Bene, vedo che non solo non hai letto Cavalli Sforza che improvvidamente citi, ma non hai compreso neanche il senso dell'obiezione di Dobzhansky. In "Geni,Popoli e Lingue", alle pp. 51-52, dopo aver esposto il concetto di razza, Cavalli Sforza scrive:" ... a che punto di divergenza genetica si deve porre il limite per dare una definizione di differenza razziale? Dato che la divergenza aumenta in modo assolutamente continuo, appare evidente che la definizione non può che essere totalmente arbitraria."
A p. 314, nota 4 del capitolo 2 Cavalli Sforza così riassume il nocciolo della questione: "La parola razza stava a significare un sottogruppo di una specie distinguibile da altri sottogruppi della stessa specie. Ma la distinguibilità, come abbiamo visto, è inapplicabile nella specie umana perché qualunque sottogruppo, anche un villaggio, è in media distinguibile da un altro, almeno n teoria, senza che ne derivi una gerarchia chiara he permetta di distinguerli. Le migrazioni frequentissime hanno creato una continuità quasi perfetta". Tutto questo, naturalmente, già era noto da tempo agli studiosi di genetica di popolazione ed allo stesso Cavalli Sforza, che nel saggio "Genetica,Evoluzione,Uomo" (edizioni Est 1976) aveva esposto gli stessi dati senza però arrivare alla negazione del concetto stesso di razza. L'obiezione di Dobzhansky è ancora attuale e calzante perché mossa contro una concezione volutamente rigida della tassonomia.