Finalmente la giustizia fa il suo corso:
Thyssenkrupp: omicidio volontario per l’amministratore delegato
Per la prima volta il reato contestato ad un manager d’azienda. Sei gli indagati. In soli 3 mesi la Procura di Torino chiude l’indagine sul rogo di dicembre costato la vita a 7 operai. Giorgio Airaudo: “è un precedente importante”
I dirigenti delle acciaierie ThyssenKrupp sapevano che gli operai del proprio stabilimento rischiavano la vita ogni volta che entravano a lavorare, eppure hanno colpevolmente evitato di adottare le necessarie misure di sicurezza antincendio. Uno di essi, addirittura, Harald Espenhahn, l'amministratore delegato del gruppo italiano, avrebbe mandato i lavoratori incontro alla morte con la piena consapevolezza che, nei reparti sguarniti della fabbrica, un incendio sarebbe potuto scoppiare da un momento all'altro.
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Sono queste le conclusioni dell'inchiesta sul tragico rogo della Thyssen, che la notte del 6 dicembre scorso provocò la morte di sette operai, bruciati vivi dalle fiamme divampate all'improvviso da un laminatoio e spirati uno a uno, dopo lunghe e terribili agonie, nei giorni successivi alla sciagura.
Il pool di magistrati coordinato dal procuratore Raffaele Guariniello ha chiuso in meno di tre mesi le indagini formulando nei confronti dei sei manager indagati ipotesi di reato pesantissime: per Espenhahn l'accusa di incendio e omicidio volontario con dolo eventuale, per gli altri - a seconda delle condotte - omicidio colposo e incendio colposo con colpa cosciente e omissione volontaria di cautele contro gli infortuni. Oltre a Espenhahn sono indagati i consiglieri delegati Marco Cucci e Gerald Priegnitz, un responsabile in servizio alla sede di Terni della multinazionale, Daniele Moroni, il direttore dello stabilimento di Torino Giuseppe Salerno, il responsabile del servizio di prevenzione dei rischi sul lavoro Cosimo Cafueri. La ThyssenKrupp è inoltre chiamata in causa come persona giuridica.
"Spero che li mettano in galera e buttino le chiavi", dice Sabina Laurino, vedova di Angelo, uno dei sette operai morti nel rogo. Oltre alle famiglie delle vittime anche gli operai della linea 5 intendono costituirsi parte civile. "La procura contesta il dolo - spiega Giorgio Airaudo, segretario torinese della Fiom - e questo significa che tutti i lavoratori erano esposti. E' un precedente importante".
È la prima volta che a un indagato in un'inchiesta in materia di infortuni sul lavoro viene contestato il reato di omicidio volontario. Un'accusa mossa in relazione alla sua posizione di vertice con i massimi poteri decisionali di spesa in particolare relativamente a due decisioni. L'imputazione di omicidio volontario si basa infatti su questi due elementi: innanzitutto l'amministratore delegato Harald Espenhanh ha posticipato dal 2006-2007 al 2007-2008 gli investimenti per il miglioramento dei sistemi antincendio dello stabilimento di Torino, pur sapendo che a quella data la sede sarebbe stata chiusa.
Il secondo punto riguarda poi l'adeguamento della linea 5, quella dove si verificò il disastro: anche in questo caso, nonostante le indicazioni tecniche fornite da un gruppo di studio interno all'azienda e anche da una compagnia assicuratrice, fu deciso di dotarla di impianti di rivelazione incendi e di spegnimento all'epoca successiva al trasferimento a Terni, nonostante gli impianti fossero in piena attività.
Giorgio Airaudo, segretario provinciale della Fiom, ha commentato: "Tre mesi per chiudere l'inchiesta su una strage come quella della thyssen è l'esempio di una giustizia efficace, che funziona, che sa essere rapida di fronte a sciagure così gravi. Noi come sindacato ci costituiremo parte civile e per la prima volta avanzerà la stessa richiesta un gruppo di lavoratori della Thyssen. Perché, se l'accusa di dolo eventuale verrà accertata, allora quell'incidente e quella fine potevano capitare a tutti gli operai della Thyssen. Una risposta che potrà risultare efficace anche sotto il profilo della prevenzione. Se la magistratura dimostra di essere capace di perseguire in tempi così brevi chi non segue le norme sulla sicurezza, sarà un valido spauracchio per chi ha poca attenzione per la salute e l'incolumità dei lavoratori".
Le testimonianze dei dirigenti dell’Asl confermano quanto operai e delegati avevano immediatamente denunciato: alla Thyssen di Torino erano state contestate, senza seguito, ben 116 violazioni alle norme di sicurezza, tutte negli atti che ora vengono depositati. Ma i punti chiave dell’inchiesta sono incentrati sui due incendi nelle fabbriche del gruppo, uno a Torino nel 2003, l’altro in Germania, che pur senza fare vittime avrebbero dovuto allarmare i vertici della multinazionale. E che invece allarmarono soltanto le compagnie assicurative, che elevarono da 30 a 100 milioni la franchigia, proprio perché Torino non si era ancora dotata dei dispositivi di sicurezza già in uso a Terni, come lo spegnimento automatico degli incendi. La fabbrica chiuderà ufficialmente entro febbraio. Poi, per circa due mesi, si consumeranno gli atti conclusivi dell’inchiesta, e gli indagati — che finora non hanno mai deposto in Procura — potranno chiedere di raccontare la loro versione dei fatti. Se la «buona giustizia» continuerà a funzionare, l’udienza davanti al Gup e la richiesta di rinvio a giudizio arriveranno prima dell’estate. (amb)