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Risultati da 1 a 3 di 3
  1. #1
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    Predefinito Di Pietro,il PD e la bufala delle "Liste Pulite"

    Di Pietro o fa un passo in dietro o smette di ridere

    E' probabile che l'inchiesta della Procura di Roma che vede l'ex ministro Di Pietro indagato per falso in atto pubblico e truffa aggravata ai danni dello Stato si riveli in tutto o in parte infondata. Non ci piace particolarmente rovistare tra le carte dei magistrati e il suono delle manette che tintinnano non è la nostra colonna sonora preferita. Per questo auguriamo a Di Pietro di poter dimostrare la sua innocenza.

    Detto questo, siamo più o meno certi che se una inchiesta di questo tipo avesse sfiorato qualsiasi altro leader di partito, Di Pietro non avrebbe aspettato un attimo a chiedere al politico in questione "un passo in dietro". Avrebbe argomentato che la giustizia doveva fare il suo corso senza intralcio e che l'indagato avrebbe dovuto accucciarsi in un angolo in attesa di veder brillare la luce della verità giudiziaria.

    Del caso che lo riguarda personalmente invece, Di Pietro ha detto che è una questione che lo fa sorridere. Buon per lui. A noi invece fa riflettere. Perchè tutta questa enfasi sulle "liste pulite" alla fine si traduce nel rischio che quelle liste invece di essere compilate dagli organi di partito vengano determinate dai gusti politici di questo o quel magistrato.

    Avviare un procedimento giudiziario contro un qualsiasi candidato e farlo esplodere sui giornali in campagna elettorale è la cosa più facile del mondo. Tanto poi si può archiviare tutto dopo il voto. Se è questo che Di Pietro si augura e pretende anche dal Partito Democratico allora è bene che lui stesso si metta da parte fino a indagine conclusa. Ma se preferisce ridere dell'inchiesta nei suoi confronti lasci che su questa storia delle "liste pulite" ci facciamo tutti una bella risata.

    http://www.loccidentale.it/node/13693

  2. #2
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    Le liste, gli imputati e la giustizia che non c'è

    Scritto da Davide Giacalone

    Si tratta di un erroraccio, e la cosa peggiore è che non hanno ancora capito perché. Forse, a destra come a sinistra, intendevano dire che non porteranno dei criminali in Parlamento. Mi pare un lodevole intento, né erano costretti al contrario. Ma se dicono: non candidiamo inquisiti o imputati, così come non candidiamo condannati, si mettono fuori dalla civiltà del diritto. E spiegano perché la giustizia italiana è ridotta allo schifo che è.
    In un Paese serio esistono gli innocenti ed i colpevoli. I secondi sono quelli che hanno subito una condanna definitiva. In Italia esistono gli indagati o gli imputati a vita, che la Costituzione vuole presunti innocenti, ma per tutti sono colpevoli in attesa. Una politica seria ha il dovere (il dovere, non il diritto) di riformare la giustizia e porre fine a questo scandalo, che ci procura continue condanne internazionali. Invece che fanno? Non candidano gli imputati, così un qualsiasi procuratore può mettere fuori gioco, per venti anni, un cittadino integerrimo. Oppure i condannati, dimenticando che esiste la pena accessoria dell’interdizione. In Italia tutto è reato e non esiste giustizia. Puoi essere condannato per avere spostato una finestra, a casa tua. Trattasi di criminale ineleggibile? Non diciamo sciocchezze. Allora per lui si fa l’eccezione, poi la si fa per l’imputato perseguitato (ma se lo è vuol dire che la giustizia non funziona), poi per il condannato trenta anni fa, ed alla fine ci si è sbudellati con le proprie mani, criticati quali delinquenti perché si è troppo derogato al principio, che manco esiste.
    La politica è una cosa diversa. Un condannato obiettore di coscienza lo candido apposta perché lo hanno condannato. Candido chi è detenuto in attesa di giudizio, per denunciare l’infamia. Preferibilmente candido persone che abbiano idee, coraggio, schiena dritta. Chi ha proposte ed ha studiato. Stiano attenti, gli stregoni delle liste, perché a forza d’inseguire la demagogia ci si trova circondati da giovani, donne e uomini, anzi, femmine e maschi, trasparenti e senza macchia, che non hanno identità disturbanti né un passato, capaci di dire “nuovo” e farlo sembrare già smandrappato. Insomma, circondati da cretini. Provate, con quelli, a riformare la giustizia! pregando che una procura non s’accorga di voi.

    Davide Giacalone
    www.davidegiacalone.it
    http://www.legnostorto.com/index.php...=view&id=20949

  3. #3
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    Candidare o no i condannati

    Scritto da Gianni Pardo

    Secondo “La Stampa”, il Pd e Di Pietro avrebbero deciso di non candidare persone penalmente condannate, anche se solo in primo grado. E sono in molti ad essere di questo parere.



    Si sostiene che chi deve votare le leggi e chi ci deve governare deve essere al di sopra di ogni sospetto. È vero che a norma della Costituzione il cittadino normale deve essere considerato innocente fino a sentenza passata in giudicato, anche se ci volessero dodici anni: ma il politico, per non apparire favorito come appartenente alla “casta superiore”, come ventila Riccardo Barenghi sulla Stampa, non deve approfittare di questa regola. Raramente si sono messe insieme tante affermazioni discutibili.

    Quando la Costituente ha stabilito il principio dell’art.27 – “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” – lo ha fatto non per favorire una categoria di cittadini ma in base al principio che, prima di quella condanna, non si può sapere se la persona sia colpevole o no. Anzi, dal momento che l’esistenza stessa del procedimento è pregiudizievole per il buon nome dell’imputato, questo buon nome deve essere tutelato. La sentenza finale potrebbe essere d’assoluzione e per questo è giusto che sia condannato per diffamazione chi chiamasse assassino un condannato per omicidio in primo e secondo grado.

    Tutto questo, al cittadino comune, sembra garantismo eccessivo. E non lo è affatto. Non bisogna dimenticare che una buona percentuale di accusati è assolta. Dunque, penalizzarli permettendo a tutti di metterli alla gogna, mentre sono ancora sub iudice, o vietare loro di fare politica, corrisponderebbe a condannarli prima di sapere se sono colpevoli. Inoltre, alcuni reati sono per così dire “professionali”. Un giornalista può essere stato condannato per diffamazione, perché il suo mestiere lo espone sempre a commettere questo reato, così come un camionista può essere stato condannato per omicidio colposo, visto che col suo mestiere rischia infinitamente di più di una casalinga. In altri termini, bisognerebbe prendere in considerazione quei reati che sono insieme dolosi (la diffamazione lo è, l’omicidio colposo non lo è) e gravi (la diffamazione non lo è, l’omicidio colposo lo è). Ma a questo provvede già la legge, che prevede l’interdizione dai pubblici uffici.

    Dopo tutti questi rilievi precisamente tecnici, è il caso di esporne uno più di fondo. Coloro che invocano quella norma scambiano la giustizia umana per la giustizia divina. I giudici non sono i moralizzatori della società, non sono i raddrizzatori dei torti, non sono né Zorro né Michele Arcangelo con la spada fiammeggiante. Stabiliscono una “verità processuale”, non una verità effettiva. Nel senso che la verità effettiva può essere diversa da quella processuale: il condannato con sentenza definitiva per omicidio potrebbe non aver commesso il fatto, checché abbiano detto tre gradi di giudizio. Infatti, se così non fosse, non esisterebbe l’istituto della revisione del processo. Se poi si ammettesse il principio che piace tanto agli incompetenti (e a Di Pietro), cioè se si stabilisse l’incandidabilità di chi è condannato in primo grado, o peggio solo imputato, la possibilità di fare politica dipenderebbe dal beneplacito di tutti i Pm d’Italia. Sei mesi prima delle elezioni un quisque de populo con la toga sulle spalle, fra Bolzano e Trapani, potrebbe accusare un politico di aver rubato la Torre di Pisa (l’esempio è di Piero Calamandrei), e quel politico sarebbe escluso dalla tornata elettorale. Per poi essere assolto con tante scuse. Come si possono sostenere seriamente simili tesi? Almeno mezza Italia nutre più che un sospetto che nei confronti di Silvio Berlusconi sia stato posto in essere un eccezionale accanimento giudiziario (si pensi già soltanto al processo Sme): come affidare ai giudici un potere politico esorbitante?

    Infine è assurdo sostenere che l’applicazione dell’art.27 della Costituzione ai politici costituisca un favore alla “casta” dei politici. Sarebbe come dire che ognuno di noi ha il diritto di ubriacarsi o di divorziare ma nel caso dei parlamentari è un favore per la casta, e dovrebbe essere loro vietato per legge. Loro devono essere di esempio. Si passerebbe così al privilegio negativo. Un privilegio in latino era una “lex in privos lata” - legge ad personam, diremmo oggi - e si tratta di un’ingiustizia sia che favorisca qualcuno, sia che lo sfavorisca. La legge deve essere uguale per tutti e simili progetti dovrebbero essere abbandonati. Anche da certi giuristi che dovrebbero tornare all’università. Per studiare agraria.

    Gianni Pardo, www.pardo.ilcannocchiale.it

    http://www.legnostorto.com/index.php...=view&id=20953

 

 

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