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    Predefinito Contributo programmatico del P.R.I. per le elezioni politiche 2008

    La Direzione Nazionale vara le proposte per la prossima legislatura
    "Obiettivo sviluppo" al centro del programma del Pri

    Premessa

    Negli ultimi 10 anni, l'economia italiana è cresciuta ad un ritmo dell'1,3 per cento, trainata essenzialmente dalla domanda interna: consumi ed investimenti. Il suo potenziale produttivo non supera l'1,5 per cento annuo. Addirittura più bassi per gli anni a venire. Se non si alza questa soglia la crescita del benessere individuale e collettivo resta inevitabilmente sacrificato. A danno soprattutto dei settori più deboli della società italiana (giovani e donne) e dei territori meno sviluppati (il mezzogiorno). Nello stesso tempo ogni tentativo di creare una società più giusta diventa più difficile. Se il Paese cresce è possibile utilizzare la maggior ricchezza prodotta a favore di chi è rimasto indietro. Se ristagna, prevale inevitabilmente l'egoismo individuale e di gruppo.

    Il Partito repubblicano ritiene che questo sia il principale problema della società italiana. Ha, pertanto, elaborato un programma elettorale volutamente stringente, centrato su questo punto qualificante e su alcuni aspetti – riforme istituzionali e giustizia – che preoccupano particolarmente il cittadino. Non che gli altri temi non siano importanti. Hanno, tuttavia, una priorità minore. Sono, inoltre, trattati nel programma più generale del "Popolo delle libertà". Fanno quindi parte di un patrimonio comune, all'interno del quale i repubblicani vogliono rimarcare l'originalità della loro elaborazione programmatica.

    La politica economica: obiettivo sviluppo

    Che il tema dello sviluppo rappresenti, oggi, il problema dei problemi è dimostrato non solo dalla realtà di tutti i giorni. Ma dalle prospettive più immediate. La lunga crisi italiana trae origine dall'accentuata concorrenza internazionale e dalla mancata risposta competitiva del Paese alle grandi trasformazioni intervenute nell'economia mondiale. Trasformazioni che, ogni giorno, presentano nuove sorprese e sfide sempre più complesse. Si pensi solo all'inversione di tendenza che si è registrato nell'andamento dei prezzi dei prodotti alimentari e del petrolio, che tanto colpiscono i ceti meno abbienti. Essi sono la conseguenza del maggior consumo indotto dalla forte crescita delle periferie del Mondo (Cina ed India) cui non ha corrisposto un aumento adeguato dell'offerta. Hanno quindi un carattere irreversibile al quale far fronte solo accrescendo la quantità di beni nazionali che il Paese può produrre e quindi scambiare.

    Crescita dell'economia innanzitutto, quindi. Ma come? I Repubblicani propongono un mix di politiche che facciano perno su due elementi: la politica dell'offerta e quella del risanamento finanziario. Entrambe necessarie per ottenere le risorse indispensabili per ridurre progressivamente la pressione fiscale ed, anche attraverso questa via, accelerare ulteriormente il tasso di crescita, grazie a quello che gli economisti qualificano come "effetti neo ricardiani". Vale a dire il passaggio da un'economia tendenzialmente collettivistica, centrata sulla "politica del tassi e spendi" ad una di impronta marcatamente liberale. Dove sia il mercato, con le sue regole ed i suoi principi, come è stato detto, a Milano nella Conferenza "sui principi liberali: quelli veri e quelli falsi", ad organizzare la produzione e distribuzione della ricchezza. Mentre spetti allo Stato solo la definizione di quelle regole ed il compito di intervenire per correggere le eventuali anomalie: sia in termini di sviluppo ( pensiamo alla politica industriale ed alla ricerca) che di equità sociale. L'esatto contrario, quindi, di quanto mostrato dal Governo di Romano Prodi.

    Per realizzare questi obiettivi è necessario un programma di legislatura, nel corso del quale accrescere la produttività totale dei fattori, che è il presupposto per alzare l'asticella dello sviluppo potenziale. I campi di intervento sono quelli noti: infrastruttura, liberalizzazioni (a partire dai "poteri forti", come banche e compagnie di assicurazione), ricerca, diffusione tecnologica, formazione e conoscenza, semplificazione amministrativa, nuovi assetti costituzionali, riforma dell'Amministrazione a partire dalla confusa situazione esistente a livello locale (Regioni, comuni, province, comunità montane). Energia nucleare ed OGM: tanto per fare un esempio, quale elemento simbolico delle cose da fare. Lo spirito è quello della "strategia di Lisbona", che deve divenire il lievito dell'intera legislatura e dare coerenza alle diverse culture politiche che convivono all'interno del "Popolo delle libertà". Per far avanzare un processo riformatore che vinca le resistenze statalistiche e conservatrici che ancora vi si annidano, in quella prospettiva liberal – democratica, che costituisce il portato più moderno della realtà europea.

    La politica economica: le proposte operative

    Le proposte operative non mancano. E' sufficiente recepire il lungo elenco predisposto dall'Autorità garante della concorrenza e delle altre Autorità di settore e dar loro attuazione, nell'interesse dei consumatori che devono essere posti al centro delle diverse politiche da seguire. Un simile processo garantirà una maggiore apertura dell'Italia, l'applicazione di standard sempre più di stampo europeo ed occidentale. Ed alla caduta di queste barriere – giuridiche ed amministrative – non potrà che corrispondere un maggior flusso di investimenti stranieri. Che non solo contribuiranno ad elevare il livello di investimento complessivo, ma grazie al trasferimento di tecnologie potenzieranno la diffusione delle innovazioni accelerando il processo di modernizzazione dell'Italia.

    Un simile intervento non può che essere di medio periodo. Deve partire da subito, ma i risultati si manifesteranno solo nel corso del tempo, sempre che l'azione di governo sia sorretta da una coerenza di cui i repubblicani diverranno gelosi custodi. Le condizioni generali del Paese, tuttavia, non possono attendere. Richiedono interventi e soluzioni immediate: per arrestarne il declino, rimettere in moto il treno dell'economia, venire incontro alle esigenze dei ceti meno abbienti, le cui condizioni di vita sono duramente colpite dal conflitto distributivo imputabile alle mutate condizioni dell'economia internazionale.

    Per realizzare un simile obiettivo diventa prioritario intervenire sull'offerta di lavoro. Favorire, specie nel Mezzogiorno, una maggiore occupazione. Aumentare i salari dei ceti meno abbienti e delle giovani generazioni. Accrescere il benessere individuale, stimolando la domanda interna, che, in questi anni, ha rappresentato il fattore più dinamico della pur limitata crescita economica. E' ovvio che non basti aumentare i salari. Una loro crescita generalizzata, senza un contestuale aumento della produzione, avrebbe come effetto l'ulteriore sviluppo del processo inflazionistico ed il rischio di generare fenomeni di stagflation, come già avvenuto nel corso degli anni '70. I salari possono crescere sono se aumenta la produzione, sia per effetto della maggiore produttività aziendale, che aumentando l'input di lavoro, specie nei settori trainanti dell'economia italiana.

    L'offerta di lavoro può crescere attraverso politiche diverse ma convergenti. Esse riguardano l'età di pensionamento, che deve crescere in proporzione ai miglioramenti intervenuti nella vita media di ciascun individuo. Politiche mirate di immigrazione, che consentano di reclutare all'estero la mano d'opera necessaria per realizzare quei lavori che sono rifiutati dai nostri concittadini. Una settimana lavorativa che non riproduca, nei fatti, l'esperienza francese delle "35 ore", che è stato il colpo mortale inferto alla sinistra di quel paese. Colpo dal quale non si è più sollevata, per gli effetti perniciosi prodotti sull'intera economia. Un modello di contrattazione collettiva che privilegi gli aumenti di reddito legati alla maggior produttività, da incentivare con adeguate politiche di carattere fiscale.

    In Italia, il modello di un blando impegno, si è imposto per quanto riguarda il "lavoro dipendente". Le statistiche ufficiali – siano esse prodotte dall'ISTAT o dalla Banca d'Italia – mostrano un forte squilibrio nel carico di lavoro tra dipendenti ed indipendenti. Ed all'interno dei lavoratori dipendenti, tra pubblici e privati. Ne sono derivate squilibri in termini di contributo alla crescita del PIL e salari individuali. In Italia, i salari sono più bassi rispetto a Francia, Germania e Regno Unito di circa il 30 o il 40 per cento. Ma mentre per i lavoratori anziani, le differenze si annullano, sono le classi più giovani – quelle che hanno una maggiore propensione al consumo – a subirne il peso relativo. Queste differenze trovano giustificazione sia nella diversa produttività, che nel minor numero di ore lavorate. Occorre accrescere sia l'una che l'altra.

    Se si defiscalizzassero gli straordinari, ed i lavoratori dipendenti lavorassero un numero di ore analogo a quelle degli indipendenti, i salari potrebbero aumentare, fin da subito, del 25 per cento. Le entrate dello Stato, per gli effetti indotti di tipo keynesiano, crescerebbero di circa 4 miliardi. Le entrate contributive di 10. Il potenziale dell'economia passerebbe dall'1,5 al 2 per cento. L'effetto combinato di questi fattori porterebbe ad una riduzione del deficit pubblico di circa lo 0,8 per cento. Avremmo maggior benessere individuale, senza ulteriore inflazione; maggiore crescita economica, maggiori risorse pubbliche per accelerare il processo di modernizzazione del paese e ridurre, contestualmente, la pressione fiscale.

    Queste misure sono complementari e non alternative al risanamento finanziario, che deve realizzarsi attraverso la progressiva razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica: per liberare la società dal peso di una Pubblica amministrazione divenuto insopportabile. Per ottenere risultati concreti è necessario operare sia sul fronte delle entrate che sui pubblici bilanci e le procedure di spesa. Occorre rovesciare il discorso del "tassa e spendi". Stabilire, ogni anno, quale debba essere il prelievo fiscale complessivo, come limite invalicabile all'indebitamento pubblico. Quindi obbligare le singole Amministrazioni a rispettare un vincolo, che abbia la natura di un limite di carattere costituzionale. Per ottenere un simile risultato non servono nuove leggi. Basta imporre, in attesa di una riforma delle procedure parlamentari, che la legge finanziaria fissi un importo inderogabile. Le eventuali maggiori entrate – i vari "tesoretti" che hanno deliziato l'ultima legislatura – non potranno essere spesi, ma sterilizzati ai fini di una riduzione lineare del carico fiscale.

    Nello stesso tempo occorrerà mettere mano alle procedure di bilancio, cambiando radicalmente una legge – la 468 del 1978 – nata durante l'epoca della "solidarietà nazionale" e figlia del clima consociativo di quegli anni. L'Amministrazione dovrà essere riorganizzata per "programmi" e "missioni", sulla base di quello che avviene negli altri paesi (la Francia). Gli stessi andranno verificati a consuntivo ed i bilanci certificati da organi indipendenti. La pubblica opinione, attraverso il suo organo maggiormente rappresentativo – il Parlamento – dovrà essere resa edotta, nel dettaglio, di "come" e di "perché" si spende. Ed il Governo dovrà dare conto della sua attività e dei risultati conseguiti. E lo stesso, a maggior ragione, dovranno fare gli enti locali. Non dovrà più capitare che si spendano 11 miliardi di euro per la raccolta dei rifiuti, com'è avvenuto in Campania, per avere quella vergogna, che ha distrutto l'immagime del nostro Paese in tutto il mondo.

    Insomma, un complesso programma di interventi che incida sui connotati più rilevanti della Pubblica amministrazione. I grandi vettori sono quelli della privatizzazione, che scompagni il "socialismo municipale" liberalizzando i relativi mercati al fine di ottenere più efficienza e tariffe minori a vantaggio del cittadino. Un forte processo di semplificazione amministrativo che recepisca l'impegno europeo a ridurre del 25 per cento il costo dei relativi adempimenti. Che si nutra delle nuove tecnologie: dall'e - government fino ai primi esperimenti di e - democracy. Che traghetti, in altri termini, il polveroso ambiente di una burocrazia, troppo spesso oppressa dal peso della politica, verso il nuovo mondo dell'autonoma responsabilità e delle pratiche manageriali.

    Se si procederà in questo modo – operando sia sul lato dell'offerta che su quello del risanamento finanziario – i risultati non si faranno attendere. Il nostro obiettivo è quello di riportare la pressione fiscale al livello degli anni '80 – il 35 per cento – dopo aver ricondotto la spesa pubblica nel suo ambito fisiologico, pari al 40 per cento del PIL. Utilizzando anche manovre di carattere straordinario per abbattere il debito e quindi la spesa per i relativi interessi. Con un equilibrio di bilancio ormai consolidato, grazie alla maggior crescita economica. Non si tratta solo di una proiezione realistica, ma di impegno da sottoscrivere nei confronti degli elettori, ai quali chiedere uno sforzo adeguato, non solo per far crescere il proprio benessere individuale. Ma per contribuire, attraverso questa via, a delineare quel futuro di cui il Paese ha un estremo bisogno.

    Le riforme istituzionali e la giustizia

    Le riforme istituzionali che sono nel cuore dei repubblicani italiani fanno da complemento e sono coerenti con il programma finora enunciato. Essenziale è la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione. E' necessario reintrodurre il principio di interesse nazionale conseguente anche a una riscrittura del primo comma dell'articolo 114 della Costituzione, volto a ripristinare la supremazia dello Stato rispetto agli altri soggetti dell'ordinamento repubblicano; semplificare le articolazioni periferiche con l'abolizione delle province, o quanto meno, in una prima fase, delle comunità montane, e dei consigli di circoscrizione nei comuni inferiori ai 300.000 abitanti. Nel frattempo occorrerà avviare un confronto sugli altri temi: dal ruolo dell'Esecutivo al funzionamento del Parlamento e degli altri Poteri dello Stato.

    Ma è sull'ordinamento giudiziario che occorre intervenire con priorità assoluta. Dividendo gli interventi in due categorie: quelli da attuare immediatamente, essendo affidati alla legislazione ordinaria, e quelli che richiedono modifiche costituzionali, che possono essere realizzati solo in un arco temporale più vasto. Per quanto riguarda il primo, si segnala innanzitutto la necessità di un intervento relativo alle intercettazioni telefoniche, tema sul quale si era già verificata una significativa convergenza nella legislatura testé conclusa. Appare, altresì, essenziale nella lotta alla criminalità introdurre norme volte a disciplinare il prelievo coattivo di materiale biologico. Tale prelievo è sentito come un'esigenza primaria nella lotta contro i più gravi reati. Una disciplina che introduca nel codice di procedura penale la possibilità di eseguire per ordine dell'autorità giudiziaria il prelievo coattivo di materiale biologico deve tuttavia garantire il rispetto dei principi relativi alla libertà personale sanciti dall'articolo 13 della Costituzione. L'introduzione del prelievo coattivo dovrà essere accompagnata necessariamente dalla creazione di una Banca dati di DNA, indispensabile per non vanificare l‘utilizzo del materiale biologico stesso.

    Un ulteriore intervento di legislazione ordinaria dovrebbe riguardare la riforma del codice penale e del codice di procedura penale, essendo stati elaborati nella scorsa legislatura due progetti (Nordio e Dalia) che si potrebbero rivisitare in tempi brevi. Per quanto riguarda invece gli interventi che presuppongono la modifica di norme costituzionali, appare necessario incidere sugli articoli 104, 111 e 112 della Costituzione, cioè quelli relativi alla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, al c.d. "Giusto processo" e all'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale. Sul primo punto, appare chiaro, alla luce dell'esperienza, come un Consiglio Superiore, in cui ai rappresentanti dell'Ordine Giudiziario è garantita la maggioranza dei due terzi dei componenti, si trasformi in organo di tutela, se non corporativa, correntizia dei singoli soggetti appartenenti all'Ordine Giudiziario stesso. Per questo proponiamo un modello per il Consiglio Superiore della Magistratura che ricalca quello previsto per la Corte Costituzionale, stabilendo che un terzo dei componenti sia eletto da tutti i Magistrati, tra gli appartenenti alle varie categorie, un terzo dal Parlamento in seduta comune, ed un terzo nominato dal Presidente della Repubblica, sia tra coloro che sono eleggibili dal Parlamento sia tra i magistrati ordinari.

    Si vuole in questo modo esaltare il potere neutro del Presidente della Repubblica, rendendo non formale il suo ruolo di Presidente del CSM Si potrebbe, altresì, prevedere di sottrarre al CSM la competenza disciplinare sui magistrati, attraverso la creazione di un organo esterno al Consiglio operante anche per altri soggetti (avvocati, notai). La composizione del nuovo organo potrebbe essere fatta da ex Presidenti della Corte Costituzionale. Appare, poi, opportuno introdurre il principio di perentorietà di tutti i termini processuali, necessario per non rendere l'inefficienza della giustizia arbitra delle controversie e per completare il sentiero riformatore già avviato con la modifica dell'articolo 111 che ha introdotto la disciplina del "giusto processo". Ovviamente la legge ordinaria sarà chiamata a dare concreto corpo a questa modifica costituzionale, stabilendo un coerente e logico sistema di ammonimenti e sanzioni per chi violi il precetto. Inoltre, si ritiene necessario abbandonare il principio di obbligatorietà dell'azione penale. Detto principio, infatti, è andato progressivamente perdendo le sue concrete peculiarità, divenendo un dogma astratto più che un reale criterio di svolgimento dell'attività requirente. Ciò anche a causa di direttive ausiliarie degli uffici dell'accusa, che ne hanno reso manifesto il ruolo di mero inciampo processuale che obbliga il sistema a subire processi privi di concreto interesse. Riteniamo che debbano, invece, essere formulati criteri e principi in base ai quali dare preminenza a specifiche ipotesi di reato nell'esercizio dell'azione penale. La formulazione di tali criteri, che dovrebbe essere affidata alla Conferenza dei Procuratori Generali, consentirà la migliore utilizzazione delle risorse in relazione alle diverse esigenze e finalità repressive esistenti nelle diverse aree del Paese. A seguito dell'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale, non vi dovrebbero essere più gli impedimenti evidenziati dalla Corte Costituzionale che ha bocciato la legge Pecorella, e sarebbe quindi possibile tornare sul divieto di appello per le sentenze di assoluzione in primo grado.

    L'impegno dei repubblicani

    Queste sono le linee essenziali del programma del Partito repubblicano. Non un libro dei sogni, ma un impegno concreto dove sono delineate priorità e scadenze. Dove la politica vuol tornare ad essere quella forza che ha guidato l'Italia nei momenti più difficili. I repubblicani sono figli di una storia antica che si è continuamente rinnovata. Un "piccolo partito di massa" come ebbe a dire Palmiro Togliatti che, certo, non amava questo partito, ritenuto espressione della borghesia italiana. Se non ci fosse stata la loro presenza le scelte più difficili del Paese – dalla sua collocazione occidentale, all'apertura degli scambi, alla proiezione europea – forse non vi sarebbero state. Oggi l'Italia si trova di nuovo in mezzo al guado: può progredire, facendo appello al coraggio del suo popolo o regredire verso un declino che si può combattere e vincere. Come nell'immediato dopoguerra, quando si trattò di ricostruire un Paese distrutto dalla follia, i Repubblicani sono in campo. Guidati soltanto dall'amore verso la loro Patria e dall'orgoglio di essere italiani.

    tratto da http://www.pri.it/27%20Febbraio%2020...maElez2008.htm

  2. #2
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    Il senso di una presenza
    Rimettere in corsa un paese ingessato priorità dei repubblicani

    La Direzione Nazionale del Pri ha approvato in via definitiva il programma messo a punto in vista delle prossime elezioni politiche. Questo programma - che la "Voce" pubblica integralmente su questo stesso numero - è stato presentato alle altre forze politiche ricomprese nel Pdl.



    Non si tratta, come è ovvio, di un libro dei sogni o di un lungo elenco di cose da fare. Segue una logica coerente che ha come obiettivo quello di rilanciare un paese "ingessato" e messo al tappeto dai due anni di governo dell'Unione e di Romano Prodi.

    Al centro del programma è quindi la crescita dell'economia, da perseguire mediante una serie di interventi mirati che seguano due filoni: la politica dell'offerta e quella del risanamento finanziario. Il tutto ricompreso all'interno di un processo riformatore, spalmato su un'intera legislatura, che si propone di rimuovere "le resistenze statalistiche e conservatrici, in quella prospettiva liberal-democratica che costituisce il portato più moderno della realtà europea".

    Questa filosofia di fondo si articola in una serie di proposte operative che traggono ispirazione dalla lunga storia del pensiero repubblicano. Merito, innovazione, ricerca, aumento della produttività sono il loro comune denominatore. I settori di intervento coprono un ampio spettro: dal rilancio del nucleare agli Ogm, dalla politica salariale alla semplificazione amministrativa, dalle liberalizzazioni alla ricerca e alla diffusione tecnologica.

    L'obiettivo è quello di presentare, all'approdo di fine legislatura, un paese nel quale la pressione fiscale sia riportata al livello degli anni Ottanta (il 35 per cento del Pil) e la spesa pubblica nel suo ambito fisiologico, intorno al 40 per cento. I livelli, insomma, che sono propri di un moderno e maturo paese avanzato, nel quale il costo del settore pubblico registri significativi passi indietro per favorire la crescita e il rischio individuali, fattori indispensabili ad uno stabile sviluppo.

    Il programma affronta poi, anche se in modo più sintetico, il tema delle riforme istituzionali. Tra queste vengono in evidenza tre questioni. La necessità di reintrodurre il principio di interesse nazionale; l'abolizione delle province e dei consigli di circoscrizione nei comuni con popolazione inferiore ai trecentomila abitanti; la riforma dell'ordinamento giudiziario. Per quanto riguarda quest'ultimo punto, accanto ad una serie di interventi immediati (dalla regolamentazione delle intercettazioni telefoniche alla normativa in tema di prelievo coattivo di materiale biologico) vengono messi in risalto alcuni aspetti di fondo, che comportano una modifica di norme costituzionali: composizione del Consiglio Superiore della Magistratura; "giusto processo"; obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale.

    Queste le linee essenziali del nostro programma. Spetterà in primo luogo ai repubblicani in Parlamento darvi seguito. Ma spetterà all'intero partito vigilare perché i parlamentari che rappresentano il Pri adempiano fino in fondo e con scrupolo al loro dovere. Che è, oggi più che mai, quello di contribuire al rilancio di un paese in difficoltà ma ricco di risorse umane, alle quali bisogna appellarsi per riprendere la via dello sviluppo.

    Roma, 27 febbraio 2008

    tratto da http://www.nuvolarossa.org/modules/n...p?storyid=4755

  3. #3
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    Il Comitato di segreteria del Pri

    Il Comitato di segreteria del Pri ha chiesto ai repubblicani un voto per le liste del PdL alla Camera ed al Senato, dove gli esponenti del Pri sono impegnati a rappresentare le principali istanze di politica economica, di politica estera e di sicurezza che hanno caratterizzato il Partito repubblicano nella sua storia.

    Il Comitato di segreteria ha anche precisato che qualsiasi incarico di rappresentanza politica dovesse essere conferito ad esponenti del Pri, esso sarà deliberato dal detto Comitato e ratificato dalla Direzione nazionale del partito.

    Roma, 18 marzo 2008

    tratto da http://www.pri.it/18%20Marzo%202008/...teriaDocum.htm

 

 

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