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  1. #21
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    Citazione Originariamente Scritto da Gianfranco Visualizza Messaggio
    Ragazzi faccio un richiamo a tutti e in particolare a chi ha aperto questo thread. Attenzione ai termini che si usano...l'evasione fiscale è un reato...di conseguenza accusare una persona o una categoria di compierlo costituisce diffamazione se non è supportato da prove e link. Io capisco il senso "paradossale" del thread ma attenzione ai "toni e ai modi" che si usano per affrontare un argomento. Vi chiedo maggiore attenzione , grazie.
    grazie della precisazione

  2. #22
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    Citazione Originariamente Scritto da benfy Visualizza Messaggio
    questa è la solita fandonia ideologica della destra, le coop non pagano le tasse solo sulle attività mutualistiche, senza considerare che hanno parecchi limiti, come il fatto di non potersi quotare in Borsa e quindi poter emettere azioni per autofinanziarsi o obbligazioni a tasso vantaggioso

    la verità è che il modello mutualistico su cui si fondano le cooperative è antitetico alla cultura del mercato della giungla sulla cui fede si basa la destra italiana e dà fastidio un modello di sviluppo alternativo. Lo scopo è costringere le cooperative a trasformarsi in società per azioni e distrugerne il modello sociale, perchè i fondi accontonati dalle grandi cooperative anche le piccole e quelle sociale sarebbero distrutte

    tanto si sa che durante il regime fascista prese di mira le cooperative....


    come si dice a volte ritornano
    GRAZIE IN PRIMO LUOGO A GIANFRANCO CHE CI HA RICORDATO IL DOVERE DI CORRETTEZZA NEL POSTARE ARTICOLI E FONTI.



    Regio decreto 17 settembre 1925, n. 1735

    Disposizioni concernenti le cooperative di consumo
    Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 ottobre 1925, n. 241 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 18 marzo 1926, n. 562 (Gazz. Uff. 3 maggio 1926, n. 102). Articolo unico. I soci di una cooperativa di consumo i quali abbiano contratto con l'azienda cooperativa un rapporto di impiego e di lavoro di carattere continuativo per il quale percepiscano una retribuzione in denaro o in natura a carico del bilancio sociale, non hanno diritto di partecipare, per tutta la durata di tale rapporto di impiego o di lavoro, alle votazioni nelle assemblee convocate per l'approvazione del bilancio e per la elezione degli amministratori e dei sindaci della cooperativa stessa. Le votazioni alle quali essi abbiano partecipato sono nulle. Il presente decreto entra in vigore con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del regno, e sarà presentato al parlamento per la sua conversione in legge (1).

    (1) Articolo così modificato dalla legge di conversione 18 marzo 1926, n. 562 (Gazz. Uff. 3 maggio 1926, n. 102).



    http://www.movimentocooperativo.it/index.php?id=441

    Codice civile 1942, titolo VI, artt. 2511-2548

    Delle imprese cooperative e delle mutue assicuratrici

    Capo I
    Delle imprese cooperative
    Art. 2511 Società cooperative
    Le imprese che hanno scopo mutualistico possono costituirsi come società cooperative a responsabilità illimitata o limitata secondo le disposizioni seguenti.
    Art. 2512 Enti mutualistici
    Gli enti mutualistici diversi dalle società sono regolati dalle leggi speciali.
    Art. 2513 Società cooperative a responsabilità illimitata
    Nelle società cooperative a responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio e, in caso di liquidazione coatta amministrativa o di fallimento, rispondono in via sussidiaria i soci solidalmente e illimitatamente a norma dell'art. 2541 (att. 217).
    Art. 2514 Società cooperative a responsabilità limitata
    Nelle società cooperative a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio. Le quote di partecipazione possono essere rappresentate da azioni. L'atto costitutivo può stabilire che in caso di liquidazione coatta amministrativa o di fallimento della società ciascun socio risponda sussidiariamente e solidalmente per una somma multipla della propria quota a norma dell'art. 2541 (att. 217).




    http://www.movimentocooperativo.it/index.php?id=329
    e si potrebbe continuare per molto tempo e molte leggi e articoli inseriti nel codice civile del 1942.

    LE COOPERATIVE E I CONSORZI LI HA INVENTATI IL FASCISMO! STUDIARE PRIMA DI SPUTACCHIARE BAGGIANATE!
    Il Duce chissà cos'avrebbe pensato se avesse saputo che ad approfittarsi di quel regime legislativo (concepito magistralmente) sarebbero stati proprio i comunisti...e nelle regioni nelle quali il Fascismo godeva di un consenso altissimo

  3. #23
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    non diciamo scemenze le cooperative sono nate a sinistra soprattutto tra i contadini in emilia romagna e tra i minatori in inghilterra, che tu sia liberale poi c'è molto discutere, nel migliore dei casi sei un doroteo o quello che io chiamo avanzo di oratorio, cioè unomche fuori che non sa cogliere la realtà circostanze fuori dal suo limitato ambito provinciale

  4. #24
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    Citazione Originariamente Scritto da benfy Visualizza Messaggio
    non diciamo scemenze le cooperative sono nate a sinistra soprattutto tra i contadini in emilia romagna e tra i minatori in inghilterra.


    Regio decreto 21 aprile 1927, n. 718

    INQUADRAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE AGLI EFFETTI SINDACALI (R.D. 21 aprile 1927, n. 718 – N. 1005, in Gazz.uff., 19 maggio, n. 116)

    Visto l’art. 23 della legge 3 aprile 1926, n. 563 (1);
    Visto l’art. 8 del regio decreto legislativo 1° luglio 1926, n. 1130 (2), e l’art. 2 del regio decreto 30 dicembre 1926, n. 2288 (3).
    ART. 1 – Le associazioni di imprese cooperative, costituite a norma dell’art. 8 del regio decreto legislativo 1° luglio 1926, n. 1130, costituiscono federazioni nazionali di categoria. Tali federazioni devono aderire alle confederazioni sindacali delle imprese similari a norma dell’articolo 34, secondo capoverso, del regio decreto predetto, agli effetti della disciplina giuridica del contratto di lavoro.
    Il Ministro per le corporazioni provvede direttamente al riconoscimento di tali federazioni ed alla conferma della nomina dei loro dirigenti.
    ART. 2 – Nel campo cooperativo l’ente nazionale della corporazione, istituito col regio decreto – legge 30 dicembre 1926, n. 2288, fermo restando quanto è disposto dall’art. 4 di detto decreto, esercita, nei confronti delle imprese aderenti, rispetto ai compiti di assistenza, istruzione ed educazione, di incoraggiamento e perfezionamento della produzione preveduti dall’art. 1°. N. 2, e dell’art. 4, ultimo comma, della legge 3 aprile 1926, n. 563, tutte le funzioni spettanti per legge, per regolamento e per statuto alle confederazioni nazionali.
    Un rappresentante della federazione nazionale della categoria interessata, designato dall’ente nazionale della cooperazione, farà parte dei consigli di ciascuna delle corporazioni previste dall’articolo 46 del regolamento 1° luglio 1926.
    Un rappresentate dell’ente nazionale della cooperazione farà parte del consigli nazionale delle corporazioni.
    ART. 3 – Per quanto si attiene alle imprese cooperative di cui al precedente art. 2, il ministro per le corporazioni può affidare all’ente nazionale a termini dell’art. 44 del regio decreto 1° luglio 1926, n. 1130.
    Il ministro per le corporazioni nominerà un suo rappresentante nel consiglio direttivo dell’ente, lo statuto del quale sarà approvato di concerto con esso ministro.
    ART. 4 – Il presente decreto entrerà in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del regno.



    http://www.movimentocooperativo.it/index.php?id=181

  5. #25
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    la prima cooperative nasce a rochdale in inghilterra tra i minatori non certo fascisti ti sfido a contestarlo

  6. #26
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    Il movimento cooperativo, come lo consideriamo oggi, sorse e iniziò ad affermarsi in Europa contemporaneamente allo sviluppo e all’organizzazione dell’economia agricola, industriale, terziaria moderne.
    Esso tuttavia presenta analogie con fenomeni sociali più lontani nel tempo, come le corporazioni di epoca imperiale romana e, con maggiore sviluppo e significatività, quelle medioevali, in particolare dell’età dei comuni. Ha, tuttavia, nella sua forma moderna, una caratteristica distintiva, peculiare di un importante momento storico: tale caratteristica è rappresentata dal legame con lo sviluppo del movimento dei lavoratori nel quadro della crescita della produzione e degli scambi, dalla prima rivoluzione industriale in poi. Dar vita, da parte di lavoratori e di ceti produttivi, a imprese economiche in forma associativa – la possibilità, dunque, di porre alla base dell’iniziativa economica il "co-operare", inteso anche come "fare con", con una particolare attenzione all’aspetto istituzionale e al diritto dell’altro – è fin dall’inizio non tanto una scelta difensiva e conservatrice, come alcuni sostengono oggi e come poteva prospettarsi per quanto riguardava le corporazioni, con le quali i produttori dei diversi settori e le categorie professionali difendevano le rispettive quote di mercato, le loro esclusività e i loro privilegi, bensì una decisione attiva e fiduciosa della possibilità di divenire protagonisti della crescita dell’economia e della produzione della ricchezza, con un particolare riguardo solidaristico nei confronti della comunità e del territorio in cui si trovavano a operare.
    Sicuramente, già nell’epoca medioevale si erano manifestate forme spontanee di cooperative che si distinguevano, per struttura associativa e per finalità, dalle corporazioni. Ne sorsero, in particolare, in Olanda, anche come dispositivi di forza per le popolazioni che si dovevano difendere dalle inondazioni del mare e dalle frequenti invasioni di eserciti stranieri. Durante il diciottesimo secolo, alcuni esempi di cooperazione sono presenti in Inghilterra, in Scozia, in Francia ed in particolar modo in Svizzera, dove nel 1770 si costituisce la prima forma istituzionale organizzata di cooperazione: la cooperativa commerciale “Società cooperativa frumentaria Herisan”, che provvedeva all’acquisto dei cereali per la panificazione.

    Nascita delle forme moderne di cooperazione in Europa

    La nascita della moderna cooperazione viene notoriamente fatta risalire al 24 ottobre 1844 con la fondazione, in Inghilterra, della cooperativa di Rochdale una località a nord di Manchester che svolgeva attività nel settore tessile.
    I famosi “probi pionieri” ("equitable pioneers"), come vennero definiti questi cooperatori, progettarono e avviarono una serie di attività differenti dalle forme di impresa privata o statale basate sul lucro, allora in auge pressoché esclusiva, sostituendole con altre, che privilegiavano il lavoro, la solidarietà, il reinvestimenti di gran parte degli utili per attività di promozione sociale ed economica del territorio e della “comunità”.
    Nel 1844, dunque, 28 tessitori inglesi del Lancashire codificarono per la prima volta i principi basilari della Cooperazione, che da allora furono indicati (in onore della loro cooperativa, la "Rochdale Equitable Pioneer’s Society") come "Principi di Rochdale".

    I principi fondamentali dei Probi Pionieri erano sette, e precisamente:

    - adesione volontaria dei soci;
    - libera elezione, da parte di tutti i soci, degli organi direttivi ed amministrativi della società cooperativa (il cosiddetto "controllo democratico");
    - pratica del cosiddetto "ristorno", o distribuzione degli utili ai soci in proporzione alle transazioni con la cooperativa (acquisti, conferimenti, prestazioni lavorative) effettuate da ciascuno di essi;
    - interesse limitato alle quote sociali;
    - vendita per contanti;
    - neutralità politica e religiosa;
    - sviluppo dell’educazione cooperativa.

    Lo scopo iniziale, poi sviluppatosi e articolatosi nelle differenti forme di cooperazione, era quello di fornire ai soci lavoratori materie prime e generi di prima necessità a prezzi non gravati dalla speculazione commerciale. I soci fondatori di quella storica cooperativa (che esiste e opera ancora oggi) sono ricordati col nome di "probi pionieri" perché il loro merito principale fu nell’avere introdotto principi etici che contemporaneamente divenivano condizione per nuove forme di approvvigionamento e di produzione, che avrebbero trovato la forma istituzionale più appropriata nella società cooperativa. Il punto economicamente più rappresentativo di questo nuovo sistema era costituito dalla vendita, dunque anche dall’acquisto, di generi e prodotti non più a prezzo di costo, ma a prezzo di mercato, quindi comprendenti pur sempre una quota di utile commerciale, da distribuirsi fra i soci a fine anno in proporzione agli acquisti effettuati da ciascuno di essi presso la cooperativa, conservando tuttavia una quota per le finalità sociali.
    Questo criterio di distribuzione degli utili, detto "ristorno", consentì di dare maggiore solidità e coesione alle cooperative, rendendole in grado di proseguire nel tempo. La loro direzione, conduzione e gestione non si affidavaalla sola “buona volontà”, ma faceva leva anche sull’interesse e sul diritto al benessere dei soci. I famosi "principi di Rochdale" costituiranno da allora in poi il punto di riferimento non solo ideale dell’economia cooperativa.
    Dal 1844 in poi, la cooperazione di consumo ebbe un forte sviluppo nell’Inghilterra industriale (nel 1891 superò il milione di soci) e ha sempre costituito, fino ai giorni nostri, il settore trainante e il dell’intero movimento cooperativo britannico. Nel 1864 venne costituita, a Manchester, la “Cooperative Wholesale Society”, un consorzio di 56 cooperative di consumo che contavano 18.337 soci. Nel 1868, un’analoga struttura consortile sorse in Scozia, a Glasgow, raggruppando 57 cooperative.
    Attorno alla cooperazione di consumo, e sempre restandole legati, si svilupparono nel Regno Unito i settori cooperativi del credito e della produzione. Fra i promotori della cooperazione inglese vanno ricordati Robert Owen, industriale filantropo, e il cosiddetto “movimento cartista”. La vicenda del movimento cooperativo britannico si intreccerà, nel Novecento, con quella del movimento sindacale e con quella del laburismo. Esiste tuttora, all’interno del Labour, un "partito cooperativo" in grado di eleggere un certo numero di deputati alla Camera dei Comuni.
    In Francia le prime esperienze cooperative si collegarono sia alle formulazioni dei "socialisti utopisti" (Saint-Simon, Fourier, Proudhon), sia alle iniziative sorte in occasione della rivoluzione del 1848, soprattutto per impulso di Louis Blanc, con la creazione degli "Ateliers Nationaux" ("Officine Nazionali"), fabbriche pubbliche istituite per garantire lavoro ai ceti più disagiati, e soprattutto con il sostegno della Repubblica alle cooperative operaie, mediante un fondo di 3 milioni di franchi e norme di accesso preferenziale agli appalti pubblici. Alla fine del 1849 si conteranno a Parigi ben 255 cooperative operaie di produzione.
    Il modello cooperativo francese si differenzia dunque da quello britannico per la presenza forte e autonoma della cooperazione di produzione, finalizzata alla garanzia dell’occupazione dei soci-operai e spesso sostenuta da politiche pubbliche. Nel 1864 fu creata la Camera Consultiva delle Cooperative. Nel 1893 nacque la Banca Cooperativa delle Società Operaie di Produzione. Lo stesso Napoleone III emise un provvedimento di sostegno alle cooperative di produzione.
    L’importanza della cooperazione di produzione a base lavorativa prevalentemente operaia non impedì tuttavia lo sviluppo di quella di consumo (la prima cooperativa francese di questo tipo nasce a Lille nel 1848), e più tardi della cooperazione agricola e del credito agrario. Nel 1860 sorse la Banca Centrale di Credito Agricolo, mentre al passaggio tra i due secoli si svilupparono le Casse di credito agricolo mutuo, prima locali, poi regionali.
    Fra i maggiori promotori della cooperazione in Francia va ricordato Charles Gide, teorico della "repubblica cooperativa" destinata a regolare l’intera economia e promotore nel 1912 del "patto di unità", sulla cui base la cooperazione francese si diede un’organizzazione di tipo più solidale, superando le precedenti divisioni.
    In Germania il ruolo trainante nella nascita e nello sviluppo dell’economia cooperativa è svolto dalla cooperazione di credito. Nel 1840, ad Anhausen, Friedrich Wilhelm Raiffeisen fonda la prima Cassa rurale di ispirazione cattolica. Questo tipo di banca cooperativa prenderà senz’altro, nei Paesi di lingua tedesca, il nome di "cassa Raiffeisen", e si chiamerà Banca Tedesca Raiffeisen l’Istituto centrale di credito fondato nel 1876.
    Dalle Casse rurali sarà poi promossa la cooperazione agricola di ispirazione cattolica. Ai primi del Novecento nascerà anche, per iniziativa di Wilhelm Hesse, l’Unione nazionale delle cooperative agricole tedesche, di ispirazione, questa, non confessionale.
    La cooperazione di credito ha il primato, nello sviluppo del movimento cooperativo in Germania, anche al di fuori del mondo agricolo. Nel 1850, per iniziativa di Hermann Schulze-Delitzsch, nasce la prima Banca popolare. Dalle Banche popolari, operanti, queste, in territori urbani, sarà promossa anche la cooperazione di consumo.

    Nascita delle forme moderne di cooperazione in Italia

    La storia della cooperazione in Italia corre parallela alla vicenda economica, sociale, culturale e politica della nazione.
    La nascita della prima cooperativa (Torino, 1854) precede di sette anni la formazione del Regno d’Italia, che avverrà nel 1861, dopo l’annessione del Mezzogiorno all’Italia centro-settentrionale, anch’essa appena unificata, ad esclusione di Roma e delle Venezie, sotto la monarchia sabauda.
    Il movimento cooperativo italiano ebbe dunque origine cronologica in quel Regno di Sardegna che aveva svolto un ruolo trainante, anche se in molte occasioni discutibile, nel processo della cosiddetta unificazione nazionale.
    Tuttavia, in Italia, le prime idee cooperative si trovavano nel progetto di unità teorizzato da Giuseppe Mazzini, che fin dal 1836 aveva posto il lavoro al centro dello sviluppo economico, sociale e morale.
    L’Italia dell’Ottocento non sceglierà tuttavia uno solo dei tre modelli offerti dall’esperienza della cooperazione europea: né quello inglese dominato dalla cooperazione di consumo, né quello francese che si caratterizzava per il primato della cooperazione operaia di produzione, né quello tedesco dove le cooperative di credito svolgeva il ruolo principale. Lo sviluppo della cooperazione nel nostro Paese fonderà caratteristiche proprie di tutti e tre i modelli, tuttavia con caratteristiche sociali e di battaglia particolarmente pronunciate. In Italia, infatti, la cooperazione ebbe origini comuni con altre due forme di organizzazione del mondo del lavoro: la mutualità e il sindacato.
    La nascita delle prime cooperative è dunque connessa all’esperienza della “mutualità”, come vi si legherà più tardi anche quella dei primi organismi di "rappresentanza e resistenza", cioè i sindacati. L’idea di dar vita, da parte di lavoratori, a una vera e propria azienda qual è la cooperativa, si presenta come un prolungamento e un potenziamento dello strumento mutualistico: un mezzo più attivo e dinamico per far valere i propri interessi in una società e in un mercato spesso visti come ostili, ma anche per divenire, a loro volta, protagonisti e imprenditori.
    I ceti operai, formatisi in seguito al primo sviluppo industriale moderno, crearono con le Società di Mutuo Soccorso i primi strumenti di difesa economica della proprie condizioni di vita e, con le cooperative, nuovi dispositivi di lavoro, di produzione e di guadagno con peculiarità imprenditoriali anche per il futuro delle loro famiglie e dei loro figli.
    Le prime forme associative conosciute sono le “società di mutuo soccorso”, nate per sopperire alla carenza di legislazione previdenziale e sociale a tutela dei lavoratori, in particolare di quelli dipendenti. Queste organizzazioni nacquero direttamente sui posti di lavoro e si suddivisero per professionalità e per mestieri.
    Gli aderenti versavano una quota mensile che costituiva un fondo comune a cui veniva attinto per erogare sussidi di vario genere in base a quanto previsto dai differenti statuti sociali. Le società di mutuo soccorso, infatti, avevano lo scopo di coprire i rischi in cui potevano incorrere i soci (malattie, disoccupazione, necessità impreviste) ripartendone preventivamente i danni mediante la costituzione del fondo comune formato dalle quote associative.
    Prima del 1850 esistevano in tutta Italia 48 Società di Mutuo Soccorso, delle quali 17 in Piemonte (in Lombardia e i Toscana erano 4, in Veneto 9, in Emilia 7). Dal 1850 1l 1860 ne furono costituite, in tutt’Italia, 158: di queste ben 98 in Piemonte, 9 in Liguria, 2 in Sardegna (27 in Lombardia, 7 in Veneto, 6 in Emilia e in Toscana). Alla vigilia dell’Unità le SMS erano 206 in tutto il Paese, delle quali 115 in Piemonte (55,8%).
    Accanto a questi scopi iniziali di previdenza sociale si avviarono iniziative collaterali nel campo del consumo, con l’apertura di spacci alimentari, dove venivano venduti a prezzo di costo generi di prima necessità, con lo scopo di difendere il potere di acquisto del salario da intenti di sola speculazione commerciale.
    Le Società di Mutuo Soccorso avranno dunque uno scopo prevalente di assistenza in situazioni di emergenza, basata sulla prevenzione economica e la mutualità.
    Il sindacato, invece, diventerà un dispositivo di contrattazione collettiva con una controparte economica.
    La cooperazione, infine, finalizzerà l’unione di soci alla promozione di attività economiche. Apertura di negozi di generi di prima necessità per garantirsi acquisti più a buon mercato, di cantieri in cui occupare le proprie capacità di lavoro per assicurarsi occupazione e reddito, di dispositivi commerciali per comperare in comune attrezzature e sementi per la propria attività agricola o per procurarsi abitazioni a condizioni più vantaggiose.
    La trasposizione di tutto questo in impresa è ciò che rende inconfondibile la scelta cooperativa, e rappresenta indubbiamente il suo contributo specifico alla costruzione di quella che verrà chiamata “democrazia economica e sociale”, nel mantenimento, di diritto e di fatto, del dispositivo imprenditoriale.
    Una vicenda più che secolare ha intrecciato e talvolta diviso le sorti di cooperazione, mutualità e sindacato. La mutualità è divenuta un valore condiviso quasi dall’intera società, fino a essere assunta dagli Stati come funzione propria, sotto forma di previdenza sociale pubblica, dalle pensioni alla sanità, e integrata, oggi, nel sistema del welfare. Il sindacato, da parte sua, si è affermato come dispositivo contrattuale nei confronti non solo dei datori di lavoro, ma anche, soprattutto oggi, dei governi. La pratica della "concertazione", per molti aspetti derivata dalla pratica politica dell’antico “spirito di Rochdale”, ne ha fatto, negli ultimi anni, insieme ad alcuni governi e alle organizzazioni degl’imprenditori, un protagonista delle più importanti scelte economiche di numerosi Paesi europei.
    L’esperienza della cooperazione in senso stretto, pur essendo cresciuta in misura a volte notevole, e pur avendo dimostrato di sapersi adattare alle condizioni istituzionali ed economico-sociali più diverse, in Italia, a parte poche regioni, è tuttavia rimasta limitata a una sfera minoritaria della società e dello stesso mondo del lavoro, e pare un’opportunità non pienamente colta. Oggi, indubbiamente, le prospettive più rilevanti stanno venendo dalla cooperazione sociale.


    Alcuni esempi

    È esemplare, a tale proposito, l’esperienza del cosiddetto “magazzino di previdenza”, creato nel 1854 dalla “Società degli Operai” di Torino, che può considerarsi la prima esperienza italiana di vera e propria cooperativa, sorta per iniziativa dell’Associazione Generale degli Operai, una società di mutuo soccorso già operante da anni in città, così come altre associazioni di categoria. Alcune di esse provvedevano già alla distribuzione tra i soci di generi di prima necessità a prezzo di costo.
    La prima cooperativa di produzione italiana nacque il 24 dicembre 1856 ad Altare (Savona), con la denominazione di “Associazione artistico vetraia”, su iniziativa del medico Giuseppe Cesio. La crearono insieme a questi, 84 artigiani del vetro del piccolo centro ligure, che la concorrenza della grande industria di Genova e Torino poneva sempre più a rischio di disoccupazione. Se il "Magazzino" torinese aveva tratto origine dalla preesistente attività della mutua operaia, la cooperativa dei vetrai di Altare provvide essa stessa a dotare i propri soci di una cassa pensioni e di una società di mutuo soccorso.
    Il movimento cooperativo e quello mutualistico, nelle loro varie forme, hanno trovato nel Friuli e nella Venezia Giulia, sin dall’inizio, condizioni, anche dettate dalla necessità, particolarmentefavorevoli.
    Parlare di storia della cooperazione friulana significa pertanto parlare di una forma associativa dai connotati molto definiti.
    Nel territorio friulano la cooperazione fu il risultato dell’integrazione tra persone che avvertivano l’esigenza di lavorare e produrre ricchezza solidalmente, assieme, in un contesto di vita non facile, in una terra colpita spesso da calamità sia naturali sia belliche.
    La nascita della cooperazione in Friuli può essere collocata nel decennio 1880-1890. Risalgono infatti a tale epoca le date di costituzione delle prime forme associative. Nel 1880 fu fondata la prima “Latteria sociale” a Collina di Forni Avoltri, nel 1884 la prima “Cassa rurale” a Pravisdomini e il primo “Forno Rurale” di Remanzacco. Nel 1885 sorse il “Circolo agrario” di Pozzuolo del Friuli e nel 1890 la Cooperativa di consumo fra agenti ferroviari ed impiegati degli impianti di Udine.
    Queste prime esperienze diventarono un fermento di iniziative, come si apprende dalla “Relazione Mantica” del 1894/1898, preparata per conto della Commissione per la Cooperazione dell’Associazione Agraria Friulana, per far conoscere l’opera svolta dal sodalizio durante quindici anni di attività e per contribuire a rimuovere remore e ostacoli che si opponevano al rinnovamento dell’agricoltura friulana e al miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori rurali.
    Sin dal 1896, nella realtà friulana d’allora, risultavano attivate complessivamente 260 società cooperative. Le origini della cooperazione nel Friuli orientale e nell’Isontino, ancora sotto il governo dell’Austria, vanno riferite sia all’impulso del mondo cattolico, forte come in pochi altri territori.
    Queste tendenze risultarono efficaci anche sugli ambienti triestini, anche se a Trieste lo sviluppo della cooperazione fu molto più collegato alla realtà urbana, con connotazioni ben diverse, ispirate da un movimento operaio organizzato prima di ispirazione mazziniana e poi socialista, alla fine dell’800 molto forte a Trieste, allora territorio austriaco. Risale al 1896 la fondazione della “Società Operaia Triestina con Mutuo Soccorso Cooperativo”, sodalizio aperto a tutte le categorie di lavoratori per l’esercizio cooperativo della produzione e del consumo.
    Nel 1903 venne approvato lo statuto delle Cooperative Operaie di Trieste che in seguito muterà la sua denominazione estendendo la sua attività in Istria e nel Friuli. La prima guerra mondiale mutò la composizione dell’assetto cooperativo regionale sino a quando, con l’avvento del fascismo, le istituzioni cooperative vennero messe al bando, chiudendone sedi e attività e distruggendone, con gli archivi, gran parte della memoria.
    Un’altra regione in cui il movimento cooperativo si affermò con particolare efficacia fu l’Emilia Romagna, con la peculiarità di favorire la promozione dell’istruzione e l’ampliarsi dei diritti civili e politici. Cosa che porterà a una lunga e durissima stagione di scontri politici con l’avvento del fascismo, anche se, a differenza del Friuli e del Veneto, la rete cooperativa riuscì a sussistere negli anni.
    La prima Società Operaia di Mutuo Soccorso nacque a Bologna nel 1860, con lo scopo di tutelare l'occupazione, il diritto all'istruzione, il diritto allo sciopero e quello al suffragio universale.
    Nel 1888 Bologna ospitò il 2° Congresso della Federazione delle Società Cooperative Italiane (il primo si era svolto due anni prima a Milano).
    Gli ultimi anni dell’800 e i primi del ‘900 furono anni di grande espansione del movimento. A Bologna continuavano a sorgere nuove cooperative nei più svariati settori dell'economia: cooperative di ceramisti, di fornai, di operai, cooperative agricole come quelle di Malalbergo e Medicina che applicavano autonomamente l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, cooperative di consumo e per le case popolari. Nel 1921 la Lega, prima in Italia e ai primi posti in Europa, arrivò a contare 3600 cooperative di consumo e 2700 cooperative di produzione e lavoro.
    Nel primo semestre del 1921 cominciò l’offensiva sistematica del fascismo contro le cooperative.
    Nel 1926 il governo sciolse, oltre ai partiti e ai giornali di opposizione, gran parte delle cooperative rimaste, e fondò l'Ente Nazionale Fascista della Cooperazione, un organismo centralizzato.
    Nel 1947 l'assemblea Costituente votò l'articolo 45 della Costituzione, che riconosce di diritto l’esistenza e il valore della cooperazione: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura con gli opportuni controlli il carattere e le finalità”.
    Da allora, è stato un susseguirsi di leggi, come si può consultare nel settore “Legislazione” del nostro sito.
    Con lo sviluppo degli anni '60, la cooperazione conobbe il suo secondo grande momento di sviluppo, che lo accomunò a quello più generale, della grande e media industria e a quello economico e sociale dell’Italia.

    Nel 1962 il Congresso della Lega Nazionale delle Cooperative sancì per la prima volta, ufficialmente ed esplicitamente, la scelta della completa autonomia della cooperazione dai partiti.
    Il periodo che va dall’inizio degli anni ’70 ad oggi è un periodo di “razionalizzazione e ristrutturazione”, come viene chiamato, economica e produttiva anche per il mondo cooperativo; in realtà, è un momento di difficoltà, con qualche questione legata anche all’identità e alla progettualità.
    Si accenna sempre più spesso, non sempre con precisione, alla “globalizzazione dei mercati” e alla cosiddetta “competizione planetaria”, cui le piccole strutture cooperative sembrerebbero inadeguate. Forse è anche una questione d’ideali, di spirito di mission che non si avverte più come nell’800 o nei periodi più difficili della storia.
    Indubbiamente, la Legge sulla Cooperazione Sociale, la 381 del 1991, e quelle seguenti collegate, hanno apportato elementi di novità, non solamente insostituibili nella prospettiva dell’instaurazione di un sistema di welfare plurale, ma anche in quanto portatrici di valori di solidarietà ed efficacia, anche imprenditoriale, condivisibili da molti, soprattutto dai giovani.

    A cura di Carlo Marchetti

  7. #27
    Obama for president
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  8. #28
    razzista verso gli imbecilli
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    le coop sono regolate da una legge dello stato. Se è così vantaggiosa questa modalità di organizzazione delle imprese, perchè non lo fate?

    Perchè i vari imprenditori non si uniscono in cooperativa?

    Le risposte le conoscete bene.

    Inoltre il movimento cooperativo è trasversale, infatti la CdL non le ha minimamente toccate per il veto di Formigoni della Compagnia delle Opere.

    per il resto fate pure tutta la propaganda che volete

  9. #29
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    Citazione Originariamente Scritto da Dr.Hans Visualizza Messaggio
    In cosa è stato diverso il finanziamento del PCI
    Quel che ha reso diverso il finanziamento illecito al Pci-Pds da quello alla Dc e al Psi è stato l'intervento massiccio delle cooperative. In molti casi emersi, e probabilmente nei tanti altri di cui non si ha conoscenza perché rimasti fuori dalle aule giudiziarie, Botteghe Oscure non è stata soltanto il destinatario di tangenti in denaro, ma anche il referente di quote di appalti in conto di soggetti cooperativi, la Cmb di Carpi, la Coopsette, la Unieco, la cooperativa di Argenta, e dei grandi consorzi come il Ccc di Bologna e la Coop-sud di Napoli. Le cooperative sono state così destinatarie di grandi lavori non già in quanto imprese sul mercato ma quali fiduciarie del Pci-Pds che prevedeva in sede lottizzatoria nazionale di assegnare loro una parte - si ha notizia che le percentuali di spettanza fossero di volta in volta un quarto o un quinto del totale - degli appalti decisi a livello centrale.
    Un manager che ha lavorato con la Lega delle cooperative, Ivan Cicconi, ha denunciato l'esistenza di tre sistemi diversi di finanziamenti illeciti nel complesso rapporto con il mondo comunista e postcomunista. Il rito ambrosiano si fondava sullo scambio occulto delle mazzette fra il sistema delle imprese e il sistema dei partiti. Il rito emiliano viveva e vive in un contesto nel quale il sistema dei partiti e il sistema delle imprese non sono nettamente separati, anzi la collusione si trasforma in integrazione e sovrapposizione di interessi e dunque non c'è bisogno di transazioni illecite e di finanziamenti occulti. E il rito mafioso nel quale, secondo Cicconi, il contatto tra le grandi imprese di costruzione e le aziende della Lega delle cooperative da una parte e la mafia e la camorra dall’altra veniva stabilito «grazie all'equivoco delle norme che impongono la certificazione antimafia solo alle imprese subappaltanti».In definitiva non è dato sapere quali effettivamente fossero i diversi circuiti finanziari e i flussi di denaro tra le singole cooperative, i consorzi, la Lega nazionale delle cooperative, le federazioni comuniste e l'amministrazione centrale del Pci-Pds, anche se per alcuni finanziamenti la giustizia ha chiamato in causa coloro che a Botteghe Oscure tenevano la cassa centrale.

    L’inchiesta del pm Carlo Nordio
    L'inchiesta promossa dal pm di Venezia Carlo Nordio, che ha cercato di dipanare il bandolo delle cooperative rosse, si è conclusa con l’archiviazione delle accuse ai segretari nazionali del Pci-Pds, Achille Occhetto e Massimo D'Alema, oltre che al socialista Bettino Craxi. Tuttavia questo documento, che sancisce la non responsabilità individuale dei vertici pidiessini, se è penalmente significativo per il taglio garantista, non certifica la regolarità delle finanze di Botteghe Oscure. L'amministrazione finanziaria del Pci-Pds è anzi messa sotto accusa sia per le cooperative che per l'accumulazione patrimoniale vista come frutto di una sistematica irregolarità. Vale perciò la pena di riprendere alcune conclusioni di Nordio che, partendo dal terreno accusatorio, si soffermano sul meccanismi politico-finanziari del Pci-Pds.
    Nordio esprime molti dubbi sui finanziamenti che hanno permesso al Pci-Pds di divenire uno dei partiti più ricchi del Paese con una struttura economico-patrimoniale immensa e occulta. Pur avendo raccolto «una serie di indizi convergenti sulla diretta partecipazione degli onorevoli D'Alema e Occhetto alla gestione economica delle risorse del partito, e in particolare dei finanziamenti pervenuti in modo anomalo e clandestino», il pubblico ministero si ferma di fronte alla mancanza di prove definitive e assolute. Non tace però il fatto di avere acquisito «la prova che il Pci-Pds disponeva di persone di assoluta fiducia, incaricate dell'acquisizione di contributi e della loro gestione illegale e clandestina, attraverso sistemi di accantonamento e occultamento all’estero di fondi depositati su singoli conti bancari, tanti quante erano le operazioni acquisite».
    È in particolare sulla formazione del patrimonio immobiliare che l’inchiesta di Venezia approfondisce l'analisi: «V'è la prova che il Pci-Pds dispone di un immenso patrimonio immobiliare gestito da società fiduciarie e da prestanome, assolutamente incompatibile con le elargizioni ordinarie dei simpatizzanti e ancor più con i bilanci ufficiali del partito... La presunzione che derivi da contributi clandestini è fondata, ma non vi è la prova che derivi, anche in parte, dalle risorse sottratte alle cooperative... (Ed è proprio questa mancanza di collegamento che costituisce) un formidabile riscontro all'ipotesi di una struttura occulta del Pci, cui certamente non è estranea la strategia dei rapporti con le cooperative».

    il Giornale
    25 febbraio 2006

    http://www.massimoteodori.it/articoli/articoli.htm


    Bladerunner60
    fate pure tutta la propaganda che volete

  10. #30
    email non funzionante
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    Citazione Originariamente Scritto da Gianfranco Visualizza Messaggio
    Ragazzi faccio un richiamo a tutti e in particolare a chi ha aperto questo thread. Attenzione ai termini che si usano...l'evasione fiscale è un reato...di conseguenza accusare una persona o una categoria di compierlo costituisce diffamazione se non è supportato da prove e link. Io capisco il senso "paradossale" del thread ma attenzione ai "toni e ai modi" che si usano per affrontare un argomento. Vi chiedo maggiore attenzione , grazie.
    le coop possono denunciare la UE se si ritengono diffamate

 

 
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