente per Genova. Sperava di recarsi a Torino per ottenere ancora l'abolizione del feudalesimo. Il suo amico, il canonico Giovanni Antonio Frase, di Bono, racconta nei suoi scritti che egli venne costretto a fuggire e a nascondersi, e non solo in Sardegna ma anche nel Continente. Il Frase riferisce la fuga da Casale, in Piemonte, verso la Francia in questa maniera: "Fissati gli appuntamenti sul luogo dove sarebbe pronta la vettura, un bel mattino disse ai frati che andava in un orto a mangiare dei fichi. Prese un'altra via, e giunto al luogo designato si trovò il suo compare Dottor Felice Mula Rubata vestito da ufficiale, munito di passaporti francesi, si montò in vettura, si galoppò a ufo, ed in poche ore furono in terra libera, ed ebbe da Faipoltu la sua cordiale accoglienza". Giovanni Maria Angioy moriva a Parigi povero e solo il 22 febbraio del 1808 assistito e sostenuto dalla vedova Dupont. Venne sepolto probabilmente in una fossa comune.
Ciao Cannas,
Vorrei chiederti la cortesia di chiudere i tuoi interventi su millelire, Zonza Tommaso e Giovanni Angioy, per inserirli in un altro thread, nella quale sia possibile parlare e discutere degli eroi, martiri, patrioti, venduti ed infami della nazione sarda (propongo questo).
Se nn chiudi i tuoi interventi su questo thread (ESCLUSIVAMENTE DEDICATO ALLA GALLURA), dovrò ritenerlo chiuso io medesimo per volontà tua oltre che del moderatore (volontà di fatto), riducendomi a pensare che alcuni discorsi ed alcune zone della sardegna, nn siano ben accette in questo posto.
Il Costa nel Muto di Gallura ha riportato molte balle: per esempio il fratello del muto nella realtà non fu sepolto in aperta campagna e in luogo sconosciuto.
A pag. 18 del vol. IV (1848-1881) del Liber Defunctorum della Parrocchia di Aggius si riporta che, in data 4 maggio 1850, Michele Tanxu, morto senza sacramenti perché assassinato, fu sepolto nel cimitero della Trinità d’Agultu.