Originariamente Scritto da
pantagruel
... che minchionate ci racconta l'unità? questo è terrorismo (nel senso di manovra proditoria atta a terrorizzare) a mezzo stampa.
dove sono i corifei della "stampa sana e giusta", sempre pronti a trombazzare contro libero, quando l'unità, ampiamente finanziata (mi pare circa 8 milioni/anno) con soldi pubblici, scrive queste fregnacce?
Se An riscopre il Duce
Bruno Gravagnuolo
http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=73105
Le voci di dentro inquietano An. E così si scopre che quella del «voto utile» non è l’unica parola d’ordine o lo slogan prevalente del partito che confluisce ormai sotto le insegne del Biscione. Ce ne è un altro di argomento forte, per cementare la volontà unitaria degli ex post-fascisti, e sedarne le ansie di sparizione all’ombra della fusione elettorale decretata da Fini. È l’argomento, distillato sul Secolo d’Italia di ieri, è: il «listone» porta bene. Appartiene alla «nostra» storia.
E già una volta ci consentì di vincere: «questione di leadership, egemonia e vocazione maggioritaria».
Sì, così sta scritto sul quotidiano di An, in prima pagina, proprio sotto il resoconto dell’intervento di Fini a «Radio Anch’io», e titolato sul «voto utile» e i «cittadini che non scelglieranno chi non ha possibilità di governare»: con Casini nel mirino ed eventualmente Storace e Santanché. Già, ma a che «listone» e a che «memoria» si ispira «Gil» nel suo corsivo in bella mostra sotto Fini? Presto detto: il listone del 1924, che grazie alla legge Acerbo consentì a Mussolini e al suo blocco nazionale di rastrellare il 75% dei seggi. In virtù del premio di maggioranza che scattava dal 25% in su, nonché grazie al manganello. E la suggestione di memoria arriva dopo che l’articolista registra bonariamente tutti i tormenti interiori di An, dinanzi all’operazione Fini-Berlusconi. «Mi dicono - scrive Gil - che sta diventando un tormentone, la base mugugna...il listone è uno choc per la nostra base...».
E per sedarli quei tormenti, l’articolista la prende da lontano. E cita Tatarella, che voleva andare «oltre il Polo». Poi fa l’avvocato del diavolo di sé stesso, e si autorisponde, evocando possibili obiezioni :«beh, il predellino di Berlusconi è un po’ leggerino, qui c’è in ballo l’identità storica, il sangue e l’acciaio, serve di più...». Allora, prosegue «Gil», pensate ad Almirante, «all’apertura del Msi» al governo nel 1972 . Ma, nuova autobiezione: no, quella storia finì con la «destra nazionale» e «l’alleanza coi monarchici»! Troppo poco, non basta, visti pure i risultati. Dunque, ancora nessun «grumo di emozioni». Nessun sussulto da «far alzare le serrande di sezione» ai militanti e mandarli a votare con romana volontà. Oltretutto proprio oggi, con questo clima, quando anche «Casini cita El Alamein»... E allora?
E allora Il Secolo cala l’asso di bastone, la briscola che vale. E che fa «giocare sul sicuro». Ovvero, il fatidico 1924 e «la madre di tutti i listoni», quello che permise ai fascisti, sdoganati dal Re dopo la Marcia su Roma, di conquistare i «due terzi dei seggi» muovendo da un partito del 6%. Pure lì, scrive Gil, «c’era chi storceva il naso per l’ammucchiata coi liberali, democratici, nazionalisti, ex popolari espulsi dal partito, demosociali e sardisti». Ma - qui l’asso di bastone - «finì come finì... e il partito unico si sa chi se lo è preso. Questione di leadership, egemonia etc...». Segue battuta maramalda. Gli obiettori malpancisti post fascisti evocati, «sgranano gli occhi, si guardano intorno, abbassano la voce». E dicono: «sai che non ci avevamo pensato?». Chiosa finale del corsivista: «E poi dicono che c’hanno il culto della memoria...»
Perciò, ricapitoliamo. An va alla fusione col Cavaliere, con eventuale «patto di staffetta» tra il signore di Arcore e Fini stabilmente secondo, come aspirante premier per interposto Berlusconi. La base di An recalcitra e vuol vederci chiaro, mentre «le voci di dentro» in cantina filtrano in alto. Ma dall’alto giungono la spiega e il fervorino. Con argomenti «corazzati», che sono musica soave per una base già stranita e spaesata nella nuova foggia d’ordinanza del Ppe, e in quella arcoriana di una San Babila ormai «azzurra». Sicché arriva l’elisir di lunga vita, per sedare l’ansia di sparizione: siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi! Ieri come oggi, indefettibilmente e lungo un filo nero che continua malgrado le apparenze. La svolta di Fiuggi? Una trovata. La democrazia? l’antifascismo non tutto da buttare? E il viaggio di Fini a Gerusalemme? Tutte trovate inessenziali, e buone a «sdoganarsi» per continuare a stare in campo, nel nuovo campo inaugurato dall’«apripista» Berlusconi.
Eccola la medicina «realistica» e indorata che calma le voci di dentro. Non importa che per calmarle quelle voci, le si lasci poi sfuggire dal seno, vellicandole ed esaltandole. Con il richiamo a una stagione infame della storia d’Italia. Quella che precede immediatamente il delitto Matteotti e le leggi eccezionali del 1925. Punteggiata di soprusi e violenze, secondata da classi liberali e Monarchia. E che schiuse al paese le vie di quel regime dalla cui colpe l’An post fascista ha detto in lungo e in largo di volersi smarcare. Bene, sono venuti fuori un’altra volta «al naturale», benché condiscano il loro «realismo» con termini colti come «egemonia», «maggioritario» e «leadership». Con una differenza però rispetto al passato. Stavolta saranno in ogni caso comprimari e mazzolati (simbolicamente»), più che mazzolatori. Il «capoccione» del Listone è un altro e si chiama Berlusconi.